lunedì 19 agosto 2019

49-50. Deana e la sua casa stregata. Welcome to OH... IO!







17/8
Indianapolis-Mt. Summit
93km

Quella di oggi è stata la tipica giornata in cui si è costretti a rivedere tremila volte i piani a causa di imprevisti e situazioni non calcolate.
L'idea iniziale era quella di campeggiare. A 100km da Indy c'è un parco statale con piazzole, prezzo pop, ma, a quanto si capiva dal sito, tutto pieno per stasera. A 125 e 130km c'erano due campeggi ma uno non accetta tende, l'altro non ha acqua nè servizi (e costa comunque 30 dollari). A 110km, distanza perfetta, ce n'era uno grande e aperto pure alle tende, ma alla modica cifra di 45 dollari, che è prezzo da motel! Dovevamo, in base alla strada, decidere tra queste opzioni (apparentemente le uniche). Invece siamo finiti da tutt'altra parte, in una villa del 1840, ospiti di Deana, e di bambole che la notte suonano il pianoforte. Ma procediamo con ordine.

La prima notizia, in realtà, è che siamo sopravvissuti ad Indianapolis. Ne siamo usciti indenni, solo con qualche botta e qualche madonnina infilzata
Non è stato difficile imboccare le strade giuste, che sono lunghe e diritte e non costringono a labirintici arzigogoli come le città italiane.
Certo, ci è voluto tempo, soprattutto perchè, in più di un'occasione, siamo incappati in passaggi a livelli chiusi, con il treno, enorme, lunghissimo, fermo. E dunque abbiamo dovuto ora attendere, ora cercare strade alternative, in un casino di traffico nervoso e strombazzante, tra gente che imprecava e altri che si esibivano in fantasiose inversioni a U.





Indy, per l'ultima volta, ha rivelato la sua natura di città schizofrenica: vivo, bello e curato il centro, un monnezzaio la periferia.
La cintura urbana non è solo esteticamente deprecabile, brutta insomma, ma è anche degradata, sporca, abbandonata a se stessa. Se chi ci abita, e non sono bianchi per lo più, può avere delle colpe, resta comunque il fatto che queste aree sono trascurate a livello di res publica. Le strade sono distrutte, l'asfalto esploso e pieno di buche pericolosissime. Sotto ai ponti ci sono calcinacci e pozze in cui ormai vivono i pesci rossi e tutto è sconnesso, ammalorato, pericolante. Chi decide che queste strade non debbano essere sistemate e riasfaltate? Chi decide che il palo della luce resta a terra e che l'immondizia non venga raccolta? Certo, se si pensa che tutto è in mano all'iniziativa privata, e le cose vengono fatte solo da chi ha i mezzi, dove circola denaro... Si capisce che qui la gente di questi quartieri ha poco da aspettarsi dal comune, dallo stato o dalla nazione. Poi loro, che vivono questo disagio dentro e fuori casa, non fanno gran che per evitare di aggravarlo. Mi han colpito due scene:
- un cinquantenne color ebano che, in pigiama e sciavatte, tagliava l'erba cresciuta in una buca enorme fuori da casa sua, dove l'asfalto ha ceduto e si è infossato tanto da far spuntare terra e radici. Se non puoi uscire dal tunnel, lo arredi
- una mamma ispanica, con il culotto enorme e la camminata da Adelina e Guendalina Bla Bla, ha rimproverato il figlio (dieci anni circa) per aver gettato a terra un bicchiere di plastica, mentre camminavano. Ma il rifiuto era finito tra mille altri, in una ruera sparsa e diffusa su tutto il bordo strada. Brava signora mamma, così si fa.







Nella grigia e appiccicosa pioviggine piena di smog, tra tossici e alcolizzati che non si reggono in piedi e tizi loschi in ciabatte e calzino, i portiamo fuori da Indy, in un traffico che da feroce si fa via via più moderato e poi, d'improvviso, si scioglie. I primi 30km sono comunque molto faticosi e stressanti. Bisogna tenere un occhio alla strada, cioè al fondo, alle buche, ai rifiuti, ai tombini aperti, e un occhio alle auto, che sfrecciano vicinissime alle bici senza peritarsi di allargare un poco. Fettine di culo e imprecazioni, scossoni e botte (per fortuna i raggi son tutti a posto) sono la cifra di questo primo pezzo di giornata,




Poi si esce davvero anche dalla periferia. Imbocchiamo la 36, una strada che ci porterà fino in Ohio e al suo cuore, verso Columbus. Qui, per altri 30km circa, ci sono 3 corsie per parte e un numero incalcolabile di centri commerciali, catene, fast food (a volte ce ne sono 6 o 7 simili uno dopo l'altro, a 10 metri di distanza) e luoghi dove si vende, si compra, si distribuisce e si consuma. Compulsivamente. Si consuma. Troppo. E poi si gettano i rifiuti, quintali di plastica, di packaging inutile (nei supermercati spesso c'è un commesso che ti imbusta la spesa, dopo che il suo collega l'ha passata alla cassa. A noi ieri, per quattro pirlate, han dato 9, nove, NOVE buste di plastica, e non quella biodegradabile). Il McDonald's, il Burger King, Taco bell, Arby's, Wendy's, Subway, Kfc, tutti friggono, friggono, e la carne viene da quegli allevamenti che sappiamo, e facciamo finta di no, e per produrre tutti quegli hamburger si usa l'acqua di tutti i fiumi, e poi si va a condire l'olio da motore con cui friggono con un po' di antibiotici, perchè no, e plastica, farmaci, acqua sprecata e panini gustosi che nelle pubblicità sono finti e nella realtà anche, finiscono tutti nello stesso calderone di merda.
Ah, dimenticavo, in questi luoghi del male si va e si viene solo in auto. Tutto è drive thru, cioè che si ordina dall'auto, senza scendere, e si ritira il sacchetto dall'auto, senza scendere. Pure la farmacia e il fotografo sono drive thru. E poi si dice che l'obesità è un problema. Qui le persone sono mezzo essere umano mezzo sedile dell'auto, dei centauri, delle chimere con il tubo di scappamento attaccato al culo.


Tra insegne e negozi, un cimitero. Così, appeso, incastrato, assediato, accerchiato. E' l'unico angolo umano e in pace che vedo.



Riassumendo:


Pian piano si esce anche da questo delirio del consumo, certo aggravato dalla vicinanza alla capitale dello stato. Passiamo così Lawrence (1849), MacCordsville (1865), Woodbury (1851) e Fortville (1849), Alfont e Ingalls (1893). Sono tutti paesini senza'anima, uguali tra loro nel volto delle persone e nell'aspetto degli edifici, casine curate e prati perfetti,benzinai e negozi di liquori.








Questo tizio (in foto sotto) ha tappezzato Illinois e Indiana con mastodontici cartelloni pubblicitari. E delle sue discutibili scelte di grafica mi fa ridere tutto: la sua foto, il suo soprannome e l'accostamento delle parti.


Ne approfitto per approfondire un aspetto 'mericano che ho finora tralasciato. Qui vanno alla grande gli storage, cioè dei garage o dei magazzini dove stipare la propria roba, le cose, gli oggetti, che a casa non ci stanno. Possono essere storage per camper, RV o barche, e fin qui ci sta: non tutti hanno un giardino o una casa abbastanza grandi. Ma ci sono innumeri storage che sono come garage, per le cianfrusaglie, le robette, quel che straborda da armadi e cassetti. Si affittano e via, un locale, o due, o tre in più da riempire. Se da noi questo servizio fosse tanto diffuso, sono certa che ne abuserei.
Ne ho parlato ora perchè quello nelle foto sotto è proprio uno storage.



Proseguiamo sotto un cielo sempre più grigio ma spediti, perchè il vento è a favore. Il traffico è evaporato in quest'aria che non ha luce nè colore. Ci supera un treno che non finisce mai, e sferraglia carico di carbone. Qui ne abbiamo visti alcuni di 135 vagoni doppi, per intenderci.


Arriviamo dunque a Pendelton, città fondata nel 1830 e colpita da un tornado proprio a maggio di quest'anno, e con quest'anno intendo il 2019, non il 1830. Acciderbolina. Siamo ancora in zona a rischio, allora!
Qui ci sono 3 carceri, di cui uno è minorile e uno è un'azienda in cui i condannati lavorano.
E qui son successe cose interessanti.
Nel 1824 James Hudson e compagni di merende massacrarono gratuitamente e senza motivo un gruppo di nativi che viveva nell'area Qualche mese dopo iniziò un processo durato un anno in cui furono raccolte le prove del massacro e i colpevoli furono condannati a morte. Nel 1825 i tre assassini furono impiccati, e per la prima volta dei bianchi vennero giustiziati per aver ucciso degli indiani.

Ancora, nel 1843, il proibizionista repubblicano Frederick Douglass fu attaccato e pestato a sangue dalla folla mentre tentava di tenere un discorso pubblico.


Noi, invece, veniamo raggiunti dal temporale che ci insegue da stamattina.
Prima qualche goccia, poi una pioggia leggera e infine un acquazzone con lampi e tuoni che ci costringe a trovar riparo sotto la tettoia di un benzinaio chiuso e abbandonato.
Passeremo qui, a prender freddo e umido, circa un paio d'ore. Ne approfittiamo per pranzare (cibo ne abbiamo) e riposare. Poi iniziamo ad avere dubbi sulla bontà dell'idea di andare in campeggio, per di più spendendo una cifra esagerata.





Cerco di nuovo su Maps ma nulla, su questa strada il primo paese con strutture è già in Ohio, troppo distante. Per il resto ci sono solo campeggi dubbi. Se vogliamo un tetto sulla testa, è necessario fare ampie deviazioni a nord, a Muncie, o a sud, a New castle, e allungare il tragitto sia oggi sia domani. Cosa che non mi piace affatto. Poi, cercando febbrilmente, ecco che mi compare un certo Mulberry lane inn, a 21km di distanza. Non c'è sito, non c'è nulla sui social. L'unica è chiamare. Provo una prima volta, ma parte una segreteria registrata. Provo ancora, poco dopo, e mi risponde una signora anziana ma piena di energia che mi tiene al telefono un quarto d'ora, tra battute, risate e scherzoni. Comunque le notizie sono positive: c'è una camera, la colazione è inclusa e il prezzo è ragionevole. Eccellente! Anche oggi portiamo a casa le chiappe, a casa, in una casa, in un posto sicuro e asciutto.

Appena spiove torniamo in sella, e il vento non è più a favore; ma l'umidità aumenta la percezione del calore e non fa freddo come prima. Poi, addirittura, esce il sole e riporta i colori.
Il paesaggio si fa improvvisamente verde e vivo. Siamo tornati nelle zone agricole, in piena campagna, e pare un altro mondo rispetto al delirio di asfalto e fritto di stamattina. Pare un altro mondo, è un altro mondo.








Si pedala tranquilli, e la consapevolezza di essere quasi arrivati scioglie la tensione. Entro in una trance cadenzata dal movimento rotondo dei pedali, è un dormiveglia lucido, un lasciare le redini della coscienza e perdere i contorni dell'io per fondersi al vento e al cielo, alla strada, alla terra, ai campi e all'erba. E' una tavolozza che si rimescola e danza, scorre, scivola ai bordi. Potrei andare avanti per centomila kilometri, così. Fino a che mi abbattono come un cinghiale inferocito.



Attraversiamo i borghi rurali di Emporia, Mecanichsburg e Sulphur Springs, tutti fondati a metà Ottocento con l'arrivo della ferrovia. Sono paesini normali, come usa da noi, con le loro case, il supermercato e quattro negozi. Subito prima di entrare in Mt Summit, ecco il cartello del nostro alloggio; un uomo alla guida di un pick up che arriva dall'altra parte della strada proprio mentre stiamo attraversando, ci fa segno, sporgendo il braccio dal finestrino, di seguirlo. Che coincidenza! Sarà il paron?

Giungiamo così all'ingresso della villa in cui dormiremo, che ci accoglie con un cancello aperto e un viale circondato da campi di mais e alberi, pratini curatissimi e un'atmosfera di pace assoluta. Quasi eterna.



L'umile dimora di Deana, una villa del 1840, due piani più terrazza, piscina, fattoria, campi e piscina, e giardino così piccolo da contenere altre due abitazioni, ci appare come d'incanto davanti agli occhi. Una donna, sull'uscio, compare, sbraita qualcosa e scompare di nuovo.
Ci fermiamo al cancelletto e aspettiamo. Anche l'uomo in pick up è sparito. Provo a chiamare la sciura, che mi aveva detto di farle uno squillo una volta arrivati, ma la linea è occupata.



Dopo qualche minuto di imbarazzo, la donna ricompare.
E ci assale con un fiume in piena di parole e battute e frecciatine simpatiche e non smette più. Parla a voce altissima, e ride forte, e la si sente fino in paese. Ci chiede scusa per l'attesa, dice che l'han chiamata altri ospiti che stanno arrivando e si sono persi. Ci chiede del viaggio, delle bici, della strada, di noi. Non tace un secondo. Poi torna l'uomo del pick up, questa volta a bordo di un trattorino. Dice di avere 82 anni, ma ne dimostra almeno 20 in meno, se non consideriamo che è mezzo sordo. Anche lui è un gran simpaticone e ci inonda di domane, ma con un tono più pacato di Deana. Rimane, più di lei, meravigliato della nostra impresa e fa domande precise e tecniche riguardo alla strada, i bagagli, l'acqua e così via. Poi, quando gli diciamo che siamo insegnanti, fa una tirata di dieci minuti contro i ragazzini, svogliati e maleducati, buoni a nulla e insopportabili. Eh. Ne sappiamo qualcosina! Tutto il mondo è paese, allora.

Dopo una bella mezz'ora sul vialetto, che comprende i convenevoli e l'illustrazione delle varie parti e regole della casa, possiamo finalmente entrare.


La camera, al primo piano, è pazzesca. Consiste di area notte, con il letto e i comodini e il guardaroba, bagno alla Napoleòn, sempre in camera, separato giusto da una tenda, poltrona con scrivania e dolcetti, macchina per il caffè e boccia d'acqua, e pure una sorta di patio, di balcone esterno semichiuso con divano, sedie, microonde e altre amenità.







Quello che colpisce, ma forte, come un pugno, e ben diretto in faccia, è la quantità industriale di puttanate, alcune carine, alcune discutibili, altre veramente orrende, con cui Deana ha imbottito, stipato, riempito del tutto la sua casa. C'è veramente la qualunque. Non so nemmeno da che parte iniziare a descrivere questo tripudio dell'accumulo seriale pacchiano e un po' inquietante. Vi lascio delle foto, sperando rendano l'idea.










Le scale sono una roba anche peggiore, se possibile. Sono per metà occupate, assediate da bambole che, senza dubbio, di notte si animano e soffocano gli ospiti con i mille cuscini a forma di pupazzi.



la villa nell'Ottocento


Non mancano neppure immagini e guizzi di spirito piuttosto volgari, sempre sull'orlo dell'inqualificabile


Apro l'armadio e mi viene un infarto. Poi capisco che è solo un appendiabiti. Deana, che è tornata alla carica con la sua esuberante logorrea a volume da discoteca, mi ha spiegato che è rimasta vedova dopo aver passato tanti tanti anni felici con suo marito e aver ristrutturato questa villa, trasformandola in un B&B. L'ottantaduenne, che pure lui si è rifatto vivo con altre domande, è ora il suo convivente, perchè vedovo a sua volta. Si conoscevano già da tempo: lui era il marito della parrucchiera di lei, giardiniere, agricoltore, muratore e tuttofare. Rimasti soli entrambi, lui ha costruito una casetta di legno nel retro della villa e la coppietta di anziani si è stabilita lì.
Deana, comunque, è una donna con le palle d'acciaio: ha vinto diversi premi come businesswoman of the year, e si è fatta conoscere per la sua loquace simpatia e per essere l'unica struttura ricettiva nel raggio di kilometri. E perchè quella villa è un edificio storico di gran valore.




Prima di andare a far la spesa decidiamo di salire alla terrazza, dove Joe, l'omino tuttofare, ci ha consigliato di salire per meditare ed essere più vicini al cielo (risata sardonica mia e sua).
Ci sono, tra le bambole urende, numerose foto interessanti. Chissà quali storie raccontano questi volti in bianco e nero. Quali giorni di sole e sudore, quali segreti indicibili, quali insondabili dolori tacciono questi sguardi persi nel tempo.






La terrazza coperta è davvero la perla della villa. Da qui si gode di una vista meravigliosa e la luce entra, piena, da ogni lato. C'è anche, sull'ultimo gradino, una bella frase d'amore scritta da Deana per suo marito. C'è dentro tutto, una vita intera, in quelle brevi parole.





Torniamo di sotto, pensando a quanti schiavi avesse il primo proprietario di questa casa, e quanto efferato, crudele e disumano fosse. Ma forse no, non era luogo di schiavisti questo. Però...




no qui di schiavi non se ne vedono!


Il clou del brutto e del cattivo gusto si raggiunge al pian terreno, dove una bambola suona un pianoforte che ha un meccanismo tipo carillon. E il tutto è immerso in un mare magnum di porcherie. Ma come si fa a vivere e districarsi in mezzo a questo delirio? E spolverare? Ah, già, gli schiavi... L'omino tuttofare...









uno zombie?


Quanto al giardino non c'è nulla da dire, se non che è bello e basta. E curatissimo. Un piccolo ritaglio di eden.




un altro zombie





Ci sono pure le gaine




Due cavalli timidi e due asini, Biscuit e Gravy. Uno dei due si avvicina subito e si fa fare tantissime coccole. Quando tenti di andarmene, mi segue e pretende altri grattini sulla testa e sulla schiena. Non pensavo che gli asini fossero così coccoloni! Non andrei via più... Quasi quasi lascio la bici e porto via un ciuchino.




Andiamo poi in paese, a Mt Summit, a fare la spesa per la cena. Ci sono diversi edifici abbandonati, ma anche tante casine nuove o antiche perfettamente curate.





Intorno scende pian piano la sera sui campi, e le cicale iniziano a cantare l'estate. E' tutto perfetto, in questo attimo di grazia che ora è nostro per sempre.



Rientrando, noto sulla porta un adesivo scolorito... E va be', questa è una malattia diffusa, qui!



18/8
Mt. Summit-Urbana
157km

Durante la notte piove e grandina, e svegliarsi al mattino col sole è una felice sorpresa. Facciamo colazione nella nostra suite alla Lincoln e lasciamo un messaggio di ringraziamento a Deana sul libro degli ospiti. Poi ce ne andiamo, in un silenzio interrotto solo dal canto degli uccelli e dei galli. Oggi vogliamo pedalare un po' e fare una tappa lunga, per recuperare i "pochi" kilometri di ieri. Il cielo sembra essere d'accordo con le nostre intenzioni e così saltiamo in sella.




Sulle strade regna una calma assoluta, quasi irreale. Certo, è domenica mattina, certo è ancora estate, certo, siamo in una zona di paesini rurali con una manciata di abitanti. Metà saranno a messa, metà sotto le coltri o a fare un corposo brunch in pigiama e sciavatte.




Per pedalare è la giornata ideale. La temperatura è perfetta, zero traffico, fondo scorrevole e pianura mossa solo da qualche falsopiano. Non si può chiedere di più! L'unico problema, per me, è che questi paesaggi bucolici non mi offrono grandi distrazioni e dopo un po' la mente cerca qualcosa cui aggrapparsi: una canzone, una poesia, un'immagine, un pensiero da formulare. Ma spesso va a impigliarsi sullo scorrere dei numeri: tempo, kilometri, centinaia di metri, decine di metri, metri, minuti, secondi. Il tempo e lo spazio vengono frazionati e sminuzzati e l'intero, cioè la giornata in sella, e tutta la pila di kilometri da pedalare, mi pesa addosso come la famosa scimmia.




E così, per non far incagliare la mente nei numeri, che sono uncini aguzzi di lineette nere che feriscono e fermano lo scorrere liscio delle ruote, mi fisso sulle cose intorno: oh! Un laghetto!


Oh, lo soia!



Oh! Le balle di fra Giulio... no, di fieno!


Oh! Una scuola, anzi un istituto comprensivo!




Oh, il cartello con un caselle!
Siamo in zona Amish, in effetti, ci sta. I più vivono in Ohio e Pennsylvania.


Oh! Una casetta!


Oh! Un fienile!


Oh! Un silo!


Oh, le pale eoliche!
Le palle eoliche!
Le arpe eoliche!
Le capre eoliche!






Oh! Un'altra casetta, nel mais e nel sempres!


Oh! Altre pale eoliche!
E altro mais!






Oh! Un altro laghetto!


Oh! Un cartello adopt a highway con l'uccellino rosso (cardinal) simbolo dell'Indiana!



Oh! L'ennesima cascina con il silo e la soia e la tuia!


Oh, una casetta!



Oh! IO!
Insomma, per farla breve, dopo circa 50km di campi piacevolmente monotoni, siamo arrivati al confine tra Indiana e Ohio. Siamo passati, sempre seguendo la 36, da innumerevoli borghi e villaggi, e da alcuni paesini, come Losantville (1851) e Modoc (1883); questa città si chiama così perchè in quegli anni gli indiani Modoc opponevano strenua resistenza contro l'esercito americano, perchè uno dei primi coloni trovò a terra una scatola di sigari marcati Modoc, gettati da qualche carrozza di passaggio, e lo considerò un segno propizio.
A Lynn (1838), ultima città dell'Indiana, ci siamo fermati per una prima sosta-benzinaio e un tizio, che si è presentato come ciclista amatoriale, ci ha fatto numerose domande, con interesse e ammirazione. Poi, quando Gigi gli ha detto che siamo italiani, se ne è andato alla svelta, con assai meno interesse e ammirazione. Bella storia, eh.

In ogni caso, siamo entrati nel nostro nono stato.


Subito l'Ohio ci accolti con tutti gli onori: è spuntato per bene il sole. Si è alzato un forte vento tutto a favore e l'asfalto è diventato ancora più liscio e scorrevole, ampio il bordo della strada. Una figata assoluta. Gigi diceva tra sè "Che strada deliziosa!" e in effetti è stata davvero così. Buona, pietosa e docile. Un fiume che porta al mare.

Mi viene in mente inevitabilmente Baricco:

"Perché nessuno possa dimenticare di quanto sarebbe bello se, per ogni mare che ci aspetta, ci fosse un fiume, per noi. E qualcuno un padre, un amore, qualcuno capace di prenderci per mano e di trovare quel fiume immaginarlo, inventarlo e sulla sua corrente posarci, con la leggerezza di una sola parola, addio. Questo, davvero, sarebbe meraviglioso. Sarebbe dolce, la vita, qualunque vita. E le cose non farebbero male, ma si avvicinerebbero portate dalla corrente, si potrebbe prima sfiorarle e poi toccarle e solo alla fine farsi toccare. Farsi ferire, anche. Morirne. Non importa. Ma tutto sarebbe, finalmente, umano. Basterebbe la fantasia di qualcuno un padre, un amore, qualcuno. Lui saprebbe inventarla una strada, qui, in mezzo a questo silenzio, in questa terra che non vuole parlare. Strada clemente, e bella. Una strada da qui al mare."



Così, agilmente, raggiungiamo Greenville (che fantasia con i nomi, da queste parti. Sarà le decima che passiamo. Arrivava il pioniere, vedeva i prati, immaginava la città che sarebbe sorta e trac. Verde città. Greenville).
Invero prima passiamo da Palestine, praticamente una ghost town (fondata nel 1833). Qui molti paesini si stanno spopolando e hanno più case abbandonate e che abitate. E si capisce. Per far la spesa uno mica può spararsi 100km in auto tutte le settimane!

Prima della città c'era un forte, costruito a fine Settecento come avamposto americano durante le Guerre indiane. Il nome, come scopro ora su Wikipedia, deriva da tal Greene, eroe di guerra. Certo che anche lui, chiamarsi così... Fa equivocare!
Dopo la firma del Trattato di Greenville, nel 1795, finirono le azioni militari e l'area iniziò ad essere colonizzata, e dunque fu abbandonato il forte e fondata la città.







Arriva l'ora di pranzo e abbiamo già pedalato quasi 90km. Passiamo oltre Bears mill, che pare il nome di un paese delle favole, e arriviamo a Gettysburg (1842), dove facciamo sosta.
Al locale benzinaio-negozio tuttivendolo del micropaesino diventiamo subito l'attrazione locale, e mangiamo un panino e un gelato sotto gli sguardi incuriositi di tutti, clienti e cassiere.





Fuori passa una carrozza. Ecco gli amish!



Da un lato la carrozza, dall'altro la pubblicità della benzina, così.


Mentre pranziamo ci viene un'idea malsana. Viste le condizioni ottimali e il vento in poppa, perchè non approfittarne e fare una tappissima? Avevamo pensato di fermarci a un campeggio a 120km dalla partenza... Poi non c'è più nulla fino a Urbana, che dista, sempre dalla partenza, quasi 160km... Però ne abbiamo già percorsi 90... Insomma, lasciandoci aperta la possibilità di cambiare idea all'ultimo, in cuor nostro già ci vediamo a cena ad Urbana.

Al benzinaio incrociamo 3 ciclisti che si sono trovati qui in auto (abitano in zona in paesi diversi) e poi hanno fatto un giro in bici insieme. Sono i primi ciclisti in bici (e non solo a parole) che vediamo da prima di St Louis, quando ancora eravamo sulla Katy trail. Qui i ciclisti sono i grandi assenti, e dire che queste strade di campagna sarebbero un paradiso per gli amatori!
Parliamo un poco e il trio ci offre un gelato, tra risate e reciproca stima. Tra pedalini ci si intende!

Ripartiamo, e da qui è un volo libero tra verde e azzurro, con il vento che ci porta ad est.
Corriamo sulle strade di Covington (1836) e Piqua.
Si pensa che questo toponimo derivi da una frase in lingua Shawnee : Othath-He-Waugh-Pe-Qua, "È risorto dalle ceneri", riferito a una leggenda del popolo.
Nel 1749, qui, gli inglesi costruirono un forte per proteggere la vicina sede commerciale di Miami; nel 1752 un gruppo di nativi alleati ai francesi attaccò il forte. Questa fu solo la prima di una lunga sere di battaglie e scontri tra inglesi, francesi e indiani, che furono uccisi o costretti ad andarsene.
Dopo il già citato trattato di Greenville, iniziarono ad arrivare i coloni e nel 1807 fu fondata Piqua, che inizialmente era una stazione di smistamento di uomini e merci diretti a nord.
Qui vicino, a Rossville, vivevano circa 400 schiavi neri, liberati nel 1833 grazie alla volontà e al denaro di John Randolph, ricco politico e proprietario terriero.
Nel 1913 Piqua è stata spazzata via da un'alluvione e dal 1962 al 1966 era chiamata "atomic city" perchè aveva il primo impianto nucleare a gestione municipale. Che si è rivelato un fallimento.




Passiamo sul Great Miami river



e inanelliamo una serie di borghi rurali tutti simili e tutti silenziosi e vuoti: Fletcher (1830), Lena (1830), St Paris (1831). Io ho una piccola crisi di fame e tocca fermarsi. Ma ormai manca poco.
Mi fa assai ridere Gigi che, a un certo punto, mentre pedaliamo, grida, alle mie spalle: "Occhio! Cane! Vai, vai!". Io rispondo: "Ma quale cane? Non ne ho visti e non ne sento nemmeno!", e lui: "Vai! Vai! Cane!". Allora volto un poco la testa e vedo una scena da cartone animato. Gigi in piedi sui pedali, serissimo, che spinge a tutta forza per accelerare. Accanto a lui, a pochi centimetri, un cane enorme che corre silenzioso, senza abbaiare nè ringhiare, con le orecchie che ballonzolano e la lingua a penzoloni. Probabilmente vuole solo giocare... Ma chi si fida? E allora via!



La luce pian piano si fa più morbida e la sera si avvicina. Noi anche ci lasciamo alle spalle gli ultimi kilometri di campi inondati dell'ultimo sole e arriviamo ad Urbana. Siamo stanchi, ma soddisfatti. Durante una pausa ho prenotato un motel proprio sulla strada, assai cheap e con colazione inclusa. Vicino al supermercato. Con il forno a microonde in camera. Insomma, il top di gamma.






La Contea di Champaign, di cui Urbana è capoluogo, fu fondata il 20 febbraio 1805 in seguito alla Rivoluzione americana e alla Guerra indiana del nord ovest . Il colonnello William Ward , un virginiano che si era stabilito in quest'area nel 1799 acquistò 160 acri che considerava il sito logico e più accettabile per il capoluogo.
Non c'erano altre città in zona da usare come modello, ma, nonostante questo, Urbana fu progettata in maniera sistematica e lineare, con una grande piazza al centro e le vie diritte in ogni direzione.
Nel 1833, Urbana conteneva un tribunale e una prigione, un ufficio stampa, una chiesa, una casa di mercato, nove negozi mercantili e 120 case.

Nel 1897 una folla di invasati assediò la prigione per tirar fuori e ammazzare tale Charles Mitchell, un nero accusato di aver ucciso un bianco. Lo sceriffo tentò di proteggere il carcerato e i suoi uomini spararono sulla gente, e qualcuno morì. Ma Mitchell fu preso e impiccato dalla folla, nel cortile del tribunale, in piena notte.







Io, felice per aver visto finalmente un procione vivo e per aver portato a casa la tappissima, mi butto sul letto una volta docciata. Da qui mi smuove solo la necessità di andare a caccia della cena!



Domani passeremo sopra a Columbus, la capitale dell'Ohio, senza attraversarla. Ho visto che non ha molto da offrire, a livello di luoghi storici e siti interessanti. Quindi la tagliamo fuori dal nostro percorso, che è tutto un scegliere, sofferto e necessario. Arriveremo ai piedi delle prime pendici di collinotte che preludono agli Appalachi. Che ci toccano, volenti o nolenti, come ultimo grosso impegno, dal punto di vista fisico. In ogni caso siamo a (quasi, mancano 8km) 5200km pedalati. Son cifre grosse!

Siccome non l'ho ancora fatto, ne approfitto ora. Che non le diciamo due parole due sull'Ohio? Che è una parola irochese che significa grande fiume.
Da Wikipedia:

La valle del fiume Ohio era già frequentata da mercanti inglesi dalla fine del XVII secolo fino al 1749, quando Blainville la inserì nell'orbita politica francese. Conteso tra francesi e inglesi, dopo alterne lotte i secondi acquisirono il possesso dell'attuale Ohio nel 1763. Fu teatro di cruente rivolte indiane (guerra di Pontiac1772). Dal 1774 fu aggregato al territorio del Canada. Dopo la Guerra d'indipendenza americana fu conteso dagli stati limitrofi, finché nel 1787 fu costituito come territorio autonomo detto "Old North-West Territory" ad eccezione di una striscia conosciuta come "Western Reserve" di circa 120 miglia sul lago Erie con Cleveland che rimase fino al 1800 del Connecticut. Con la vittoria nella Guerra indiana del Nord-Ovest nel 1795 tramite il trattato di Greenville i nativi riconobbero la paternità statunitense sul territorio.
Nel 1788 l'Ohio Company fonda il primo stanziamento di coloni a Marietta a cui seguono Cincinnati (1789) e Cleveland (1796). Il 1º marzo 1803 fu ammesso come stato federato degli Stati Uniti d'America, divenendo il diciassettesimo Stato dell'Unione. Nella prima metà dell'Ottocento pur conservando una struttura economica fondamentalmente agricola l'Ohio, grazie allo sviluppo delle vie d'acqua, stradali e ferroviarie, divenne uno dei più ricchi e popolosi stati dell'Unione. A seguito di una disputa nel 1837 riuscì ad ottenere dal Michigan Toledo, porto sul lago Erie.
La guerra di secessione americana, (diverse personalità degli Stati dell'Unione scrivono: la Grande Ribellione) lo vide schierato con il Nord che ne favorì poi l'impetuosa industrializzazione. Grandi agglomerati urbani come Akron (capitale della gomma), Cleveland, Toledo, e Youngstown divennero luogo di aspri conflitti sociali e dagli inizi del Novecento di avanzati esperimenti di riforma urbana e di legislazione sociale.

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