martedì 10 agosto 2021

6. Vìk-Hòlaskjòl (Highlandcenter). Inizia l'avventura into the wild, per perdersi, per ritrovarsi.

9/8/21
Vìk-Holjaskjol (Highlandcenter)
84km




È dalle rocce nere del Landmannalaugar che scrivo stanotte, mentre un vento gelido soffia fuori dalla tenda. Si sente il fiume, che racconta la sua storia antica di ghiacci e sabbia scura come la notte. La luce ancora si attarda, le estati al nord portano sempre cieli di infinito chiarore. Scrivo raggomitolata nel sacco a pelo, perché d'improvviso è calato il freddo come una scure di cristallo purissimo. Oggi però il meteo è stato gentile e ci ha regalato una giornata di pieno sole, caldo e luminoso, che ha fatto brillare tutti i colori d'Islanda, la tavolozza dei verdi e degli azzurri, dei blu e degli ocra.







Questa mattina siamo partiti tardi. Vik è la città più meridionale e tiepida dell'isola e l'unica d'Islanda a non avere un porto, ma è abbastanza frequentata dai turisti per la sua vicinanza a diversi parchi naturali (nonchè a ghiacciaio e sottostante vulcano quiescente). Parrebbe anche uno dei primi insediamenti registrati del paese.
Abbiamo riparato la tenda, rotta ieri sera per una svista sulla paleria, lavato i vestiti per stenderli sui rami di un albero, approfittando del sole, e fatto la spesa. La spesa grande, perché dopo Vik, la città in cui abbiamo fatta tappa ieri, non c'è più nulla per noi fino ad Akureyri. Parliamo di oltre 400km di impervio sterrato, montagne da valicare e fiumi da guadare, senza servizi e senza nulla di ospitale. Per l'acqua siamo tranquilli: non mancano i fiumi ed io ho una borraccia con filtri che potabilizza anche le pozzanghere. Ma il cibo va portato e razionato. Facciamo il conto di impiegare 6-7 giorni. Ci carichiamo di tonno e carne in scatola, noodles, pasta, pane, miele, cioccolato, barrette e cereali e semini. Tè e zucchero già viaggiano con noi. Gas per il fornello ne abbiamo. Ah, le salviette umidificate: non è dato di sapere quando ci faremo la prossima doccia.
Caricare tutto sulle già cariche bici è impresa ardua, ma con la calma e le manate si risolve tutto. Così, come muli da sherpa, ci rimettiamo in strada. Subito il vento contrario ci spinge indietro, come a proteggere il segreto dell'isola che sta nel cuore dell'entroterra, e noi stiamo andando a raccoglierlo. Ci dobbiamo dare il cambio ogni 5' e comunque oltre i 14km/h non si va.
Alla nostra sinistra sempre si intravede l'oceano, una linea azzurra quasi bianca che si distingue dal cielo solo per un vago lucore. A destra, invece, i roccioni a picco del vulcano, qui davvero verticali, coperti di muschio verdissimo e abitati da colonie di uccelli di ogni genere, che volteggiano in aria in cerchi larghi. Poi i costoni si fanno più lontani e si apre una pianura stesa, di per sé dolcissima, non fosse che lascia al vento lo spazio per prendere la rincorsa. I cespugli grassi d'acqua e i fiori, gialli, creano un tappeto spesso e denso che si interrompe solo quando un fiume cerca la sua via al mare. E questi fiumi, dal letto vasto e a tratti deserto, nerissimo, rilucente, sono impetuosi e ora color panna azzurrata, ora blu cobalto, a seconda di come il cielo e la luce si specchiano, senza vanità.












La piana verdissima, in breve, cede il passo al deserto. Dico deserto ma è qualcosa di grado leggermente inferiore, perché qualche arbusto e un'erba bassa e ruvida, livellata dal vento, ci sono. Sembra il punto in cui la steppa diventa roccia nuda, come ho visto in Mongolia o negli USA. Da un lato sempre l'orizzonte aperto all'Atlantico, dall'altro il gruppo montuoso del Katla, Con la lingua di ghiacciaio che risplende candida contro lo sfondo del cielo. Pecore sparse, che si confondono con massi erratici, e viceversa, sono gli unici elementi che si distinguono dalla pianura arida. I servizi per i viandanti sono pari a zero, al punto che si segnala un WC a 17km... E sarà pure a pagamento! Ma con una sorta di balcone panoramico.





La strada corre a perdersi davanti a noi, che fatichiamo contro vento. Compaiono dei massi tondi e coperti di muschio, sembra di pedalare su un fondale marino verdognolo. Al famoso WC/area di sosta facciano pausa e mangiamo qualcosa dalle razioni. Paesi non ne incontreremo più, se non tra 400km. Incredibilmente fa molto caldo e ci accorgiamo di avere il viso cotto dal sole. Accanto si trova il Laufskálavarða, insieme di cairn segnavia che ha preso ormai il profilo di un minuscolo castello. "Sorge dove originariamente era situata una fattoria distrutta dalla lava. Coloro che per la prima volta ci passano, possono aggiungere un sassolino agli omini di sassi per ricordare e come buon auspicio per il loro cammino. Per assecondare questa tradizione, ormai consolidata nel tempo, le autorità locali hanno trasportato in loco un’adeguata scorta di sassi.
Il luogo è veramente surreale, immerso nel nulla di un panorama lunare".

















Ripartiamo. Ultimi 10km di strada asfaltata, di 1. In un attimo si giunge alla deviazione per la 208, e passato il ponte siamo subito in salita tra colline di nuovo verdissime che brillano di linfa smeraldina. Si sale, si sale. Poi si scende in picchiata e si risale. Le pendenze sono massacranti, ma intorno si stagliano valli di fiume e profili di monti che promettono una bellezza dedicata a pochi. L'asfalto finisce presto, ahimè, e qui inizia il punto esatto in cui devo fare i conti con le mie paure. Ho fatto dei gravi incidenti in bici e ho due braccia su due bioniche. Tenere in piedi una bici stracarica sullo sterrato, in montagna, è per me un demone. Ma i demoni vanno presi per le corna e a manate in faccia, e sono qui anche per questo.














Il primo tratto è drammatico. Il fondo è sabbioso con sassi sparsi, e il tolon ondulée compare subito. Non ho ancora preso confidenza con il nuovo tipo di terreno e volano moccoli. Fa caldissimo, mi devo spogliare. Mi pento mille volte della scelta di lasciare la ring Road. Mille volte penso di tornare indietro. Ma mille e una mi impongo di non farlo. E così piano piano inizia l'avventura nella vera Islanda, quelle delle highlands. Sono continue salite e discese ripidissime. Però il fondo migliora un poco e io imparo nuovamente a tenere la bici in equilibrio. Prendo confidenza. La fatica è grande ma gli scorci che si aprono attorno valgono tutto. E il silenzio, interrotto solo dal belato delle pecore, vale tutto. Questa luce, questi colli, questa strada, questi fiumi. Questo tempo vale la pena di essere vissuto

addio asfalto :(

















Ogni tanto passa un'auto, ma quando la 208 diventa F208, ovvero sentiero di montagna che richiede un 4x4, sono sempre più rare. Mentre è più frequente il nostro spingere a piedi la bici sulle rampe più scivolose e verticali. Ma si prosegue. Gigi ha lavato le sue mutande e le ha stese dietro alla bici. Mentre lui è avanti a me di qualche centinaio di metri, ne trovo un paio a terra e pedalo a lungo con questi mutandoni umidi appesi al manubrio. Dopo venti minuti scopro che non sono suoi... Ma chi ha perso delle mutande qui?!










Poi un falso piano a scendere, uno scivolo che corre a valle, buche, sassi, sabbia, altre salite. Tolon ondulée a non finire. Un guado, per fortuna asciutto. E un minuscolo campeggio, che non ha nulla se non una doccia calda. Ma ci basta. E anche per oggi abbiamo raccolto la nostra larga dose di meraviglia.















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