sabato 26 agosto 2017

Cinquantaseiesima tappa. Da Angarsk ad Irkutsk, la nera perla di Siberia.






Eccomi qui, finalmente, ad Irkutsk, la perla candida della Siberia. La Parigi, la Venezia, il prodotto umano più alto di questa terra inospitale e selvaggia, di questi boschi domati e queste rocce trasformate in case e strade. Eccomi qui, alle porte del Bajkal, in una nebbia che confonde Oriente ed Occidente e rimescola i punti cardinali, pur restando, la città, ferma lì, tra l’azzurro del lago e del fiume Angara e il verde della pianura e dei monti Altai.
Eccomi qui, da non crederci.
Irkutsk.
La città sorge dove, nel 1652, il capitano cosacco Ivan Pokhabov costruì un quartiere d’inverno per il suo manipolo di feroci soldati impellicciati al servizio dello zar. Lo scopo era controllare i traffici d’oro, di cui questa regione è ricca oltre ogni speranza, Eldorado dell’est, e raccogliere l’obolo in pellicce, le tasse dovute dalle popolazioni indigene di Buriati ai conquistadores russi. 




Nel 1661, sempre qui, fu costruita anche una piccola città fortificata, un ostrog, la cellula, il nocciolo primo di quasi tutti gli insediamenti siberiani;



meno di trent’anni dopo ci sono già abbastanza residenti e abbastanza servizi da garantire alla cittadella lo status di città vera e propria. Un primo fiorire dell’economia locale si ha, come sempre, in concomitanza con la costruzione di una strada, perché qui le distanze non sono un dettaglio, e l’isolamento è norma. Nel 1760 viene completata la strada siberiana che connette Irkutsk a Mosca.

l'arco trionfale considerato "porta" della città, dove giungeva la strada da Mosca. Fu costruito in occasione della visita dello zar

arco con sposi, e celebrazione alcolica in corso



Iniziano a transitare carovane con carichi preziosissimi di tè, spezie, diamanti, oro, pellicce, legno e seta; dalla Cina arrivano mercanti con baffi finissimi quanto gli sguardi e dall’Europa geografi, etnografi e mercanti, con la barba e gli occhi azzurri e larghi.
Nicola I non indugia a spedire qui numerosi decabristi ed altri nemici politici, dopo i disordini di inizio Ottocento, ma l’esilio diventa occasione, per questi artisti e intellettuali, di diffondere la propria cultura, le proprie idee e la propria arte in una terra che ancora conosceva solo i rigori della natura e dei conti dei bottegai e dei carovanieri.
Irkutsk diventa così anche una fucina di cultura. Di questi intellettuali in esilio e di quel periodo restano oggi le casette in legno, decorate, incise, colorate e scolpite, che contrastano con i palazzoni a cubo di cemento di epoca sovietica e con i, non molti per il vero, nuovi grattacieli.


















un cane-orso... Ma quanto è bello?
Alla fine dell’Ottocento ad Irkutsk il 50% della popolazione era costituita da prigionieri politici in esilio, compresi gli anarchici e i bolscevichi che, di lì a poco, si sarebbero vendicati senza fare alcuno sconto.
Nel 1879, però, la città, venne per tre quarti distrutta da un rovinoso incendio durato quattro giorni; bruciarono 4000 case, la biblioteca, i musei, i palazzi governativi, gli archivi. Tutto. Restarono solo cenere e fumo e troppe famiglie senza un tetto.
Ma Irkutsk, come una fenice di ghiaccio, è stata capace di rinascere. Pietra e mattoni sostituirono il legno, arrivò l’elettricità, nel 1896, arrivò il teatro, nel 1897 e pure il treno arrivò, nel 1900. La città era così bella e moderna da ricevere il nome di Parigi della Siberia. Partivano da qui esplorazioni di mercanti e geografi alla ricerca di nuove terre da sfruttare, e Bering stesso ebbe la sua base ad Irkutsk.

il primo museo in Siberia, dedicato alla geografia e all'etnografia






lo zar Alessandro III scruta il fiume

con l'aquila imperiale sotto ai piedi e un piccione in testa. Sempre così la vita dei re

Inutile dire che questa prosperità, questa belle epoque, ebbe vita breve. Dopo la rivoluzione la guerra civile giunse anche qui, e tutto si macchiò di sangue nero, la pietre e la neve e l’acqua di piombo del fiume. Qui fu giustiziato il temibile, un tempo, e agguerrito, Kolchak, nel 1920, dopo una furibonda serie di scontri violentissimi tra Bianchi e Rossi. Con la morte del comandante le forze anti-bolsceviche residue si ritirarono ulteriormente ad est, ormai vinte, e ad est trovarono la loro tomba spalancata sul Bajkal; ma di questo parleremo meglio in seguito.

questo gran Lenin sorge esattamente sulle fondamenta di una chiesa luterana. S'è fatto posto per la statua radendola al suolo, ovviamente.


Dimenticato tutto l’odio, come sempre si deve dopo una guerra civile, anche Irkutsk collaborò all’immane sforzo bellico tra ’41 e ’45; collaborò con anime e industrie, con la vita dei soldati (50.000 morti e molti eroi da dimenticare) e con le armi prodotte nelle fabbriche giunte qui dal fronte.



due volte eroe: con i bolscevichi contro i bianchi e nella Grande guerra patriottica. Che culo, neh, esser nati ai primi anni del secolo breve



Il pesante processo di industrializzazione proseguì ben oltre la guerra per tutti gli anni del regime sovietico. Negli anni Cinquanta fu messo a regime il bacino sull’Angara, per alimentare la centrale idroelettrica ed incentivare lo sviluppo di nuovi complessi produttivi. Oggi è pieno di carcasse di fabbriche abbandonate, ruderi in pasto alle ortiche e casa di cani randagi



Furono costruititi nuovi quartieri, sorsero università, cinema e teatri, monumenti ai morti, statue per i caduti, per gli uccisi. Persino per Kolchak, nel 2004.
Ma anche per Gagarin!



Arrivare ad Irkutsk è stato facile: da Angarsk è stato sufficiente riprendere l’autostrada e seguirla fino in centro, dove si trovava il mio ostello (a breve distanza da quello di Raymond).
Prima, però, l'imperiale colazione offerta in camera dal Pushkin.



 
Abbiamo percorso insieme quei 50km, che comunque anch’io avrei dovuto pedalare pian piano a causa del traffico delle periferie e degli incroci mortiferi. La città conta solo 600.000 abitanti ed è piuttosto piccola in sé, ma avendo una grande importanza come nodo commerciale e dei trasporti, è ben ingorgata di un camion e furgoni luridi che corrono all’impazzata  e strombazzando tra le corsie dei viali. Chissà dove vanno, con tutta questa fretta, che fuori da Irkutsk ci son solo boschi e montagne per centinaia di kilometri.
Attraversando qualche zona di pini e acquitrini prima di giungere in città ho scoperto che Raymond sa parlare con gli animali, o almeno con i cani. La cosa stupefacente è che lui parla in francese a cani russi, e loro comunque capiscono. Sarà l’internazionale paura del veterinario a farli star buoni. Riesce a convincere anche i più aggressivi e ringhianti a star lontani, frenando di colpo e dicendo loro cose minacciose in francese. Funziona veramente!



Dopo le foto di rito al monumento di ingresso ad Irkutsk, 



ci siamo diretti agli ostelli sotto una brutta pioggia violenta che, in dieci minuti, ha reso le strade, già devastate, quasi impercorribili. Dal ponte sull’Angara la città si è presentata così, austera e grigia, la perla di Siberia sì, ma una perla nera.



Preso possesso dell’ostello, l’Ushanka, che è tanto bello e carino e in centrissimo, ma popolato da cafoni russi e statunitensi che fanno un casino indicibile a qualunque ora del giorno e della notte, ho riacchiappato Raymond per un giro turistico della città.




In effetti il lungofiume, appena un raggio di sole fa capolino, si trasforma in un'esplosione di schegge di luce e riflessi d'azzurro e verde, in corsa tra le onde e il vento, sotto allo sguardo calmo delle molte statue.














Sulle rive dell'Angarsk, a poca distanza dall'Arco, sorge la sgargiante cattedrale, splendida nei suoi colori e molto diversa da tutte le altre chiese della città, che sono bianche o azzurre in stile barocco siberiano.





la chiesa cattolica, ricostruita in pietra dopo l'incendio, che oggi ospita per lo più concerti d'organo

l'edificio sacro più antico di Irkutsk, risale alla prima metà del Settecento


i copertoni per i russi sono come il prezzemolo; stanno bene dappertutto, anche in chiesa!






Non ci siamo poi fatti mancare una visita al Kvartal 130, un intero quartiere molto, molto turistico, ricco di ristoranti, negozi e bar; è stato costruito di recente ma nello stile tradizionale siberiano, con edifici in legno come se ne trovano in ogni via. Nonostante si abbia l'idea del posticcio, del finto, è piacevole passeggiare tra i locali. E poi fanno delle torte e dei milk-shake all'halva che meritano as-so-lu-ta-men-te una sosta.




 



piccioni viaggiatori!










Non poteva poi mancare un saluto al simbolo di Irkutsk, il ferocissimo Babr, cioè la tigre nera siberiana (la parola arriva direttamente dalla Persia) che azzanna uno zibellino. E' un'immagine ripresa direttamente dalle insegne del khanato di Siberia, che erano tali sin dal Medioevo.


La giornata si è poi conclusa con una passeggiata di rientro lungo la via Marx, che è il cuore del paese. Da qui, tra negozi "occidentali" e palazzi di fine Ottocento, si ha uno scorcio su Irkutsk che permette di coglierne l'anima. E' una città più raffinata, più dolce, direi, in definitiva, più umana di Krasnoyarsk. Le vicende storiche che hanno coinvolto questi due luoghi sono molto simili, ma qui la fatica del sopravvivere alla natura inospitale, il titanico sforzo di piegare qualche metro di terra alle esigenze umane è mascherato da una gentilezza di forme che rende tutto meno tetro e spigoloso. Forse, anche, è merito della luce caramellata e dei colori pastello, del fiume azzurro e non color del piombo; forse è merito dell'halva dolcissima, forse, semplicemente, perchè ho potuto condividere questa bellezza con qualcuno.
E' stato detto che la felicità è reale solo se condivisa. Forse è vero.


l'Arbat di Irkutsk... Decisamente meno vivace di quella moscovita







Vista la successiva tappa da Gran premio della montagna, abbiamo concluso con una pantagruelica cena in ristorante belga, dove Raymond si è sbizzarrito con tutti i piatti della cucina francese che un po' gli mancavano. Perchè lui si nutre essenzialmente di pane, uova sode che cuoce negli ostelli e si porta poi in giro, sarrrrdins (da leggere con la r moscia alla francese), miele e maccaroni, che cucina con sugo al pomodoro sul fornellino. Un uomo pieno di risorse. Però se può bere del bianco fermo con un trancio di salmone in salsa di noci non disdegna affatto.





1 commento:

  1. Penso che la visita di questa città, così interessante e piena di colori, abbia ritemprato spirito e corpo. Ma quanto tempo avete impiegato per visitarla? Osservando, scrutando, commentando, fotografando forse neanche ve ne siete accorti; ed è bello quando il tempo scorre così lieve. Sila

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