lunedì 26 agosto 2019

55-56. La Great Allegheny Passage. Sugli Appalachi, nella cattedrale dei boschi, lungo il fiume di Eraclito



23/8
Pittsburgh-Connellsville
113km

Oggi è il gran giorno: si lascia la città e si torna sulle strade sporche, quelle in mezzo ai boschi e ai fiumi, sulle cime smussate degli Appalachi; sono le ultime montagne che dobbiamo affrontare in questo viaggio, l'ultima fatica, decisamente meno titanica rispetto a quella richiesta dalle loro giovani sorelle, le Rocky. Questo anche perchè seguiremo fedelmente il tracciato della Great Allegheny passage, che, essendo rail to trail, cioè ferrovia trasformata in ciclabile, non ha pendenze che superano l'1%. E ai 700 metri e poco più del passo ci arriveremo così piano piano, in oltre 100km, senza strappi.

La mattina, dopo una notte di diluvio, si presenta fredda e umida, ma non piove (e tanto basta). Colazione, giù le borse, giù le bici (dal secondo piano senza ascensore) e via. Dobbiamo raggiungere The point, ovvero la punta di terra che separa i corsi dell'Allegheny e del Monongahela, fiumi che qui mescolano le loro acque per dare origine all'Ohio. Proprio a the point inizia la ciclabile.
I primi 14km, dalla periferia al centro, sono pura sofferenza. Anzitutto, per il traffico e le strade strette; in secondo luogo, per le salite ripidissime, obbligatorie per evitare gli snodi di stradoni vietati alle bici. Per terzo, perchè seguire una rotta sensata è difficile, nel casino di auto camioni e lavori in corso, e quindi il rischio di sbagliare strada e conseguente stress sono a livelli massimi. Sbrocco contro Gigi e pure male, ma poi gli chiedo anche scusa. In ogni caso, ho i nervi a fior di pelle e potrei uccidere un malcapitato a morsi feroci.





Con dolore e fatica, e perdendo gran tempo, raggiungiamo finalmente il ponte pedonale e da lì scendiamo a The point.




Questo luogo è stato da sempre nelle mire delle popolazioni e degli eserciti, per la sua posizione strategica sui fiumi, utile a scopi bellici e commerciali. Così, nel 1754, i francesi costruirono Fort Duquesne, sui resti di una struttura già usata dalle forze coloniali della Virginia. Durante la guerra franco-indiana questo fu uno dei luoghi più contesi, teatro di numerosi scontri. I francesi riuscirono a difendere il forte fino al 1758, quando gli inglesi lo conquistarono; o meglio, occuparono la zona, ma i francesi avevano già distrutto tutto per non lasciare nulla nelle mani del nemico. Gli inglesi, comunque, ricostruirono sulle rovine un forte ancora più grande, Fort Pitt, dal nome di William Pitt il Vecchio. In realtà gli inglesi avevano promesso agli indiani di andarsene e ritirare le guarnigioni, se questi ultimi avessero smesso di collaborare con i francesi. I nativi avevano accettato, sperando così che tutti gli europei se ne andassero, a guerra finita. Ma gli inglesi non mantennero i patti e costruirono il forte; così nel 1763 Delawares e Shawnees locali presero parte alla Ribellione di Pontiac per scacciare gli inglesi dalla regione. L'assedio degli indiani a Fort Pitt iniziò il 22 giugno 1763, ma i tentativi di abbattere o conquistare quella posizione furono vani. Durante una riunione diplomatica al forte, il comandante di Fort Pitt distribuì ai legati nemici coperte di emissari indiani del Delaware che erano stati esposti al vaiolo nella speranza di infettare le tribù locali. Che stronzo! Un piano simile fu approvato dal generale britannico Jeffery Amherst e dal suo subordinato colonnello Henry Bouquet, che stava marciando verso Fort Pitt con 460 soldati. Questo tentativo ebbe successo e uccise effettivamente 400.000-500.000 (forse pure 1,5 milioni) di nativi americani durante la guerra e negli anni successivi.
Il 1° agosto 1763 la maggior parte degli indiani interruppe l'assedio per intercettare una forza in avvicinamento sotto il colonnello Bouquet, con conseguente battaglia di Bushy RunBouquet vinse e raggiunse Fort Pitt.
Dopo la guerra di Pontiac, Fort Pitt non fu più necessario per la Corona britannica, e fu abbandonato ai locali nel 1772. A quel tempo, l'area di Pittsburgh fu rivendicata sia dalla Virginia che dalla Pennsylvania, e iniziò una lotta di potere per la regione. I Virginiani presero il controllo di Fort Pitt e per un breve periodo negli anni 1770 fu chiamato Fort Dunmore, in onore del governatore della Virginia Lord Dunmore.
Durante la guerra d'indipendenza, Fort Pitt fu il quartier generale del teatro occidentale della guerra.
Un piccolo edificio in mattoni chiamato Blockhouse - in realtà un edificio annesso noto come ridotta - rimane a Point State Park, l'unico residuo intatto di Fort Pitt. Fu eretto nel 1764 e si ritiene che sia l'edificio più antico, non solo a Pittsburgh, ma nella Pennsylvania occidentale. Utilizzato per molti anni come casa, il fortino è stato acquistato ed è stato conservato per molti anni dalle Figlie della Rivoluzione Americana, che lo hanno aperto al pubblico come museo. 




Ci spostiamo poi all'immensa fontana che segna proprio il limite estremo di The point. Era il luogo dove si incrociavano i due vecchi ponti sui fiumi, rimossi negli anni '70 per far posto alla fontana, ristrutturata tra 2009 e 2013 alla risibile cifra di 9.6 milioni di dollari.





Proprio qui, alla fontana, è fissato il punto di inizio, il miglio 0.0 della Great Allegheny passage. Tiro un sospiro di sollievo: posso mettere via il navigatore e le mappe. Da qui in poi, per i prossimi 250km, c'è una sola strada da seguire, il percorso è segnato, segnalato e provvisto di tutti i servizi che a un ciclista possono servire, tutti a distanza di pedale. Una figata!




La GAP è un sistema di ex ferrovie nel Maryland e in Pennsylvania, la traccia centrale di una rete di sentieri per escursionisti e ciclisti a lunga distanza in tutta la regione di Allegheny sulle montagne appalachiane, che collega Washington, DC a Pittsburgh, in Pennsylvania. Si compone di numerosi sentieri più piccoli tra cui Allegheny Highlands Trail del Maryland, Allegheny Highlands Trail della Pennsylvania e il Youghiogheny River Trail .
La prima sezione di 9 miglia del GAP vicino a Ohiopyle, in Pennsylvania, è stata aperta nel 1986. La sezione di 9 miglia tra Woodcock Hollow e Cumberland è stata aperta il 13 dicembre 2006. Nel giugno 2013 , trentacinque anni dopo l'inizio della costruzione, la sezione finale del GAP è stata completata (da West Homestead a Pittsburgh) per un costo complessivo di 80 milioni di dollari, con 900 miglia di sentieri e 1.110 miglia in fase di sviluppo).
Il percorso multiuso hiker/biker utilizza corridoi defunti della ferrovia di Baltimora e OhioPittsburgh e Lake Erie RailroadUnion Railroad e Western Maryland Railway, per 240 km da Cumberland, Maryland a Point State Park nel centro di Pittsburgh e include gli 84km di Montour Trail tutt'intorno alla città, fino all'aeroporto internazionale.
L'Allegheny Trail Alliance (ATA) - una coalizione di sette organizzazioni di trail legate al GAP (Friends of the Riverfront, Steel Valley Trail, Regional Trail Corporation, Ohiopyle State Park e Mountains Maryland) mantiene il GAP di 150 miglia, che è anche un tratto del sentiero panoramico nazionale del patrimonio di Potomac, uno degli otto sentieri panoramici designati a livello nazionale.
Il nome formale del sentiero, il Great Allegheny Passage , è stato selezionato nel 2001 dall'ATA "dopo sei anni e più di 100 proposte" come "un nome evocativo della geografia e del patrimonio storico" del percorso, suggerito da Bill Metzger, editore della newsletter ATA. La traccia ha usato un nome temporaneo, "Cumberland and Pittsburgh Trail", prima che il suo nome ufficiale fosse adottato.

Ma cos'è questa GAP, in pratica? Una figata pazzesca di ciclabile che, ogni 20km al massimo, offre servizi, o perchè ci sono paesi intorno, o perchè sono stati collocati bagni, campeggi, fontanelle, aree picnic e persino luoghi in cui riparare la bici, con tutti gli attrezzi del caso. Il fondo è sempre ottimo e pedalabilissimo, si incontrano tante persone in bici e a piedi e tutte sorridono e salutano (perchè non sono incarognite dal traffico e dallo smog). Si evitano terribili salite sugli Appalachi, si passano paesaggi fantastici, si dorme gratis e si conoscono tante storie locali dei villaggi che non si possono vedere dagli stradoni, quando si passa veloce. E, non ultimo, si incrociano tante belle personcine in viaggio.

La prima parte della GAP segue il corso del Monongahela e passa in città, tra le strade e le case, ma sempre sul pista protetta e con segnalazioni chiarissime a prova di idiota (come sempre qui in USA). Ci sono cartine, pali con le indicazioni e le miglia, pannelli esplicativi dei luoghi ad ogni angolo. E c'è pure tanta gente che pedala o cammina e si gode la quiete lontana dal traffico.



I primi kilometri sono all'interno del trail dei 3 fiumi.




poi si comincia a superare ponti ferroviari (ne attraverseremo a decine, in due giorni), che son sempre uno spettacolo; sembra di essere su una giostra!



e poi via, sulla ciclabile che qui è ancora asfaltata e riparata da alberi e siepi. Vediamo però il campo dove si allenano gli steelers, la squadra di football americano di Pittsburgh; gli atleti, che son grossi come armadi a due ante, stanno provando delle azioni ed è uno spettacolo strano vederli così bardati a correre.


Raggiungiamo la Steel valley heritage trail, dove le industrie siderurgiche e di lavorazione del carbone, di cui tutta quest'are è ricchissima, hanno plasmato il volto del territorio, tra impianti abnormi, ciminiere, rotaie e nerofumo denso di morte e denaro.










Qui è ancora attiva la Carrie Furnace, sempre in stile fucine di Isengard, con i fuochi alti e i camini di cemento, il fumo sempre e un alone di male appiccicoso e grigio tutt'attorno, che si riflette sul cielo e nel fiume (il Monongahela)








Superato Duquesne e il suo plumbeo cuore



arriviamo ad attraversare la prima città vera e propria della ciclabile, McKeesport (1795). Qui venne a vivere, già nel 1755, il signor McKee, pioniere scozzese, che si trovò gran bene alla confluenza del Monongahela e del Yougiogheny; suo figlio costruì poi una capanna ed ereditò il servizio di traghetto sul fiume. Poi propose sulla Pittsburgh gazette di vendere a 20 dollari i lotti di terreno per la futura città, e li assegnò con una lotteria. Il tutto ebbe successo. Durante le guerre franco-indiane, George Washington venne spesso qui a trovare un suo amico, Queen Alliquippa, capo dei Seneca. La città crebbe improvvisamente dopo 1830, quando si scoprirono i giacimenti di carbone. E' la città americana cresciuta più in fretta. Giunsero famiglia sia dall'America, sia dalla Germania, dalla Polonia, dalla Russia, dall'Ungheria e dall'Italia. Non a caso incontriamo e chiacchieriamo con due signore a passeggio in bici, una delle quali è figlia di italiani di Chieti. Lei parla un italiano buffissimo, stentato e con un accento alla Stanlio e Ollio.

Qui, nel 1947, Kennedy e Nixon hanno per la prima volta avuto un confronto pubblico, e nel 1976 un incendio ha divorato tutta downtown.






Noi passiamo oltre in fretta, tra alberi sempre più alti, in clima quasi autunnale. Le foglie già iniziano a cadere, e il vento le porta via, insieme a ciò che resta di un agosto ormai tiepido e di luci opache.



Passiamo Versailles, ma non quella francesce, e Boston, ma non quella famosa. Qui inizia la sezione sul fiume Youghiogheny. La gente continua a salutarci e ad augurarci buona fortuna, come se fossimo appena partiti. Non sanno che noi ci sentiamo quasi arrivati! Quando ci chiedono del viaggio, restano stupiti; i più, qui, si limitano ai brevi 500km tra Pittsburgh e la capitale, e spesso tornano in treno, con l'Amtrak, che serve tutta la linea della ciclabile.







Dopo aver attraversato un primo dolcissimo tratto di bosco, che è verde giovane ma nero nei tronchi di alberi che diventerrano vecchi, e pieni di ragnatele e muschio e storia, e saggezza silenziosa, arriviamo al Dead's man hollow, dove c'era un'azienda di tubi in acciaio, e al cimitero di Dravo. In questo luogo vivevano gli indiani Seneca, nel villaggio chiamato Cyrie; poi fu costruita una chiesa metodista, con annesso cimitero, che arse in un incendio e di cui non resta traccia. Accanto alle lapidi è stato allestito un bel sito di campeggio gratuito, come ce ne sono diversi sulla GAP. Ciascuno ha i suoi tavoli da picnic, i suoi bagni, le fontanelle di acqua potabile e alberi e pratoni che accolgono a braccia aperte. Facciamo una sosta banana-mela e conosciamo due anziani ciclisti che stanno pranzando.





Ripartiamo tranquilli, godendoci il sole buono che filtra tra i rami e il silenzio. Attraversiamo qualche paesino assonnato ogni tanto, e non c'è tempo per la noia: il paesaggio muta spesso e ci sono mille dettagli che catturano lo sguardo.





Un esempio: le cascate di acqua rossa come il sangue, ricca di ferro del sottosuolo. Le pozze e i ruscelli intorno sono color ruggine e di ruggine sono coperti i tronchi e i sassi e la terra.






Dopo un'altra serie di paesini così piccoli da non sapere nemmeno loro di esistere, eccoci a West Newton, luogo scelto per la pausa pranzo. Questa città è stata fondata nel 1788 da un gruppo di pionieri che si fermarono qui a costruire imbarcazione per proseguire l'esplorazione lungo i fiumi. Fu punto di partenza per l'espansione ad ovest, nonchè snodo commerciale via terra e sulle chiatte. C'erano le miniere, ma niente di che, e la comunità locale ha dovuto affrontare incendi, esondazioni e anche un grave incidente ferroviario. Oggi è una città-dormitorio che trae gran vantaggio dalla presenza della GAP.


sfruttiamo la pompa seria per gonfiare un po' le gomme





Qui, tra alcuni "reperti" dell'antica ferrovia, nella stazione di treni ristrutturata, si trova uno dei molti infopoint, dove si possono avere tutte le dritte necessarie, e una gustosa serie di mappe cartacee dei singoli paesi della GAP. Io amo queste cose. La carta, che meraviglia. Poter tracciare con l'indice un percorso, su una mappa, con i nomi stampati. La goduria! Prendo tutti i volantini e la mia bici diventa ancora più pesante e carica... Ma non posso farne a meno!







A pranzo non si può che ricadere sull'ovvia scelta della Fox's pizza.




Così, belli rifocillati e carichi, torniamo in sella nel verde verdissimo. Il fondo ormai è sterrato e si va abbastanza piano, ma non serve prestare troppa attenzione a dove si metton le ruote: la gente è poca e il ghiaino perfetto. Si può andare in modalità pilota automatico e lasciar correre il fiume dei pensieri rotondi come le ruote, freschi come l'aria umida di linfa e leggeri come le nuvole che corrono corrono e fanno continuamente cambiare la luce sulle cose.











Ci lasciamo alle spalle una serie di micropaesi e villaggetti che paiono disabitati, ma la cui storia è stata riportata all'attenzione dei più proprio grazie alla GAP e ai pannelli offerti a chi pedala o cammina, che son movimenti lenti e permettono di fermarsi a leggere, e approfondire, in distanza di spazio e profondità di tempo.
Poi il bosco si infittisce e inizia a far quasi freddo. Il sole pian piano scende, e si avvicina l'ora del tramonto.






Affrettiamo il passo, mentre la pista sempre segue il fiume, e le due linee quasi si sfiorano, si baciano, si accarezzano e trovano la loro unione nelle radici lunghe degli alberi. C'è una tale pace, un silenzio così sacro, che pare di pedalare nella navata centrale di una cattedrale: corteccia le colonne, foglie i mosaici, cielo il soffitto.





Così, alla fine, stanchi nelle gambe ma rigenerati nello spirito, arriviamo a Connellsville; qui c'è il campeggio più spettacolare in cui potessimo fermarci.


Oltre ai servizi e alla fontanella, al pratone ai bbq, oltre ai tavoli da picnic e alle panche, al supermercato aperto 24 ore su 24 a 20 metri di distanza, ma senza disturbare, qui ci sono gli Adirondack shelters, ovvero delle meravigliose casette di legno, aperte su un lato, in cui si può montare la tenda rimanendo riparati dalle intemperie e dall'umidità, dal vento e dal fango.





Volendo, in un vicino hotel si può fare la doccia (ma costa 10 dollari, quindi anche no, stiamo puzzoni come siamo); nel parco accanto c'è la wifi. E nello shelter, oltre a un filo per stendere i panni e varie informazioni utili, ci sono dei libri da bookcrossing e dei minilibelli che dicono: "Sorridi, Jesoo ti ama!". A questa frase io aggiungo sempre: "E pensa se ti avesse odiato!". Comunque si sta divinamente qui dentro.



info point nella caboose


Conosciamo i nostri vicini di shelter, una coppia che abbiamo già incontrato oggi sulla ciclabile a più riprese. Sono giovani e lanciati, e vanno a Washington, da Pittsburgh. Poi torneranno in treno.
Oltre a loro, ci sono tanti che passano in bici e a piedi: anziani, ragazzini, famiglie e coppie. Tutti si godono questa pista e ogni cosa va come dovrebbe: nessuno sporca, nessuno infrange la regola del leave no traces, e un ciclista viene a portare una scatoletta al re del campeggio, questo micio coccolosissimo che vive qui.






Montiamo la tenda, andiamo a fare la spesa e ceniamo nell'ultima luce. Fa quasi freddo e dobbiamo coprirci molto; dal bosco esala un'umidità densa di muschio. E' ora di infilarsi nel sacco a pelo, e di lasciare che il bosco sussurri sogni di antichi fiumi, regni di cervi e cieli di lucciole.




Eccola qui la Pennsylvania, i Boschi di Penn. Se vi interessa approfondire un poco la storia di questo stato, voilà:
https://it.wikipedia.org/wiki/Pennsylvania


24/8
Connellsville-Frostburg
125km

La notte fa freddo davvero, e ringrazio Raymond (il bretone che cicloviaggia da 50 anni, che ora è in Cina a completare la via della seta iniziata con me l'anno scorso) per avermi regalato il suo bellissimo sacco a pelo super pro.
Anche al mattino, passate le 8, c'è ancora nebbia fitta che man mano va diradandosi e si scioglie e stempera, latte in una pozza d'azzurro. Facciamo colazione bardati di tutto punto, nei vapori delle nuvole basse. Ma, nel giro di una tazza di tè profumato, compare il sole tra strappi cobalto.







E così torniamo in sella, sulla nostra bella ciclabile che ci aspetta da ieri e non vede l'ora di portarci avanti, oltre e oltre ancora verso terre nuove, come fu per i pionieri, ma al contrario, verso l'oriente, con il sole in faccia.


attraversiamo il parco di Connellsville, sullo Youghiogheny, dove ci sono la papere-tosaerba che qui non mancano mai dove ci sono acqua e prati.






Dopo aver attraversato la città, dove gli automobilisti sono fin troppo gentili e ti lasciano passare anche se per te è rosso e per loro verde, torniamo into the wild nell'Ohiopyle state park.
















Ho fatto uno sterminio di foto di questa cattedrale di alberi, e so che potrebbero sembrare tutte uguali e monotone. Ma immaginatevi cosa possa significare pedalarci in mezzo, e lasciarsi accarezzare dal profumo di muschio, dal fresco che sale dal sottobosco e dal fruscio sacro delle foglie. E' una giostra delle meraviglie, uno spettacolo raro, e prezioso. Ne traggo istanti che sono smeraldi, verdi e luminosi, che mi restano in tasca insieme ad altre mille pietre preziose di ricordi raccolti per via.






Ci lasciamo alle spalle, senza poterla visitare, Fallingwater, famosissimo e gettonatissimo edificio progettato da Frank Lloyd Wright. Arriviamo ad architetture ben più notevoli, prima di Ohiopyle. Qui il fiume fa un'ansa a U e crea una penisola; due ponti si susseguono un dopo l'altro e sotto, tra bianchi scogli e correnti verdecupo, si vedono gruppi di persone che urlano facendo rafting o pagaiano in religioso silenzio sulle canoe. Sembrano minuscoli. Sono lontanissimi.














A Ohiopyle, che è una cittadina minuscola ma offre tutti i servizi possibili per i ciclisti, ci fermiamo un attimo: Gigi deve accordarsi con un suo amico, che è qui in Pennsylvania perchè i suoi figli si sono trasferiti e vivono e lavorano a breve distanza da Cumberland. Essendo anche lui ciclista, possiamo pedalare un poco insieme, e bisogna decidere il luogo e l'ora.







Andiamo avanti fino a Confluence, che si chiama così perchè qui mescolano le loro acque il fiume Youghiogheny, il Casselman e il Laurel Hill.






Ci fermiamo sul fiume a sgranocchiare un poco di frutta, e a sgranchirci le zampette. Non sembra, ma pedalare sullo sterrato costa un bel po' di fatica in più; oltretutto, siamo sempre in salita. Leggera, quasi invisibile all'occhio. Parliamo dell'1%. Ma con le bici stracariche e il loro culone pesante si sente.


Da qui in poi costeggiamo il Casselman e lo attraversiamo e riattraversiamo più volte, su ponti che si aprono a viste mozzafiato, impedite altrimenti dai boschi. Intorno sono colline, collinone, quasi monti. Sono gli Appalachi.








Il Pinkelman tunnel ci permette, come permetteva al treno, di bypassare ulteriori salite.




Posto alcune foto sfocate a causa del fondo sconnesso, ma significative. Innanzitutto, perchè danno l'idea di cosa vedo io dopo sei o sette ore in sella, miope e stanca. Quando la luce cala, vedo le cose. Ciclisti, ombre, animali, cervi e procioni, persone, presenze. A volte freno o devio per non cozzarci, e scopro che sono macchie di luce a terra, o sassi, o tronchi, o cartelli stradali. Brutta roba non vederci.
In secondo luogo, proprio in questi corridoi aperti a viva forza nella roccia, con il piccone e la dinamite, si ha la misura di quale lavoro abnorme, disumano, allucinante ci sia dietro ad opere del genere. Oggi, certo, per mantenere la ciclabile (bontà dei volontari), ma in passato soprattutto. Spesso Gigi ed io pensiamo ai pionieri e ai primi coloni, che arrivavano qui e trovavano indiani scalpatori che correvano veloci nei boschi e sul fiume, con le canoe, ed erano silenziosi come la notte. E poi c'erano boschi fittissimi, pieni di insidie, e un clima impietoso, disumano come le distanze. E a forza di braccia, per una fortissima volontà tutta umana, folle e disperata, egocentrica anche, di imporsi e lasciare il segno e plasmare il mondo e piegarlo ai proprio comodi, ecco schiere di uomini a torso nudo che spianano la strada, posano i binari, assicurano il terreno, che non frani, nè  valle nè a monte, e feriscono la montagna e aggiogano il fiume. I greci avrebbero detto hybris, tracotanza, credersi più forti dell'ordine naturale delle cose, in diritto di modificarlo. Poi l'abbiamo chiamato progresso.




A questo punto incrociamo l'amico di Gigi, Nino Ferrari. Ci è venuto incontro in bici da corsa, con un completino bello pulito che fa sfigurare i nostri, zozzi e puzzoni. Chiacchieriamo piacevolmente pedalando svelti, per quanto il nostro bagaglio ci possa permettere. La sua famiglia ci sta aspettando qualche miglio più a sud, e domani lui e la moglie tornano in Italia (abitano a Magenta), mentre il figlio, con la fidanzata, deve lavorare anche stasera al ristorante italiano aperto dal fratello. Insomma, loro mica sono in vacanza!





Pedaliamo nella luce che scende, e chiacchieriamo. La gente che passa sente tre italiani conversare e vede comparirsi davanti questo trio malassortito, ma ben compatto.







A Meyersdale ci aspetta anche la famiglia di Nino, che ci accoglie con tutti gli onori, e non solo a parole! San Pellegrino, "che è come Champagne", brownies e torroncini ricoperti di cioccolato, una delle molte delizie che i figli di Nino importano dall'Italia e vendono qui, distribuiscono e offrono nel loro ristorante. La scatola finisce prima di poter dire che sono deliziosi. Grazie ancora! Scopro persino che la moglie di Nino è parente del Tino Malini, proprietario della Memoria del mondo, libreria e casa editrice magentina che ha pubblicato il mio libro "Ciao mamma! Vad a Mosca in bici" e sta lavorando sul nuovo volume dedicato alla via della seta.



Viene poi il momento dei saluti, e ognuno torna dove deve. Nino e la moglie domani voleranno di nuovo in Italia, a casa, a Magenta. Il figlio e la fidanzata (mericana) al ristorante, con il fratello di lui. Noi, on the road. E' tutt'altro che presto e dobbiamo ancora pedalare almeno 30km per raggiungere Frostburg, meta di oggi. E in mezzo c'è il passo degli Appalachi, l'eastern great divide, che separa i fiumi che sfociano nel Golfo del Messico da quelli che scendono all'Atlantico.





Pian piano, chè ormai siamo bolliti, ci arriviamo davvero, al passo. Che poi è un tunnel.





Non è nulla di che in termini di altezza, ma segna il punto in cui si comincia a scendere. E non è mica poco!





Poco oltre ci attende il Big Savage tunnel, che è quello del simbolo della GAP. E' assai lungo ma illuminato. Ci supera un caddy guidato da quello che Gigi definisce "uno che non avrà avuto più di 5 anni". Di ciclisti non se ne vedono quasi più. Ormai è tardi. Sembra di esser tornati alla norma degli scorsi 5000km: grandi infrastrutture e nessuno a usarle. Tutti i auto, centauri messi umani mezzi sedile.







Una volta fuori dal tunnel (in tutti i sensi) ci si spalanca allo sguardo un orizzonte aperto e meravigliosi di colline dolci, accarezzate dall'ultima luce. Fa fresco fresco e il sole ormai è nascosto dietro i fianchi dei monti alle nostre spalle. Vorremmo accelerare, ma un folle di dio, con una bici ibrida mezza da corsa, mezza da rutamat, ci ferma e inizia una tirata sulla bellezza della natura, dei viaggi, del cielo e della terra. Parla a fiume e non è facile stargli dietro, poi quasi non ha denti quindi biascica. A stento lo salutiamo e ci buttiamo in picchiata giù per la discesa. Che frecc!






Poco oltre passiamo da un luogo-simbolo: la Mason and Dixon line. Icchell'è?




"La linea Mason-Dixon è una linea di demarcazione tra quattro stati che forma parte dei confini della Pennsylvania (da dove veniamo), del Maryland (dove entriamo), del Delaware e della Virginia Occidentale.
La linea fu tracciata tra il 1763 ed il 1767 dagli astronomi inglesi Charles Mason e Jeremiah Dixon, per risolvere una disputa di confine tra le colonie britanniche della Pennsylvania e del Maryland dell'America coloniale.
Mason e Dixon trovarono nella fase di misurazione molti più errori sistematici di quelli previsti, vale a dire errori non casuali. Quando queste informazioni furono sottoposte ai membri della Royal Society, Henry Cavendish si rese conto che le discrepanze potevano essere dovute alla forza di attrazione gravitazionale dei monti Allegani che deviavano i fili a piombo dei teodoliti e i liquidi volatili delle livelle.
Nevil Maskelyne nel 1772 propose quindi di misurare la forza gravitazionale che causava questa deformazione su un filo a piombo indotta dalla forza di una montagna vicina e nell'estate del 1773 inviò Mason (che era nel frattempo ritornato in patria) attraverso l'Inghilterra e la Scozia alla ricerca di un luogo adatto a ripetere l'esperienza. Mason selezionò la montagna di Schiehallion per condurre quello che divenne noto come l'esperimento Schiehallion, volto principalmente da Maskelyne a determinare la densità della montagna scozzese. Diversi anni dopo Cavendish utilizzò una bilancia di torsione molto sensibile per condurre l'esperimento Cavendish e determinare la densità della Terra.
Dopo l'abolizione della schiavitù da parte della Pennsylvania nel 1780, la linea Mason-Dixon servì come linea di demarcazione tra la cattività e la libertà. Oggi nell'uso popolare la linea viene usata per indicare simbolicamente il confine culturale tra il Nordest e il Sud (Dixie) degli Stati Uniti."


Dopo una gelida volata in picchiata tra i boschi dalle ombre sempre più lunghe, eccoci a Frostburg, il primo paese dopo il passo, l'ultimo escludendo Cumberland, capolinea della GAP.




Qui, dopo una rampetta che ci dà il colpo di grazia, ci sistemiamo nell'accogliente trail inn, che è ostello e campeggio. Andiamo a fare la spesa subito al 7/eleven (altra rampetta) e poi torniamo in stanza, dove alziamo i riscaldamenti a manetta e facciamo una doccia bollente. Il freddo e l'umidità ci sono penetrati sottopelle, nelle ossa e nei polmoni. La cena e il calduccio, però, ci rimetto presto in sesto. La sera è dedicata a studiare il tragitto per domani e i prossimi giorni. Si pone il gran dilemma: dopo Cumberland, dove finisce la GAP, è meglio proseguire sulla ciclabile, la Chesapeak&Ohio canal towpath, o saltare sulla strada normale?
I pro della ciclabile sono che è più sicura dal punto di vista auto, ha molti servizi dedicati ai viaggiatori (non ultimi dei campeggi "primitivi" gratuiti ogni 5 miglia) ed è completamente pianeggiante. I contro sono che è 70km più lunga della strada e il fondo pare non essere dei migliori (sassi e fango).
La strada ha di buono che è corta e asfaltata (e potremmo arrivare a Washington in 2 giorni e non in 3), ma ha il traffico e, ahimè ahimè, una sfilza spaventosa di colline cattive, con le rampe feroci.
L'idea è quella di vedere com'è la ciclabile e, in base al fondo, decidere al momento. In base a quello, si vedrà poi dove far tappa e tutto il resto.

Siamo il tempo. Siamo la famosa
parabola di Eràclito l’Oscuro.
Siamo l’acqua, non il diamante duro,
che si perde, non quella che riposa.
Siamo il fiume e siamo anche quel greco
che si guarda nel fiume. Il suo riflesso
muta nell’acqua del cangiante specchio,
nel cristallo che muta come il fuoco.
Noi siamo il vano fiume prefissato,
dritto al suo mare. L’ombra l’ha accerchiato.
Tutto ci disse addio, tutto svanisce.
La memoria non conia più monete.
E tuttavia qualcosa c’è che resta
e tuttavia qualcosa c’è che geme.

(Borges)

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