domenica 8 agosto 2021

5. Selfoss-Vìk. L'onda nera di lava, i ghiacci perenni e le cascate di Skògafoss, controvento sempre

7/8/21
Selfoss-Vìk
137km




Ieri nella fretta di rifare una traccia che non finisse mangiata dai fiumi glaciali d'Islanda mi sono scordata una cosa interezante: qui a Selfoss c'è un museo dedicato a Bobby Fischer, che con le sue ossessioni e la sua genialità si era ritirato proprio sull'isola dopo le vicende legali che lo avevano visto coinvolto.


Ma buongiorno Islanda! E che risveglio, un po' grigio, un po' di corsa... Un po' sotto un diluvio che ci costringe a chiudere tende e borse prima che tutto si infradici ulteriormente. Ma tant'è, oggi è ancora tutto asfalto diritto e quindi ci si arma di santa pazienza e si attende di essere del tutto inumiditi (e poi inamidati quando i vestiti asciugano addosso con il vento). Finchè non si ha freddo, essere bagnati di pioggia è solo un disagio che permane nella transizione dallo stato asciutto; poi, è tutto un cik e ciak senza ulteriori problemi.


Appena imboccata la 1 (che non è affatto trafficata come si dice, almeno, non oggi), ci troviamo immersi in un paesaggio lunare fatto di campi di lava e roccia nera.







Qui la terra è nata da strati su strati di eruzioni, di onde di magma incandescente che si sono solidificate una sull'altra. Un immenso wafer di roccia lavica, scura e porosa. Pare di pedalare su un pianeta diverso e giovane, in una sorta di neo-preistoria per cui, da un momento all'altro, mi aspetto di veder spuntare un brontosauro che pascola tra i roridi cespugli. Per l'umidità o le mutazioni di questo tempo inverso, alla Signorina Felicita, nel frattempo, sono spuntate le mani. Che paiono più orecchie o molli polpi pescati gran tempo or sono, ma amen.



Dopo circa 30km facciamo una sosta. Stiamo pedalando contro vento e, nell'ultima ora, questo si è alzato e fatto sensibilmente più violento. E ci urla in faccia di tornare indietro, ma noi no, si va avanti sempre, in direzione ostinata e contraria. Da notare la merenda dei campioni, una combo di latte al cioccolato proteico e un laido panino pepperoni. Poi si hanno i geyser nel chiulo e via.


Riposati e rinfrancati ripartiamo. Non piove più (grazie!).
Si arriva a Hella, cittadina della regione meridionale a forte vocazione turistica. Qui siamo in zona vulcani e ghiacciai, ci sono grotte sulla costa e piste verso i parchi naturali dell'entroterra.


Ancora si procede, sempre in saliscendi e sempre controvento. Hvolsvollur si apre davanti a noi con il suo Lava center e i suoi pullman che portano i turisti su e giù per l'isola. Noi, al ritorno, calcheremo di nuovo queste strade; e allora sì, anche noi cercheremo un passaggio per l'irraggiungibile Thorsmork, la valle di Thor ora protetta da fiumi inguadabili. E' solo questione di tempo, ma ci andremo.


Superiamo il minuscolo centro abitato e sappiamo che per diverse decine di km non ci sarà altro che desolata pianura lavica, da un lato, e minacciose alture coperte di ghiacci, ma dal cuore di fuoco, dall'altro. All'orizzonte compaiono i denti acuminati dell'isola Vestmannaeyjabær, paradiso di fauna e flora che si sono adattate alle condizioni del luogo.


Tra prati metallici e cavalli impermeabili (ho riso molto scoprendo che le pecore, quando piove, si acquattano a terra facendo tenda di se medesime) spingiamo sui pedali sempre lottando contro il vento



Davanti a noi si staglia la maestosa sagoma di una lingua del ghiacciaio, fu vulcano Eyjafjoll, il terzo per estensione dell'Islanda.



Sotto la sua protezione ci fermiamo un momento a riposare. Le gambe cominciano ad essere pesanti e i muscoli sfilacciati. La faccia è tagliata dal vento freddo che gela l'umidità addosso e sì, siamo stanchi. Troviamo un riparo da Eolo dietro a un cumulo di sassi neri come la notte e così assorbiamo un po' di raro sole e un po' di sostanzioso panino al prosciutto, insieme alla linfa della terra e all'energia cosmica e qualche caramella di quelle alla liquirizia salata.





Ci rimettiamo in sella e, al bivio che porta verso Thorsmork, incrociamo un colorato figuro. Che è anche uno dei simboli del paese. Qui nidificano alla grande, e se quest'anno abbiamo fortuna riuscireme a vedere qualche pulcinella... Non come l'anno scorso a Capo Nord, che già se n'erano andate in vista dell'inverno.




Superiamo, qua su un ponte, il fiume che ci ha impedito di fare rotta verso la Valle di Thor




e subito siamo distratti dalle bellissime cascate che si gettano giù dalle pendici del ghiacciaio


Seljialandsfoss è la più alta. Una linea secca di acqua che fragorosamente cade, dalle nevi perenno al fiume e dopo brevissimo tratto all'oceano.



Da qui in poi il paesaggio si fa incredibile. La strada costeggia a stretto giro le pendici dei due vulcani-ghiacciai, l'Eyjafjoll prima e il Myrdas Jokull poi. Il ghiaccio è arroccato sulle piatte e vaste cime, mentre i fianchi sono pareti verticali, frastagliate e in continuo franare e sbriciolarsi di lava solida.



Cascate grandi e piccole si gettano giù dalle cime, lungo le "lingue" di terra nerra




e numerosissime specie di uccelli abitano queste falesie, oltre, sicuramente, a qualche demone alato. Ci sono nimali di ogni genere, dai gabbiani e le sterne a pennuti che classifico come "beccaccini", e paiono ibis in miniatura. Gigi qui indica alcune pulcinelle (che io non vedo, anche perchè secondo me vivono solo sul mare, ma la costa in effetti è vicinissima). Notare che anche lui è passato al lato oscuro del guanto Vileda.




La parete di lava è ininterrotta e prosegue per kilometri. Immagino il momento in cui si è creata, i giorni nei quali la terra si è aperta e ne è fuoriuscita rovina, catastrofe di fiamma e roccia fusa. Un'onda di fuoco altissima e vastissima, riuscite a immaginarla?



Poi, come sempre in natura, dalla morte, dalla distruzione, qualcosa rinasce. Ed ora l'erba cresce su queste pendici e colonie di uccelli nidificano, i muschi e i fiori hanno messo radice e la vita è tornata a brulicare tra questa pietra che è tutt'altro che infeconda.






Raggiungiamo, pensando a questo enormi moti cosmici e giostre dell'esistenza, l'Holtsoss, un lago alimentato dai fiumi glaciali che sfiora l'oceano, ma senza toccarlo.


Dalla superficie emergono scogli che sono dimora di elfi, o sirene, o altre entità per nulla umane ed ingannevoli. Mai disturbare l'acqua, nemmeno quando pare tranquilla.




Fattorie isolate rompono il paesaggio grandioso e dove si aprono valli qualche casa compare.




Ma l'orizzonte resta una bocca dai denti aguzzi, fauci spalancate pronte a inghiottire tutto di nuovo. Sapete cosa teme chi vive qui? Che i vulcani eruttino di nuovo. E che i ghiacci lì sopra si sciolgano, improvvisamente, tutti insieme, e un'onda terrificante di acqua travolga le case e torni all'oceano, come uno tsunami che viene però dalle cime.



Arriviamo, sempre faticando contro vento, sempre aperti in due dal freddo che si gela addosso, a Skogafoss. E' un'altra famosa cascata, anch'essa che scende dalle nevi che mai si sciolgono se non per tornare al mare. Inizialmente avevamo pensato di fermarci qui per la notte. Abbiamo già percorso 100km.



Ci fermiamo ad ammirare lo spettacolo. Tra le rocce si fanno eco, amplificati, i richiami degli uccelli. C'è qualcosa di magico e antico nelle fratte e nelle gole nere.



E questa antica follia, una mania di forza vitale, assale anche noi. Il vento cala ed è il segnale. Proseguiamo. Andiamo fino a Vik. L'ultima città sicura prima di tuffarci nell'entroterra desolato. Andiamo fino a Vik e diciamo al vento e alla strada che siamo più forti della stanchezza.

Subito, a sud, si apre una spiaggia nera enorme e piattissima, che ancora conserva il relitto di un aereo statunitense che si è schiantato qui 50 anni fa. Non andiamo a vederlo ora. Ci sono decine di auto ferme e un viavai di turisti. Torneremo, a tempo debito.




Compare invece, dal lato opposto, il grandioso ghiacciaio, di cui si intravede qui una lingua candida.




La neve quasi sfiora il fiume che ne nasce, e la roccia color notte rende il paesaggio incredibile, terribile, grandioso, disumano.






Sono luoghi che ho visto, simili, solo in certi documentari sull'Alaska, e mi pare incredibile pedalare con questo sfondo che scorre ai lati.



Quando il sole fa capolino tra le nuvole stese, qualche traccia di colore ricompare. Siamo tornati negli States? A tratti pare, ma il clima è ben diverso da quello della Navajo nation dove abbiamo pedalato nel 2019.




un selfie scattato senza volere, ma che ritrae una volpe felice


Superiamo un altro fiume gelido di mercurio su notte e la strada improvvisamente impenna, inizia a salire e questa è l'ultima fatica di oggi, l'estrema prova di resistenza.



Uno strappo di 1,5km al 12% ci dà il colpo di grazia, ma la vista sulla valle da quassù è impagabile.



Poi è tutta discesa, e tra pareti cupe dalle forme aguzze si torna al mare, e si raggiunge, finalmente, stremati, dolenti, felici, Vik.




Di questa città vi dirò domani. Questo è l'ultimo porto sicuro. Poi saranno highlands. Deserto. Entroterra desolato e grandioso.

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