Questa che vedete è una volpe che
aspetta.
Aspetta e aspetta.
Guarda a destra e aspetta.
Guarda a sinistra e aspetta.
Non arriva nessuno.
La volpe aspetta e aspetta.
Aspetta invano, povera volpe.
Aspetta qui, dopo aver mandato
e-mail, messaggi e pure telefonato a colui che, per brevità, chiameremo il
Merda. Non sappiamo che volto abbia, se sia grasso, magro, alto o piccino.
Sappiamo solo che è molto ricco, per la media locale, in un paese dove la gente
campa dignitosamente ma a fatica. E questi suoi denari li ha investiti nel
mattone, ha comprato case, appartamenti, almeno una decina. Li affitta, il
Merda. Li affitta forse a più persone contemporaneamente, va in overbooking per
così dire, e chi prima arriva meglio alloggia. Io non sono arrivata prima, ma ultima,
e l’ho presa in quel posto. Il Merda, infatti, non si è degnato di rispondere
nè alle e-mail né ai messaggi, mi ha riattaccato il telefono in faccia e non si
è presentato a darmi le chiavi. Oltretutto mi ha fatto perdere quasi due in
vana attesa. Se mai doveste soggiornare a Jurga, guardatevi dal Merda, perché
vi lascia per strada.
Stamattina, partendo, ero tutta
contenta di potermi allargare in un appartamento tutto per me, girare in
mutande e mangiare gli spaghettini liofilizzati sul divano, con una wifi così
potente da poterci friggere le palacinke a mezz’aria. Mi sono alzata di
buon’ora (ahimè con un raffreddorino causato dall’aria condizionata del Rubin,
maledetti loro) e mi sono avventurata al kafè per la colazione. Niet cose
dolci, niet prodotti da forno anche salati. Solo insalate russe (per me due,
grazie), carni di ogni tipo, buoi squartati e pesci fritti. E pane nero e due
caffè, spasiba. Una nota sul caffè. E’ stato così preparato: melma densa e
scura, tipo caramello, cavata a cucchiaiate da un vasetto anonimo + acqua
bollente pescata col mestolo dal pentolone dove bollivano le patate. Buonissimo
proprio. A ciò ho aggiunto poi io qualche barretta per lenire la tristezza.
Poi, richiuso tutto e caricata la
Signora, via nel sole. Fin da subito mi sono ri-immersa in quel fitto di ombra
e rami che orlano la strada, in un continuo ma morbido saliscendi di
collinette. Davvero pedalare tra il bianco delle betulle e il profumo di
muschio, tra le spighe d’oro quando si spalancano squarci di campi e l’odore
dolce che esala dai fiori di camomilla e dal fieno è un balsamo per l’anima. Si
respira e tutto è in pace, tutto è grande, sconfinato e minuscolo di semini e
petali. Non si sente la fatica e l’andare diventa un lasciarsi trasportare
dalla bellezza semplice e assoluta di questi orizzonti. Pure il vento è stato
clemente con me, oggi.
Le terre piatte, tra le più
piatte del mondo, della steppa del bassopiano siberiano sono ormai solo un
ricordo. Qui siamo al lembo ultimo e più docile dei massicci dell’altopiano
siberiano occidentale, e la strada di snoda in un saliscendi di curve morbide e
dolci, che smussano un po’ la sensazione di essere una minuscola scheggia
lanciata su un piano infinito. Dalle cime poi si intravede l’orizzonte
lontanissimo e si viene pervasi dalla dismisura
degli spazi enormi, ma solo a tratti. I fianchi di donna sdraiata dei
rilievi chiudono lo sguardo entro limiti più facili da affrontare, in cui si è
meno persi.
I calcoli fatti ieri in merito
alla mancanza di strutture per fermarsi si sono rivelati corretti. La presenza
umana si limita qui alle infrastrutture, la strada, i tralicci, i sentieri.
Qualche macchina transita interrompendo il frinire delle cicale che pare
friggano al sole tanto fan caciara e qualcuno resta fermo, come un’iguana sul
sasso, con i funghi da vendere in bella mostra.
Se tutta l’ampia fetta finale di
oblast di Novosibirsk è più boschi e natura selvatica che campi, la tendenza si
inverte appena si passa nell’oblast di Kemerovo, la nuova regione in cui
pedalerò per i prossimi giorni;
qui i declivi son tutti coperti da una mano
uniforme di pittore, verdissimo di piante officinali, oro di spighe e rosso di
ciuffi d’erbe coltivate. Tutto freme al vento in onde regolari l’uomo qui, con
queste opere, sembra quasi una creatura buona.
Questa regione, per lo più
montuosa, ospita uno dei più ricchi bacini carboniferi del mondo, il Kuzbass, e
tanta parte della sua economia ruota intorno a ciò che si estrae dalle viscere
della terra. Qui abitavano i tartari di Siberia, i Teleuti e i Sori, seminomadi
di origine turca e samoiedi mescolati. Nel Seicento furono fondate alcune
città-fortezza abitate da manipoli di cosacchi per difende i territori russi
dalle incursioni provenienti dalla Mongolia. Dopo la rivoluzione qui furono
aperte industrie legate all’estrazione e alla siderurgia, e questo boom
economico raggiunse il suo picco con la Seconda guerra mondiale, quando furono
trasferite qui molte fabbriche (soprattutto di mezzi militari, aerei e carri
armati), ne aprirono di nuove e poi rimasero anche in tempo di pace.
Si tratta, ad oggi, di una delle
oblast con il maggior numero di abitanti che risiede in città e non in villaggi
rurali, benché, carbone e minerali a parte, sia tutt’altro che ricca.
Dopo aver tagliato per i bricchi,
evitando ben 5km (di salita) e con questi panorami di meraviglia assoluta e oceanico verde,
sono
giunta alla mia meta di oggi, Jurga, città al confine della regione, stesa
sulle rive del fiume Tom’.
(il cavallino rampante non è simbolo taroccato della Ferrari ma rappresenta il vigore della città giovane, su sfondo azzurro come il fiume, nella fiamma del valore degli eroi di guerra; almeno così si legge sul sito della città...)
Non sembra affatto, ma è grande: conta 80.000 anime,
tutte accomunate da una delle situazioni economiche più critiche di tutta la
Federazione, fin dagli anni ’80, per non parlare dei danni, tra corruzione e
mala gestione della cosa pubblica, avvenuti dopo il crollo dell’Urss. Tranne il
Merda, lui è ricco. La città, curiosamente, non è stata fondata in occasione
della costruzione della Transiberiana, che pure ha la sua stazione anche qui.
E’ nata ben 10 anni prima, nel 1886… Sempre grazie ad una ferrovia: quella per
il trasporto del carbone, che viene ultimata nel 1915.
Dopo la Rivoluzione e
prima della guerra qui a Jurga tutte le aziende e le fabbriche, le cascine e le
fattorie vengono forzosamente collettivizzate, spegnendo con la forza il
dissenso. Per di più si sperimentano qui i Siblag, cioè i gulag di Siberia:
centinaia di persone scomode o fastidiose per il regime vengono spedite qui a
lavorare, produrre e morire; naturalmente il picco massimo di deportazioni si
tocca con Stalin. Per poco amore e molta forza questa città vede sorgere
industrie di ogni tipo e diventa un polo di produzione di armamenti e oggetti
in metallo, ma anche carbone lavorato, durante la guerra. Anche qui non mancano i morti, tanto più che è sede storica di alcuni reggimenti di fanteria che vengono spediti come carne da cannone al fronte.
La città cresce di
pari passo alla sua economia e, negli anni ’60, raggiunge l’apice della
ricchezza e del benessere.
(monumento per i 50 anni dell'Urss)
Poi inizia una crisi da cui tuttora non si è usciti,
che ha portato ad un impoverimento generale, alla netta diminuzione del numero
di abitanti e un generale stato di mestizia e abbandono. In realtà la città è
piacevole, e, anche se costellata di palazzoni-formicaio, riserva scorsi
bellissimi, soprattutto quando ci si affaccia sulla valle del Tom’.
Questo
fiume, che si snoda per oltre 800km e poi si getta nell’Ob’, mi accompagnerà
per l’intera tappa di domani; starò su una strada secondaria che costeggia
quasi pedissequamente la placida linea blu che porta frammenti di cielo qui tra
fango e foglie.
Tutto bello, tutto giusto. Ma
alla fine stanotte dormo davvero per strada per colpa del Merda?
No, signori miei, perché a ben
200 metri dal non-appartamento, si erge maestoso il "Club 12 piedi", che è la più
curiosa accozzaglia di cose che io abbia mai visto. Sotto lo stesso tetto e lo
stesso nome si trovano: karaoke, bar, strip club, sauna, albergo, ristorante,
sushi a nastro e poliambulatorio dentistico. Mancano la biblioteca e le
onoranze funebri e si potrebbe vivere e morire qui dentro.
A grande richiesta torna anche la
rubrica “a cena con la volpe”.
La fregatura è stata quella
specie di pizzetta con verdure e formaggio che da giorni mi fa l’occhiolino
dagli scaffali del Maria-Ra. Oggi mi son decisa e, porca miseriaccia, era mezza
fiorita di muffa; nema problema: grattati via col coltello i pezzi più verdi,
era pure buonona. Se dovessi morire durante la notte almeno sapete perché.
Farebbe molto “Into the wild”, certo in tono minore.
Domani mi attende Kemerovo, il
capoluogo. Sono curiosa di scoprire questa grande sconosciuta e di distillare
qualche goccia di splendore dalle sue luci e dalle sue finestre, tra una via e
un androne. Sono curiosa e domani placherò questa sete. Spero solo mi passi il
raffreddore! Non è invalidante ma fastidioso sì. Per fortuna mentre pedalo si
dissecca e si manifesta solo quando non sono in sella. Sarà mica allergia alla
stasi, al fermarsi?
Intanto il sole è sceso oltre
l’orizzonte e dorme la Siberia un sonno profondo e tranquillo.
Buonanotte, coraggiosa,tenace e tenera volpe. Sila e Franco
RispondiEliminabravaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa vai avanti così poi quando torni te la mangerai anke tu una spaghettata
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