sabato 14 agosto 2021

8-10. Deserto, deserto, fatica. Dialogo della Natura e di una volpe islandese











10/8/21
Incrocio 26/F26-lago Kvislarvatn
66km

La notte passa fredda e silenziosa su questo dorso di luna nera che, stamattina, si ripresenta parimenti straniante e deserto, ma baciato dal sole. E spazzato dal vento. Perché sì, oggi Eolo ha deciso di tornare a farci visita e il suo bacio laterale ci farà sbandare ulteriormente tutto il giorno, come se la fatica non fosse ancora abbastanza per guadagnare tutta questa bellezza. Chiudiamo tende e borse dopo una colazione asciutta (abbiamo provviste per una settimana, e sono razionate, mentre l'acqua si prende di volta in volta dai fiumi purissimi e la si filtra con una borraccia potabilizzante, per sicurezza).




Partiamo, e la partenza è in salita. Ieri ci siamo accampati proprio all'altezza del cartello di fine asfalto. E quindi sì, siamo di nuovo sulla giostra fatta di sabbia, sassi, rocce affioranti, ghiaino, ghiaione, e soprattutto il maledetto tolon ondulée, che fa prendere tali botte che credo di aver ucciso due delle tre cimici che corrono in cerchio nella mia testa (così immagino il contenuto del mio cranio).






Subito ci troviamo immersi di nuovo nel deserto color pece e le dune e i monti intorno creano uno sfondo surreale. I fiumi e i laghi splendono di blu cobalto o azzurro e creano, insieme al cielo terso e pieno di luce, un contrasto da pianeta alieno o da mondo primordiale, all'alba dei tempi, quando la non c'era o era ridotta ai minimi termini. E qui pure è così: licheni, un moscerino, qualche alga e poco altro. Nemmeno le pecore sofficione si vedono più, e in effetti qui di erba da brucare non ce n'è. All'inizio il fondo è decente e i primi km scorrono in qualche modo sotto alle ruote. Gigi fa i suoi calcoli mentali perché vorrebbe, stasera, raggiungere un campeggio attrezzato che dista 94km, una distanza folle per questo tipo di strada dove quasi è più lo spingere a piedi che il pedalare, e anche quando si pedala si va a 10km/h o meno, in salita. Gli dico subito, smorzando il suo ottimismo, che sta facendo i conti senza l'oste. E con oste intendo la natura del luogo e il suo spirito selvaggio e disumano, apparentemente impietoso, ma solo indifferente alla nostra piccolezza. E infatti avrò ragione. I monti e le dune a volte si interrompono per lasciar passare un fiume o accogliere in abbraccio in lago. Intorno, ghiacciai. Pedaliamo infatti tra Hofsjokull e il Vatnajok che ci osservano silenziosi da lontano, con il loro candido, azzurrato sguardo.






































Sappiamo che a circa 40km di marcia dovrebbe esserci una struttura, un campeggio o un rifugio non è chiaro. Mossi dall'idea di poter comprare qualche snackino o bibita che non sia acqua di fiume, cerchiamo di accelerare, per quanto possibile, soprattutto quando in lontananza si intravede una minuscola casetta rossa e un edificio bianco più grande. Giunti lì, con il solito saliscendi e il solito fondo urendo, capiamo che al più potrebbe essere una casa privata che affitta stanze. Ma ci proviamo ugualmente, e ci avviciniamo. Sulla veranda una signora di mezza età, capelli rossi e viso cotto dal vento e dal sole, sferruzza. Non dice una parola e finge di non vederci. La saluto più volte e lei risponde brevissima. Allora le chiedo se abbia acqua o cibo in vendita, e lei ci dice che non ha nulla da venderci e acqua sì, ne ha. Ma non si alza né si muove di un millimetro... Penso non voglia aiutarci in alcun modo, e lo spiego a Gigi. Nel frattempo, però, con lentezza indescrivibile, la signora si alza e sparisce in casa. Starà andando a chiamare la polizia? Ma no, ha lasciato il cellulare qui in veranda. Torna diversi minuti dopo con una brocca d'acqua. E ci riempie le borracce. Un giro, due giri, ma grazie! E poi, all'ultimo round, sorte fuori con un cestino PIENO di panini di ogni genere, fatti in casa, forse per turisti pigri e sazi che hanno alloggiato da lei. Ce ne lascia 12, e ci invita a prenderli tutti, a stiparli nelle borse. Ma signora, sei la gentilezza fatta a persona! Ringrazio in ogni modo e ripartiamo, dopo una micro conversazione (la sciura è decisamente laconica). Dopo un km ci fermiamo subito, richiamati dal profumo dei panini. Mangiamo in riva a un fiume e assaporiamo quel pane nero densissimo, quel burro e quel formaggio che ci paiono i più gustosi dell'universo.





Ripartiamo e da qui inizia la fatica vera. In 5 ore riusciremo a pedalare 25km circa, e pedalare non è il verbo corretto. Sarà più uno spingere, un trascinare, un impantanarsi e uno sbandare. Gigi, a un certo punto, ha anche una crisi di nervi. È massacrante, psicologicamente oltreché fisicamente, sapere che andando così piano una tale fatica si protrarrà nei giorni, perché di km ne mancano ancora più o meno 200 per tornare all'asfalto. Gli spiego il mio sistema per affrontare queste situazioni. Penso sempre che non importi il numero di km, si fa quel che si può, e che al massimo si pedalerà un giorno in più. L'importante è andare piano e in sicurezza, senza farsi male, senza ansia, e godersi l'attimo eterno. Qui il paesaggio è incredibile e non ci si può lasciare accecare dalla fatica.












Così piano piano si riparte. E intorno le dune e i sassi e i fiumi benedicono il nostro andare. Incontriamo, in capo a una giornata un cicloturista del Colorado, che ci avverte di guadi pericolosi nei prossimi giorni e che, quando gli diciamo che nel suo stato siamo passati, chiede: "Vi e piaciuto?". "Sì". E con aria malinconica e tenerissima commenta "È bello il Colorado, è casa mia". E poi anche una coppia di ragazzi su un guado. Loro lo hanno appena passato e ridiamo insieme quando tocca a noi. I due ci dicono anche che i guadi al mattino sono bassi, è alla sera che l'acqua sale e diventa impetuosa.





Facciamo scorta d'acqua e ripartiamo per l'ultimo tratto.












Sulle rive del Kvislarvatn, con un vento teso che impedisce i movimenti, montiamo il campo. Ho le mani e il viso ustionati dal sole. Siamo stanchi oltremodo, con la schiena distrutta e le braccia e le gambe a pezzi. Ma guardate, anche qui, nel nero deserto, qualcosa fiorisce.





11/8/21
lago Kvislarvatn-Nyidalur FI
32km

E niente, oggi è andata così. Con una poderosa media di 6.5km/h, estenuanti, terrificanti, allucinanti, e molti altri -anti che per buona creanza non sto a esplicitare. Presto detto il motivo: la F26 in questo tratto è sabbia pura e soffice, che a volte si condisce di sassi grandi, aguzzi, o tondi e sdrucciolevoli. E quel poco di terreno solido che si incontra è scavato dalle gobbe del tolon ondulée, profonde e ravvicinate, inaffrontabili. A questo si aggiunga il continuo saliscendi, perché non è dato metro che sia in pianura, qui e il vento. E che vento. Contrario, freddo, teso, fortissimo. Anche solo tenere la bici in movimento è diventata un'impresa titanica, una continua pena. E dopo le curve, a vento laterale, le borse facevano da vela e mi ritrovavo in un batter d'occhio fuori strada, nella sabbia, nelle rocce. Non so se ho mai fatto una tale fatica a pedalare in vita mia. E di fatica in sella ne vanto parecchia in nove anni di viaggi e allenamenti. Per questo a più riprese lo sconforto e la delusione di non riuscire a fare di più hanno preso il sopravvento.
E intorno il paesaggio è davvero grandioso e terribile, così disumano, così vuoto di vita. Al punto che già da ieri ho dei miraggi, diciamo pure delle allucinazioni. Nella desolazione, in lontananza, mi sembra di vedere persone, tende, automobili. E invece, avvicinandosi, sono massi erratici, o ombre. Ieri non volevo accamparmi sul lago, come proposto da Gigi, perché mi pareva di aver visto già una tenda montata e due persone sedute sulla riva. Ma eravamo soli. Soli su quella terra umida, molle e nera che affonda sotto ai piedi, perché il lago a volte la divora.


la tenda, non rossa ma verde





Nel nero delle dune e delle montagne si stagliano due ghiacciai, bianchi e azzurri, e noi si pedala in mezzo. Da un lato il candore dell'Hofsjokull, dall'altro l'enorme mole del Vatnajokull, il ghiacciaio più grande dell'isola. Li scruto, più che ammirarli, nelle frequenti pause che servono a riprendere Fiato e sensibilità alle mani, sempre in tensione aggrappate al manubrio, ai freni, alle leve del cambio. Li scruto e ci confrontiamo. Siete più grandi, e più antichi, e infinitamente più duraturi di me. Ma siete fermi, immobili, mentre a me è data la libertà dell'andare. Piano, a fatica.  Ma la gioia di attraversare orizzonti e percorrere strade è data a noi esserini piccoli, mortali, deboli e limitati.
E vi scruto, a testa alta. Sarà pure un deserto questo, sarà pure il regno del ghiaccio e del vento, inadatto agli umani. Ma la forza della volontà sposta le montagne.
Così penso, tra un respiro e l'altro, gelido di vento. Poi riparto, a piedi o in sella, per breve tratto, mentre Eolo e le pendenze ci respingono indietro  e la sabbia e i sassi  ci fanno sbandare e spesso quasi cadere.








Arriviamo a un minuscolo guado che splende di cobalto e verde e fucsia d'erica, e sappiamo che qui da qualche parte c'è un rifugio con campeggio. Non è tardi, ma nemmeno presto. Sono quasi le 16.30. Non fermarsi e non approfittare di una doccia calda (è un po' che non ci laviamo...) e di un tavolo su cui mangiare al riparo dal vento sarebbe idiota. Abbiamo scorte di cibo ancora per tre giorni pieni e ormai mancano 140km ad Akureyri, l'asfalto e la civiltà, il consorzio umano. Quindi alle tre casette ci fermiamo e facciamo bene. Montare la tenda è sempre un dramma, con questo vento, ma poi le signore che gestiscono il rifugio (e stanno qui a botte di tre mesi) ci regalano mele e panini (si vede che sembriamo denutriti). E la doccia e il tepore della cucina e, oh santi!, la morbida comodità di un divano sotto al culo ormai ridotto ad hamburger ci restituiscono alla vita. Che meraviglia ritrovare quei semplici piaceri che si danno sempre per scontati!











Facciamo, per sicurezza, altra scorta di cibo nel caso ci siano imprevisti. Intanto arrivano grupponi di hiker e un ciclista, una manciata di scienziati in visita e altra gente. Anche troppa. Ormai non essere l'unico umano nel raggio di 10km mi disturba (già prima, eh, ma ora di più). Però riesco a cucinare un risotto coi controfiocchi e a reperire informazioni sui guadi pericolosi. A quante pare, al mattino, non lo sono affatto. Vedremo. Ora siamo temprati e pronti a qualsiasi incognita. Puntiamo a pedalare almeno 50km domani, per raggiungere un rifugio aperto che si trova tra la F26, che finalmente lasceremo, e la 821, che ci porterà sulla costa. Se faremo meno, amen, se faremo di più, bene. Intanto mi godo le quattro pareti, il tetto in legno e il divano. Niente corrente, il generatore va solo un'ora ogni tanto. Ma chissenefrega della corrente. Il paesaggio è pazzesco e domani sarà una giornata incredibile, ne sono certa. Intanto cala la sera sui prati e sulle vette, e su di noi, con la sua pace.







12/8/21
Nyidalur-F821 (10°km dall'incrocio con F881)
60km

Questa notte abbiamo dormito immersi in un mare di nebbia, scesa dal ghiacciaio e dispersa solo dal calore del sole, che l'ha allontanata come un pastore con il gregge poco obbediente. E così un'altra giornata di sole si è spalancata ai nostri occhi, e se dio vuole, all'inizio senza vento. Ci siamo alzati di buon'ora per fare colazione con calma, a base di tè, pane e miele, smontare tutto e ripartire presto, prima che l'acqua dei fiumi da guadare, alimenta dai ghiacciai sciolti al sole, si alzasse troppo e diventasse pericolosa.








Il primo guado è a poche centinaia di metri dal rifugio e passarlo è uno scherzo: l'acqua non supera il ginocchio, anche se è gelida e dopo poco fa perdere sensibilità ai piedi. Io poi attraverso impavidamente a piedi nudi e le rocce aguzze mentre si fa leva per trascinare la bici non sono il massimo. Però si fa, in più parti, visto che questi fiumi hanno un letto molto ampio e creano innumerevoli torrenti separati da isolotti, finché l'acqua è bassa. Cerchiamo di pedalare in fretta per raggiungere il secondo guado, ma il fondo di sabbia e rocce e le salite ci fanno comunque rallentare. Quando arriviamo un paio di rivi sono già impetuosi e abbastanza profondi, oltre il ginocchio. Cerchiamo le vie di transito migliori ma in un punto non c'è nulla da fare, bisogna "immergersi". Per altro, subito: l'acqua monta a vista d'occhio, minuto dopo minuto. Gigi mi dà una mano fondamentale perché nel punto più profondo e impetuoso mi incastro con le borse anteriori; lui, essendo munito di Crocs, riesce a puntare bene i piedi anche sui sassi taglienti del fondo e mi tira borse e bici dal fiume. E poi anche questa è fatta. Di guadi pericolosi non dovremmo più incontrarne (uso il condizionale perché qui, nonostante le carte, le mappe, le informazioni e tutto il resto, la strada riserva sempre infinite sorprese, e non sempre piacevoli).




Da qui in poi pedaliamo per circa 30km sulla F26, la strada che seguiamo da giorni, che storicamente collega nord e sud dell'isola e la taglia in verticale in due metà. Il paesaggio è sempre quello del deserto nero, con monti e roccia e sabbia e dune color pece. A volte si apre un lago di cobalto, blu profondo, a volte in fiume. Lì una lieve tinta verde colora l'altrimenti invariato nero lava. Il fondo è sempre cattivo, di sabbia molle e infida, di sassi che affiorano e fanno sbandare, di ghiaia cedevole e tolon ondulée. Ma noi ormai abbiamo fatto un corso intensivo di guida off-road, in questi giorni, e Brumotti ci spiccia casa. Per cui pedaliamo decentemente, anche se la fatica e il livello di attenzione sono titaniche. In capo anima giornata Gigi riesce a cadere altre volte, per fortuna senza farsi male. Io spesso ci provo, ma niente, mi salvo sempre all'ultimo. I guadi, che dovevano essere finiti, tali non sono, e ne dobbiamo superare altri, ma semplici.

























Arriva così il momento di lasciare l'amata e odiata F26, che tanto ci ha dato e tanto ci ha fatti penare. La strada vira bruscamente a sinistra e si inerpica sulle colline di piombo, su e su. Da 800m arriveremo a quasi 1000, ma con un continuo, estenuante saliscendi, più sali che scendi. Le salite sono ardue, ma anche le discese richiedono una tecnica infallibile perché tra sabbia e sassi baciare la terra è un attimo, questione di frazione di secondi, un istante infinitesimale di distrazione. Soprattutto ora che il sole inizia ad abbassarsi e fa lunghe le ombre, e diventa difficile distinguere gli ostacoli, capire dove la sabbia sia soffice e dove invece possa reggere il peso delle ruote. Qui, attraversando le colline tra valle e valle, davvero il nulla nero di spalanca terrificante ai nostri occhi.












È una ininterrotta, angosciante, desolata vastità deserta, vuota di vita, se non qualche muschio sparso. Gigi usa la parola "inferno". Sicuramente "disumano". Di auto qui non ne passano, ma, come sulle altre sterrate, si trovano pezzi motori, marmitte e carrozzeria, alcuni vecchi di decenni. Trovo anche un ferro di cavallo, anzi due. Uno viene con me, come buon auspicio. In effetti si vedono orme di zoccoli e anche di piedi umani, e di bacchette per hiking. Chissà da quanto sono qui queste tracce, nell'immutabile superficie lunare su cui ci muoviamo. In lontananze scorgiamo anche un rifugio d'emergenza, come ce ne sono sparsi un po' in tutta l'Islanda. Nel frattempo si alza il vento, ma è laterale e a tratti a favore. 



Non così sarà poi, imboccata l'ultima strada che seguiremo fino ad Akureyri, la F821. Questa piega decisa verso nord ed è percorribile solo con 4x4. Infatti ci troviamo subito su una salita dal terreno impedalabile e con il vento in faccia, che ci sputa addosso la sua furia gelida. Ci inerpichiamo con fatica immane su quello che poi si rivela un plateau, a quota 950m, completamente esposto al vento, sferzato, spazzato, battuto senza pietà. E noi nel mezzo, a cercare di tenere in equilibrio bici, carico e noi stessi. Percorriamo 10km, e sono già troppi; trovare un posto riparato per montare tenda è impresa da ingeneri, ma alla fine scorgiamo un angoletto splendido in riva a un piccolo lago, discosto dalla strada e protetto dal vento. Il fondo è sabbia. Ma è un paradiso! Altro che le Maldive! Altro che i Caraibi. E qui ci fermiamo, a cucinare le nostre prelibatezze. Se tutto va bene, domani si torna alla civiltà. E anche questa giornata di chiude nella pace, con una luce che ruba ore alla notte e il tepore della tenda con vista sulla meraviglia.












2 commenti:

  1. Bravissimissimi. Gigiotto sei cotto.? .. Gigiotto ti sei rotto? No, per nostra fortuna, ancora pedalate sulla luna. Dai che quando tornerete, molto belli sarete. Forza e pazienza, non pensate troppo, pensare stanca... Ma tra poco ci riuscirete... Niente più esisterà, solo la voatra energia ci sarà.

    RispondiElimina
  2. Da pugliese,lo posso dire:" A me quella pasta'n' sauce fa schifo...ma immagino che se fossi lì buonissima".

    RispondiElimina