La meraviglia accade improvvisa.
Vive nell’attimo, arde l’istante.
La meraviglia non ha bisogno di
tempo per avvenire. E’, ora. Fortuita e imprevista.
Si consuma nel momento e un
attimo dopo è già svanita.
La meraviglia è lo sguardo
raccolto al volo, lo scorcio che si apre inatteso, il raggio che trafigge il
cielo e illumina d’eterno il grano di sabbia della clessidra, prima che cada al
nulla.
La meraviglia è un tardo
pomeriggio sul Tom, a Kemerovo. Nemmeno sapevo esistesse questa città, prima di
partire. E invece eccola qui, la goccia di splendore.
Ma tutto si paga, in qualche
modo.
E a me oggi questa bellezza è
costata tanta, tantissima fatica.
Sono partita stamattina sotto un
sole già velato dai primi lembi di nuvoloni. Le previsioni lasciavano poco
spazio alla speranza e infatti il cielo ha mostrato un broncio nero, livido,
tra crolli di tuoni e folate di vento gelido. Temporali sui cieli di Siberia,
brutta storia. La pioggia era in programma, e lo è stata fino al primo
pomeriggio, ma in realtà ho fatto uno slalom da sciatore provetto tra tutti gli
scrosci che mi accerchiavano, cavandomela solo con qualche goccia ogni tanto.
Il vero problema oggi è stato il vento. Allucinante, nel senso stretto della
parola: finisce che vedi la rosa mistica di Dante, scambi un’automobile per un
cinghiale bianco velocissimo (giuro) e comprendi tutto in un colpo l’eterno
ritorno di Nietzsche. Per di più la strada era tutta un saliscendi di gobbette
su un altopiano, tutta esposta al vento, tutta orribilmente aperta e spazzata
dalle raffiche.
I campioni che dicono che in salita il vento non si sente sono
invitati a far quello che ho fatto io oggi. A salire, 6, massimo 8km/h e fatica
immane. A scendere, pedalando forte, 13km/h. A ogni cima si spalancava di
fronte come un grigio sipario la triste verità: infiniti altri ordini di
colline, in questa terra a grinze, su queste schiene di cammelli giganti, una
carovana sconfinata di gobbe verdi, controvento, ma perché a me, ma perché. Una
cosa da andar fuori di testa.
Ora vi svelo un mio intimo
segreto. Ho letto da qualche parte che, escluse le scimmie, i cani e i delfini,
gli animali non hanno la capacità di percepire il futuro, non ne hanno
coscienza né idea; per loro esistono il passato, come esperienza, e il
presente. Ciò che è ora è tutto, e l’hic et nunc è l’unica condizione
contemplata, l’unica che esiste. Per cui se sto bene ora starò bene per sempre,
se sto male ora sarà così in eterno. L’adesso si dilata ed estende al futuro, perché
questo non esiste. Io sono così. E’ un problema, eh. Ad esempio, quando ho l’influenza
e la febbre, sto malissimo perché fatico a concepire un futuro in cui sarò
guarita. Quando sono stravaccata sul letto a leggere e sono in pace col mondo
penso che quella quiete possa estendersi in un infinito presente, e magari ho
un impegno alla tot ora, e fino a che tale ora non è passata già da almeno
cinque minuti continuo a credere di poter rimanere estendere l’attimo per
sempre, come un asintoto che corre e corre in avanti ma non tocca mai la linea
dell’orario in cui ho l’impegno.
Questo vale anche in bici. Se
vedo che arranco ad una velocità media di 10km/h, mi prefiguro già 10 ore in
sella per i miei 100km, senza pensare che, magari, poi la situazione può
migliorare. Non ho percezione del futuro. Per me l’adesso è l’assoluto, nel
bene e nel male. Sicchè potete immaginarvi la mestizia, oggi.
Se non altro la strada era ben
tenuta e del tutto deserta, cosa che mi ha rassicurata e non poco nei tratti di
vento laterale, che mi spingeva in mezzo alla carreggiata senza che potessi far
molto per impedirlo. I paesaggi, nemmeno a dirlo, sono stati bellissimi, l’unica
cosa giusta tra tante.
Il primo tratto fuori Jurga è un’immensa
(30km) area militarizzata, con caserme e campi in cui ci si esercita nell’uso
delle armi e dei mezzi. C’erano soldatini imberbi, in mimetiche grottescamente
troppo larghe, in pieni in bell’ordine nel fango e nei prati. C’erano carri
armati in manovra e antiaerea schierata su ogni collinetta. Chissà chi è per
loro il nemico, chissà chi sono i barbari per questi ragazzini troppo seri.
Passata questa zona mi sono
allontanata un po’ dal corso del fiume, per affrontare il tremendo altopiano. Avrò
incrociato sì e no tre villaggi mezzi abbandonati, sepolti ormai tra boschi e
campi. In questo i veri boss del quartiere sono i cavalli, che bloccano il
traffico e vanno a fare brutto anche ai pullman. Uno si è pure avvicinato a me,
che stavo fotografando, e dopo qualche carezza ha iniziato a rosicchiarmi lo
zaino e il sacchetto sul portapacchi. In effetti c’eran dentro mele e pomodori,
come dargli torto.
Finalmente, dopo tanti moccoli e
tanto cielo muto e vasto, ma più sereno, sono scesa dalle colline per tornare lungo il fiume.
Qui sono stata fermata da Alex, o Sasha, che quasi mi tirava sotto per potermi
chiedere come mi chiamassi, da dove venissi, dove andassi, foto, foto! Due le cose da notare nella foto. La prima è che era in auto con Gollum. La seconda è che la guida è a destra. Qui non c'è una cosa univoca che sia una, e vale per le leggi, le norme, le usanze e pure le macchine: metà han guida a destra, metà a sinistra.
Alfine, ma davvero, sono
arrivata alla meta di oggi, Kemerovo. Tutte le città e pure i più piccoli
villaggetti hanno enormi cartelli. Kemerovo, che è il capoluogo dell’oblast, ha
questa porcata qui; ma è stata una graditissima notizia comunque.
Non ne potevo
più di salite e vento. La periferia non lasciava ben sperare, tra enormi
complessi industriali e mence statue di Lenin e operai dell'industria chimica morti male e monumenti ai caduti
lasciati lì tra le foglie secche per un secondo oblio.
E invece si è rivelata l’ennesima
bella sorpresa di questo viaggio. E’ una città luminosa, pulita, senza
palazzoni di cemento, senza quartieri degradati, con edifici storici d’interesse
e viali fioriti, ma soprattutto con un lungofiume dolcissimo nella luce obliqua
del sole che scende. Ci passeggiano le coppiette e le mamme con i passeggini, i
gruppi di ragazzini e le sciure con il foulard bianco sulla testa.
(Kuzbass come Hollywood)
Ah, c'è anche lui. Sapevo di un tale che camminava sulle acque... Ma non pensavo andasse anche in bici.
La città ha una storia piuttosto
semplice e lineare. A metà Seicento sorgevano alcuni villaggi vicini, alcuni
abitati da contadini, altri da guarnigioni che dovevano presidiare i territori
esposti alle incursioni dei nomadi mongoli e sorvegliare la strada per Tomsk;
nel corso del Settecento sorgono altri insediamenti e viene ufficialmente
scoperto il bacino carbonifero del Kuzbass, cui la storia della città è legata
a doppio filo. Le prime miniere risalgono però solo al 1907. Nel 1916 viene
anche aperta un’industria chimica avveniristica per i tempi, che diviene presto
una sede di ricerca all’avanguardia. Lo stesso anno viene costruita la
ferrovia. L’economia cresce e così anche la popolazione, al punto che nel 1917
i sette villaggi esistenti nell’area vengono uniti e l’agglomerato prende il
nome unitario di Shcheglovsk, mentre dal ’32 viene ribattezzata Kemerovo. Questa
parola o ha origine turca, e sta per anello, cintura (e fa riferimento ai monti
su cui sorge) o ha origine kazaka, lingua in cui kemer significa carbone. Giuste
entrambe. Nel 1921 viene aperta l’immenso complesso industriale di lavorazione
del carbone,e sorgono poi altre fabbriche, tra cui quella di concimi chimici
che tuttora traina l’economia della città. Anche qui non si spreca l’occasione
di costituire un gulag, perché si sa che miniere e lavori forzati van sempre a
braccetto. Anche qui arriva la guerra e falcia vite come spighe mature.
Per
tutto il periodo sovietico Kemerovo rappresenta un polo industriale di prim’ordine,
grazie all’abbondanza di materie prime e di infrastrutture; ancora adesso la
città è, di fatto, radicata sull’economia del secondario. Ci sono musei,
università, teatri, cinema, i palazzi del governo e soprattutto un sindaco che,
nel 2011, ha annunciato alla stampa internazionale di avere le prove
inconfutabili che sui monti intorno a Kemerovo vive lo Yeti. Veramente. E’ un
posto dove, tre anni fa, ha nevicato a giugno. Ci sta che uno dia fuori di
matto.
Vi lascio alcuni scorci della città.
Il kilometro zero... Vediamo... Mosca dista 3621km, Irkutsk, sul Bajkal, 1524. Direi molto bene.
che bello questo Lenin che te ce manna, a quer paese.
Dopo essermi ricaricata nella
luce e nella bellezza, sono pronta per la tappa di domani. Si torna sulle
colline, tra i boschi e prati enormi. Avrò ampie distanze senza nulla di umano
nel mezzo, ed anche il posto in cui fermarmi per la notte è tutto un programma.
Vedrete.
Oggi invece sono in una specie di
ostello incastrato nel retro del municipio. Per 5 euro, per esser l’unica
ospite di tutta la struttura… Si sta ‘na crema!
La mia lettura serale, alla scoperta delle tue nuove avventure/sfighe. Ciao ed in **** alla balena
RispondiEliminaLa mia lettura serale, alla scoperta delle tue nuove avventure/sfighe. Ciao ed in **** alla balena
RispondiEliminaPaesaggi incantevoli; città bella, curata nei particolari e questi rappresentano bene i suoi abitanti. Il tuo racconto è l'elegante cornice al meraviglioso quadro. Sila
RispondiEliminaTesta, gambe e gran cuore 💋
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