mercoledì 28 agosto 2019

57-58.Il Chesapeake&Ohio canal towpath. Fino a Washington DC sul Potomac, tra colline e troppo traffico







25/8
Frostburg-Winchester
135km

La mattinata è fresca e limpida, come si addice ad una bella giornata di fine agosto in collina. Invero, fa freddo proprio; quando ci alziamo la temperatura sfiora i 12 gradi e le finestre e le tende sono zuppe d'umidità. Facciamo colazione in camera con calma e poi, bardati come se fosse fine ottobre, usciamo nel sole già alto. Così ci saluta Frostburg, ed è un attimo. Con una discesa torniamo sulla GAP e il presente è già un ricordo.



La ciclabile ci riaccoglie a braccia aperte, con un ghiaino nero finissimo di pietra sminuzzata e il bosco che ride nella prima luce. Il contrasto di sole che filtra fra i rami ed ombre, tra foglie tenere di verde nuovo e tronchi neri, dà al paesaggio un aspetto ancora più incantevole, quasi magico o fatato. Mi sembra di sentir ridere le ninfe, o aleggiare gli spiriti di linfa. Qui tutto è pieno di dei, come era prima che uno sguardo disincantato iniziasse a scindere, dividere l'insieme e perder di vista l'organismo nel suo complesso, il tuttosfero che respira e vive.




La discesa, che proseguirà bellissima e invocata per 26km, fino all'arrivo, a Cumberland, segue non solo i vecchi binari, ma anche quelli nuovi e ancora in uso. Si costeggia la ferrovia e spesso la si attraversa. Sembra di essere sulle montagne russe, e nemmeno l'adrenalina manca: il fondo, a volte reso insidioso da sassi sgusciati via dai binari, a volte da rami o mucchi di sabbia, richiede attenzione, anche perchè in discesa è questione di un attimo.









A tratti il sipario di tronchi e foglie si apre sullo spettacolo delle colline, del sistema degli Appalachi che vanno di verde in verde fino a confondersi nella distanza con l'azzurro acquoso del cielo. Ieri eravamo al di là di quelle cime smussate, e vedevamo le pale eoliche dall'altra parte.


Poi si torna tra i boschi, accanto alla ferrovia, e ogni poco s'incontra un ciclista o qualcuno che corre o passeggia. In fondo è domenica.





Purtroppo le foto non rendono la bellezza di questi panorami che la GAP offre, balconata scenica sui fianchi verdissimi e morbidi di questa roccia.









Il giro di giostra, come tutte le cose belle, dura poco e finisce in breve. Siamo già arrivati a Cumberland, sul fiume Potomac. La cittadina è piacevole e turistica il giusto. E' strano tornare così tra le case, tante case, e tra le cose, troppe cose, dopo due giorni e mezzo di boschi e pietra.
Cumberland fu chiamata così dai coloni inglesi in onore del figlio di re Giorgio II, il principe William, duca di Cumberland. Fu costruita sul sito di Fort Cumberland della metà del XVIII secolo, il punto di partenza dell'attacco sfortunato del generale britannico Edward Braddock alla roccaforte francese di Fort Duquesne (l'attuale Pittsburgh) durante la guerra francese e indiana. Questa zona era stata a lungo abitata, da migliaia di anni, da popolazioni indigene. Il forte fu costruito lungo il Grande sentiero di guerra indiano, sul quale le tribù erano solite viaggiare nel backcountry.
Cumberland fu anche avamposto del colonnello George Washington durante la guerra franco-indiana, e qui fu costruito il suo primo quartier generale militare. Washington tornò come presidente degli Stati Uniti nel 1794 a Cumberland per rivedere le truppe riunite per contrastare la ribellione del whisky.





Durante il diciannovesimo secolo, Cumberland era una strada chiave, un raccordo ferroviario e aveva un canale per il trasporto di merci. È diventata la seconda città più grande del Maryland dopo la città portuale di Baltimora. Era soprannominata "The Queen City". Cumberland era il capolinea della Cumberland Road (iniziata nel 1811) che si estendeva verso ovest fino al fiume Ohio a Wheeling, West VirginiaQuesta era la prima parte di quella che sarebbe stata costruita come la Strada Nazionale, che alla fine raggiunse l'Ohio, l'Indiana e l'IllinoisNel 1850, molti fuggitivi neri raggiunsero la loro ultima fermata sulla ferrovia sotterranea sotto il pavimento della chiesa episcopale di Emmanuel. Un labirinto di tunnel sotto e un pastore abolizionista sopra hanno fornito rifugio a tanti prima dell'ultimo viaggio di cinque miglia verso la libertà in Pennsylvania.
Qui la rivoluzione industriale esplose grazie al carbone e al ferro estratti dalle colline, che fornivano anche legname in abbondanza. Fu costruito il canale Chesapeake&Ohio, che , con chiatte e zattere trainate dai muli, serviva a far circolare materie prime e merci tra Washington DC, capolinea orientale, e Cumberland, capolinea occidentale, nel Midwest. La ferrovia sostituì il canale, perchè portava più merci e più in fretta. Cumberland divenne un centro di produzione del vetro e della birra, di tessuti e metalli lavorati. Oggi la città si sta spopolando e vive più che altro di turismo.










Notevole è il mural che ripercorre in poche immagini la storia locale, che è un po' la storia di tutta la nazione, dai nativi nella natura incontaminata ai motociclisti illuminati dalla luce dei lampioni giallapiscio.













Ci avviciniamo a quello che è il nostro obiettivo principale: il Chesapeake&Ohio canal towpath, ovvero la naturale prosecuzione della GAP, che porta fino a Washington, dopo quasi 300km di anse ed ansie sulle sponde del Potomac.


La ciclabile altro non è che sentiero per i muli lungo il canale, che fu costruito tra il 1828 e il 1850, e operò sporadicamente tra le alluvioni fino al 1924. Nel 1954, il giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti William O. Douglas organizzò un'escursione di otto giorni lungo il sentiero del canale nel tentativo di salvarlo dalla conversione in una strada panoramica. I suoi sforzi ebbero successo e nel 1971 il canale divenne un parco storico nazionale. In sè, è tutto bellissimo. Come sulla GAP ci sono servizi ogni poche miglia, bagni, campeggi gratuiti e non, fontanelle e, alle intersezioni con le città, negozi e alberghi e officine per le bici. Tutto è organizzato alla perfezione. Peccato che in molti siti si legga che il fondo è malmesso. Fango e sassi, e poca manutenzione sono le cause principali. In prima battuta lo avevo escluso a priori, perchè io sono una pippa a guidare e non riesco a tenere il manubrio come si deve, con i gomiti bionici che mi ritrovo. E poi sono una bitumara nell'anima, lo sterrato brutto mi stressa e mi fa perdere il gusto e la gioia dello stare in sella. Dunque, lo avevo escluso. Però in questi giorni ho raccolto diversi pareri da parte dei ciclisti lungo la strada, e la GAP mi è piaciuta così tanto, che s'era quasi deciso di pedalare questo canale, e avevo anche già preparato le tappe.











Così, pieni pieni di fede nell'errore di ieri, di oggi, di domani che non può mancare, ci portiamo all'imbocco del sentiero, lungo il canale, accanto al Potomac. Il paesaggio è fantastico, tra le colline e il cristallo azzurro liquido del fiume. C'è anche una chiatta di quelle che risalivano fin qui dalla capitale, e lo skyline di Cumberland chiude la cornice. Insomma, si va! Ci metteremo 3 giorni al posto di 2, e pedaleremo 300km e non 220, ma va bene così. Meglio evitare il traffico e soprattutto le salite...













Pedaliamo sul canale 10km. Il sentiero si snoda tra fitti boschi e pratoni, paludi e campi, marcite e periferie da archeologia industriale. All'inizio le ruote scorrono bene sul ghiaino; certo, c'è da prestare attenzione e non c'è spazio per distrazioni, ma si procede spediti.. Poi, però, inizia a farsi più stretta la sottile striscia pedalabile tra radici e cespugli, ed è un campo minato di buche profonde e fango alto una spanna che fa sbandare e costringe a fermarsi e passare, spingendo la bici come un monopattino, tutt'attorno. Insomma, questi 10km ci portano via quasi un'ora. Certo è tutto verde e silenzioso e bello, e ho visto persino un procione vivo e da vicino, ma di questo passo non possiamo proseguire. Vorrebbe dire stare in sella per tre giorni da prima dell'alba a oltre il tramonto, un impegno eccessivo da masochisti.




Così, nel giro di un attimo, la decisione è presa. Alea iacta. Si fa la strada normale, che va imboccata subito, prima che si allontani dal percorso del canale. Qualche rampetta e via, siamo di nuovo nel mondo dei più, sull'asfalto liscio e amico, on the road. Per i primi minuti penso tra me e me che la decisione di uscire dalla ciclabile sia stata una delle più sagge prese in questo viaggio. Le ruote scorrono meravigliosamente sul fiume grigio senza grinze e le tanto temute salite sono dolci saliscendi. Questo i primi tre o quattro minuti.
Poi iniziano delle rampe feroci che andranno avanti per l'INTERA GIORNATA. Una cosa terribile, una pena che non si può dire. Arriverò alla sera a parlare ad alta voce con la strada e dirle che dovrebbe vergognarsi a salire ancora, ad osare tanto, a umiliarci e prostrarci così. Dovrebbe vergognarsi, la strada, per essere così crudele con noi che le abbiamo dedicato il cuore e il respiro, il tempo e gli sguardi.
Insomma, per farla breve, da qui inizia l'inferno dell'altopiano appalachiano, aggirato astutamente da un lato con la GAP e ora pronto a vendicarsi e a dimostrare tutta la sua grandezza muta di roccia e muschio.



Non ho fatto molte foto perchè le rampe in salita e in discesa erano così ripide da richiedere presa salda e gambe d'acciaio. E due palle così, perchè alla ventesima salita, cui segue discesa, cui segue subito di nuovo salita, e poi discesa, e così via, uno può dar via la testa. Sulla cartina questa zona pare una seta aggrinzata, e ogni piega è una linea di colline schierate per non lasciarci passare.
Non ci sono nemmeno paesi, se non minuscoli villaggi privi di servizi: questa è l'area della Green ridge state forest. Ah, non aggiunto un dettaglio importante: la strada è strettissima e priva di bordo, e anche sporca di sassi e rami sul bordo della carreggiata. Quando si scende, le auto stentano a superare perchè si ondeggia, quando si sale, perchè le curve e i dossi impediscono di vedere se arriva qualcuno in direzione opposta. E così si procede con file di auto che stanno alle spalle, e poi sorpassano sgasando e smadonnando. Così per tutto il tempo. Ho i nervi a fior di pelle e le mie energie di vanno esaurendo in fretta.
Sulla 51 passiamo Oldtown











e attraversiamo il Potomac per raggiungere Paw Paw. Siamo di nuovo in West Virginia! (per saperne di più su questo stato: https://it.wikipedia.org/wiki/Virginia_Occidentale)







A Paw paw passava Washington nei suoi viaggio verso l'ovest, e il fiume, navigato fin dalla metà del Settecento, portò qui molti pionieri e coloni che poi costruivano case e fattorie lungo il Potomac. Il nome della città deriva dalla pianta (asimina triloba o paw paw) che qui cresce alla grande, selvatica. Qui incrociamo per l'ultima volta la ciclabile del C&O canal, che, proprio all'altezza della cittadina, offre il passaggio spettacolare nel tunnel paw paw, 1km in cui si corre proprio accanto al treno. Noi non facciamo il tunnel e ci lasciamo alle spalle la pista. Facciamo però sosta a un benzinaio (quanto tempo! Mi eran mancati) dove destiamo indifferenza e schifo in alcuni, ammirazione e WOWismo in altri. Vorrei anche studiare la mappa e capire dove ci si possa fermare stasera (avevo preparato la tappa solo via ciclabile), ma non c'è rete e non internet sul telefono. Dalla cartina cartacea appesa ai vetri del benzinaio, vedo la prima città grande che incrociamo è Winchester, a 80km ancora da qui. Da spararsi un colpo in testa, se son tutti così a colline maledette. Ebbene, saranno anche peggio.





Tutto il pomeriggio e la sera trascorrono intorno a noi, nel mutare della luce, nell'aria che si fa più fredda e nel correre impetuoso delle nuvole in cielo. Trascorrono i secondi, i minuti e le ore. Cade una goccia di sudore, e poi un'altra, gli istanti si fanno eterni. Noi arranchiamo, sempre più sfatti, sempre più storti, su tutte le colline che dio ha generosamente messo in terra in questa fetta di mondo. Molto generosamente.
Fa male tutto: i piedi, i palmi delle mani e la schiena, il culo calloso, le gambe, tantissimo, issimo, e ogni muscolo è sfibrato come una vecchia corda consunta. Ma non c'è tempo per fare soste: le giornate non sono più lunghe e ci si avvicina all'equinozio, l'autunno si insinua pian piano in quest'ultimo ricamo d'estate; la trama ancora è calda di sole altissimo, l'ordito fruscia di foglie gialle, a terra, e di luce obliqua e appena tiepida. Non basta nemmeno a scaldarsi. Quindi avanti, Savoia che al temp al s'imbròia. I kilometri sembrano non voler essere calpestati e stanno sempre davanti, mai alle spalle. Passano con il contagocce, mentre il crepuscolo fa capolino da dietro le colline.



In tutto questo, le meraviglie sopraffine della storia locale si dispiegano ai nostri occhi. Da stamattina già ho notato che qui in West Virginia amano mettere pannelli esplicativi accanto ad ogni cacatina che abbia più di cinquant'anni. Le strade, le città e le piazze ne sono tappezzate, anche in mezzo al nulla, dove nessuno potrebbe fermarsi, soprattutto se è al volante, per leggere. Insomma, ci sono le "robe storiche", ci sono gli spiegotti, e noi ci facciamo una cultura. Che è una scusa per rifiatare un attimo.




Ormai la luce è calata, ma non manca molto. Mi illudo che per arrivare a Winchester, da qui in poi, sia tutta discesa: mica è in quota, buon cielo, mica ci sono le stazioni sciistiche a Winchester. Ci saranno i fucili, che so, le armi da fuoco. E la discesa, e poi la benedetta invocata pianura. In fondo stiamo andando verso la costa, l'eastern divide è alle spalle da ieri... Perchè osa salire ancora questa strada? Perchè è tanto sfacciata? Non si vergogna davvero? Non ne ha abbastanza anche lei, di salire e scendere? Eh, strada? Ma ce la fai? Non sei mica un fiume. Si dice che i fiumi abbiano una lunghezza di circa 7 volte maggiore rispetto alla distanza, in linea d'aria, tra sorgente e foce. Questa strada anche, ma non per le anse a destra e sinistra, ma per le salite e le discese. Una merdaccia insomma.
Per altro inizia a insinuarsi tra i pensieri, come un GianTarlo, il timore che il motel a cui stiamo puntando abbia qualche problema, che so, il cartello al neon con scritto no vacancy o la sorpresa che i prezzi per i late arrivals siano quadrupli rispetto a quelli (assai pop) che si leggono su internet. Il GianTarlo diventa insistente ed è, di fatto, l'unico pensiero strutturato in una melassa informe di immagini, sillabe e linee che galleggiano, affondano e affiorano alla rinfusa su un brodo color grigio-maròn, che è il colore per eccellenza della fatica.



Inaspettatamente (ormai non capisco più un caso) un cartello ci comunica che siamo entrati in Virginia. Che è per gli amanti, gli innamorati, o per chi, in generale, ama. E' per noi il tredicesimo stato, senza contare che nella sua sorella Occidentale siamo entrati, usciti e rientrati. Rimando alla sera, dopo l'arrivo, la lettura di quattro notizie in merito. Dobbiamo pedalare ancora un monte, anzi, un sacco di monti, tutte le code di Appalachi da questo lato e io non ne ho quasi più. Vado avanti giusto perchè non c'è alternativa.


Saliscendi, scendisali, risaliriscendi, ririscendi ririsali, vediamo il cartello verde con la scritta Winchester che è quasi buio, e non ci pare vero.





Il motel a cui puntiamo, che si chiama Winchester Budget Motel (e tutto quadra, che è nel posto giusto al prezzo giusto) sta proprio sulla strada da cui arriviamo, a pochi minuti dall'ingresso nei confini della città. Vediamo l'insegna ben alta, e, agili come foche che tentano un tuffo carpiato, planiamo all'office. Il posto è lercio come il prezzo faceva immaginare, ma pieno: ogni singola finestra ha un'auto parcheggiata davanti. E l'ufficio in realtà è un magazzino di scope e scatoloni, e, ca va sans dire, non c'è nessuno. Il che è una bella ciavada: escludendo i B&B in ville storiche e le catene di hotel luxury, in zona non c'è nulla. Comunque, poichè spes ultima dea e chi vive sperando muore cagando, chiediamo ad un tizio comparso sull'uscio in ciabatte, canottiera piena di unto e barba e capelli impastati, anzi, impataccati di antichi umori e resti di cibo. Grattandosi alla grande, ci saluta. Gli chiedo, con grande garbo e finezza nell'eloquio, se sa chi potremmo contattare per avere una camera. Dice che non c'è nessuno da chiamare, che è tutto pieno imballato di gente che, come lui, vive lì. Ah. Ottimo!
Ci dà anche consigli e indicazioni su dove provare ad andare, farfugliando nomi di catene a caso. Io che ho già visto nel pomeriggio la situazione, so che non c'è nulla a meno di 6km, vale a dire nella periferia della città dalla parte opposta. Gigi, che, ricordiamolo, è "poco fluente" in inglese, capisce ancor meno di me, che già afferro a fatica i concetti del tizio che biascica, e ha pure il coraggio di dar più retta a deliri del barbone che a me! "Ha detto (il tizio) che di là c'è un motel 6, io proverei...." mi sento dire. Quando so perfettamente che "di là" non c'è alcun motel, tantomeno il 6. E il tizio non ha mai parlato di "motel 6 di là". Questo siparietto dell'assurdo, che mi provoca pensieri violenti e indicibili (ma poi passa, a Gigi non si può che voler bene), si svolge mentre il buio si spalma denso su tutto. E noi siamo lì, mentre uno che non parla inglese prende informazioni da uno che parla solo inglese ed è strafatto marcio. Per fortuna riesco a connettermi e prenoto al volo una stanza in un altro motel, a 6km circa, in direzione che ci è comoda per domani, superscontato perchè dopo una certa ora i prezzi precipitano. Gambe in spalla, culo in sella, e menare sui pedali. Le mie lucine, dopo l'acquazzone di Pittsburgh, vanno solo quando Saturno entra nel cerchio di Venere la cenere Lune la fune Marte le scarpe Mercole le nespole e Giove le ove. E se la congiunzione astrale non si verifica, io pedalo al buio e devo fare affidamento ai soli catarifrangenti che ho sulle borse e sul gilet. Non è un suicidio assistito solo perchè non è affatto assistito. Pedaliamo nella sera attraverso Winchester, e finalmente raggiungiamo il motel. In realtà è un mega-condominio con appartamenti più o meno grandi (domani le foto), pensati soprattutto per soggiorni a lungo termine, settimanali, mensili o persino annuali. Qui per lavorare si è costretti al nomadismo e questi luoghi sono la naturale conseguenza di una nazione dove si fanno otto, dieci traslochi nel corso della propria vita, per studiare, trovare un impiego e non restare senza assicurazione con il culo per terra. Check in, doccia, spesa al vicino benzinaro e anche per oggi abbiamo dato.

Di Winchester, la prima città a sud del Potomac a installare la luce elettrica, leggo qui: https://en.wikipedia.org/wiki/Winchester,_Virginia
Mentre qui della Virginia: https://it.wikipedia.org/wiki/Virginia 
Poi scrivo e pubblico, e son le 2.30. Ma va bene così. Domani entriamo a Washington DC!

26/8
Winchester-Arlington (Washington DC)
113km

Partiamo lenti e impastati di sonno e fatica, ancora, da ieri. Ho già prenotato anche la nostra stanzetta nella capitale, o meglio, dove si trova il famoso cimitero, a breve passo dal centro. Ci sono, a Washington, molti ostelli assai economici e allettanti, ma, stando qualche kilometro più in là rispetto al cuore della città, e frugando bene l'internet, si trovano stanze private a cifre gustose, colazione sempre inclusa. E che si vuole di più?
A proposito di alloggi, qualche foto di quello dove abbiamo trovato riparo ieri notte, l'APM Inn, per pernottamenti short e long term. Non badate all'ordine che regna sovrano, abbiamo solo le borse e ogni sera si tira fuori tutto, ogni mattina si rimette tutto dentro.



All'interno:



All'esterno:




Immagino quella di oggi come una tappetta tranquilla, pianeggiante, non troppo lunga e serena. Abbiamo un indirizzo a cui recarci, per l'arrivo, e poi ci fermeremo due giorni a fare i turisti. Insomma, una passeggiata! E invece...

I primi kilometri scorrono lisci come seta stesa, sotto nuvole basse che denunciano la prossimità dell'oceano, che ormai è davvero vicino. La strada è ben asfaltata e il traffico consistente solo a momenti alterni, in base ai semafori. Appena fuori dalla città, comunque, si dirada, e si procede spediti verso le magnifiche sorti e progressive.



Non si può dire che sia tutta pianura, eh. Anzi. Però non ci sono quelle rampe ineffabili e innominabili di ieri. Le pendenze si lasciano domare e aggiogare senza troppa fatica, e, nonostante un leggero vento contrario, manteniamo una velocità che fa sperare in un arrivo anticipato. O almeno non con il buio. E invece...



Intorno a noi ci sono sono ampie distese di campi e prati, e bosco a macchie; certo non è più il verde selvaggio e potente dei monti, è una natura addomesticata questa. Ci sono i recinti e le mucche al pascolo, l'erba tagliata di fresco e la mano dell'uomo sul tutto, a squadrare e tendere il filo spinato, tra i campi coltivati a cielo e denaro, a cielo ed amore.
Poi c'è uno Spongebob a caso, a buffo, che mi saluta tra il granturco. La mia follia ormai è conclamata, e temo sia l'ennesima allucinazione dovuta alla stanchezza e al poco sonno. Invece no, c'è davvero Spongebob tra le pannocchie. Mah.




Davanti a noi si para quella che credo essere l'ultima scalata di oggi, del viaggio, di sempre, perchè di salite e colline e rampe ho ormai la nausea. Si vede dalle linee altimetriche, sulla mappa, una striscia scura di collinone, ed è da superare di netto, ed è lì davanti a noi, sempre più vicina, preannunciata da salitelle minori che si susseguono sempre più ravvicinate. Nel silenzio della strada sinuosa, Gigi esclama: "Seimila!". Urca, seimila. 6000. s-e-i-m-i-l-a.
S
E
I
M
I
L
A
Kilometri pedalati fino a qua. Da un oceano all'altro, a ricucire le distanze immense. Perchè non c'è mai nulla di troppo lontano. E' tutta questione di tempo, e di pazienza. Seimila. Sono tanti. Dalla California, da San Fran, a qui. Se guardo la cartina mi vengono i brividi. Altrimenti non è facile rendersi conto della quantità di strada divorata metro a metro. I ricordi si impastano e compattano, i primi giorni, due mesi fa, sembrano a volte vicinissimi nel tempo, a volte lontani, di un'altra era geologica. Mi porto addosso un vestito iridescente di luci e istanti, le onde del Pacifico sul Big Sur e i fiori in spiaggia, o forse erano stelle o sguardi, e la follia di Los Angeles, il deserto e le città fantasma, le guglie del Canyon, il rosso della Monument valley e il volto d'argilla antica dei Navajo, la sabbia verde e bianca del Deserto dipinto, e tutto quel caldo, la volta che ci siamo impantanati nella sabbia degli indiani e c'erano i coyote morti, poi le Montagne rocciose, le neve, i fiumi, il vento del Kansas, i fiumi in Mossouri e la Katy trail, le luci dolci delle Grandi pianure che non sono in piano e, mille strati più in su, come negli scavi archeologici, i volti della gente con cui ho parlato, e lo skyline delle città al tramonto, e mille episodi che per fortuna ho scritto, per fortuna, per necessità, per paura di dimenticare. Perchè tutto si tiene, e voglio che resti, dentro di me, sottopelle, nel sangue, nelle spirali vorticose del dna, e fuori, riordinato e scritto, in fila, giorno per giorno, con le parole, perchè nulla vada perduto. E già tanto scivola via, come acqua tra le dita, come tutto, nella vita.
Seimila.


Prima di attaccare la scalata dell'ultima fila di colline, ci fermiamo ad un benzinaio. Gigi deve gonfiare la ruota posteriore, che è talmente molle da farlo procede obliquo. Entrambi dobbiamo fare pipì, ed entrambi finiamo col comprare un sacco di roba inutile. Gigi la carne secca, o Slim Jim, (che nel lessico familiare è "i salamini"), io un blocchetto di fudge, roba che vedo da due mesi e non ho ancora osato assaggiare. Trattasi di deliziosa caramellona fatta con zucchero, burro e latte, e poi condimenti a piacere, dal cacao alla frutta. Io opto per sciroppo d'acero e noci. Una botta meglio di qualunque droga sul mercato!



Si riparte. Discesina, e ponte sul fiume Shenandoah, da cui parte la scalata.
Proprio mentre rallento per fare qualche foto



Noto a terra qualcosa. Sembra uno smartphone, e non spetasciato e distrutto come i molti che si vedono a bordo strada, ma ancora integro. Torno indietro, lo raccolgo ed è un Iphone piuttosto recente. Lo schermo è un poco incrinato, ma il resto non ha subito danni. E' acceso. Oltre a varie notifiche, ci sono diverse chiamate perse da un numero salvato come "Mom". Tutte risalgono all'ultima mezz'ora. Lo schermo è bloccato ma riesco comunque a chiamare "Mom". Inizia una lunga telefonata con questa voce femminile tutta agitata e insistente, che vuole indicazioni in merito a dove siamo, come abbiamo trovato il telefono, perchè il telefono era lì e non là (e che ne so io?) e così via. Dopo aver risposto a questa raffica di domande (e già mi vien voglia di buttarlo nel fiume 'sto cazz di Iphone), e dopo aver rassicurato la donna che sì, non lo abbiamo preso ma trovato a terra, e sì, siamo sul ponte, e sì, se arriva entro dieci minuti aspettiamo, restiamo così d'accordo. La tipa sta arrivando in auto, presumibilmente con il figlio. Passano i minuti e iniziamo a spazientirci. Quasi insinuava che ce ne fossimo appropriati mariuolando, la sconosciuta. Ma guarda te. E tocca pure aspettarla! Dopo poco arriva una macchina rossa sportiva ma non di marca nota, una tamarrata insomma. Sgomma, frena e immantinente scendono, dal lato guidatore, un ragazzone che avrà 16 anni, tipo Ed Sheeran ma senza tatuaggi e con 70kg in più, camicia rosa con i bottoni slargati dalla panza e calzoncini corti con calze lunghe bianche. Da lato passeggero "Mom", gamba chiusa in un tutore, occhiale da sole da runner/ciclista, canottiera tipo militare camouflage e, cosa da cui non riesco a distogliere lo sguardo, pettinatura brutta anni '80 in questo modo, su viso dalla forma assai simile:



Da come parlano e soprattutto da quel che dicono immagino che portino con orgoglio, esposta nel cortile della loro mobilhome marcia in un parco in cui vivono in mezzo alle zanzare, smadonnando contro i procioni che frugano la monnezza, una bandiera dei sudisti. Immagino che siano assai contrariati dal fatto che due STRANIERI, ITALIANI e per di più CICLISTI, categorie notoriamente inferiori, stiano loro restituendo un telefono che costa un bel po' di soldini. Immagino anche che le loro convinzioni non muteranno dopo questo episodio, e continueranno ad essere troppo patrioti, razzisti e prepotenti, maleducati e volgari. Bisogna essere intelligenti per saper cambiare idea sulle cose. MA. Magari questo tempo perso e tutto l'episodio possono insinuare in piccolo piccolo dubbio in loro, nelle loro convinzioni e nella loro testolina piena di paura e rabbia e frustrazione. In ogni caso, il ragazzone con acne sui primi peletti di barba osceni sempre. quando il viso degli adolescenti si trasforma in una coda di ratto, non ha tempo per ringraziare, solo per lamentarsi del fatto che lo schermo è incrinato. La madre, invece, è più formale, e ringrazia. Ripete ancora che le pare strano che il telefono sia caduto proprio lì, visto che sono partiti da Winchester e forse era rimasto sul tettuccio. Insinua ancora, insomma. Mavaffanculo! Grazie, prego e tanti saluti, la prossima volta quell'Iphone spero voli nel fiume. I due ripartono sgasando e noi, pianino pianino, intraprendiamo la salita. Che non è troppo ripida, ma non finisce mai.





A questo punto lasciamo la strada ampia che abbiamo seguito finora per dirigerci, attraverso un connettore che passa sulle ultime colline, verso la US 50. Questo "connettore", cioè strada secondaria che passa tra villaggi e cascine, boschi e megaville di annoiati ricconi stufi della frenesia urbana, si rivela una trappola. sembra di esser tornati nell'incubo di ieri. E' tutto un saliscendi di rampe ripidissime. roba da farsela addosso in discesa, e pure in salita, come i maratoneti, per lo sforzo. Le pendenze sono tali da far sembrare, dalla discesa A, la salita B un muro verticale. Vedo Gigi davanti a me ascendere come in un'apoteosi. Si soffre. Si soffre tanto.







in questa foto, sul prato, a sinistra, si vede un cervo che scappa








Ad essere onesti i paesaggi intorno sono davvero molto belli. Ci sono i boschi, e le ville, e i recinti, e tutto è ordinato e perfetto come una casa delle bambole. In giro non si vede nessuno e il traffico è ridotto a qualche auto ogni tanto. Non fosse per le rampe, sarebbe una strada panoramica e tranquilla, perfetta per pedalare. Invece è una porcheria di dolore e sudore, e magari ci fosse una valle di lacrime! Qui la valle è ben lontana.









Dopo un numero indefinito di salite e di porconi, dopo aver visto i cervi di nuovo nei cortili delle ville e dei falchi enormi, da vicinissimo, che stavano mangiando una carogna di procione in mezzo alla strada e non si sono spostati al nostro passaggio, siamo finalmente giunti alla benedetta US 50, che ci porta fino all'albergo a Washington, sempre dritti e non si sbaglia.  Passiamo per Aldie, fondata nel 1756, che fu teatro di molte battaglie durante la guerra di secessione e, nonostante questo, è rimasta quasi intatta con i suoi edifici ottocenteschi.


Poi proseguiamo sulla 50, in attesa di trovare un posto per fermarci. Iniziamo ad averne bisogno. La 50, per altro, non è affatto piana come speravo, ed è assai trafficata, ma tanto veramente, e stretta. Non ha bordo, ha una sola corsia (qui) ed è invasa da una linea continua di auto e camion.
Ci fermiamo a quel che pare un benzinaio, ma non ha un negozio collegato. Accanto, tuttavia, spicca il maleodorante "paninaro", detto "lezzo" o "il lurido", che serve i locals. Trattasi di van ormai ben piantato nel terreno gestito da messicani che parlano solo ed esclusivamente spagnolo. Il tutto porta il roboante nome di "Rosita pupuseria lunchera". E via, cesso chimico accanto, bidone della monneza con le mosche dietro alla panca e il pranzo è servito. Ci intendiamo in spagnolo (è la prima volta che parlo questa lingua con qualcuno. Non l'ho studiato davvero ma mi intendo e riesco a farmi capire). I clienti, tutti alti un metro e baffuti, sono molti e dunque il cibo dev'essere buono, infezioni a parte. Gigi ordina un burrito al pollo, io una quesadilla che vien fuori con riso e salsa di fagioli, oltre a un bidoncino di piccantissimo, issimo issimo condimento. Vi dirò: da leccarsi i baffi!






Dopo una lunga pausa digestiva torniamo in sella. La highway 50 è una signora strada, che connette le due coste e arriva fino a Sacramento. Avremmo potuto seguirla noi, volendo, quasi dall'inizio alla fine del viaggio. Non fosse che attraversa zone davvero desolate, tanto da essere definita "the loneliest road in America". Comunque, questa arteria che porta da ovest ad est, era la principale via di passaggio su quest'asse fino a prima della II guerra mondiale.


Il problema è che, ben presto, la strada diventa uno stradone, e poi un mare d'asfalto e traffico. In alcuni tratti c'è un marciapiede o una zona protetta fuori dalla carreggiata. Ma per lo più si marcia insieme alle auto, che sfrecciano su 3, a volte 4 corsie per parte. Le intersezioni, le uscite, le immissioni e gli incroci sono pericolosissimi, anzi, di più. Veramente da far accapponare la pelle. Il fatto è che, già in condizioni terribili di traffico e viabilità, ci troviamo ad affrontare guidatori che non sono abituati a gestire la presenza in strada di ciclisti. E quindi qualcuno passa vicinissimo senza rallentare, qualcuno inchioda senza motivo, rischiando di farsi tamponare da chi arriva dietro, qualcuno ci si mette dietro e ci segue a 20km/h per tratti lunghissimi, rallentando tutto il flusso di auto, in un concerto di clacson e bestemmie. Insomma, gli americani non sanno che fare quando ci sono ciclisti in strada. E rallentano quando dovrebbero levarsi di culo, o accelerano quando non avrebbero precedenza. Un delirio. La tensione sale e stare in sella diventa stressante. Ogni svincolo è pericolo di morte.



Più ci avviciniamo alla capitale, peggiore si fa la situazione. Non ho nemmeno più scattato foto perchè davvero era impossibile staccare gli occhi dalla strada. I semafori, la necessità di prestare somma attenzione alle intersezioni e, in tutto questo, LE CONTINUE SALITE (ma porca la miseria schifa impestata e prostituita) su strada stretta, ci hanno pure rallentato la marcia e non poco. I kilometri non passavano mai, lo stress era alle stelle e l'idea di non arrivare integri a destinazione presente e forte e chiara. Abbiamo dovuto superare una cinquantina di km in queste condizioni, incappando pure nella rush hour di uscita dagli uffici. Un delirio. Fin quasi alla fine son stata sempre prudentissima, con mille frenate per guardare da ogni lato e soste appiccicati ai guardrail, in attesa che non arrivasse nessuno. Poi, quando ha iniziato a fare buio, non ne potevo davvero più e ho preso a tirare andando sempre dritta per la mia strada, chè sono un veicolo anch'io  anch'io ho diritto di precedenza quando mi spetta, e diritto di transitare sulla carreggiata (la strada non è vietata alle bici). E così, nell'ultimo sforzo delirante, abbiamo portato le nostre chiappe, sane e salve, fino al motel.


Mi sono commossa quando, sopra di noi, è passato gracchiando uno stormo di pellicani in formazione a V, grigi nel cielo grigio. Era dalla California che non si vedevano! Ciao pellicani! L'oceano è vicino! Ci siamo!

Il check in è stato rapido e l'enorme omone di colore che fa da guardia notturna di ha accolti con scioltezza. Un po' meno sciolta ero io quando sono a andata a dirgli che, forse forse, sorry sorry,, avevo rotto la serratura della porta (uscendo a far la spesa ho chiuso dall'interno e poi, da fuori, pure con la chiave, non si riusciva più ad aprire). Invece niente di grave. Domani inizia la visita di Washington, e per due giorni saremo turisti fra i tanti.
Ci sono millemila cose da vedere qui, e sicuramente non avremo tempo di annoiarci. Anzi! Qui pulsa il cuore degli States, che piaccia o meno, e qui si è scritta tanta storia. Non vedo l'ora di leggerne i capitoli, tra cupole bianche e colonne, specchi di fontane e musei del tutto.

1 commento:

  1. Peccato, c'era la Old Dominion Trail che usano quelli che vanno a lavorare a DC in bici. http://www.bikewashington.org/trails/wad/wad.htm

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