lunedì 27 luglio 2020

22-24. Podlachia e Lituania. Le divinità dei boschi e la rivoluzione dei cavolfiori. Kaunas, la piccola Parigi



25/7/20
giorno 22
Srokowo-Wizajny
111km

Carissimi, è dalla Podlachia che vi scrivo.
La Varmia e la Masuria sono ormai alle spalle.
Da poco siamo entrati in questo lembo di terra e acqua che unisce i confini, culturali prima che geografici, di Polonia, (Bielo)Russia, Lituania e Ucraina. Di questi quattro paesi, tre son qui a un passo: basta prendere un sentiero e camminare mille passi sempre dritto. A nord ovest si entra in Russia, nell'exclave di Kaliningrad, a nord est nella prima delle Repubbliche baltiche, e qui siamo in Polandia. Ma per l'ultima notte: domani raggiungeremo Kaunas, e lì ci fermeremo un giorno.

Per la cronaca, se ieri sera scrivevo dalla nostra tendina, sotto all'acquazzone notturno, oggi scrivo da una roulotte, in pieno stile Moira Orfei. Ma dopo vi spiego.

La giornata è cominciata presto, alle prime luci dell'alba, prima delle 5. Un po' la pipì, tenuta tutta notte per la pigrizia di non voler uscire nel temporale e nel fango, un po' la consapevolezza di dover mettere tutto al sole ben steso ad asciugare, prima di impacchettare tutto nelle borse e ripartire. Qui, comunque, c'è una gran luce per lunghe ore. Ancora adesso, che sono le 22.30,  in lontananza l'orizzonte è chiaro di un chiarore da notti bianche. Stiamo andando incontro al sole di mezzanotte, in fondo.

Colazione, preparazione bagagli e carovana e via, con la benedizione di un cielo spettinato di nuvole in corsa, ma mai foriere di pioggia.
L'unica fregatura è che c'è un'escursione termica incredibile tra sole e ombra, tra quando il sole splende e quando è coperto un poco. Ora fa caldo, ora molto fresco, e di nuovo caldo e freddo e via così, tutto il giorno. Si suda e si rabbrividisce senza soluzione di continuità.

Salutiamo il lago che stanotte ci ha respirato accanto, e pure il pascolo dove, ieri alle prime gocce di pioggia, son passate le mucche per tornare alla stalla, al riparo.
Vedete come cambia la luce nel giro di un paio di scatti? E' così questa terra a caleidoscopio, questo cielo indeciso, cangiante, mutevole come il fiume di Eraclito, come le cose che accadono sotto alla sua vasta volta.





Ci mettiamo in sella e subito prendiamo atto di due cose: la prima, il vento è forte e ancora a favore, ewwiwa!
La seconda: si parano davanti a noi infinite colline, ancora, come e più di ieri. Par di pedalare sulla crosta in cima alla Viennetta. E su, e giù. E su, e giù. A volte con la discesa si riesce a prendere velocità e guadagnare quasi la cima della salita successiva. A volte il fondo sconnesso, le curve e le pendenze impediscono questa giostra e tocca alzarsi sui pedali o mettere il cambietto rampeghino.

Subito raggiungiamo le sponde del Lago Mamry, che è sfiorato dalla Green Velo e offre, oltre agli scorci, punti di sosta, un piccolo campeggio libero con i bagni chimici (ma senza acqua corrente) e tavoli e sedie.





Poi riprendiamo la marcia tra i campi e i prati, ora su ciclabile, ora su strada, che è stretta e dal fondo sconnesso, ma poco trafficata.





C'è una calma da domenica d'agosto, da siesta perenne, da mondo sospeso lontano dal continuo fluire di gente e di luci e di motori e macchine. Qui si sente cantare un gallo ogni tanto, e il garrire acuto delle rondini a caccia. Cicogne in quantità industriale hanno modificato il profilo dei rari villaggi con i loro nidi e la loro sottile presenza.

Passiamo da Wegorzewo, l'unica città della zona, che non si distingue in molto dai villaggi rurali. Però ha case più grandi e un acquedotto che pare un faro.




Da qui per i successivi 60km sono solo praterie e cieli spalancati, laghi, laghetti, paludi e marcite, pinete e boschi di betulle, oceani di spighe mature e profumo d'erba. E mucche e cicogne, come statuine di un presepe che si muove, ma piano.









Dalla strada si dipartono numerosi sentieri laterali, tutti sterrati, che portano a cascine disperse e casali ormai abbandonati da dio e dagli uomini. Qua e là un cartello marrone, di quelli che indicano località di interesse turistico, invitano a lasciare l'asfalto e buttarsi nei bricchi per ammirare una tomba o una chiesa in rovina. Lasciamo perdere, sulla sabbia e nel fango abbiamo già dato.
Per la sosta di metà giornata ci spingiamo oltre la metà tappa, a Goldap, che fu città tedesca fino al '45. Ha intorno un parco naturale che protegge la biosfera della Foresta Romincka e un acquedotto del 1905. Trattasi di uno dei pochi edifici storici, e quindi si monetizza: all'interno ha un micromuseo e si può salire a visitare la terrazza in cima. Dal sito esaustivo (magari fossero così anche quelli dei trasporti e delle strutture!) potete anche voi ammirare il panorama che si gode da lassù: http://www.wieza-goldap.pl/vr/


Dopo esserci scofanati un po' di provviste (una tolla di frutta sciroppata Gigi e pane e burro io, frutta entrambi), ben piazzati in un parco cittadino, ripartiamo e son subito, di nuovo, campi e boschi, salite a strappo e discese sempre troppo brevi. Il paesaggio si fa un poco più selvatico, meno addomesticato. Più zone a selva e meno coltivate. E' la Foresta Romincka che respira aria umida e si fa fitta fitta tutt'intorno.


Ogni tanto una chiesa in mattoni (nella foto sotto a Dubeninki) o case più antiche e meglio conservate, ognuna con la sua dose di cicogne sopra, rompono la monotonia del panorama che ci scorre addosso, ai lato, sopra, sotto, dentro persino.





Mi colpiscono le paludi, sempre così affascinanti, così decadenti e inquietanti. In queste spesso si vedono nuotare cigni bianchissimi. E' uno strano insieme di somma purezza e marciume, di vita che spiega le ali e vita che muore inghiottita dal fango e dalla melma. Probabilmente è un portale per un mondo altro, per un al di là, un oltre la superficie, oltre lo specchio. Se ci si immerge qui si riemerge in un bosco fatato di cavalieri e draghi, di stregoni e re leggendari. O forse, se ci si immerge qui, si vede solo il fondo delle cose, il decomporsi, il disfarsi, l'essere processati dai batteri operosi, che poi è la fine che ci attende tutti.




Riprendiamo la Green Velo per ampi tratti, pur senza seguirla. Preferiamo ormai affrontare il poco traffico piuttosto che la sabbia o il pavè o chissà quali altre porcherie si trovano sulle strade secondarie di Polonia. Ogni tanto incrociamo cicloturisti locali, ma sembrano tutti un po' improvvisati e molto affaticati.



Ci concediamo un'ultima sosta a 10km dall'arrivo, a Zytkiejmi, in uno spiazzo dedicati ai cicloturisti stanchi. Ci sono panchine e tavoli coperti e persino un bagno chimico, bene rarissimo. Ce n'è uno ogni 80km circa, bisogna esser forti di vescica e saldi negli orifizi.




Poi corriamo a pochi passi dal confine russo di Kaliningrad per l'ultima volata. Il vento ci aiuta e così passiamo gli ultimi pascoli e le ultime colline di oggi




fino ad entrare in Podlachia, l'ultima regione Polacca che attraverseremo per breve tratto prima di entrare in Lituania, domani.
Da questo punto:


si ha a destra della casetta la Lituania, a sinistra la Russia. Davanti la Polonia.
Per la precisione la Podlachia, come dicevo. Che in bielorusso si dice Padijassa e mi piace, sembra paiassa, è simpatica.
Qualcuno dice che questo nome derivi dalla parola slava les, o las, che significa foresta, tipo Polesia; altri invece optano per l'etimologia da pod Lachem, sotto/vicino ai polacchi. Che queste terre facevano parte del Granducato di Lituania, nella provincia di Trakaj, ma proprio al confine col Regno di Polonia.


Inizialmente questa zona era abitata da tribù di diverse etnie: baltici, ruteni, genti di lingua proto-ucraina. Poi finì in parte alla Lituania e in parte alla Polonia.
Qui si mescolano diverse culture, e fino al XIX secolo i principali abitanti erano polacchi, ebrei, ortodossi ruteni o greco-cattolici che parlavano una lingua simile all'ucraino (Khakhlak). Poi l'area finì sotto l'influenza russa e la popolazione fu forzatamente convertita all'ortodossia, nonostante i numerosi tentativi di resistenza, puniti prima nel sangue e alla lunga tollerati.
Qui abitano anche bielorussi e tatari, per condire il tutto.

Passiamo accanto ad un waypoint della Green Velo e tiriamo diritti verso la nostra meta: il camping U Mani a Wizajny, sulle sponde del Lago omonimo.




Ci attende quello che la proprietaria definisce chalet privato. Una meravigliosa roulotte ancorata al terreno, nel giardino dietro casa, accanto all'orto. Bellissima, accogliente, confortevole, supereconomica e perfetta in caso di altri acquazzoni notturni. Dentro ha cucina, zona pranzo/divano e letti. Subito fuori ci sono la doccia e il bagno, in due microspazi separati, in muratura.









Prendiamo possesso del potente mezzo/intero alloggio e andiamo anche a fare la spesa nel vicino Leviatano. Siccome ci avanzano un po' di zloty (che ormai io chiamo polocchi) e domani torniamo in zona euro, svaligiamo il supermercato per acquisto beni non deperibili di prima necessità. Frutta, pane, marmellata, tè e caffè e una quantità vergognosa di barrette. Che qui vendono sfuse e costano poco poco.


Riposo, cena e ultimi preparativi per domani. Muoviamo su Kaunas, dove ho già prenotato un appartamento proprio sul viale Laisvés. I confini tra Polonia e Lituania sono aperti e gli italiani sono graditi ospiti (sia Italia sia Polonia compaiono nella lista che il governo lituano aggiorna ogni settimana, con i paesi sì, ovvero le nazioni europee con meno di 15 malati ogni 100.000 abitanti). Non ci si deve registrare nè vengono svolti controlli, se si entra via terra.
Bene così: noi passeremo il confine da una stradina microscopica e sterrata, in mezzo ai bricchi, che ci consente di tagliar corto sui kilometri da percorrere, che son comunque quasi 120. Come sempre, si spera non ci siano inconvenienti nel mettere piede di là da quella linea immaginaria che si è disegnata col sangue e il sudore. Inutile e stupida come ogni traccia che separa.
Intanto la luna si è alzata sul lago e l'orizzonte ancora è chiaro, a nord. Buon segno, sarà una notte limpida.


Penso a Ungaretti (so che non incastra con i luoghi ma le associazioni mentali sono incontrollate) e così si chiude questa giornata di viaggio verso nord(est).


Dall’ampia ansia dell’alba

svelata alberatura.


Dolorosi risvegli.


Foglie, sorelle foglie,
vi ascolto nel lamento.



Autunni,
moribonde dolcezze.



O gioventù,
passata è appena l’ora del distacco.



Cieli alti della gioventù,
libero slancio.



E già sono deserto.


Perso in questa curva malinconia.


Ma la notte sperde le lontananze.


Oceanici silenzi,
astrali nidi d’illusione,



o notte.



26/7/20
giorno 23
Wizajny-Kaunas
119km

Io ve lo dico e a gran voce: una giornata da incorniciare! La tappa perfetta, il meglio del meglio che una volpe a pedali cicloperegrina possa desiderare.
Tutto è andato bene, tutto è stato bello, tutto giusto.
Fine.

Be', dai, vale la pena raccontare in maniera più dettagliata questa giornata top.
Primo segno fausto: luce su tutto, alta, calda, estiva. La roulotte ne è stata inondata come da una piena di fiume fin dall'alba, quando gli uccellini hanno iniziato a cantare e frullare nei cespugli.
E faceva caldo, un caldo che non si sentiva da giorni. 



Così caldo che, per evitare di aggiungere casino al casino di borse e sacchetti che avevamo seminato la sera prima


abbiamo deciso di fare colazione fuori. Pane nero, marmellata, tè e biscotti as usual.


Il check out è stato un po' difficoltoso per eccesso di zelo da parte del proprietario, il grande e grosso e grasso Mario. Ieri ci ha accolti la figlia adolescente, che si impanicava a parlare inglese e mi ha chiesto scusa per il fiatone e l'ansia incontrollata più volte. Oggi ci ha salutati la madre, sciura piantata bene sulle gambe forti, e a darci il buon viaggio è venuto nientemeno che il capo famiglia, mario appunto. Omone a metà tra il palestrato e il ciccione, magari non agile, ma di quelli che se ti tirano una manata di girano la faccia. Booking mi assicurava che avevo già pagato, ma Mario, dopo averci stretto la mano con largo sorriso, sembrava dubbioso. Ho cercato di spiegargli che avevo la ricevuta, in italiano però, e gli ho mostrato più volte il telefono. Ma lui mi guardava con gli occhioni azzurri slavati e persi e non capiva. Voleva usassi il traduttore, ma poi ha avuto un'idea. Ha chiamato una sua amica che parla perfettamente italiano e me l'ha passata. Lei, dopo vari giri di breve conversazione, mi ha spiegato che Mario sapeva bene che avevamo già saldato il conto, e voleva solo assicurarsi che fossimo stati bene e fossimo tranquilli e pronti per una nuova giornata in sella.
Hai capito che brav'uomo, il Mario?
La ragazza al telefono, poi, mi ha lasciato il numero e si è resa disponibile per qualunque problema, necessità di traduzione o aiuto. Anzi, mi ha salutata con un "Per favore chiamami o scrivimi ogni tanto!".
Strano mondo.
Il tutto è avvenuto mentre un gattello microscopico e fusicembalo si arrampicava bel bello sulle bici e su Marione.



Dobra dobra, bene bene, ciao ciao, e via.
Ieri ho studiato a lungo su Maps, con il satellite e street view, il microscopico passaggio di frontiera che avremmo attraversato oggi. Sul sito della Farnesina dice addirittura che è chiuso, e che è aperto solo quello autostradale, a 20km da qui. Ma io non ci credo e voglio tentare la sorte.
E' una via piccola e sterrata che passa tra i campi, roba da clandestini, da gente del bosco e della macchia, da free borders, anarchici del limes e dei margini mai chiusi del tutto; perchè c'è sempre quel punto, quel minuscolo tratto, nell'ombra, tra i rami...

La Polonia, qui, ci saluta con uno spettacolo incredibile di azzurro che riflette azzurro, di laghi, di cieli aperti sui campi, di pace infinita che permea nelle fibre di ogni cosa, dal filo d'erba alla cicogna che osserva, dalla vacca nel prato alla volpe che passa e respira piano, piena di luce, nell'ora della grazia.  





Ciao Polonia, è stato bello anche stavolta. Sono passate stagioni dalla mia campagna di Russia, dai tempi di Breslavia e Lodz, Varsavia splendida e la terribile Treblinka, l'arte e le campagne fangose e la foresta di Bialowieza, tra i tartari gentili. Ti ho ritrovata, Polonia, sotto un cielo nuovo, luminoso, e spettinata dal vento salso su spiagge di sabbia chiarissima. E' stato bello anche stavolta. Ciao, Polonia.

La stradina che ci porta al confine è asfaltata di fresco, regalo gradito, e non manca il cartello solito per la collezione di foto-testine dei 10 stati del vecchio continente che toccheremo in questo viaggio.

Buongiorno Repubblica di Lituania. E' un piacere rivederti. Ci siamo già incontrate, ma non ero in bici. Ti ho vista in corsa, solo Vilnius, Trakai, Kaunas e pochi dintorni, ma mi eri tanto piaciuta. Ricordo i boschi e i castelli, le casine di legno e il profumo di resina. La storia atroce anche, e il sangue bevuto dalla terra scura. Ma ne parleremo, più oltre.
Ora è solo azzurro steso e sole. E si passa un nuovo confine.




Entriamo dalle campagne, che sono però più addomesticate di quelle polacche. La strada non è sterrata, l'asfalto non è esploso. Le salite spianano e si apre davanti a noi una distesa piana di verde e ocra in ogni sua sfumatura. Il silenzio è oro che raccogliamo goccia a goccia sulle labbra, respirando luce.









Anche qui le nuvole si rincorrono in un gioco continuo e il colore delle cose muta di continuo. Passiamo qualche villaggio rurale. Metà delle casine sono abbandonate, con le finestre occhi ciechi senza luce da anni e le assi di legno ormai marcio.
Le poche abitate son misere davvero, e pare un poco la Bielorussia in certi sui estremi di umiltà. Le galline razzolano in cortile e un uomo a torso nudo, dal ventre pronunciato, munge una mucca col secchio di metallo, nel campo. Un trattore sferraglia, lontano. La terra è bassa. 




La prima vera città che raggiungiamo è Vilkaviskis, che interrompe bruscamente il piccolo mondo antico in cui stavamo pedalando e si erge tra supermercati (qui aperti anche di domenica, a differenza della Polonia) e grosse stazioni dei pullman. E chiese, ovviamente, mute come al solito.


Questa città, riconosciuta tale nel 1670, divenne prussiana, poi russa, tedesca durante la I Guerra e poi lituana e libera. Poi sovietica e dunque nazista. Grazie a questo fatterello, 3000 persone, per lo più ebrei, furono uccisi, con la collaborazione del buon vicinato del luogo. Poi venne liberata e oppressa ancora, come tutto il paese, e dal '91 ad oggi vive la sua storia senza più catene. Almeno non quelle riconosciute come tali. Che di catene è pieno il presente, e han la forma di denaro e strutture economiche e sociali.

A Vilkaviskis scopro anche che è scoppiata la "Rivoluzione dei cavolfiori", nel 2016. Una donna ha comprato un cavolfiore al supermercato e lo ha pagato 3.5 euro. Ha postato la foto su Facebook, che è subito diventata virale per il malcontento dovuto all'aumento dei prezzi dei beni e del costo della vita, ma non dei salari, dopo l'introduzione dell'euro nel 2015. Per tre giorni i 4 principali supermercati del paese sono stati boicottati, ma il primo ministro ha placato gli animi spiegando che i prodotti erano importati dai paesi dell'eurozona e quindi la fluttuazione dei prezzi non dipendeva dalla distribuzione.
(ah, a propos di supermercati, ho scoperto come mai il nome Lewiatan, della catena polacca. Trae-copio e incollo dal loro sito, tradotto: "ispirazione dall'organizzazione di associazioni economiche che operavano nel periodo tra le due guerre: l'Unione centrale dell'industria polacca, delle miniere, del commercio e delle finanze Lewiatan, che rappresentava l'industria polacca dinanzi alle autorità statali e ha dato un enorme contributo allo sviluppo del paese. La rete commerciale polacca Lewiatan è stata fondata nel 1994 per seguire l'esempio di questa organizzazione per associare gli imprenditori polacchi impegnati in attività commerciali e proteggere i loro interessi contro le reti esterne e le preoccupazioni commerciali che sono entrate massicciamente nel mercato polacco, offrendo agli operatori domestici la possibilità di un ulteriore funzionamento e sviluppo.")

Facciamo una prima sosta nel parco di Pilviskai, cittadina piena di vuoto, negozi chiusi da anni, panchine rotte e un senso di degrado post sovietico che nemmeno sto a spiegare.  



Ripartiamo e ci troviamo di nuovo immersi tra campi di frumento e campi di patate, patate e frumento, frumento e patate.



Poi cominciano i boschi, e ci accompagneranno per oltre 50km, praticamente fino alle porte di Kaunas.
Il profumo di resina e muschio è inebriante, ed esala nel sole caldo come un incenso sacro. Questa è terra di paganesimo, di divinità del tuono e del cielo, della luna e del fato. E qui tra corteccia e radice si capisce perchè.

Ma non mancano altri segni, e son croci per i morti. Portano tutti date del periodo interbellico, quando la Lituania, da poco indipendente, dovette di nuovo subire l'invasione russa, l'ennesima.



Poi restano solo i tronchi e le foglie, gli aghi e i rami tra cui filtra la luce una goccia per volta.












Nell'atmosfera sospesa, quasi di sogno, usciamo dalla contea di Marijampolè ed entriamo in quella di Kaunas. Altre croci nere per ricordare la feroce battaglia per l'indipendenza, ed altrettanto sinistri acquedotti si incontrano a Pazerai. Si fa presto a dire "Europa" qui. Forse troppo presto. Ma la storia è una e ci accomuna.




Poi, in un attimo, siamo a Garliava. Avviso i proprietari dell'appartamento che siamo in anticipo, nonostante a causa del fuso si sia persa un'ora per strada. Una fila sterminata di centri commerciali, una discesa a picco sul fiume Nemunas, il ponte, ed eccoci a Kaunas. E' la seconda città più grande dopo Vilnius e il principale centro industriale del paese, e vanta una lunga e complessa storia di luci ed ombre, di cui diremo poi, visitando la città. Ci accoglie la chiesa carmelitana di Santa Croce, all'ombra di abnormi supermercati.


Poi ci spingiamo ad uno dei simboli di Kaunas, il viale Laisves, libertà (prima si chiamava Stalin). E' una lunga strada pedonale ricca di negozi, locali e vita, che giunge fino al quartiere antico in un'infilata di musei, chiede e luoghi d'interesse. Qui, proprio sulla Laisves, si trova il nostro appartamento. Il palazzo è urendo, realsocialista e cadente. Ma l'alloggio è fin troppo per noi. Cioè, è più grande di casa mia.





Usciamo solo per fare la spesa e recuperare anche il necessario per la lavatrice, ormai necessaria (l'ultima risale a quasi due settimane fa). Nel tragitto ci imbattiamo nella chiesa di San Michele Arcangelo, costruita negli anni '90 dell'Ottocento, quando la città era parte dell'Impero russo; serviva per le funzioni di rito ortodosso dei soldati di stanza qui, anche se ora è di rito cattolico romano. E' in stile neobizantino e, durante il periodo socialista, è stata usata come galleria d'arte. Chiude il viale pedonale, circondata da musei, esposizioni e... L'ospedale! 






Sistemate le urgenze pratiche, torniamo a casa


e dopo cena preparo il piano di visita per domani. Kaunas ha tanto da offrire e scegliere è difficile. Ma viaggiare è anche questo, prendere una strada ed abbandonare tutte le altre. Come vivere, d'altronde, è sempre questione di scelta. Ogni minuto, ogni passo. E delle miliardi di vite possibili ce ne costruiamo una, ed una soltanto. Che non vada sprecata. Mi urge una citazione di Pavese:

Lontano, nella notte, oltre la morte

sopra una stella azzurra
tra esistenze meravigliose
ancora quest'anima convulsa
nelle sue insoffribili vergogne
esasperanti
senza scampo, per tutto l'universo
dove dovró passare
e il pensiero che infine, nella luce
suprema soffriró ancora il tormento
di non aver urlato
che tanto era inutile.
O forse questa vita
è la sola concessa
e allora mi esaspera, mi taglia il respiro,
il pensiero di non aver urlato,
per la mia anima vile,
confuso a tutti i poveri impotenti
che marciscono sulla terra.


27/7/20
giorno 24
sosta a Kaunas
15km a piedi

La notte è stata travagliata e funestata da una congiuntura di fastidi. Ahimè capitano pure quelli, tra una poesia e un cielo azzurro.
Primo: doccia e lavatrice perdevano acqua e il bagno, e poi l'anticamera, han rischiato di divenire palude e lago, in forma di nostalgica somiglianza alla Masuria.
Poi, mentre mi scervellavo davanti al pc e smadonnavo forte per aggiornare le graduatorie docenti, porcheria somma, altissimo dolore, schifezza indicibile, la lavatrice ha emesso un lamento sinistro ed è defunta. Con dentro le nostre mutande e calzini, UN guanto e gli scaldacollo.
Una Caporetto.
Perchè, nell'acqua alta a Venessia del bagno, abbiamo trafficato lungamente nel tentativo di recuperare, almeno, i vestiti. Ma nulla. Cestello incastrato, bloccato, sportello inapribile. Traffichiamo a lungo, prima delicatamente poi sempre meno, a mazzate, botte, pugni e manate. Nada. Niet. Mutande kaputt.
Ed è finita la cartaigienica e il lavandino del bagno ha iniziato a vomitare rifiuti organici lasciati lì da chissà quale troglodita.
Insomma, una disfatta.
Ho finito di aggiornare le graduatorie che erano le 3 e mezza di notte, e appena coricata la doccia è partita da sola, con grandioso casino; inutile dire che non c'è stato verso di fermare l'acqua e ho dovuto rimediare mettendo gli asciugamani ad assorbire lo sfacelo.
In tutto questo Gigi dormiva beato, da ore, russando pacifico.
Ho approfittato della tensione da Miur per scrivere un'email incazzatissima allo staff dell'appartamento, ma, il mattino seguente, non ho trovato risposta.
Chiamo e chiedo intervento urgente. Rivoglio le mie dannate mutande e i miei pedalini. E della carta igienica per dio! 
Mi dicono che a breve arriverà qualcuno.
Intanto ne approfittiamo per portare le bici dal meccanico che ieri abbiamo individuato proprio qui di fronte, dall'altro lato della strada. E' un negozio grande e rivende marchi noti, Fox, Specialized, Orbea... Pare affidabile. Abbiamo da poco superato i 2500km, dovremmo essere circa a metà percorso e i nostri potenti mezzi iniziano a soffrire. I freni di Gigi non rispondono a dovere e il mio filo di trasmissione del cambio si è tutto sfilacciato e rischia di rompersi da un momento all'altro.
Nel negozio il paron ci accoglie freddo e poi ci lascia parlare direttamente con il meccanico, un ragazzino biondo dagli occhi azzurri, come quasi tutti qui. Dice che per sera sono pronte. Ottimo.
Torniamo in casa e, sulla porta, troviamo i rinforzi: il ragazzone tuttofare mandato a redimere i nostri peccati. Entra nella palude della tristezza che è il nostro bagno e prende atto della situazione. Poi lo lasciamo un po' a divertirsi nello stesso gioco nostro di ieri sera: manate, mazzate, strattoni per aprire la lavatrice.
Nulla. Suda, gronda, diventa paonazzo; lo lasciamo fare, mentre io lavo le borracce in cucina e Gigi sta sul divano. Dopo vari tentativi decide di andare a prendere la cassetta degli attrezzi. Noi gli lasciamo campo libero: è ora di uscire, Kaunas ci aspetta e il sole è alto e caldo. Oggi supera i 25 gradi e si sta benissimo. Persino a Capo Nord ci sono quasi 20 gradi. Poi dicono che il riscaldamento globale non esiste.

Avevo pensato, come prima tappa del tour, al Forte IX.
Si tratta di uno dei forti cittadini rimasti, costruiti tra fine '800 e 1915 come difesa dall'Impero russo. Usati nella prima guerra mondiale dai soldati, furono poi tragicamente sfruttati dai nazisti dopo l'occupazione. Divennero luogo di detenzione, interrogazione e morte per 50.000 anime, 30.000 delle quali vittime dell'Olocausto.
Nel Forte IX ci sono un memoriale e un museo dedicati a questa pagina buia della storia locale.
Già li ho visitati, la prima volta che son venuta da queste parti. E vorrei condividerli con Gigi, ma non è possibile: il lunedì son chiusi. Come tutti i musei cittadini. E pazienza, dovrò basarmi sul ricordo e sul racconto.
Allora si va subito a piedi verso il centro, ma con una deviazione: l'ascesa alla collina sulla sommità della quale si erge l'urenda Basilica della resurrezione di Cristo. Un pataccone bianco e solido che fa veramente male agli occhi, spigoloso e zitto fuori, spoglio dentro.
Nel periodo interbellico Kaunas fu scelta come capitale della neonata Lituania e quindi serviva la chiesa.
I sovietici di Stalin, avendo capito bene questo capolavoro di architettura religiosa moderna, ne han fatto poi una fabbrica di radio, fino al 1988. La chiesa è stata poi riconsacrata nel 2004, con le sue torri alti 70 metri e le croci. Che sempre antenne radio per captare voci altre sono, poi.







Passeggiare per le vie laterali al vialone pedonale dà subito il senso del post sovietico, comunque. E tra i bei palazzi sede di università e gli edifici storici, fanno capolino i formicai di cemento dai mille occhi grigi. Che stonano proprio con la giornata luminosissima e calda di oggi, proprio esita in senso pieno. E con l'atmosfera rilassata da passeggiata in centro.


Torniamo sulla Laisves, il viale libertà, un tempo viale Stalin, ed entriamo nella Chiesa di San Michele Arcangelo di cui ho già detto ieri, che segna la fine della lunga strada di negozi e locali che porta fino al centro storico, dopo quasi 2km del tutto liberi dal traffico a motore.





Camminare pigramente sulla Laisves è un piacere sopraffino da veri intenditori dell'otium. Non ci sono cose particolari da vedere, se non le belle case e le numerose statue, ma nulla di urlato, nulla che attiri troppo lo sguardo e distragga l'attenzione da ciò che intorno accade. E così si vedono i dettagli: le anziane ben vestite con la loro moda di vestiti a fiori e cappellini che riposano sulle panchine. Gli hipster che sono uguali in tutto il mondo, cicloturisti appena arrivati e mamme che spingono il passeggino mentre osservano le vetrine. 


ma perchè da noi non vendono queste deliziose porcate?


BALTMAN, l'uomo pipistrello del Baltico

Kaunastic!


all'artista di strada 


Ci si muove tra sculture e fontane, bar e panetterie da cui esce un profumo delizioso, vetrine di marchi internazionali e gallerie d'arte, teatri, scuole, musei e negozietti. Il clima è tanto disteso e pacifico che vien voglia di sdraiarsi su una panchina e fare un pisolino. O diventare parte dell'arredamento urbano e lasciarsi scorrere addosso il tempo, il sole, il vento e tutto ciò che passa sopra questa terra chiara.


Arriviamo così pian pianino al nuovo municipio e al monumento di Vytautas il Grande, in italiano Vitoldo (ma che ovvove). Granduca di Lituania nella prima metà del '400, sovrano illuminato e ancora oggi considerato eroe nazionale. Qui tutto si chiama Vytautas: le vie, l'acqua minerale e le associazioni, lo yogurt e i fiammiferi.
Prima difese la sua terra dai Cavalieri teutonici, poi si alleò con loro per rimanere indipendente dalla Polonia, e ricevette il battesimo cattolico; tornò pagano, dunque si riconciliò con il cugino Jagellone e si ribattezzò ortodosso. Lottò e vinse più volte contro i russi, ottenne terre e tributi. Fece persino incoronare il suo prescelto come khan dell'orda d'oro. Un personaggione insomma.



il borgomastro



Più ci si avvicina alla città vecchia, più la Laisves si fa piccola e fiorita, con meno ampie facciate moderne e meno catene di negozi, più botteghe e più gerani ai lampioni.







Si giunge al parco che ripercorre, con foto e statue, la breve storia della prima repubblica di Lituania, dal 19 al 39. Kaunas ne era la capitale (Vilnius era polacca) e qui si trova il palazzo dei presidenti (tre) di quella prima radice di libertà e indipendenza del paese.











Un altro pezzettino pedonale piacevolissimo 













e si arriva alla città vecchia in senso stretto, che ci accoglie con l'imponente mole della Cattedrale dei Santi Pietro e Paolo. Gotico nordico severissimo fuori



barocco frizzantino all'interno, fu voluta da Vytauats e iniziata nel 1413, poi finanziata dai successivi granduchi di Lituania. E' uno dei più antichi edifici della città.






Tutt'intorno si trovano le sepolture di personaggi di rilievo: sacerdoti, poeti, musicisti che hanno modellato la cultura lituana.







Appena fuori si viene irrimediabilmente attratti verso l'antica piazza del mercato, cuore pulsante della città antica, oggi piazza del (vecchio) municipio, chiamato cigno bianco per la sua torre-collo. All'interno sitrova il museo della città. Dopo la concessione del Diritto di Magdeburgo, nel 1408, qui risiedeva il borgomastro e tutt'intorno le famiglie dei mercanti e dei banchieri, bottegai e affaristi di ogni natura, sempre più numerosi dopo l'ingresso della città nella Lega Anseatica.
Il palazzo del municipio è stato iniziato a metà del '500 e si è impregnato di stili di diverse epoche: Gotico, Barocco, Neoclassico.


Accanto, sempre affacciata sulla stessa piazza, la Chiesa di San Francesco Saverio, del 1666. Sede di gesuiti, con scuola e monastero, è stata consacrata solo nel 1759. Oggi si sono svolte all'interno delle cerimonie di proclamazione di laureande e laureandi, con tanto di lancio del berretto, fiori tacchi, pianti e abbracci.







Superato l'edificio del seminario


Si giunge finalmente al castello, o meglio, ciò che resta della struttura originaria. Costruito alla fine del XIII secolo come avamposto contro i cavalieri teutonici, è stato più volte distrutto e ricostruito. E' il più antico castello della Lituania e l'unico con due cerchie di mura. Prima la città aveva qui il suo centro, che poi si spostò alla piazza del mercato di cui abbiam detto sopra.
Dal XV secolo fu sede del carcere e si dice che le anime dannate dei detenuti ancora infestino questi luoghi e appaiano in forma di spettro.








  









Ci spingiamo nel parcodella confluenza, verso l'estremità ultima del lembo di terra circondato dai due fiumi, Nemunas e Neris, dove verde e azzurro in toni pastelli fanno sembrare il paesaggio un disegno di giorni sereni.



chiesa e monastero di San Bernardino, del 1492

  


l'uomo pigna, ovvero un esemplare di coloro che si avvalgono delle fermate del bus in mezzo al nulla, tra i boschi, che spesso vediamo pedalando





Dopo aver visitato l'interno della chiesa di San Francesco Saverio, ora libero dai laureandi, vediamo la Casa di Perkunas. Unica sede lituana dei mercanti della Lega Anseatica, questo gioiellino gotico risale al XV secolo.




Durante lavori di restauro fu trovata al suo interno una statua di Perkunas, il dio del tuono, e si dice che qui vivessero le vestali dedite al suo culto e al fuoco. Ma forse questa è una leggenda volta a sottolineare le radici culturali lituane di Kaunas. Ora all'interno si trova il museo di Mickevicius, poeta romantico polacco lituano che ha vissuto anche in questa città.






Torniamo verso la città vecchia, e, sulle sponde del fiume, ecco la chiesa di Vytautas il Grande, la più antica della città (1400); il nostro granduca, quasi annegato durante una battaglia (persa) contro i tartari in Ucraina, fece costruire questa chiesa in segno di ringraziamento alla Vergine.



come si chiama questo ponte? Vytautas Magnus ovviamente!







Torniamo di nuovo verso casa, ripercorrendo la bella Laisves e facendo un po' i turisti pirla. Che ogni tanto ci sta.





Gelatoyogusrtcaramelloso di merenda maiala


ultimi monumenti dedicati a chi, o cose, non sempre è chiaro



e torniamo in appartamento, dove troviamo il ragazzone di stamattina ancora intento a lavorare. E' riuscito ad aggiustare tutto e il sudore e il rossore dimostrano con quanta fatica. Comunque è riuscito a ripescare i nostri panni dalla lavatrice, ha aggiustato la doccia e asciugato tutto, stasato il lavandino e portato kili di carta igienica e nuovi asciugamani. Un amorino.
E altrettanto dolcino è il meccanico ciclista, che ci ha sistemato le bici e rimesso anche tutti i fermini di plastica saltati via tra pavè e sterrati


e ha sostituito il mio filo del cambio, rinforzato anche con una guaina di gomma. D'altronde siamo a 2500km abbondanti su circa 5000 che saranno in totale e un bel check up dei mezzi ci stava.


Cena a Risi e Bisi dello zio Ben e via che siamo pronti per ripartire. Tra due giorni e mezzo saremo a Riga, e poi altri tre per Tallinn. Traghetto, Helsinki e su su a nord per tutta la Finlandia.


I prossimi giorni, fino alla capitale lettone, saranno un po' poco da puristi della ciclabile. Dovremo percorrere ampi tratti di autostrada (qui si può -anzi, è normale: a Brescia di recente sono stati multati due cicloturisti lituani in bici in autostrada). Puntiamo a Siauliai e alla sua collina delle croci, poi attraverseremo il confine della seconda repubblica baltica. Nessun problema per il Covid, che qui proprio nemmeno è più nominato. E' il primo paese in cui neanche al supermercato siamo tenuti a indossare la mascherina.

Bene così.
Ora torneremo ai boschi e al profumo di resina. Torneremo alla terra e al vento e a mescolarci alla luce e alle ombre e divenire un tutt'uno con il fluire di tempo, di spazio, stagioni, storie, palpiti e popoli.

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