lunedì 2 agosto 2021

20-21. Qualiano (NA)-Terracina-Roma. Un tentativo di estorsione e poi... La grande bellezza





24/7/21
Qualiano-Terracina
124km

La giornata inizia presto e bene, con colazione in camera (il Covid ha portato a questo interessante risvolto, per molte strutture). Caffè, altro caffè ma più forte, e via, si riparte puntando a nord. 

Pedaliamo prima in una Qualiano ancora addormentata e silenziosa, poi nelle terre umide dell'agro aversano. Qui per fortuna il traffico è quasi del tutto assente e ci godiamo la strada e i suoi colori da quadro di macchiaioli.


A questo punto devo raccontarvi un episodio increscioso, che la dice lunga su molte cose che non vanno nel nostro paese. Mentre si pedalava in queste tranquillissime strade di campagna


ci supera a tutta velocità una Punto nera scassatissima, piena di graffi e bozze sulla carrozzeria. A cento metri avanti a noi inchioda a bordo a strada. Un figuro resta in auto, sul sedile passeggeri, un altro invece scende e ci intima l'alt. Indossa una divisa nera e rossa DA CAMERIERE o al massimo concierge, tutta lisa e sbiadita, una mascherina nera con la bandiera italiana e un paio di occhiali scuri a goccia. Un misto curioso tra carabiniere, sceriffo e portiere d'albergo. Ci mostra al volo un cartellino che probabilmente è la tessera dell'Esselunga. Ci fermiamo per evitare reazioni scomposte, ma è evidente che quest'uomo, che si sta presentando come agente della Guardia di finanza, è un imbroglione da quattro soldi. Prima ci chiede i documenti. Gigi ha la prontezza di chiedere piuttosto i suoi: "Scusi ma lei chi è? Si identifichi". Il finto agente farfuglia, fa comparire e scomparire in una frazione di secondo il tesserino e ci chiede di nuovo i documenti. Intanto io recupero il telefono e già questo lo mette in agitazione. "Di dove siete?" ci chiede. Gigi ribatte: "Di Napoli". "Ah siete italiani..." e a voce alta, rivolgendosi al suo compagno di merende in auto: "Sono italiani...". Come a dire, mannaggia non sono due tedeschi o olandesi o francesi o inglesi polli da spennare facilmente!
Poi, senza ormai alcuna convinzione, ci chiede in un italiano stentato se per caso abbiamo acquistato bibite o patatine (sic) dai furgoni sulla strada senza scontrino. Il che mi fa pensare sia pratica comune, al punto da poter cogliere uno straniero inerme in castagna. "NO" si risponde all'unisono. "Niente a nero". "Allora potete andare, ciao" conclude il merdone, risalendo in fretta e furia in auto e sgommando via a tutta velocità.   


Diciamo che, passata l'adrenalina del momento (questa brava gente potrebbe anche essere armata, in fondo) ci rimane uno stupore attonito che quasi ci impedisce di verbalizzare l'accaduto. Mi è capitato, in giro per il mondo, di intuire situazioni truffaldine. A Marrakech come a New York mi è capitato di percepire che avevo  di fronte malintenzionati che stavano cercando di imbrogliarmi. Ma tutto era basato su un gioco di furbizia, sul dire e non dire, sul cercare di vendere qualcosa pensandomi turista sprovveduta. Ma mai mi è successo di incappare in finti agenti delle forze dell'ordine, a fronte dei quali, se non sei del posto e non parli bene la lingua, non puoi che sentirti in difetto e costretto a obbedire. Immaginatevi se in Iran quelli che ci hanno fermati presentandosi come pasdaran o basiji (la polizia religiosa) fossero stati impostori. Vi assicuro che nel momento dei controlli si è uno stato di soggezione tale che, se avessero voluto denaro (una "multa" per qualche misteriosa infrazione) non avrei esitato a pagare, pur di evitare complicazioni. Solo che in Iran queste cose non sono accadute. E nemmeno in Russia, negli -stan dell'Asia centrale. Non negli States, non in Mongolia, non in altri paesi d'Europa. Qui, però, sì. Tirate voi le conclusioni del caso. Le mie portano a pedalare molto, molto lontano.

Onde evitare ulteriori spiacevoli incontri campagnoli, torniamo sulla provinciale. Passiamo Villa Literno e una serie infinita di caseifici che propongono prelibatezze di ogni sorta, in primis la mozzarella di bufala. Poi superiamo il Volturno. Rapax, o celer per gli antichi, a causa delle sue correnti, vagabondo e sdegnoso, costretto in argini da Domiziano e teatro di battaglia tra garibaldini ed esercito borbonico, ma anche tra Alleati e nazisti. Si supera il paese dal curioso nome di Cancello ed Arnone e si imbocca la strada per Mondragone, che ci riporta sulla costa.

Qui è tutto un susseguirsi di paesini abbandonati, edifici ormai decrepiti e cascine divorate dalla fuga temporis. Sembra che questo lembo di terra sia stato investito da qualche apocalisse in miniatura.



 
Ma poi, in un attimo, la desolazione della Baia Domizia si interrompe. Passiamo il fiume Garigliano e siamo in Lazio. E il Lazio ci accoglie subito con il suo vestito migliore.



Proseguiamo sull'Appia in Minturno, centro ausonio della Pentapoli Aurunca; qui era diffuso il culto della ninfa Marica, dea dell'acqua che brilla sotto la luce del sole, ma che anche distrugge, infuria e inaridisce. Qui nell'88 trovò rifugio Caio Mario, incalzato da Silla, e qui riuscì a sfuggire alla morte in forma di schiavo cimbro che aveva ricevuto l'ordine di uccidere da parte dei magistrati locali. Poi vennero i Longobardi, il papa, i Saraceni, gli Ungari, nobilastri vari, i normanni e gli aragonesi; ai francesi poi non piacque l'adesione ai moti guidati da Fra' Diavolo.


Superiamo l'acquedotto ad archi, tagliato dalla strada stessa



e, passato l'enorme centro commerciale Itaca (perchè ci si deve tornare?!), giungiamo a Formia. Si tratta di una delle località turistiche più amate dagli antichi romani, al punto che qui si fecero costruire ville di campagna persone del calibro di Mamurra, Mecenate, Marziale e Cicerone, il quale trovò qui la morte nel 43 per mano dei sicari di Antonio, mentre cercava di fuggire. Depredata dai barbari e distrutta dalla guerra greco-gotica, è diventata sobborgo di Gaeta e ne ha seguito le vicende, compresa la tragedia di trovarsi, nel '44, proprio all'altezza della Linea Gustav.


Non distante di staglia il profilo azzurro di Gaeta. Questa città, per posizione geografica, ha una storia affascinante oltre ogni dire. Ma la prima cosa che mi torna in mente, non so per quale curioso giro di note e sinapsi, è la canzone di Vecchioni "Dentro gli occhi", quando cita i pirati e i piemontesi che non verranno ad assalire Gaeta con le loro Land rover, con le loro Toyota.
Mi è stata dedicata, questa canzone, almeno un milione di anni fa, in un'altra vita. E questo tuffo da palombaro negli abissi di ciò che è stato, per un istante, mi fa immaginare universi paralleli che convergono qui, su questa zolla di terra salata, ma in compagnia di altri occhi e di un'altra voce.

Lei ci avrà già lasciato
In fondo a qualche data
Probabilmente a maggio
Ma lei per te sarà meno di un'ombra
L'ombra di un altro viaggio
Perchè i ricordi cambiano
Come cambia la pelle
E tu ne avrai di nuovi e luminosi
Come le stelle


A Formia ci fermiamo un poco a riposare. E' molto presto e abbiamo già pedalato per oltre 70km, quindi ci meritiamo un breve giro in centro e una pausa all'ombra, dove il mare si fa caleidoscopio di luce e azzurro fra i rami. Montale sa di cosa parlo. Le cicale con il loro canto d'amore ci stordiscono e il tempo rallenta fino quasi a fermarsi.







Si riparte molli e gonfi di flemma estiva. Ci lasciamo alle spalle la torre di avvistamento e un mare cristallino


per addentrarci in una delle parti forse più belle in assoluto di questo viaggio italiano. Vedrete le foto e penserete: ma qui non c'è nulla di assolutamente spettacolare. Di unico, di strabiliante. Vero. La bellezza di cui parlo non è spalancata, urlata, sbattuta in faccia con violenza. La bellezza di cui parlo è sottile e silenziosa. Va ascoltata. Va raccolta nella piega della luce e nel balzo della roccia al mare, nel fiore dell'agave che cresce su un marmo di duemila anni fa.



Lasciamo alle spalle Gaeta, muovendo verso Sperlonga. Tra dolcissimi declivi coperti di ulivi e orti si staglia qua e là un acquedotto, una villa (poco oltre, quella di Tiberio), un sacello. Il silenzio è totale, e si respira il balsamo di una calma antica, di un luogo sicuro che è stato chiamato casa per migliaia di anni.



Mi dà quella stessa impressione che vivo ogni volta che torno a Bordighera, nel Ponente Ligure. Lì la mia famiglia ha una casa e lì ho trascorso per quasi vent'anni tutte le vacanze, Natale Pasqua e tre mesi estivi. E poi son tornata, da adulta, ad esplorare in bici in dintorni. E' un luogo che mi appartiene, che conosco e sento mio, pur non essendosi mai velato della patina di noia e abitudine di cui si riveste il luogo in cui si vive. 



Anche qui, ora, sento la stessa gioia pacata di riscoprire una bellezza già nota ma sempre nuova. Mi sembra ci conoscere queste contrade e le case assopite nell'azzurro steso, mi sembra di riconoscere questa e quella curva della strada, come se sapessi cosa c'è dietro; come se, dopo una mattinata al mare, e dopo un pigro pomeriggio su un balcone immerso nel verde e in minuscole fettine roventi di sole, avessi ora deciso di fare un giretto in bici, un paio d'ore, e poi tornare per cena in una di queste porte seminasconte tra oleandri e ulivi.



Ma io da questa parti non sono mai stata. Dove ho già visto, dove ho già vissuto questi monti e questo mare? Probabilmente è un immaginario letterario il mio. Sono già stata qui nel sogno di tanti poeti latini che ricordavano le ore felici nelle ville di campagna, lontani dal traffico caotico e berciante di Roma. Forse è proprio questo che spiega Orazio

ille terrarum mihi praeter omnes
angulus ridet.

(quell'angolo di terra più degli altri mi sorride)

e che in tanta letteratura e in tanta poesia si ritrova. La pace di una casa in collina, immersa tra rami profumati e sacri, con il mare in cui le ninfe ridono nella luce che si sbriciola e ricompone




Dopo questo déjà vu letterario passiamo alcune gallerie ed usciamo nell'abbagliante bellezza di Sperlonga. E poi è un attimo, i laghi Lungo e di San Puoto, i canali del Lago di Fondi


e Terracina, meta di oggi.




Questa terra di Lestrigoni o casa di Circe, come vuole la leggenda, è una perla di storia e natura che conclude degnamente una giornata come quella di oggi. Purtroppo, però, essendo questa zona fortemente turistica, è anche sfruttata e tante sanguisughe ne bevono la linfa. Trovare un campeggio che accetti tende è un'impresa complessa, soprattutto quando i proprietari delle strutture, spesso ignoranti e beceri, hanno pregiudizi nei confronti dei cicloturisti. In diversi casi sui siti è chiaramente indicato che le tende sono ammesse, ma poi in loco ci sentiamo dire di no. "Sporchiamo il quadretto idilliaco". L'unico campeggio che ci accoglie ci chiede la ridicola cifra di 40 euro (quaranta) per una piazzola di sabbia incastrata tra camperoni e mobilhome. I servizi sono vecchi e cadenti, mancano quegli extra che giustificherebbero il prezzo (come il wifi) e, cosa più grave di tutte, i campeggiatori sono delle vere e proprie bestie. Litigo con quasi tutti, e vi assicuro che sono un animale mansueto ed estremamente pacifico e detesto questionare, soprattutto in viaggio. Ma qui siamo circondati da animali che fin da subito dicono chiaramente di NON VOLERCI tra loro e ci "fanno bruto" nell'idea di farci andare via. E poi la notte, finiti i balli di gruppo e l'animazione (che comunque durano fin quasi all'una) una poveretta, donna nemmeno giovanissima, probabilmente brilla, prosegue con una clac di circa 30 persone a cantare sguaiatamente e mettere musica e fare versi, con amplificatori, microfoni e tutto l'armamentario. Alle 3 sia io sia Gigi facciamo l'ennesima telefonata alla sicurezza. Prima che intervengano, conniventi come sono, passa altro tempo. Poi, all'ennesimo richiamo, arriva qualcuno del campeggio a chiedere un po' di silenzio e ci troviamo investiti dal rancore di questi ignoranti buzzurri, perchè si sa che siamo stati noi a lamentarci. Il poco che resta della notte passa a sorvegliare le bici, perchè da gente del genere ci si può aspettare di tutto. A questo punto degli italiani ne ho davvero abbastanza e sono contenta che la seconda metà dell'estate sarà in luoghi magari più estremi ma sicuramente più isolati, al riparo da burini e truffatori.

25/7/21
Terracina-Roma
112km

Via, via veloci da questo luogo di perdizione, da questa gentaglia. Mi colpisce vedere, al mattino, la signora che la notte prima si è tanto resa ridicola, brilla, a cantare e fare versi e aizzare le notturne folle di perditempo. E' una donna sopra i 40, dagli occhi spenti, che insegue il figlio settenne in fuga perchè si vergogna di lei (per una complessa e infima storia avvenuta nei bagni poco prima, alla quale io ho, mio malgrado, assistito). Mi rendo conto di quanto la gente, anche quella più sicura di sè, quella che deve sempre essere l'anima della festa a tutti costi, giovane e pazza sempre, è la più devastata. Vive vite di merda, frustranti, con sempre qualcosa che sfugge e viene colmato con il rumore e con la volgarità.

Penso a Pavese mentre facciamo colazione:

Lontano, nella notte, oltre la morte
sopra una stella azzurra
tra esistenze meravigliose
ancora quest'anima convulsa
nelle sue insoffribili vergogne
esasperanti
senza scampo, per tutto l'universo
dove dovró passare
e il pensiero che infine, nella luce
suprema soffriró ancora il tormento
di non aver urlato
che tanto era inutile.
O forse questa vita
è la sola concessa
e allora mi esaspera, mi taglia il respiro,
il pensiero di non aver urlato,
per la mia anima vile,
confuso a tutti i poveri impotenti
che marciscono sulla terra.

E senza salutare ce ne andiamo. Oggi è l'ultimo giorno di questo primo viaggio. Roma ci aspetta.



Ci lasciamo il Circeo alle spalle con la precisa intenzione di percorrere la strada più breve nel tempo più breve. Tanto è una domenica uggiosa e di traffico ce n'è poco. La scelta ricade sull'Appia, la SS7, che corre diritta come una freccia scoccata nell'agro pontino, dove c'erano paludi e LVI ha bonificato e fatto anche cose buone. I nomi delle città sanno proprio di DVX. Sabaudia, Latina (fu Littoria), Cisterna, Aprilia. Sono tra le città più giovani d'Italia, tutte nate dopo le bonifiche, pieni anni Trenta.



La strada è tranquilla e il cielo velato ci ripara dal caldo. Ma soprattutto cominciamo a godere dei lunghissimi tratti alberati. Questi pini, il loro profumo e le loro cicale dicono una cosa sola: la città eterna è vicina.


A Cisterna facciamo una pausa e abbiamo modo di chiacchierare a lungo con un po' di locals da bar. Qui per fortuna il buriname da campeggio è un vago ricordo e la gente è arguta e affabile a un tempo, di base buona d'animo.

A questo punto decidiamo di imboccare la strada dei Castelli romani. Certo sale e noi siamo un po' cotti, ma ci dicono tutti -e non ultima la fama del luogo- che valga la pena affrontare quest'ultima fatica.
E così iniziamo lentamente ad affrontare i comunque dolcissimi colli. Velletri, Genzano, Ariccia, Albano laziale









si inanellano in una pedalata panoramica che non permette mai di annoiarsi, mentre sotto, a volte, si spalanca la vasta pianura con ciò che resta dei grandi boschi sacri ad Artemide cacciatrice.





Facciamo diverse soste perchè è molto presto e il nostro pullman, da Tiburtina a Lampugnano, partirà alle 22.45. Ci godiamo l'atmosfera placida e silenziosa delle piazze, le chiacchiere delle anziane sulle panchine e il quieto fluire delle nubi in cielo. Le panchine e i muretti diventano casa per un fuggevole attimo. Ogni luogo mi appartiene e ad ogni luogo appartengo, mentre sul palmo della mano posso leggere l'intrico di tutte le strade.

Quando decidiamo di rimetterci in sella per l'ultimo tratto fino al Colosseo (punto di arrivo simbolico) si crea una congiuntura positiva di eventi che ci fanno letteralmente volare fino al centro: discesa, vento fortissimo a favore e freni quasi inutilizzabili. E gli stradoni fuori Roma vuoti, deserti come non li ho mai visti, persino all'altezza di Ciampino. Pare di essere in motorino e così a gamba tesa entriamo nella capitale. Roma città aperta.


Proseguiamo sull'Appia antica e passiamo dal mausoleo di Cecilia Metella e dalle catacombe di San Sebastiano e San Callisto. Le mura aureliane. Le terme di Caracalla da un lato e il museo Alberto Sordi dall'altro.



Il Circo massimo passa quasi inosservato perchè ormai, di fronte a noi, compaiono l'Arco di Costantino e lui, il simbolo per eccellenza della città, il Colosseo. Con lo stesso stupore di sempre, di millenni, di milioni di persone e centinaia di artisti e uomini che han retto le sorti del mondo, contempliamo questa grandiosa riprova di "non omnis moriar".




Essendo ancora presto, ci godiamo l'attesa pedalando e camminando per Roma. Che è bella, sempre, e riempie lo sguardo che, ovunque si posi, trova meraviglia. Ci attardiamo a contemplare, in silenzio, la pietra e il marmo. Troviamo rifugio in angoli che il turista non vede, perchè va di fretta: un parco tra i palazzi, la panchina accanto a un sagrato deserto. E poi Roma stasera è tutta per noi. Le strade sono vuote, pochi i turisti e vastissimi gli spazi. Purtroppo cala la sera e viene il momento di raggiugere la stazione dei bus, a Tiburtina. Qui, tra umanità varia ma nemmeno troppo, ci attende il mezzo Flixbus che ci porterà di nuovo a casa, solcando il lungo fiume della notte.
Riusciamo a caricare le bici sulla rastrelliera posteriore, i bagagli in stiva e i nostri secchi culetti ai sedili designati. Si dormicchia.
Al mattino Gigi mi sveglia: siamo quasi arrivati e diluvia. Ma il tempo di arrivare alla stazione di Lampugnano, capolinea della corsa, e il cielo un poco si apre. Riusciamo a percorrere gli ultimi 15km fino a casa senza nemmeno una goccia.

2500km
3 settimane
3 mari
10 regioni
infinita bellezza
una nazione
E chiudo il cerchio, 9 anni dopo quel primo viaggio da Milano a Roma che mi ha trasformata nella Volpe a pedali quale sono.

Ora è tempo di prepararsi all'Islanda: tra una settimana si parte!

3 commenti:

  1. Ottimo. Ahahahaha,viene ancora da ridere....io in quelle zone campane e laziali ci sono passato da poveraccio . Quella del caffè pagato in nero al baracchino è pazzesca. A me i soldi li dovevano dare, non ne avevo per cui sono passato incolume e sorridente, alla faccia loro. Se adesso andrei a Napoli, io con 2 cellulari in tasca verrei derubato 500 metri dopo essere stato adocchiato. Complimenti ragazzi.

    RispondiElimina
  2. ....e poi non conosci il CANTANTE FEDERICO SALVATORE...CHE CANTA DA TERRACINA CO U FURGON. CONOSCI IL MONDO INTERO ,MA NON CONOSCI TUTTI GLI ITALIANI, LA SICILIA TE LA SEI RISPARMIATA CON UN AMMASSO DI GENTE CHE MANGIA ARANCINE. LA SARDEGNA È PICCOLA PER TE....MA FORSE I SARDI SONO I MIGLIORI...INFATTI NON SI DEFINISCONO ITALIANI.

    RispondiElimina
  3. Scegliendo come mia meta la Sardegna, è come andare all estero. Caos in Sardegna c è solo nella zona ricca di Briatore. I sardi sono educati.

    RispondiElimina