8 febbraio 1238.
La città è in fiamme. Solo nel
primo giorno dopo la conquista della città sono bruciate 32 chiese e decine e
decine di case. Dei morti si è perso il conto. La famiglia del gran principe di
Vadimir-Suzdal, Yuri II, è arsa viva in un monastero in cui aveva cercato
rifugio, mentre lui è fuggito, ma morirà entro un mese nella battaglia del
fiume Sit. Tutto brucia, le fiamme si mangiano la capitale. L’orda d’oro dei
mongoli e tartari guidati da Batu Khan ha travolto anche Vladimir. I bagliori dell’incendio,
il fumo e il sangue disegnano ombre di orrore su quella che è stata la più
bella città della Russia fino al giorno prima.
Per tanti anni Vladimir era stata
un perla, lo splendore del principato, fulgida nel bianco delle pietre
intagliate di chiese e palazzi e nell’oro delle cupole. Un gioiello, opera
della mano sapiente di maestri russi, tedeschi e georgiani. Una goccia di
meraviglia in mezzo al verde cupo dei boschi, una scheggia di luce tra cielo e
fango.
In pochi giorni tutto viene
distrutto. Sulle macerie e sui cadaveri si deposita uno strato di cenere e
quella cupa polvere resterà nei secoli a venire, perché Vladimir non riuscirà
mai del tutto a risorgere e tornare alla bellezza prima.
Tutto viene distrutto… Ma no,
qualcosa si salva. Si salvano la maestosa Cattedrale della Dormizione, costruita
a metà dell’XI secolo, affrescata nel ‘400 dal pittore e santo Rublev e usata
dall’architetto Aristotele Fioravanti per l’omonima chiesa costruita alla fine
del ‘400 nel Cremlino di Mosca
la Cattedrale di San Demetrio,
costruita negli ultimi anni dell’XI secolo grazie a maestranze bizantine
inviate dal Barbarossa e georgiane, mandate dalla loro regina
e la Porta d’oro, accesso alla
città fin dal 1160.
E per fortuna non tutto è andato
distrutto con le invasioni dell’Orda d’oro, perché sono meraviglie che non si
possono perdere, passando da Vladimir, tappa di oggi.
Ma riavvolgiamo il filo del
discorso e partiamo dall’inizio.
Stamattina, insperabilmente, il
tempo si è presentato più che buono, con un sole in cui non potevo credere dopo
i temporali della notte.
Colazione e via, a riprendere la
M7. Oltretutto per la prima ora di pedalata ho avuto il vento a favore; questo,
la luce di miele, il cielo vastissimo e gli sconfinati orizzonti di prati e
boschi mi hanno commossa. Che bella la strada, quando è dolce e mansueta e
porta lontano.
Nei primi kilometri ho incontrato
una sorta di paesino (una decina di abitazioni fatiscenti in legno) in cui ogni
casa, affacciata sull’autostrada, vende peluches giganti, bandiere e statue da
giardino. Ogni singola casa, tutte così.
(un dei molti cartonati di vigili. Da lntan gni vlta sembran veri, cn tanto di lampeggianti funzionanti.
Che burloni, che infarti)
Ho pedalato a lungo in zone poco
abitate, tra qualche saliscendi e muri d’alberi ai lati; nella sosta per calare
qualche zucchero in pancia, mi sono accorta che la luce stava cambiando rapidamente
e intorno si stavano addensando nuvoloni sempre più neri. In effetti per oggi
erano previsti temporali tutto il giorno.
Non pensavo di aver l’onore di
beccarmi sulla capoccia il nubifragio più forte di Mosca degli ultimi 50 anni;
ho saputo poi che molti voli sono stati ritardati o cancellati. Vedete? In bici
si prosegue comunque. In un attimo tutto è diventato buio e freddo, poi tuoni
così forti da farmi sobbalzare: crolli di nubi, scontri tra divinità pagane,
fulmini lunghissimi come nei film. E acqua. Tantissima acqua. Non mi sono
nemmeno preoccupata di fermarmi da qualche parte a cercare riparo. In cinque
minuti ero già così fradicia che più di così, anche a volerlo, non mi sarei
pouta bagnare. Ha ragione l’amico ciclo viaggiatore Silla Gambardella, quando
dice che prender pioggia dà fastidio nel momento in cui si passa da una
condizione (l’esser asciutti) all’altra (l’esser gamberetti di fiume dai lunghi
baffi). Quello che ci dà fastidio è il mutare stato. Poi, dopo un po’, l’esser
fradici diventa la condizione normale, ci si abitua e nemmeno ci si fa più
caso, tanto più che non faceva troppo freddo. Diciamo che ho testato
l’impermeabilità, ottima, delle borse. L’unico problema sono stati i momenti in
cui pioveva così fitto e forte da impedire di vedere la strada. Siccome io
viaggio sempre nella mia corsia di emergenza,ma questa è spesso sterrata o
accidentata, con buche e gradini d’asfalto, non vedere come sia è male. Eppure
ci si deve fare una ragione anche di quello: le strade imbarcano acqua e diventano
laghi, così piove pure dai lati quando passano auto e camion che sollevano onde
da parco acquatico, ma luride di fango, e ci si tira addosso o si affonda, con
la bici, quella broda tiepida che riempie la strada. Ma, come già pensavo
l’anno scorso, in poco esser fradici in una natura completamente bagnata,
diventare fango e terra, diventare acqua e nuvola, riporta alla connessione col
tutto che sta a metà tra il buddhismo e lo stoicismo, tra il nirvana e il
klinamen. Quindi, d’ora in poi, la cervicale da umidità la chiameremo
inclinazione del klinamen.
Qualche punto è stato duro sia
per le condizioni dell’asfalto, sia per le salitine ripide e bastarde, da
risalire come un salmone controcorrente, sia per i lavori in corso che
restingevano a una sola corsia l’autostrada e si sono mangiati anche la mia
striscina salvifica. Tra un moccolo e una sosta sotto alle fermate dell’autobus
in mezzo al nulla, comunque, mi sono avvicinata alla meta, per poi raggiungerla
con un ultimo colpo di coda di gamberello (in cui mi trasformo quando piove).
Un uomo, fermo a trafficare nel motore dell’auto in panne, vedendomi, mi ha
detto qualcosa di bello e poi, come segno di stima, mi ha salutata con il pugno
chiuso. Ah, le ultime schegge di Novecento, altro che questa roba qui.
Arrivata in città (conta 350.000
abitanti), mi sono fermata a visitare i vari monumenti, con tanto di autista di
pullman che mi ferma e mi dice che sono una good girl e mi fa una foto davanti
alla Cattedrale della dormizione. I russi tendenzialmente non amano i ciclisti
(ne ho visti 2 da quando sono qui) ma apprezzano molto le imprese, gli sforzi
epici e questo genere di balle qui. Quindi bene così.
Ancora qualche salitina e
sono arrivata all’ostello, finalmente normale, con l’indirizzo giusto,
un’insegna grande e visibile, il campanello alla porta, la reception e tutto il
resto come si deve (e non come è di solito in Russia). Anche la camera è
decorosissima, e il cucinino adatto a preparare i miei intrugli liofilizzati
(che ho abbondantemente testato l’anno scorso).
Nell’arrivare alla porta
d’ingresso ho dovuto attraversare un’aiuola di puro fango molle, sicchè quando
sono entrata con la bici ho lordato tutto il pavimento tutto bellino e pulitino
rosa pallido. Pareva la battaglia della Beresina . Per di più ero completamente
inzaccherata, e quindi l’idea geniale: entrate in doccia subito vestita, e solo
poi, tolto il fango, lavarmi ignuda. Oh, sembra una pirlata ma ha funzionato.
(i calzini erano bianchi stamattina)
Dopodichè ho fatto un altro giro in centro, perché, dopo tutta l’acqua
rovesciatami in testa oggi, è uscito il sole (domattina danno di nuovo pioggia,
ovviamente).
(pesciolini secchi sfusi)
E mi si è parata davanti, oltre
alle molte cose belle, la vastità spalancata. Io sto andando proprio da quella
parte, ma oltre, molto oltre l’orizzonte.
"a forza di essere vento
porto il nome di tutti i battesimi
ogni nome il sigillo di un lasciapassare
per un guado una terra una nuvola un canto
un diamante nascosto nel pane
per un solo dolcissimo umore del sangue
per la stessa ragione del viaggio viaggiare."
porto il nome di tutti i battesimi
ogni nome il sigillo di un lasciapassare
per un guado una terra una nuvola un canto
un diamante nascosto nel pane
per un solo dolcissimo umore del sangue
per la stessa ragione del viaggio viaggiare."
(De Andrè)
Queste immagini veramente "meravigliose" fanno trattenere il respiro per lo stupore:una bellezza, una maestosità, una luminosità,...che non immaginavo. E in tutto questo lo scintillio del tuo sorriso e la gioia che traspare dal tuo viso. Sila
RispondiEliminaSplendido racconto! Incredibile impresa! Mitica Volpe!!!
RispondiEliminaAuguri per questa nuova impresa
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