Qui siamo quasi al confine, in
uno degli ultimi lembi di terra del continente.
Qui soffiano venti da est e le
nuvole corrono tra due mondi.
Qui siamo sull’orlo dell’altro,
del nuovo, distante, diverso, lontano. Sull’orlo dell’Asia.
Qui siamo al crocevia dove gli
stranieri si incontrano e si riconoscono.
E a Kazan’ questa atmosfera di
estraneità e mescolanza si tocca con mano e si respira concreta e densa nei
profumi e si legge sui volti. Strade, linee sul palmo della mano, rotte di
antichi commercianti e ombre lunghe di guerra, rapide come frecce. La mezzaluna
della moschea e della scimitarra svetta accanto all’aquila dello zar e alla
stella rossa della rivoluzione. Tutto è altro, tutto convive e cementa e
trasforma.
Kazan è una città grandiosa.
Non si sa bene quando sia stata
fondata, né da chi. Le radici affondano nel mistero profondo delle acque del
fiume. Potrebbero esser stati i bulgari del Volga, nel primo Medioevo, o i
Tatari dell’Orda d’oro a metà del XV secolo. Di certo era un luogo strategico
per arricchirsi nei commerci e controllare i traffici dalla Scandinavia
all’Iran, da Oriente a Occidente. Era però anche zona di continui assalti da
parte dei nomadi delle steppe, che per tutto il ‘200 devastarono la regione,
tra sangue e fiamme. Dopo alcuni decenni di ducato bulgaro alle dipendenze
degli invasori, alcuni tatari dell’Orda presero qui il potere e, nel 1438,
nacque il potente khanato di Kazan. I commerci erano ricchissimi, sul fiume scorrevano
merci di ogni genere e il fiume aveva riflessi d’oro. La schiavitù era legale
e, anzi, quasi tutta la manodopera giungeva proprio dagli schiavi, catturati
dai tartari in raid contro le popolazioni russe e poi costretti alla
conversione forzata all’Islam, pena la morte o l’esser venduti a sultani di
terre lontane, così lontane da casa da impazzire all’istante.
Naturalmente più volte fu
tentata, da parte russa, un’offensiva, per impadronirsi della ricchissima città
e porre fine al suo strapotere. Ogni assalto fu vano. Solo Ivan il Teribile
riuscì, con un assedio di oltre 40 giorni e 4 anni di guerriglia, a porre fine
all’epoca delle guerre russo-tatare, ponendo come base dei suoi attacchi
proprio la cittadella di Svyazhsk che ho visto ieri. Correva l’anno 1552.
Dopo
la presa della città furono liberati 8000 schiavi russi, ma vennero massacrati
quasi tutti gli abitanti. I supersititi furono costretti a convertirsi al
cristianesimo. Molti vennero deportati. Moschee e palazzi furono distrutti
prima consapevolmente dall’esercito dei vincitori, poi da una serie di incendi
che si mangiarono quasi tutta la città. Dopo le devastanti fiamme del 1579 fu
ritrovata intatta tra le ceneri l’icona, oggi veneratissima, di Nostra Signora
di Kazan.
All’inizio del ‘600, nei torbidi
delle guerre tra Russia e Polonia-Lituania, Kazan tentò di costituirsi
territorio indipendente, con il sostegno della popolazione, ma la rivolta fu
repressa da Minin (quello della statua di Nizhny Novgorod) nel 1612.
Un secolo più tardi il khanato fu
abolito e lo zar Pietro il Grande russificò del tutto il territorio, portando
qui i cantieri di costruzione delle navi della flotta del Caspio.
Nel 1774 la città venne di nuovo
distrutta durante la repressione della rivolta delle truppe di confine e dei
contadini, guidata dal capitano cosacco Pugachev. Sotto il governo di Caterina
II, però, Kazan fu ricostruita e fiorì di nuovo: fu abolito il divieto di
costruire moschee, si stamparono, a inizio ‘800, i primi Corani e la città
divenne un centr di studi di cultura islamica e in particolare tartara, con
giornali, pubblicazioni, opere teatrali e letterarie. Nel 1918 Kazan fu
capitale dello stato autonomo dalla brevissima vita dell’Idel-Ural, presto
sottomesso dai bolscevichi e annesso all’Urss. Moschee e chiese vennero ridotte
in macerie e cenere per l’ennesima volta.
Durante la Seconda Guerra mondiale
qui furono prodotti carri, aerei, munizioni e materiale per il fronte, a
sostegno del titanico sforzo bellico sostenuto dalla Russia. Dopo la guerra
restarono le industrie e le eccellenze nel campo dell’ingegneria e della
fisica. Negli anni ’80, però, superato il milione di abitanti, si diffuse il
panico a livello collettivo con il cosiddetto “Fenomeno Kazan”: si credeva che
la delinquenza giovanile e le gang di strade fossero aumentate fino a diventare
una seria minaccia per la popolazione, complice la mafia russa che proteggeva
il microcrimine e i loschi traffici dei delinquenti.
Nell’ultimo decennio Kazan è
stata trasformata in un gioiello artistico e culturale, grazie alla
manutenzione e al rifacimento degli edifici storici, agli ambiziosi progetti architettonici
e alla presenza di università e centri studi sulla cultura tartara.
Oggi mi sono riposata e nutrita di bellezza e chak-chak, che è questo dolce tartaro buonissimo da mangiare con il thè (ma pure a secco, che discorsi). Pasta fina, fritta, al miele, con aggiunta di frutta secca alla bisogna. Inutile dire che è peggio di una droga: "smetto quando voglio" e invece è sempre solo l'inizio. Qui, per altro, ci sono tutti i dolci tipici turchi, loukum compresi. Impossibile resistere.
I prossimi tre giorni avrò tappe lunghe di trasferimento. Muovo decisa verso Ufa, la Baschiria e i tanto attesi Urali, vero confine tra Europa e Asia. Vedremo cosa sta al di là di questa linea, quanto davvero cambino le cose, quanto sia invece il solito puntiglio umano di tracciare righe e dividere, separare, scindere, nell'idea di poter capire e governare meglio, col pensiero e con la mano, le cose piccole. Quando invece la verità sta nel riunire il tutto in un unico organismo inscindibile, perchè così è il mondo, così sono lo spazio e il tempo. Veri nell'unità indivisibile. Falsi nell'illusione di comprenderne piccole parti separate, al di qua e al di là dei margini, limiti della nostra mente.
Una città che è stata rasa al suolo e ricostruita così rante volte, reinventata e sempre la stessa, sembra il posto giusto da dove partire per arrivare al confine, alla linea tra europa e asia. Una abbuffata di bellezza e chak-chak è una buona base per arrivare a quel confine :)
RispondiEliminaCondivido il commento di Silent Bob. Sila
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