mercoledì 7 agosto 2019

36-38. Garnett e Kansas city, una città piena di grazia e di storia. Il Missouri ci attende, con le sue ciclabili tra fiume e binari





4/8
Eureka-Garnett
137km

Il Kansas è infinito. Lungo come la carestia, largo, squadrato, vasto, desolante. Infinito, veramente. Non passa mai. E anche oggi ci ha fregati con una foratura, il buso quotidiano, e tanta ansietta e paranoie. E una tappa più lunga, ma parecchio, del previsto.

In realtà la giornata è iniziata bene. Al benzinaio, nonchè general store e ristorante, giornalaio e dom kulturi di Eureka, ho trovato un apriscatole serio a prezzo giusto (2 dollaroni). Voi direte: capirai!
E invece no, signori miei. Non avete idea di che cosa significhi, dopo una giornata passata a penare sui pedali, quando si è deboli e molli di fame, in crisi energetica, vuoti ed esanimi, voi non sapete, non avete idea di cosa voglia dire star lì a trafficare e smadonnare per aprire le latte con il coltello a serramanico che mi porto sempre dietro. Altra fatica, tempo, alta probabilità di lerciarsi i già lezzi vestiti. Mi è capitato, certe sere, di rinunciare a una preziosa scatoletta di tonno, pensate, per la troppa stanchezza e la non voglia di accoltellare la tolla. E poi carichi altro peso nelle borse, perchè non si butta nulla, e la triste latta inapribile resta lì ad aspettarti anche per giorni, nelle borse. Quelle anteriori dedicate alla cambusa/fureria. Un circolo di vizi e dolori insomma.
Sicchè ho preso l'apriscatole. Ne avevo "preso in prestito" uno da un ostello ma non ho mica capito come si doveva usare, e dopo vari fallimentari tentativi, l'ho lasciato in un altro ostello. Sposto beni e servizi, io. L'anno scorso facevo lo stesso con gli asciugamani in hotel, perchè avevo scordato il mio a casa. Ne prendevo uno nell'albergo A e quando era zozzo lo lasciavo nell'albergo B, dove ne prendevo un altro, che poi restava, una volta voncio, nell'hotel C. E così via.
Ma non divaghiamo, è un apriscatole mica una madeleine proustiana.
Insomma, ho preso sto apriscatole. E son contenta. Come dice Trilussa:
"C'è un'ape che se posa su un bottone de rosa:
lo succhia e se ne va.
Tutto sommato la felicità è una piccola cosa".


Dormo male: sento gli insetti camminare ovunque in stanza e su di me, sul letto, sul pavimento e sulle pareti. Penso a Buzzati e al suo scarafaggio agonizzante che chiama la morte. Sogno di essere ancora sulla strada e di non aver trovato nulla per fermarsi la notte, mentre diligenze e carretti pieni di mormoni e cavalli col cappello mi passano accanto. E non hanno occhi, ma vuote fessure nere. Più volte mi sveglio, madida di sudore. Ma la giornata inizia definitivamente quando un ratto, nella specchiera del bagno, inizia a far le bizze e squittire e zampettare forte.
Buongiorno.
Scosto la tenda e, inatteso, si presenta un cielo azzurro limpido di piena estate. Il sole è già alto, e fa una luce morbida di miele su tutto. Persino Eureka, che è proprio un bucio de culo con la b minuscola, sembra un posto carino. Decente. Passabile insomma.





Dopo colazione, che per me consiste in caffettone e gelato, ci lasciamo il paese alle spalle e subito torniamo a tuffarci nel verde verdissimo delle Flint Hills, che, viste con questa luce, con questo cielo buono, sembrano pure più belle. Praterie e campi a foraggio, piccoli boschi di alberi scuri e laghetti si alternano nel cinguettare dei passeri. Le rondini volane basse a caccia di insettii, che fanno vibrare l'aria, e il profumo di erba bagnata che asciuga nel primo tepore impregna l'aria. Tutto è bello, e calmo, e pieno di pace. Se potessimo pedalare così, in questo argento di rugiada controsole, tra queste nuvole di cotone lieve, se potessimo pedalare così, con la luce addosso, per tutto il giorno, saremmo ciclisti felici.







Ogni tanto un ranch o una casetta interrompono la tavolozza di verdi senza però stonare. Davvero son luoghi ameni, e capisco perchè la città sia stata chiamata Eureka. "Ho trovato!", disse il pioniere "Ho trovato una zolla di pace in cui vivere e morire da re, con il cielo, la terra e l'acqua come regno mio su cui posare lo sguardo all'alba e al tramonto".
Per altro, da queste parti, dev'esser passato un classicista, un fratello che ha studiato le lingue dei morti. Dopo Eureka c'è il fiume Homer, Omero, e il paese Virgilio. Non credo sia un caso, in questo scenario bucolico.










La strada corre sinuosa tra i fianchi delle colline, il vento è leggero e la temperatura perfetta. A tratti mandrie di mucche compaiono nei prati, e rendono ancora più agreste e placido il nostro orizzonte.
Riscopro quanto alle mucche piaccia l'acqua: molte stanno immerse in ammollo nelle pozze e nei laghetti artificiali. Nelle foto sotto, anche se sfuocate, se ne intravede una che conversa con un airone.



I primi 40 kilometri sono così, silenziosi e sereni. Tutte le paranoie e le paure sono evaporate al sole.e si sono sciolte nel profumo del fieno che asciuga. Come un aruspice, colgo presagi fausti nel volo dei falchi.





Fa dolce e forse qui vicino passi
Dicendo: "Questo sole e tanto spazio
ti calmino. Nel puro vento udire
Puoi il tempo camminare e la mia voce.
Ho in me raccolto a poco a poco e chiuso
Lo slancio muto della tua speranza.
Sono per te l'aurora e intatto giorno"

(Ungaretti)




Dopo aver passato la riserva lacustre di Toronto, dove la percentuale di armadilli, furetti, tartarughe e procioni spiaccicati aumenta sensibilmente (ma che riserva è?!), arriviamo alla prima sosta del giorno, la stazione di servizio di Mj Murphy, benzinaio, ristorante, negozio tuttivendolo e biblioteca/noleggio DVD in mezzo al nulla, sulla strada.
Prima di entrare, mi cade l'occhio su un gattino nino bellissimo e simpatichello che sta sulla panchina all'esterno. Non faccio in tempo ad accarezzarlo che subito esce un tizio sulla quarantina, un po' trasandato, con gli occhiali da vista tondi e piccoli, che ci fa vedere le foto di altri gattini tigrati che dormono sotto una finestra. E' orgogliosissimo dei suoi micioli, e in effetti son bellissimi. Poi si presenta: "Sono riga di culo, mi chiamano così perchè tengo sempre i pantaloni un po' calati e mi si vede la riga del culo". Guardo. No, ora ha i jeans ben calzati e stretti in vita.
Entrate, forza! Di dove siete?
"Italia"
Ah! Io quando studiavo a New York avevo un'amica italiana, era il '98, lei aveva sui diciotto anni, molto carina, e tutti i giorni mi prepraravo da mangiare! Pasta sugo, pasta Alfredo sauce, pasta pomidoro! Non è difficile da fare ma è fresca, e buonissima! Entrate!


Entriamo e Riga-di-culo ci mostra orgoglioso tutti i prodotti del negozio, dall'acqua pura delle colline (torbida invero) alla limonata fresca di montagna. Ma quale montagna? Non importa. Poi mi spiega come usare un microonde anche senza attaccarlo alla corrente (infatti non va) e poi torna a sedersi al tavolo con un suo collega, collega di ciocche probabilmente. Intanto noto che anche qui l'amore per la natura ha un volto ben macabro e lugubre.


C'è un certo andirivieni di cowboy e tutti si salutano chiamandosi per nome. Una signora ben in carne, vestita con un grembiule sudicio e con una lunga treccia grigia, si sta indaffarando ai fornelli, con fettazze di carne di brontosauro appena scongelate.



Un anziano che parla a gesti più che a parole, e che prima stava alla cassa, ci invita a lasciare un pensiero sul quadernone bisunto che sta ad un tavolo, davanti ai DVD. Dice che ieri è passato un cicloturista cinese che ha scritto una spatanfia lunga così, di una pagina intera, tutta in cinese, e non ha idea di cosa dica. Gli chiedo se sia sicuro che sia cinese, e non giapponese. Potrebbe essere Shawn! Ma no, insiste, era cinese.
Anche noi gli lasciamo una dedica e dei disegnetti simpatici, scritti con la penna-cucchiaio.
Poi l'anziano, tutto soddisfatto, ci dice di prendere dallo scatolino una lucertola di plastica e una fascetta, e metterle sulla bici.
Poi esce a sincerarsi che abbiamo attaccato bene la luserta sul manubrio, ed estrae dalla tasca un coltellaccio da cacciatore con cui taglia ciò che avanza della fascetta. Hai capito il vecio.


Fuori è comparsa la mamma dei gattini, e prima che il micillo inizi a giocare e infastidire la gatta, si vedono spuntare dalla panchina due code, una grande e una piccola, tigrate allo stesso modo. Amoooooooori!




Dunque si riparte, e il mio manubrio inizia a essere un po' affollato.



Ahimè poco dopo Gigi inizia a sentire qualcosa di strano e mi chiede di controllare la sua ruota posteriore. E' forata, molle, brutta, tutta schiacciata ai lati. Oh. No.
Ancora.
Oh. No.
E invece sì.
C'è un paese a poco meno di 30km. Il tentativo, all'inizio, è quello di raggiungerlo prima di cambiare camera d'aria. Tanto con la ruota gonfiata poco, come si riesce con la pompetta, la probabilità di ri-bucare è altissima. Quindi Gigi prosegue e di corsa, fermandosi ogni poco a gonfiare la ruota.




Il disperato tentativo ahimè fallisce miseramente dopo una decina di km. La ruota va a terra del tutto e va cambiata, non ce n'è. Ci mettiamo a trafficare, e ormai siamo espertissimi, purtroppo.
Ci imbrattiamo di grasso e strisciate nere. Le bici sono luride, nonostante i nostri sforzi nel tenerle pulite, e basta sfiorarle per impattaccarsi e trovarsi le mani, le gambe e i vestiti da carrista. A lavoro quasi ultimato accosta un automobilista e ci chiede se abbiamo bisogno di aiuto... "No grazie, ormai s'è fatto". "Bene, vi vedo comunque in ottima forma. Bravi. Anch'io facevo queste cose. Buona fortuna!", e se ne va.



leva copertoni regalato da anonimo magnanimo dopo il Wolf creek pass

Ripartiamo con l'ansiella acida: speriamo di arrivare sani al benzinaio, dove potremo gonfiare bene la gomma. Speriamo di non forare ancora. Siamo solo a 45km, ce ne aspettano altri millemila. Non è tardi, ma siamo già provati e stanchi, psicologicamente e fisicamente. Compare, come spesso in questi momenti, un cartellone a tema religioso, che invita ad esser devoti a Gesù. Ma bene!


Al benzinaio, e al paese, arriviamo davvero, e senza altre forature nel mezzo. Solo il mal di pancia da Kansas. Yates center ci accoglie a braccia aperte, e noi ci lasciamo andare a un silenzioso esultare di naufrago che tocca terra dopo troppe onde.




Qui abbiamo altri attimi di panico, però. Arrivati al primo benzinaio, dove, per altro, il compressore d'aria è a gratis, gonfiamo la ruota ma questa va a terra del tutto. Si gonfia, diventa ben dura e poi PLAF! molle del tutto. Siccome prima la foratura era dovuta a un taglio ad altezza valvola, mi viene il dubbio che aver limato il cerchione possa aver creato bordi affilati. Eppure siamo stati attenti. Eppure abbiamo fatti centinaia, se non migliaia di km, entrambi, con il cerchione limato. Ma questa ruota va a terra, e rapida, come se la camera d'aria fosse squarciata. Tiriamo giù la ruota e stiamo per cambiare di nuovo, quando mi viene il sospetto che il problema sia il compressore, difettoso in qualche modo, che apre la valvola e fa uscire l'aria più che farne entrare. Un tizio in auto ci consiglia di andare al benzinaio di fronte. In effetti lì va tutto bene e la ruota si gonfia e rimane ben dura. Decidiamo, comunque, per sicurezza, di aspettare sia a rimontarla sia a ripartire. Vediamo se tiene. Qui bisogna stare attenti a lasciare un paese: il prossimo è a 30, 40, magari pure 50km. E di auto ne passano poche. Deve essere tutto in ordine.
Così pranziamo, tra brevi conversazioni di passanti che ci chiedono del viaggio e occhiate curiose. Un ragazzo, giunto in moto, si siede accanto a noi sorseggiando una lattina di birra. E' venuto qui da Iola, la prossima città per noi, 30km a est di qui; lui abità là ma la domenica pomeriggio si annoia e viene qui a farsi una birra al benzinaio. Che allegria!
Scopriamo, intanto, che la ruota tiene. Tiriamo un sospiro di sollievo e ci rimettiamo in sella.

Yates Center fu fondata nell'agosto 1875. Fu chiamata così da Abner Yates, il primo proprietario del sito cittadino, che donò un intero isolato attorno al tribunale, con terra per le chiese, un parco pubblcio e molto altro terreno ai primi due figli nati in città. Yates Center è l'unico paese del Kansas ad essere diventato capoluogo di contea prima che ci fosse una casa o un abitante all'interno dei suoi confini. Oltre trenta edifici nel centro,, intorno a Courthouse Square, sono inclusi nello Yates Center Courthouse Square Historic District. 

Ora è un agglomerato di casette ed edifici abbandonati, simile in tutto alle decine di altre città grandi e piccole di questa zona.









Dopo Yates è di novo campagna, di nuovo colline, cielo e nuvole, laghetti e pratoni. E' tutto un po' meno bello di prima, un po' più appassito, sgualcito quasi, nella luce ormai pomeridiana. E noi abbiamo ancora una pigna enorme di kilometri da pedalare! In silenzio, a testa bassa, procediamo. Anche questa giornata andrà pur conclusa, in qualche modo.


Passiamo accanto a Piqua (1882), dove c'è un immenso impianto di silos e un grande cartellone contro l'abuso e il maltrattamento dei bambini. Non oso immaginare quanto sia diffusa qui questa piaga.

Qui a Piqua è nato Buster Keaton, mentre sua madre era in viaggio.





Spesso ci sono scorci che richiamano le campagne di casa. Qui ad esempio sembra di vedere Silla 2, la ciminiera dell'inceneritore di Rho-Pero!


Ma il fiume Neosho, per fortuna, è ben diverso dal canale scolmatore e porta via, con la sua acqua, la dolceamara nostalgia di casa e i giri in bici fatti per tirar sera, nelle lunghe giornate estive appiccicose di sudore e pisolini fuori orario.
Ci attraversa la strada anche un piccolo coyote. Da lontano mi pare una volpe, ma no, è un cugino delle praterie. Ciondola e sparisce tra i cespugli.


Si arriva così a Iola, che si pronuncia Aiòla, tipo "Ola ola vo a dormire nell'aiòla"


La storia di Iola inizia nel 1859. Dopo l'ubicazione del capoluogo di contea a Humboldt , da parte del legislatore, nel 1858, vi fu una grande insoddisfazione tra gli abitanti delle parti centrali e settentrionali della contea, e un certo numero di cittadini selezionò l'attuale sito di Iola, con l'intenzione di farne il capoluogo. Il primo gennaio 1859 si tenne un grande incontro presso la scuola di Deer Creek. Fu deciso di organizzare una compagnia cittadina, che fu immediatamente costituita, e fu quindi adottata una costituzioneGli ufficiali della compagnia, dopo aver tenuto debitamente conto dei diversi punti di vista, scelsero un sito per la città proposta, a circa 3 km a nord di Cofachique, alla confluenza di Elm Creek e il fiume NeoshoIl sito era in parte di proprietà di JF Colborn e WH Cochrane. I terreno furono acquistati e divisi in lotti.


La compagnia cittadina lavorò per costruire la città. Si tenne un incontro per scegliere un nome. Ne furono proposti diversi e la scelta fu determinata a scrutinio. Qualcuno aveva proposto il nome Iola, che era il nome cristiano della moglie di JF Colborn, che fu votato a maggioranza. Nel corso del primo anno si tennero riunioni della società cittadina ogni settimana e furono compiuti grandi sforzi per indurre nuovi coloni a insediarsi. Alla fine dell'anno risultarono venduti numerosi lotti, furono costruiti molti e apportati altri miglioramenti, poiché tutti coloro che acquistavano un terreno dovevano anche svolgere lavori di pubblica utilità. Gli abitanti di Cofachique, volendo ingrandire e rafforzare la loro città, si unirono a Iola e la maggior parte di loro si trasferì poi nel nuovo sito. Lavorarono tutti insieme nello sforzo di assicurarsi la posizione di capoluogo di contea.
Il primo edificio sul sito della città era una piccola capanna di tronchi di proprietà di DB Bayne. Alla fine del 1859, costui costruì in aggiunta una casa di legno. Il primo edificio eretto dopo il rilevamento della città fu un'abitazione completata all'inizio del giugno 1859 da JF Colborn, che aveva vissuto lì fin dal 1857. Al completamento della casa, Colborn e la sua famiglia vi si trasferirono, essendo così i primi coloni nella città di Iola. La prima bimba nata in Iola fu quella proprio Luella E. Colborn.



Intorno al 1859 fu costruito un edificio in pietra che divenne il quartier generale della città in caso di problemi con gli indiani o BushwhackersQuando scoppiò la guerra civile nel 1861, l'edificio e il blocco su cui sorgeva furono fortificati, diventando il forte di IolaIl forte servì sia alla milizia locale sia alle truppe dell'esercito durante la guerra.
Nel 1859 furono aperti due negozi da Aaron Case e James Faulkner, che avevano trasferito i loro edifici e le loro merci dalla città vecchia di Cofachique, e fu aperto il primo hotel. L'ufficio postale era stato in precedenza a Cofachique e Aaron Case era Postmaster, ma, nell'ottobre 1859, l'ufficio fu spostato a Iola; Case era ancora Postmaster, e James Faulkner lo seguì, come suo vice, fino a quando non fu nominato capo ufficio poco dopo. Nel 1860 furono eretti numerosi edifici e la popolazione aumentò a circa 150 abitanti. Furono aperti altri due negozi: uno di prodotti secchi, di DB Bayne, e uno di alimentari, di JM Cowan.
Il 26 marzo 1860 si tenne un'elezione sulla ricollocazione del capoluogo di contea, ma la maggior parte dei voti fu espressa per mantenere il capoluogo di contea a Humboldt. Le persone erano ancora insoddisfatte, e per diversi anni in seguito la questione del capoluogo di contea fu al centro di ogni campagna politica. Molta acredine e amarezza furono così generate tra le due sezioni della contea e dure accuse e recriminazioni furono all'ordine del giorno. Dopo diversi anni di conflitto, fu indetta di nuovo un'elezione, che si sarebbe svolta il 19 maggio 1865. Avendo ottenuto la maggioranza dei voti, Iola fu dichiarata finalmente sede della contea, e gli archivi e gli uffici furono trasferiti in città.


I miglioramenti della città nel 1860 furono quasi tutti realizzati in primavera e all'inizio dell'estate. Nell'ultima parte dell'anno gli effetti della siccità si fecero sentire così gravemente, che, oltre a non riuscire a garantire la sopravvivenza al capoluogo di contea, gli affari crollarono e, per un certo periodo, tutti i cittadini persero le speranze. Nel 1861 scoppiò la guerra e poiché quasi tutti gli uomini abili di Iola, così come della contea, si arruolarono nell'esercito, la crisi ristagnò ancora; e fino alla fine della guerra, nel 1865, la città divenne non più grande di quanto non fosse nel 1860. Nel 1865, dopo il ritorno dei cittadini dall'esercito, alla fine della guerra, la città iniziò a crescere costantemente, e così continuò fino al 1870; avendo ora pure la ferrovia Leavenworth, Lawrence e Galveston, furono fatti rapidi passi avanti per i successivi due anni. Diversi stabilimenti produttivi erano in progetto e alcuni di essi furono costruiti davvero.
Tra le altre industrie, a quel tempo, vi era la King Bridge Manufacturing Company. Per qualche tempo furono impiegati moltissimi uomini e furono fatti buoni affari. Ma con il panico monetario del 1873, il valore delle obbligazioni si era così deprezzato che la società fallì e rimosse i suoi macchinari. Ricevettero obbligazioni in pagamento, in genere, per i loro ponti e lavori, e per questo motivo il "crollo" li rovinò. Gli edifici e diversi acri di terra su cui si trovavano furono venduti da uno sceriffo per 1.100 dollari, acquistati da diversi cittadini di Iola. Il primo registro della città scomparve durante i guai con la King Iron Bridge Company, in relazione al pagamento delle obbligazioni cittadine di quella società; non mancarono problemi con la legge per alcune ordinanze e atti che si dice siano stati emanati dal primo Consiglio comunale. Durante il periodo dal 1873 al 1876, gli affari in tutti i settori furono assai miseri.



L' Allen County Courant fu il primo giornale pubblicato a Iola e fu istituito il 5 gennaio 1867 da WH Johnson. Il 27 luglio 1868 i signori Talcott & Acers lo acquistarono e il nome fu cambiato nel Registro della Neosho ValleyNegli anni seguenti la proprietà della testata cambiò cinque volte e fu brevemente ribattezzata Kansas State Register tra il 24 agosto e il 10 dicembre 1870. Il 1 gennaio 1875 WG Allison e HW Perkins assunsero la direzione e cambiarono il nome del documento in Iola RegistersIl giornale è rimasto repubblicano sotto ciascuno di questi nomi e proprietà diverse.
Quando il capoluogo di contea fu spostato a Iola, la compagnia cittadina donò 100 lotti alla contea, per aiutare nella costruzione di edifici pubblici. Nel luglio 1866, le obbligazioni furono vendute per aiutare a raccogliere i fondi necessari, e non molto tempo dopo un edificio fu acquistato da George J. Eldridge e usato per gli uffici della contea e per tutti gli scopi amministrativi. Nel 1877 fu acquistata una nuova court house, costruita in pietra, per 1.800 dollari, e quella vecchia fu venduta al distretto scolastico per essere usata come scuola, per 500 dollari. La scuola fu tenuta in due edifici, uno dei quali la grande struttura in pietra a due piani eretta nel 1868, e aveva un aspetto imponente con le sue torri gemelle. L'altro edificio era a due piani e si trovava appena a sud della scuola di pietra.
La prigione della contea di Allen, una solida struttura in pietra, fu costruita per un costo di 10.000 dollari, nel 1869 da White & Hays. Nel novembre del 1871 fu votata una tassa di  per sistemare una fattoria povera e in piena crisi.

Poi venne il boom economico portato dalla scoperta del gas naturale, e poi di nuovo la crisi recente.
Iola si è autoproclamata capitale del fieno, per dire.






Noi attraversiamo la piacevole cittadina, curata e graziosa con i suoi giardini dall'erba tosata al millimetro, le case in legno con la bandiera alla finestra e le molte chiese in pietra.
Non mancano i murales che raffigurano Buster Keaton, di cui Iola si è presa il merito dei natali, calpestando i diritti della piccola e disabitata Piqua.



Ci fermiamo in un benzinaio per la merenda, prima dell'ultimo tratto (50km circa, sofferti e tardi et lenti) che ci separa dall'arrivo. Qui le cassiere, tutte sull'orlo della 104, una strabica, una gravemente obesa, una con la barba lunga e grigia, si dimostrano gentilissime e molto interessate al nostro viaggio. I turisti che passano di qui sono, al più devil's angels di provincia. Una dice che aveva capito che eravamo italiani dal mio accento, l'altra invece esce da dietro al bancone e viene a conversare. Vorrebbe venire in Europa, ma la sua sete di avventura ha una soluzione semplice che si chiama no-money. Io, per tutta risposta, mentre tento di dire cose brillanti, rovescio il mio caffettone iper zuccherato e faccio un casino. Capita, mi dicono. Io pulisco e chiedo scusa, mi spiace davvero. Vogliono anche sapere cosa ne pensiamo del loro piccolo paesino.
Che è un mezzo buciodeculo, ma tenuto bene, che te devo di', zia.

Dopo questo bagno di umanità affettuosa e cicciottella, ci rimettiamo in sella per l'ultima tirata. Lasciamo la 54 che va ad est e imbocchiamo la 169 che tira spedita verso nord. Il vento si alza un poco, laterale, e dà fastidio. I saliscendi delle colline non danno tregua, e se al mattino sembrano morbide salitelle, a quest'ora paiono rampe insormontabili. La bici pesa, pesa tantissimo. La stanchezza mi emerge dal fondo delle fibre e affiora alla pelle. Quasi si chiudono gli occhi e pedalare diventa una cantilena, un rosario sommesso, cadenzato, lento, ipnotico. Intorno i campi e i boschetti e i pascoli si impastano in una strisciata grassa di acrilico verde, fa caldo, caldo umido e si respira a fatica. Il tempo rallenta, quasi si ferma. Lo spazio si incolla alle ruote, la strada è immobile. Le cicale intorno, elettriche, un frastuono. Procedo per inerzia. Non ho più voglia, e questo fa tutta la differenza. Spero di trovare un inatteso motel in mezzo al nulla, così sulla strada. Abbiamo già da un pezzo passato i 100km e stiamo andando a Garnett solo perchè lì c'è qualcosa per fermarsi la notte, non perchè sia necessario fare tutti quei kilometroni.

Uno sceriffo, in auto, ferma una macchina. Mentre lo stiamo superando ci fa segno di fermarci. Brutta storia... Invece no, ci dice solo di stare attenti e andare con prudenza.
In effetti la strada si restringe e non c'è più margine oltre la carreggiata. Si pedalata sfiorati da camion e auto, ciondolando nella luce obliqua delle sei del pomeriggio in agosto.

Per altro da tempo già sto provando a chiamare l'unico campeggio cittadino, che porta il nome, assai sospetto di Inn, suites & RV park. Qui in Kansas spesso i campeggi per i Recreationa vehicle non accettano tende, mannaggia a loro, perchè gli fa un po' barbone e le richieste son poche. Nessuno viaggia zaino in spalla da queste parti. E quindi vorrei parlare al telefono con qualcuno per sapere se recarmi lì o puntare direttamente al motel poraccio che sta dall'altra parte della città. Non c'ho core di andare da uno e poi scoprire di dover comunque fare altra strada e bussare a un'altra porta. Però questi malditi non rispondono. Quando finalmente riesco a parlare con la receptionist, che mi fa richiamare per chiedere lumi al suo capo, ho risposta negativa. Niente tende. E vaffanculo.
Sicchè prenoto subito una stanza super cheap all'Economy Inn e temo si tratti dell'ennesima topaia.



Finalmente, quando ormai non ne ho più, arriviamo. Garnett ci accoglie con il cartello che informa che qui è nato il signor Capper, detto anche Mecojoni.
Passiamo dal lago a sud (ce ne è uno anche a nord, e mai che ci facciano un campeggino, anche piccolo... Ah, com'è lontana la California con i suoi state park a 5 dollari a notte e le docce a un quarto di dollaro!).
Ci sono i volti dei veterani e dei decorati di guerra appesi a ogni lampione, e anche un carro armato in bella mostra su un prato, accanto alla bandiera. Come in Russia, coi T-34.



Poi giungiamo al motel, gestito dal solito indiano dell'India, o meglio, del Punjab. Ci accoglie un anziano che non parla inglese, che chiama il figlio, Questi, dopo averci dato la stanza e averci spiegato tuttecose, ci dà anche un sacchettone tipo cuki-gelo per mettere i passaporti, perchè vede che li tengo in una busta tutta lacera e zozza. Oh, carino! Che dorrrrce.

L'inn è particolarmente bello e pulito, e la stanza profuma anche dopo che ne abbiamo preso possesso, con i nostri vestiti luridi e le scarpe puzzone e le borse da cui emana odore di morte. Non facciamo una lavatrice seria da millenni, forse addirittura da Los Angeles, e i vestiti sporchi, sudati, madidi di pioggia e fango e umori puteno. Gigi chiede se per caso abbiamo imbarcato una carogna di armadillo, tanto il tanfo è terribile. No, no, tutta roba nostra!





Andiamo in bici a far la spesa al solito Dollar general e ceniamo con gusto, mangiando tanto, fors'anche troppo. La digestione ci impegna le ultime energie rimaste, e crolliamo in un sonno nero e profondo come il Tar pit di LA, quello con dentro i mammooth di plastica, che abbiamo visto un mese fa, pure meno, ma sembra risalire a un'altra vita, ai ricordi di un'era precedente a questa. Ogni giorno succedono talmente tante cose, quando si è in viaggio, e tutto è talmente nuovo e fuori dall'ordinario, dal quotidiano, dal comfort zone, che il tempo pesa e vale il doppio, il triplo. Un giorno così è come una settimana, o più a casa. E' questo il bello. Si torna ricchi e pieni.
Domani arriveremo a Kansas city, dove faremo finalmente un giorno di sosta da turisti. Ho già un'idea di cosa andare a vedere. Ho anche prenotato per due notti un onesto motel 6 in periferia, a Lexena. In centro gli hotel costano troppo e ci costringerebbero a fare più kilometri sia domani si tra tre giorni, quando andremo a imboccare la prima delle grandi ciclabile delle Great Plains, la rock island trail.



5/8
Garnett-Kansas city (Lexena)
107km

Oggi tutto va per il verso giusto, e lo posso dire anche a fine giornata, ora, mentre scrivo dalla stanza del motel 6 di Lexena. Le luci sono quasi tutte spente e Gigi dorme già da un'ora. C'è profumo di pulito: abbiamo fatto il bucato alla coin laundry del motel e tutto è fresco e lindo. Domani andiamo per parchi e musei, a piedi, lasciando riposare i calli al culo, alle mani e ai piedi. Che meraviglia! Poi ripartiremo belli carichi per la seconda (un po' meno invero) metà del viaggio. Questi 10 giorni dopo le montagne rocciose sono stati davvero duri e siamo provati dalle tappe lunghissime e controvento, in paesaggi sconfortanti di monotonia e sfiga per le forature e i temporali. Abbiamo pedalato, finora, 3896km. Ne mancano, almeno, altri 2500. Questo viaggio ha tutta l'aria di diventare il più lungo, per me, finora. Sembra che galoppi rapido per superare, e di qualche centinaio di kilometri, il giretto russo, da Mosca alla Mongolia.

Ma lasciamo da parte i freddi numeri, ora, e torniamo alla tappa di oggi. Una tappa tranquilla e piena di grazia, finalmente. Si vede che siamo agli sgoccioli del Kansas e che il Missouri, stato di lunghe piste ciclabili, ci sta chiamando!

Usciamo da Garnett presto ma non troppo: oggi ci aspettano solo un centinaio abbondante di kilometri e abbiamo già una sistemazione per la sera. Dobbiamo semplicemente trasferire le nostre chiappe secche e le grasse bici dal punto A al punto B.


C'è un sole tiepido e nessuna idea di temporale in cielo. Garnett, vista al mattino e senza addosso la stanchezza appiccicosa di vischio della sera, è una ridente cittadina di campagna, verde di prati tosati al millimetro, con le sue casette ordinate, le bandiere in giardino e due sedie a dondolo sotto ogni veranda, per ammirare il prato tosato al millimetro e la bandiera in giardino e il proprio ombelico e i diti dei piedi sotto alle sedie a dondolo.
La città è stata fondata nel 1856 e non è cambiata poi molto, da allora.






Ogni casa ha davanti il giornale, chiuso nel suo sacchetto di plastica. C'è silenzio ancora, a quest'ora, in una settimana di probabile vacanza dei più.



Imbocchiamo di nuovo la 19 nord, quella su cui ieri, da Iola a Garnett, abbiamo trovato un gran vuoto di sole mucche e pascoli. Oggi invece ci sono più città, ed è ricomparso persino lo spazio a bordo strada su cui pedalare in sicurezza, la nostra zona di comfort.




Intorno le colline umide della prima luce e un paesaggio agreste degno di un poemetto.





La strada corre in curve sinuose ed è un piacere pedalare, ma davvero. Peccato solo faccia un gran caldo, già fin d'ora, ed è un caldo umido di quelli che i milanesi conoscono bene.






L'asfalto scorre sotto alle ruote ed è docile e mansueto. Un po' meno lo sono le rane enorme che saltano in giro per la strada. Gigi ne prende in pieno una grossa come un gatto, la quale salta, rimbalza sulla sua gamba, poi sulla ruota, fa un triplo carpiato in aria, con volteggio scenico, e quasi rischia di farlo cadere. Poi vai a spiegare ai soccorritori del 911 e alla compagnia assicurativa che ti sei fracassato la testa per colpa di una rana volante! La vista del batrace che salta altissimo, sparato nell'etere dalla ruota, e che si gira di pancia come in un cartone animato, con gli occhi a croce, mi fa ridere per i successivi 50km.


Arriviamo a Osawatomie, che è il luogo prescelto per la prima pausa della seconda colazione.
Un vecchio rinsecchito ci fa mille domande sulle bici, sulle borse e sul viaggio, ed è tutto entusiasta. Poi ci chiede da dove veniamo e, quando sente che siamo italiani, gli si gela la faccia, ci saluta di fretta e se ne va. Non è la prima volta che capita.

Il nome Osawatomie è deriva dalle due tribù di nativi americani della zona, Osage e Pottawatomie. Inoltre, la città è delimitata da Pottawatomie Creek e dal fiume Marais des Cygnes (parte del sistema del fiume Osage), il cui nome ha la stessa origine.
Il trasporto di coloni da parte della Emigrant Aid Society nel Territorio del Kansas come base per le forze dello Stato libero ebbe un ruolo chiave nella creazione della comunità di Osawatomie nell'ottobre 1854. Stabilita dagli abolizionisti nella speranza di aiutare l'ingresso del Kansas negli Stati Uniti come stato libero, la comunità di Osawatomie e le comunità a favore della schiavitù nelle vicinanze sono state rapidamente coinvolte nella violenza degli scontri.
Nel marzo 1855, gli abolizionisti Rev. Samuel Adair e sua moglie Florella si stabilirono in una capanna vicino a Osawatomie per servire come missionari nella comunità. Il fratellastro di Florella, John Brown, arrivò a "Bleeding Kansas " più tardi lo stesso anno con un carro di armi per aiutare a combattere le forze pro schiavismo come i suoi cinque figli, che vivevano già in un'altra comunità nell'area. Brown venne poi ad Osawatomie per visitare gli Adairs e combattere lì. Nel 1856, dopo essersi affermato come leader dei guerriglieri dello stato libero, Brown fece di Osawatomie e di Adair la sua base. In un'incursione del maggio 1856, Brown uccise cinque  schiavisti lungo Pottawatomie Creek vicino all'attuale città di LaneQuesto è stato chiamato il "Massacro di Pottawatomie ", che ha infiammato i combattimenti in tutto il territorio del Kansas. La seconda e principale battaglia di Osawatomie ebbe luogo il 30 agosto 1856. Osawatomie ebbe un ruolo chiave durante la guerra civile, servendo da centro per l' attività di Jayhawker.
Nel 1857 Osawatomie divenne una città e nel 1859 ospitò la prima convention del Partito repubblicano del Kansas. La legislatura del Kansas istituì l'Ospedale di Stato Osawatomie nel 1863, il primo ospedale psichiatrico ad ovest del fiume MississippiHa ammesso il suo primo paziente nel 1866 ed è ancora operativo. Nel 1879 fu costruita una ferrovia per servire Osawatomie, favorendo la sua crescita come città di rifornimento e di spedizione. Di conseguenza, Osawatomie crebbe fino a una popolazione di 4.046 entro il 1910. Osawatomie fu un punto di snodo per la Missouri Pacific Railroad e Union Pacific Railroad dal 1879 al 1985.




C'è un museo dedicato a John Brown e alla battaglia di Osawatomie.
La prima scaramuccia ebbe luogo il 7 giugno 1856. Tuttavia, non vi fu molto combattimento e non fu versato sangue. Gli edifici della città furono saccheggiati e alcuni cavalli furono presi. Il conflitto più grande e principale, noto come Battaglia di Osawatomie, iniziò il 30 agosto 1856 quando John Brown si accampò proprio a nord della cittadina. Un gruppo di schiavistidi 250 uomini, guidato da John William Reid, arrivò a cavallo. Uno dei figli di John Brown, Frederick Brown, in quel momento stava camminado in zona e 
venne fucilato sul posto. Quando il reverendo Adair sentì il colpo, mandò suo figlio ad avvertire e avvisare John Brown del raid. Brown e 31 guerriglieri dello stato libero presero posizione per tentare di difendere Osawatomie. Forti spari hanno avuto luogo per oltre 45 minuti, fino a quando Brown e i suoi uomini hanno finito le munizioni. Si ritirarono sperando di essere inseguiti e la comunità di Osawatomie sarebbe rimasta al sicuro. Tuttavia, nonostante i tentativi di Brown di farsi seguire dagli uomini di Reid, questi preferirono saccheggiare e bruciare la città. Solo tre edifici rimasero in piedi.



Il 31 agosto 1910, il presidente Theodore Roosevelt tenne il suo famoso discorso sul Nuovo nazionalismo in Osawatomie. La questione centrale da lui sostenuta era la protezione da parte del governo del benessere, dello stato sociale e dei diritti di proprietà .
Il 6 dicembre 2011, il presidente Barack Obama ha tenuto un discorso sull'economia, riprendendo molti dei temi di Roosvelto, alla Osawatomie High School.


Noi ci limitiamo ad un caffettone. Riesco anche a fotografare il buffo biroccio dei postini, che pare l'auto di Topolino.



Poi si riprende. Qualche nuvola vela il cielo ma non minaccia pioggia. Aumenta l'afa, ma la stanchezza ancora non si fa sentire.


Passiamo Paola, che si chiama come mia zia.
I nativi americani , poi esploratori spagnoli come Francisco Vásquez de Coronado nel 1541, e i  missionari francesi nel 1673 vissero e viaggiarono nell'area di quella che oggi è Paola. Nonostante queste prime incursioni europee all'inizio del XIX secolo, l'area fu ampiamente controllata dal popolo Osage.
L'insediamento dell'area si verificò principalmente, tuttavia, quando le tribù Kaskaskia, PeoriaWea e Piankeshaw furono costrette a trasferirsi nell'area tra il 1827 e il 1832. Queste formarono la Tribù Alleata Confederata, guidata da Baptiste Peoria, che era di etnia sia francese che indiana. Hanno chiamato il loro insediamento Peoria Village.
Verso il 1840, i coloni euroamericani si stavano trasferendo nell'area e diversi missionari vivevano dentro e vicino al "Peoria Village". Uno di quei missionari era un prete italiano che si trasferì nell'area nel 1852. Al sacerdote, padre Paolo D. Ponziglione, fu concesso l'onore di ribattezzare Paola il villaggio, proprio come la città sulla costa della CalabriaGli indiani Peoria della zona continuarono a chiamarla Paola, perché avevano un grande rispetto per padre Ponziglione.
Nel 1854 vi fu un gran numero di coloni che si trasferì nell'insediamento e nel 1855 fu istituita una comunità cittadina. Nel 1855, la Prima legislatura territoriale approvò un atto che incorporò la Paola Town Company. La Paola Town Company e in particolare il suo membro Baptiste Peoria con sua moglie Mary Ann Isaacs sono considerati influenti nella fondazione e nello sviluppo di Paola fino alla metà del 1860.


Durante la guerra civile fu istituito un forte militare sul lato ovest di Bull Creek, a ovest di Paola. A volte le truppe erano all'interno della stessa Paola. A Paola fu  risparmiato un attacco il 21 agosto 1863, dalla guerriglia confederata William C. Quantrill durante la ritirata di Quantrill dopo aver fatto irruzione in Lawrence.
Dopo l'ammissione del Kansas all'Unione nel 1861 e dopo la guerra civile aumentarono le pressioni sulle tribù dei nativi americani che furono esiliati in Oklahoma nel 1868. Alcuni individui rimasero e divennero cittadini degli Stati Uniti, tuttavia, il loro leader Baptiste Peoria lasciò Paola con la tribù. Dalla fine del 1860 e fino al 1870, Paola crebbe e progredì, costruendo la sua prima scuola, prigione e banca.


La ferrovia arrivò a servire Paola nel 1870. Dopo la scoperta del gas naturale nel 1882, Paola divenne la prima città ad ovest del fiume Mississippi ad usarlo commercialmente e ad illuminare la città usando lanterne a gas. Nel 1898 fu costruito il tribunale della contea di Miami, progettato dall'architetto George Washburn. Diverse case ed edifici furono progettati da Washburn, tra cui il gazebo di Paola Park e la Biblioteca libera di Paola. Martha Smith fece costruire l'edificio della Biblioteca Paola in onore di suo marito John, un enologo. È stato completato nel 1906 e il gazebo in stile vittoriano di Paola Park Square è del 1913. La biblioteca, il tribunale, il gazebo e diverse case sono tra quelli ancora in uso oggi.
Nel 1912, James Patterson si trasferì a Paola per stabilire i suoi quartieri invernali per il suo circo itinerante, il Patterson Circus. Il circo continuò fino al 1927. Un murale basato su un opuscolo circense del 1924, si trova a 106 W. Peoria. La casa del Patterson si trova ancora a Paola.




Infine, come ultima sosta, pedalati 70km, ci fermiamo a Spring Hill, fondata nel 1856.
Nel gennaio del 1859 Celia Ann Dayton, una dottoressa nel Vermont, divenne la prima dottoressa nello stato del Kansas trasferendosi a Spring Hill. Giunse con il figlio adottivo Hiram Eugene, anch'egli medico, e suo marito Amos arrivò pochi mesi dopo. Hiram fu ucciso nel gennaio 1862 durante la guerra civile americana dopo essere stato scoperto come spia per l'UnioneSempre nel 1862, Celia divorziò da suo marito, il che era molto raro per quel periodo. Celia aiutava frequentemente i rifugiati neri e si dice che facesse parte della ferrovia sotterranea. Nell'autunno del 1862, Spring Hill si evitò che i Predatori di Quantrill entrassero in città perchè un contadino, lungo la strada, li convinse con calma del fatto che non ci fossero soldati in città. Tuttavia, un anno dopo, nel 1863, i Raider di Quantrill marciarono su Spring Hill, saccheggiando le imprese in città e rubando agli agricoltori locali. Almeno un cittadino è stato ucciso.
Nel 1870, Spring Hill stava crescendo in popolazione e ricchezza. Tuttavia, una ferrovia che attraversava la città voleva bypassare Spring Hill a meno che non pagasse $ 15.000. I residenti non volevano condividere i costi e i binari furono spostati a circa mezzo miglio a est. Le attività commerciali della città si spostarono rapidamente per avvicinarsi al deposito e ai binari del treno. Nel 1874, la depressione economica del paese colpì Spring Hill. Anche quell'anno, sciami di cavallette divorarono lle piante, quindi passarono ad oggetti come vestiti, coperte e scarpe. Perfino le imbracature di cuoio, i manici delle forche e le aste di recinzione non erano immuni. Di conseguenza, le fonti d'acqua furono inquinate e i giardini e le colture furono devastati. La carne del bestiame era immangiabile.
Dopo essersi ripresa ed essere cresciuta, Spring Hill, nel 1957, fu devastata da un tornado che uccise anche due bambine.


Noi conosciamo le due cassiere della stazione di benzina, che ci chiedono cosa ci facciano due italiani in giro in bici per il Kansas. sentita la risposta, si profondono in esagerati WOOOOW.

Ripartiamo, mancano poco più di 30km. Tra chiese grandi come centri commerciali e piccoli saloon sgrausi di periferia, lasciamo al 169 per imboccare una stradina di campagna stretta stretta e tutta a saliscendi. Non ci viene risparmiata nemmeno una collina, neanche una piccola salitella. Le infiliamo tutte.


Passiamo per i quartieri bene a sud di Kansas city, mentre muoviamo verso Lexena. Ci sono case da super ricchi, in quartieri da super ricchi, con parchi e giardini da super ricchi. Via, via. Non è posto per gente normale, non è posto per comuni mortali, questo.





Noto che, nonostante le case paiano manieri rinascimentali e gli asili e i college  castelli, anche qui la quadriglia e i balli campagnoli da aia e da cortile vanno alla grande. Si studiano a scuola, ci sono saggi e gare. Fa curriculum qui la danza del pulastritt!


Sudati e stanchi di fatica accumulata, arriviamo al nostro motel 6, in periferia di Kansas city. Mi accoglie il solito punjabi che resta così stupito del nostro viaggio da chiamare la moglie e un amico, e poi mi chiede un autografo. Appena sfiorato il letto, prima ancora di fare la doccia e togliermi i vestiti da ciclista, crollo in un sonno con bavetta sul cuscino.
Poi ci sistemiamo, ci laviamo e facciamo una lavatrice gigantesca. Spesa e cena, con l'idea allettante che per domani non si cambia tetto, e non si pedala. Domani faremo i turisti da museo e da passeggiata al parco, per un giorno. Sono assai curiosa di scoprire questa città che sarà la nostra porta del Missouri, città di confine, a cavallo tra due stati, ricca di arte e storia, ma pure di distillerie e gioco d'azzardo.

6/8
Kansas city
14km a piedi!

Dunque, partiamo da un'affermazione semplice semplice.
Kansas city è una città bellissima.
Non sto esagerando. E' bella davvero, bella forte, bella in tutto.
Certo, l'impressione che ne abbiamo ricevuto, in questa breve giornata da turisti, è parzialmente falsata dalla sterminata serie di paesini di merda inanellati nell'ultima settimana e mezza. Visto tanto brutto, vissuta tanta sciatteria, un così esteso piattume di noia e ranch, qualunque cosa poco poco passabile potrebbe sembrare la quarta Roma. Un po' è vero, innegabile.
Ma non mi sono ancora mai ridotta, in questo viaggio, ai livelli della Russia asiatica, post Urali, e della Siberia; là ricordo che tale era il selvatico, immutabile, immenso e ininterrotto susseguirsi di betulle, steppe e boschi grezzi, che un giorno, arrivata in una gostinitsa marcia, dopo giorni di pioggia e fango, dopo il grigio umido di muschio e rasputiza, rimasi estasiata ad ammirare i disegni delle piastrelle del bagno, mentre facevo la doccia. Erano piastrelle terribili, ocra con disegnate delle divinità egiziane un po' storte, un po' sbavate, degli Horus simili a Paperino e degli Anubi-Pippo.
Ma erano colorati con tinte vivide di lapislazzulo e rosso, oro e nero. E le linee erano precise e nitide e fatte per essere piacevoli allo sguardo. Era arte, quella, o artigianato almeno. La presenza dell'uomo che si afferma nel tempo e nello spazio, e cerca di superare così la finitudine, con la bellezza. Il senso stesso del bello, la kalokagathia che vince la morte, ecco. L'uomo è uomo perchè sa di dover morire. E, sapendolo, crea, con gesto poietico, meraviglia.

Dicevo, dunque, che KC, come la chiamano i locals, è bella, e non lo dico perchè vengo da giorni di assenza di bellezza.
KC è bella e basta, di suo.

Ci siamo alzati con calma, tanto oggi non ci attendevano la strada e l'ignoto. Abbiamo approfittato del caffè alla postazione "rise and shine" del motel (giuro, si chiama così) e poi ho studiato un poco il programma della giornata. Le città, qui negli Usa, sono enormi, inafferrabili. Bisogna essere molto precisi, quasi chirurgici, nel scegliere cosa vedere. Altrimenti si perde troppo tempo negli spostamenti, e non si conclude nulla.
Lo studio, oltre ai luoghi, si è rivolto anche al come raggiungerli. Uber? Mh... Caro e troppo frettoloso. Meglio i mezzi pubblici, i bus soprattutto, che servono la città in maniera comoda e permettono di godersi il viaggio, tra i quartieri, in mezzo alla gente.
Mentre tentavo di acquistare un abbonamento via app dei mezzi pubblici di KC, la prima bella sorpresa: il giorno dell'iscrizione si può salire a gratis su tutti i pullman, mostrando il telefono. Urca! Che botta di chiulo!



Così ci imbarchiamo, dopo una discreta scarpinata per raggiungere la fermata. Ci attende quasi un'ora di viaggio; in fondo sia a Lexena, in estrema periferia. La prima destinazione è il quartiere commerciale in stile moresco costruito negli anni '20 e rimasto perfetto nei suoi curatissimi dettagli: il Country club plaza.
Per arrivarci, passiamo da una serie di micro-città e quartieri, divisioni amministrative e nuclei abitati di case perfette, curatissime, in legno o mattoni, con i loro giardini perfetti, l'erba morbida e verde omogeneo e rasata con le forbicine per le unghie. Poi ci sono anche intere zone immense di centri commerciali e negozi di dimensioni spropositate. Ma ne parliamo dopo.
Un cartello, a metà corsa, indica anche che siamo entrati in Missouri. Kansas city infatti si trova alla confluenza tra i fiumi Kansas e Missouri, e al confine tra i due omonimi stati. Ma il passaggio di stato vero (da solido a liquido a gassoso), in bici, lo faremo domani.

A proposito di bici, che l'aria è cambiata rispetto al motorizzatissimo Kansas lo si capisce subito, apena scesi dal bus. Ciclabili e noleggio bici! Wow, come sono avanti! E, per di più, i prossimi 500km per noi, fino a St Louis, saranno proprio su ciclabile. Mica male!



Kansas city è la più popolosa città del Missouri e vanta un curioso primato: è seconda solo a Roma per numero di fontane, avendone quasi 200. FontanTe!
KC è definita un gioiello imperdibile, la perla delle Great Plains (che non sono affatto plain); è famosa per i barbecue (oltre 100 locali che ingolfano arterie e intestini di carnazza bisunta e pesissima in quantità industriali) e per la birra e i liquori, oltre che per il jazz. Ci si potrebbero passare giorni, settimane o mesi: i quartieri sono tutti belli e animati e si respira un'aria tranquilla ma non smorta, rilassata e fresca. Insomma, ci si passeggia volentieri. Ci si potrebbe anche vivere, non fosse che a me, queste cittadone immense, moderne e senza radici, sembrano di conseguenza senz'anima. Si vive dispersi come in un formicaio, ma non ci sono homeless, neanche uno. Questo è un bel segno, a patto che non li abbiano fatti sparire appositamente, come in Russia.

KC è nata nel 1821 come stazione commerciale, ma iniziò a crescere davvero solo nell'era dell'espansione ad Ovest; passavano di qui i pionieri che, scesi dai fumanti battelli a vapore del Missouri, prendevano le vie di terra e polvere, sole e neve verso l'Oregon, la California o Santa Fe.
Il jazz esplose invece come un fuoco d'artificio negli anni '30, quando era sindaco Tom Pendergast, il quale, grand'uomo, autorizzò la libera circolazione degli alcolici in pieno proibizionismo. Davvero, un santo laico! Questa fu l'epoca d'oro di Kansas city, che, in quel periodo, vantava oltre 100 locali notturni, sale da ballo e teatri di varietà, in cui ci si divertiva, si alzava il gomito e si cantava e si ballava senza vergogna. Purtroppo questi anni ruggenti si chiusero con l'arresto del sindaco per evasione fiscale (tipo Al Capone) e, a metà anni '40, lo spirito che aveva animato la spina dorsale della città si era quasi del tutto spento.

Oggi KC è una città viva. Molti quartieri conservano gli edifici degli anni '20, ristrutturati e tenuti in gran cura, al punto da essere di per loro un'attrazione. Ci sono parchi immensi e molto verde pubblico, musei per tutti i gusti, ristoranti, locali e gallerie. L'arte, di certo, è di casa.

Noi, come dicevo, iniziamo con un assaggio del quartieri Country club plaza. Risale agli anni '20 ed è un elegante quartiere commerciale, dove hanno sede numerose catene di lusso, ma pure negozietti di intraprendenti artigiani di ogni tipo, dal pasticcere allo scultore.
Ciò che colpisce sono i numerosi edifici in stile spagnolo e moresco, curati in ogni dettaglio, in ogni intarsio di finestra.
E poi ci sono fontane e sculture nelle strade, spesso repliche di opere europee, classiche o neoclassiche.

















il cignalo replica di quello fiorentino!














Non se so è l'arte diffusa e gratuita, così appoggiata per strada, se sono i fiori coloratissimi e così rari, se sono gli edifici o il sole alto e buono... Ma mi innamoro a prima vista di KC. C'è un silenzio che vibra di voci lontane e risate, miste al gorgogliare sommesso del fiume. Mi dà l'impressione che qui abbiano voluto costruirsi un pezzo di Europa, di bellezza, di storia, di piacere estetico nei muri e nelle vie, e ci siano riusciti alla perfezione. All'americana.
Sul Brush creek sventolano le bandiere di tutte le città con cui è gemellata KC e non mancano tocchi orientali, cinesi e giapponesi, in questo bel frappè di stili.


















Con gli occhi colmi di inattesa meraviglia, ci spostiamo a piedi verso i due musei d'arte più famosi della città, che stanno a sud, vicino a the plaza. Entrambi sono gratuiti.




Il primo è il piccolo ma apprezzabile museo di arte contemporanea, il Kemper Museum of Contemporary art, di fronte a cui si trova una delle numerose università cittadine.




Come in ogni museo d'avanguardia, ci sono delle grandiose cacate, come questo albero di pavoni e fagiani impagliati




ma pure delle apprezzabilissime opere d'arte





In una manciata di minuti di arriva a piedi anche all'altro museo d'arte, il Nelson-Atkins museum of art. Raccoglie tantissime opere d'arte da tutto il mondo, dall'Europa all'estremo oriente. E' enciclopedico il giusto ma, a quanto pare, propone ottimi opuscoli per visite autoguidate. Sfiga vuole che oggi sia martedì, e martedì il museo è chiuso. Lo so bene, ahimè. Ma ci andiamo comunque per ammirare l'edificio in stile neoclassico egli enormi volani da badminton che lo abbelliscono, sparsi nei prati intorno. Leggo sulla guida che il museo è come una rete, i prati il campo da gioco. E vabe', son cose!














Da lì prendiamo un altro bus e ci spostiamo più a nord, dove ci attendono due luoghi pregni di storia: la Union station, sui cui binari da oltre cent'anni corrono le stelle e le strisce, e il museo della Grande guerra.
Verso la stazione subito spicca lo skyline di Crossroads, il quartiere delle arti, e Crown plaza, costruito negli anni '70 con palazzoni, grandi alberghi e la sede della Hallmark, l'azienda nota per i suoi biglietti di auguri.





Union station è una stazione che vanta più di un secolo di storia e oggi ospita vari cinema, musei e spazi espositivi. Noi ci limitiamo ad ammirare i grandi saloni abbelliti con piastrelle decorative e legno, nel via vai di gente. Ma quasi nessuno va davvero a prendere il treno. Qui si viene a pranzo, a vedere un film o a farsi un giro al museo delle scienze.






O anche a papparsi il gelato più buono del mondo, in una piccola pasticceria seminascosta, che cela fudge, mele candite e gelati ai gusti più golosi. Io vado con un sea salt caramel e chocolate and peanut butter vanilla biscuit. Tutto con dentro gran pezzettoni delle succitate delizie. Ambrosia pura.









Così rifocillati ci spostiamo al National WWI Museum. Si tratta di un'intera collina dedicata allo sforzo bellico e alle vittime della prima guerra mondiale, americane e non. Fin da subito mi ricorda un park pobiedi, un parco della vittoria, di quelli che si trovano sparsi in giro in tutta la Russia e nei paesi ex sovietici. Là sono dedicati ovviamente alla seconda guerra mondiale, e sono più aggressivi, con i T-34 e le armi ben in vista, e le liste lunghissime dei caduti scritte nel bronzo, scontrino di sangue.
Una cosa subito noto. In Russia ogni paese, città, villaggio o gruppo di capanne ha il suo monumento ai caduti. Con 300.000 nomi o 3 soltanto, non mancano mai, almeno, un cippo, due date e una corona di fiori, magari secca, ma presente. Qui in Usa, invece, questo memoriale è forse il primo evidente che mi salta agli occhi. Come se tuttora le due guerre non fossero sentite come davvero americane, anche, oltrechè europee. Come se fossero "affari nostri", del vecchio continente stanco e lacero e bizzoso, in cui "loro" son venuti a dirimere in fretta le controversie, come una madre con i due figlioletti che litigano per un giocattolo. Eppure, di morti, ne hanno avuti. Eppure, di croci, ce ne sono, in Europa e in America, bianche e tutte uguali, piantate nella terra che non è lieve, mai.

Noi entriamo dall'imponente liberty memorial, inaugurato nel 1923 alla presenza pure di Armando Diaz.
Lo sguardo rimbalza tra lo skyline a nordo, verso la stazione, e la muta torre bianca che svetta su tutte le anime dei morti in guerra, e sembra un urlo silenzioso e pietrificato come i volti dei soldati uccisi da una scheggia o da un proiettile, come li descrive Ungaretti, con la bocca digrignata volta al plenilunio e la congestione delle mani penetrata nel suo silenzio.











In cima, sul piazzale del memoriale, ai lati della torre, stanno due sfingi che si coprono il volto con le ali, e due edifici, settori separati del museo. Nel primo ci sono cartine e foto delle terre devastate, ridotte a cenere infertile, dei campi di battaglia. Nell'altro la situazione all'indomani della fine della guerra, tra totalitarismi pronti a esplodere, un'Europa in ginocchio e, in tutte le Russie, la rivoluzione.












Leggo sulla guida (non ho quella cartacea: pesa troppo, ed è in più volumi. Ma l'ho fotografata puntigliosamente prima di partire, e, mano a mano che il viaggio procede, cancello le foto dei luoghi ormai alle spalle. Ho fatto un lavoro della Madonna, ma sta tornando assai utile!). Leggo sulla guida, dicevo, che la Grande guerra è poco nota all'americano medio, che se ne dimentica facilmente. E questo qui è un gran tentativo di non dimenticare. Che è la cosa fondamentale. La storia.
Ci sono preziose foto e documenti, divise, armi e mezzi di ogni genere, oltre a filmati eccezionali e un repertorio enorme di giornali, poster, materiale audiovisivo e scritto, ma pure materiale. Una roba così l'ho vista a Londra e a Vienna, e basta.















Non mancano delle coinvolgenti ricostruzioni delle trincee, perchè, va detto, gli americani sono fantastici nel rendere appetibili le nozioni. Ad ogni angolo dell'esposizione ci sono pure guide fin troppo pronte ad attaccar bottone.
Per entrare nella galleria principale del museo, oltretutto, si cammina su una passerella trasparente su un campo di papaveri. Bello.
Meno bello il fatto che si dedichi gran spazio ad armi e divise, e poco alle terribili, disumane, indicibili condizioni di vita (e di morte) dei soldati al fronte.
Mi ha stupito anche che, nonostante l'attenzione grande riservata ai corpi di medici e infermieri, alla Red cross e autisti di ambulanze, non ci sia nemmeno una piccola noticina in cui si legga il nome di un personaggio a caso: Ernest Miller Hemingway.
Non compare, non c'è. Come non fosse mai esistito. Forse ancora dà un poco fastidio il suo orientamento politico?










Dopo questo impressionante tuffo nel fango e nel sangue, in una delle più nere pagine della nostra storia, torniamo fuori, a respirare il sole del pomeriggio. Purtroppo sono già le 17 e dobbiamo rinunciare all'ultimo museo in programma, l'Arabia Steamboat museum. Si trova a River market, sul fiume, ed espone 200 tonnellate di "tesori" (roba) recuperate da un battello fluviale affondato nel 1856 (come molte altre centinaia di imbarcazioni colate a picco nel fiume). Già avevo considerato di lasciar fuori il Negro leagues baseball museum, dedicate alle squadre afroamericane ai tempi della segregazione nello sporti, il jazz museum, e i mille altri interessanti luoghi di cultura e memoria che questa città offre. Mi spiace che quello di Strawberry hill sia chiuso: è dedicato agli immigrati di KC, soprattutto russi e dell'Europa orientale. Da lì si vede anche il punto esatto in cui il Kansas getta le sue acque nel Missouri.


Noi facciamo giusto in tempo a tornare verso il nostro Motel 6 di periferia, con un altro viaggione in bus. E a perderci per qualche momento nei centri commerciali che stanno vicini all'albergo. Stamattina, uscendo, abbiamo visto un enorme edificio che reca l'insegna "Sports + outdoor" e ci è rimasta la curiosità. Va detto. C'è un blocco intero di quartieri TUTTO occupato da mega centri commerciali, mall grandi come 5, 6 palazzi. Per andare dall'equivalente Ikea all'equivalente Decathlon, passando per un altro paio di grandi magazzini, si cammina pure per 2 o 3km, in una sfilata di vetrine e porte e carrelli e merce. Un nuovo girone infernale che Dante non poteva immaginare.




Io provo dei caschi MOLTO allettanti, ma ci limitiamo a comprare due camere d'aria (una presta una schrader) e un adattatore per gonfiare le presta al benzinaio, con attacco schrader. Alla sezione campeggio vendono inutili amenità super invitanti. Tipo millemila generi di depuratori d'acqua, tende, sacchi a pelo micro, roba super tecnica e ultraleggera, coltelli e balestre, cibo  liofilizzato e via così. Per fortuna i prezzi tengon lontani dagli acquisti compulsivi.



Nel reparto caccia, purtroppo assai fornito, vendono pure queste sagome qui. Ma ce la fanno?


Ceniamo con la bella spesa fatta da Target, con tanta frutta e verdura finalmente, e risistemiamo un po' la stanza, così da far tornare tutto il più possibile nelle borse e non perdere tempo domattina.

Ci attende infatti, se tutto va come previsto, una tappona bella impegnativa, sui 140km.
Dobbiamo pedalarne 60, infatti, verso est, entrare in Missouri e raggiungere Pleasant Hill. Da lì parte la Rock island trail, una ciclabile di oltre 70km che segue il percorso di una ferrovia dismessa. A Windsor, dove ci fermeremo (ci sono motel e campeggi in gran numero, tutti bike-friendly), questa ciclabile incrocia la sorella più grande, la Katy trail, che tira dritta fino a St Louis costeggiando il  fiume Missouri.
Se siete interessati, entrambe vantano siti fatti benissimo, con i kilometraggi, i servizi nelle città, i luoghi dove fare approvvigionamenti e quelli dove dormire.

Peccato che la Rock island abbia alloggi solo all'inizio e alla fine, e non se ne possa fare soltanto un pezzo! Spero anche, come pare dalle informazioni raccolte, che il fondo sia buono, pulito e pedalabile. Dobbiamo starci sopra 4 giorni almeno, per 440km. Se iniziamo a trovare sabbia, ghiaino perfino o fango, è la fine!
Ma nutro buone speranze. Sento che il Missouri ci vuole bene, e ci sta aspettando.



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