giovedì 29 agosto 2019

59-60. Washington DC. Una capitale con la C maiuscola. "I have a dream..."




Ebbene, eccomi qua a raccontare la capitale di questo paese grande che da due mesi stiamo attraversando. Una prima precisazione: ci siamo fermati "solo" due giorni qui a fare i turisti e visitare i musei e i monumenti; due giorni senza pedalare mi son sembrati tantissimi, al punto che ho pure sbagliato a prenotare il motel (avevo preso solo 2 notti) e la mattina del secondo giorno ho trascorso una buona mezz'ora a frugare l'internet per avere la stessa camera allo stesso prezzo dei giorni precedenti. Tuttavia, a livello generale, due giorni sono assolutamente troppo pochi per visitare in maniera non dico completa, ma almeno soddisfacente, la città. Ci sono decine di musei abnormi e interessantissimi, e GRATUITI, in cui si possono passare tranquillamente 5-6 ore ciascuno. Arte, storia, scienze naturali, letteratura, moda, tecnologia, politica, spionaggio, architettura: ce n'è per tutti. Se vivessi qui, considerando la gratuità degli ingressi, saprei cosa fare nel tempo libero da oggi alla fine dei miei giorni. Pertanto abbiamo dovuto scegliere, ed è stato difficile, doloroso a volte. Vedere qualcosa significa rinunciare a vederne un'altra. E questo è triste e ci richiama la necessità di vivere una vita sola, e non tutte quelle che potremmo, perchè la finitudine nel tempo e nello spazio è la nostra condizione prima di esistenza.
Ciò premesso, non c'è nulla da dire: Washington è una città con la C maiuscola, la C capitale appunto. Da Arlington, ancora in Virginia, al cuore della capitale, in quei 10km che ho potuto vedere, non c'è un filo d'erba fuori posto. Ci sono quartieri moderni con i palazzoni alti e le vetrate che specchiano il cielo, ma non in centro. Più ci si avvicina al Mall, che è la sede di tutto, dall'amministrazione del potere a quella della cultura, si avvicendano edifici in stile neoclassico, bianchi di colonnati, fontane e parchi, e si respira un'aria tranquilla ma seria, non scazzata nè vacanziera. Si ha l'impressione che la gente, qui, stia gran bene, e viva tra lavoro e yoga al parco, birretta con gli amici e lavoro ancora.
Mancano le contraddizioni che son la cifra delle altre grandi città?
No. Ci sono gli homeless anche qui, e c'è la povera gente che tira a campare in qualche modo. Ci sono i tossici, gli ubriachi e gli alienati, quelli che parlano da soli (o sono al telefono?) e quelli che vivono nelle tende sotto ai ponti. Ma sono pochi, nascosti negli angoli, al margine, oltre i bordi del campo visivo. Raramente attirano l'attenzione, e sembra quasi che, come lucertole, possano scomparire all'improvviso nelle crepe dei muri. Questo, forse, per una questione d'immagine: non starebbe mica bene vedere il Campidoglio o la Casa bianca invasi da senzatetto e drogati! Ho come l'impressione che qui la polizia sia decisamente meno tollerante e ogni tanto "pulisca" le strade da quelli che sono considerati rifiuti, roba maleodorante da cui passar larghi. Persone.

27/8
Washington DC

La nostra visita inizia da Union station, che vede passare sotto ai propri archi 32 milioni di persone all'anno. L'edificio è stato inaugurato nel 1908 e ancora oggi desta ammirazione come porta di accesso alla capitale; l'architetto si è ispirato a fonti classiche, dall'Arco di Costantino alle terme di Diocleziano, alla basilica di Massenzio. Interni ed esterni sono un tripudio di iscrizioni commemorative, sculture allegoriche (dai centurioni a Prometeo) e decorazioni in marmo bianco e foglia oro. Sembra un tempio, e, in un certo senso, vuole esserlo.





Subito fuori, tra i senzatetto, spicca una riproduzione della Liberty bell, che ha viaggiato pure lei per tutti gli stati continentali in occasione dei duecento anni d'indipendenza americana. E' un dono dell'American Legion e sta qui dal 1981.






Proprio davanti alla stazione non poteva mancare un gruppo scultoreo dedicato a Colombo e al suo fortunato errore.



Iniziamo la passeggiata dirigendoci verso la collina del Capitol, o campidoglio, o capodoglio, di cui si intravede tra gli alberi la cupola bianca.



Prima, però, passiamo dal Women's equality national monument, dove tante donne, coraggiose e determinate femministe, hanno picchettato, scioperato e protestato per il suffragio.








Intorno è tutto un fiorire di edifici governativi e palazzi dove gente in giacca e cravatta munita di tesserino entra ed esce, salutando la moltitudine di guardie.





  

Così ci troviamo ad avere da un lato la Corte Suprema (giudiziario), costruita nel 1935; prima i membri si riunivano nel Campidoglio,



dall'altro il Campidoglio stesso (legislativo)


e alle spalle la Shakespeare library.


capitol

corte suprema




Come si intuisce subito, lo stile neoclassico regna sovrano. Nonostante la volontà di indipendenza, nonostante la scissione, violenta, armata e pagata con il sangue dall'Europa, e nonostante il tentativo, più volte attuato, di tagliare i ponti con il vecchio continente, la cultura d'origine, la prima radice era quella. Volenti o nolenti, i nuovi cittadini del nuovo stato (o meglio, dei nuovi stati) han dovuto prendere a prestito i modelli e i riferimenti europei. Un'arte propria, diversa e nuova, è arrivata soltanto dopo, e ha fatto scuola in tutto il mondo. E quale cultura poteva meglio rispondere al gusto a stelle e strisce? Quella dell'impero romano, naturalmente. Senza nessuna pretesa di egemonia sul globo, eh. Figuriamoci.





Questo edificio è stato progettato, insieme all'intera città, dall'architetto francese Pierre l'Enfant, quando si decise di costruire ex novo una capitale federale (che era stata prima a New York poi a Filadelfia). La prima pietra è stata posata dall'allora presidente Washington nel 1793, con una complessa cerimonia massonica. Due cose della storia di questo edificio mi han colpita: in primis, che questo marmo bianco scolpito da artisti italiani è stato spostato e issato a forza di braccia da schiavi neri. E, secondo fatto interessante, che, durante la guerra di secessione i lavori di costruzione erano ancora in corso, ma si volle proseguire, per dimostrare la determinazione dell'Unione.
Il Campidoglio si può visitare, in gruppi guidati, ed è gratuito.
All'interno, oltre alle due camere tuttora usate, ci sono numerosi spazi puramente cerimoniali e celebrativi; ogni stato ha diritto ad avere all'interno del Capitol 2 statue, in marmo o bronzo, che rappresentino uomini e donne che han scritto la storia della nazione (e non siano politici). Certo, non mancano poi le opere che raffigurano i vari presidenti, ma quello è un altro discorso. Ci sono scrittori, medici, avvocati, capi indiani e re hawaiani; di tutto e di più.


Nella sala d'ingresso c'è una copia della statua che sta sulla sommità della cupola, una Libertà armata. Che è tutto dire.











A proposito dei riferimenti alla classicità nei simboli e nell'architettura, la guida ci fa notare come questi siano comunque stati americanizzati. E così le colonne non hanno capitelli dorici o corinzi, ma pannocchie (e a volte foglie e fiori della pianta del tabacco). Che originalità creativa!


Visitiamo l'antica sede della Corte suprema






e poi la cripta che avrebbe dovuto ospitare il corpo di Washington; questo, però, si trova nelle sue proprietà a Mount Vernon, perchè così voleva (e perchè morì prima che l'edificio fosse completato).




Si sale poi nella rotonda, giusto sotto la cupola. Qui ci sono gli affreschi dell'italiano Brumidi, che ha dipinto il fregio della storia degli stati uniti e la tremenda apoteosi di Washington (e viene chiamato il Michelangelo americano).





la guida. Sembra un pupazzo da ventriloquo

Tutt'intorno ci sono statue di presidenti e quadri che ricordano i momenti chiave della storia del paese: Colombo, altri europei giunti per nave con i fucili, il battesimo forzato di Pocahontas, la dichiarazione d'indipendenza, l'acquisto della Louisiana e così via. In altre stanze sono stati aggiunti anche il volo transoceanico di Lindbergh, l'allunaggio di Armstrong e gli astronauti martiri del Callengher. Qui si svolgono i funerali ufficiali di stato.




Un momento va dedicato all'apoteosi di Washington, mutuata con evidenza dalle deificazioni degli imperatori romani. Il presidente, che già aveva tirato la gambetta, sta seduto ai piedi di un arcobaleno, circondato da tredici fanciulle (i primi tredici stati dell'unione) e da divinità romane. Terìbbile.



Tra lampadari anni '60 troppo pesanti, cupole e colonne a pannocchia, si arriva all'antica sede in cui si riuniva il senato. Era un luogo violento, dove più volte ci si è azzuffati e presi a bastonate o manate, nel pacifico e democraticissimo confronto su temi caldi (uno su tutti: la schiavitù dei neri).














Si arriva poi alla national statuary hall, che originariamente era sede delle riunioni della Camera dei rappresentanti. Questa fu descritta da Dickens, che nel 1841 fece un viaggio in America e visitò anche la capitale, come un luogo lurido e maleodorante, dicendo che, se pure gli fossero caduti dei soldi a terra, non li avrebbe raccolti per lo schifo. Il motivo? I politici amavano sputazzare tabacco masticato a destra e manca, e il pavimento era letteralmente coperto da tre dita di catarro.












Finita la visita del Campidoglio approfittiamo dei controlli (follia) già fatti per accedere direttamente, tramite un corridoio sotterraneo, alla Biblioteca del Congresso. E' di fatto la biblioteca nazionale degli Usa e raccoglie oltre 158 milioni di documenti, cosa che la rende la biblioteca più grande al mondo, seguita solo dalla British library. C'è veramente di tutto. Manoscritti, libri antichi, riviste e giornali di ogni epoca, libri in quasi 500 lingue da più lontani paesi del mondo... Si potrebbe vivere e morire qui dentro senza mancare di nulla.







L'edificio in sè, oltretutto, è meraviglioso e finissimamente decorato in ogni dettaglio, che rimanda ai grandi della letteratura.








La sala lettura è un tempio sacerrimo di studio







e non mancano documenti giusto un poco importanti, come le prime stampe della dichiarazione di indipendenza, per diffondere la notizia dall'oceano ai deserti ai monti





Ci sono anche delle esibizioni temporanee che meriterebbero, da sole, mezza giornata di visita. Una è dedicata ai primi contatti tra europei e civiltà precolombiane,






l'altra alla cartografia e alla preparazione di mappe e carte del nuovo mondo.


Poi compare ciò che cercavo: una Bibbia di Gutenberg.


nei dipinti due forme di scrittura: a sinistra, indiani sulla pelle di bisonte; a destra, monaci amanuensi


l'ufficio del bibliotecario

Mentre usciamo ad ammirare la facciata della biblioteca, con tanto di fontana di un Nettuno dalle balle coperte




inizio a razionalizzare le prime impressioni. Si percepisce, forte e chiara, la volontà autocelebrativa di una nazione, di una cultura. Direi anche di un popolo, ma qui il melting pot è tale e tanto complesso da rendere più delicato il discorso. C'è sì la vanagloria di raccontarsi vincitori ma, ancora di più, e questo è interessante, di definirsi democratici. La più perfetta democrazia anzi. Nel filmato introduttivo del Capitol, ad esempio, si continua a ribadire il concetto dell'ex pluribus unum e del fatto che questi edifici del potere siano luoghi del popolo, e che in definitiva il popolo sia davvero sovrano. We, the people. Ma chi ci sta in questo noi? Dove è stata tracciata la linea che separa gli altri, i "loro", i non-noi? Ci stavano gli indiani e i neri, di là, gli immigrati, i poveri, gli homeless. Qui sì c'è una democrazia perfetta, ma una persona, prima di votare, vuole avere un piatto caldo sul tavolo e un tetto sulla testa. Primum vivere, deinde philosophari. Altrimenti è una struttura vuota, un apparato bellissimo di leggi e bianche colonne deserte e vuoti d'umanità. Per altro, questo autoincensarsi, è a tratti ridicolo, perchè si vede qui quanto la storia sia fina e sottile e troppo poco profonda per metter radici in simboli. Certo, oggi le cose sono cambiate. Ma le colonne con le pannocchie, dai. E l'apoteosi arcobaleno di Washington? Parliamone!





Ci lasciamo alle spalle il Campidoglio dove comunque, ed è palese, tanta storia è stata scritta e le sorti del mondo, per come lo conosciamo oggi, sono state decise. Intraprendiamo così la visita del national mall. Trattasi 3km e passa di viale monumentale (pedonale) che corre tra Constitution e Independence Avenue, dal Campidoglio al Lincoln memorial, e su cui si affacciano una quantità spropositata di musei, monumenti e memoriali da far girare la testa. Una navetta gratuita permette di spostarsi in fretta, ma noi preferiamo camminare.



La statua di Grant, che si specchia nella prima piscina, segna il punto di partenza.






Ci viene anche l'idea, visto che non abbiamo pranzato, di prendere un gelato in uno dei molti baracchini che si trovano sul Mall, e si annunciano con musichine inquietanti da maniaci che stanno per rapire un bambino. Pessima idea. Un gelato piccolo e sgrauso e una Coca vengono via alla bellezza di 10 bigliettoni. E un sorriso largo dell'indiano che li intasca.


In lontananza di vede già il famosissimo obelisco dedicato Washington, la cui altezza non può essere superata da alcun edificio. Ma ci andremo dopo.


Ora è il momento di visitare il National American Indian Museum, dedicato ai nativi. Gratuito e meraviglioso, fuori e dentro.









Oltre ai manufatti e all'arte e artigianato, ci sono intere sale dedicate alla visione del mondo delle singole tribù. Ogni sezione presenta la lettura, anzi, l'interpretazione culturale che ogni popolazione ha dato del mondo, del tempo, dello spazio. Insomma, i punti cardinali di valori e simboli dei nativi, simili e così diversi fra loro.










































Foto, costumi rituali, maschere, totem, canti tradizionali e danze di guarigione, animali guida e spiriti conducono ad immergersi in una cultura altra, che aveva ilsuo sistema di simboli e miti, le storie da tramandare oralmente davanti al fuoco e le conoscenze empiriche della natura, dell'acqua, della terra e del cielo. C'era chi abitava il deserto, chi i ghiacci impietosi del Nord, chi le foreste umide e scure. Tutti sapevano leggere il libro del mondo, "con parole cangianti e nessuna scrittura/ nei segreti costretti in un palmo di mano, i segreti che anno paura".

Poi si passa al punto di svolta, la rottura, l'incrinarsi irreversibile di un equilibrio perduto. Arrivano i visi pallidi, arrivano gli europei, e portano i fucili e le malattie. Portano i crocifissi e le pergamene scritte fitte fitte di promesse vuote. Portano la morte.


Tutta una sezione del museo è dedicata proprio all'incontro e allo scontro tra europei (e poi americani) e indiani. Le missioni diplomatiche, la fatica degli interpreti, i trattati, le battaglie e gli atti con cui interi popoli sono stati deportati o annientati, annichiliti, nullificati. E' pazzesco, davvero, incredibile, allucinante, vedere a confronto le due culture. I parrucconi inglesi e francesi e le piume dei nativi. Gli abiti, le tradizioni. Due mondi troppo distanti. Cerco di immedesimarmi in un nativo, o in un diplomatico europeo, e tenti di capire chi dei due potesse essere più sconvolto e a disagio, chi più incuriosito, chi più spaventato.






una coppa, molti cucchiai. La pacifica condivisione delle risorse. Tra indiani aveva funzionati. Tra indiani e americani... No.







cercatori d'oro assetati di ricchezze facili





Oltre ai trattati e agli atti di rimozione, è terribile vedere anche come la cultura degli indiani sia stata spazzata via attraverso una pretesa "civilizzazione"; le scene di questo crimine che ha spento l'identità di popoli interi sono state le scuole e le chiese.


prima e dopo la "civilizzazione" degli indiani



Ampio spazio viene anche dato alla distruzione sistematica e folle dell'ambiente, operata dagli europei e dagli americani, nonchè la vergogna delle riserve.

buffalo Bill e una montagna di teschi di bisonte





Ho fotografato molte foto. Sono forse la perla più preziosa di questo museo. Traspare con tale evidenza l'incomunicabilità delle due culture, che pure, con fatica, hanno cercato un dialogo (a danno fatto, troppo tardi).



Un'ala è infine dedicata alle problematiche degli ultimi decenni: dai diritti per la pesca all'istruzione, dal rispetto dei cimiteri a quello dei luoghi sacri (monti, deserti e fiumi in cui i turisti pisciano e ruttano e buttano cartacce), fino al gioco d'azzardo.










Insomma, questo piano del museo è imperdibile. Prima la cultura dei nativi, poi la sua distruzione, e infine le battaglie per salvarla. La visione che emerge è giustamente molto critica e affilata, e non fa sconti. Di Washington inizia a piacermi proprio questo: sì l'autocelebrazione, sì dirsi vincitori. Ma ammettere anche le proprie colpe, e ricordarle, nero su bianco. Il passo successivo sarebbe fare in concreto qualcosa per cambiare lo stato attuale dei fatti. Ma... Come era la nazione Navajo me lo ricordo bene, senza elettricità e acqua corrente in molte case.

Si passa poi ad una sala dedicata alla battaglia di Little big horn





e all'epico fallimento" della rimozione degli indiani dai loro territori, che è stata più una perdita che un guadagno persino per gli americani.



Alcune sale sottolineano la presenza continua e insistita dello stereotipo dell'indiano nella cultura a stelle e strisce, che ha usato il pellerossa per farne loghi pubblicitari, fumetti, soldatini e nomi di squadre sportive. Gli indiani veri sono stati "rimossi", mentre il disegnetto del volto precolombiano con il copricapo di penne di è diffuso ovunque, beffa oltre il danno.




Da ultimo, si approfondisce la figura di Pocahontas. Che non è mica solo una principessa Disney!
La sua vita ha qualcosa di straordinario ed è degna di ben più che una favoletta. Se volete farvi un bel regalo, leggete qualcosina in merito! Personalmente son rimasta affascinata.
https://it.wikipedia.org/wiki/Pocahontas







Purtroppo sono già le 17.30, orario di chiusura della gran parte dei musei del Mall.
E' chiuso quello dell'aria e dello spazio


ed è chiusa la National gallery of art.


Non resta che proseguire la passeggiata verso il Washington memorial, l'obelisco che svetta tra le nuvole e un sole che sembra volerlo illuminare a mo' di riflettore.


nella Tenda di Davide si cantano preghiere 24/7. Che culo!

Passiamo dall'Hirshhorn museum






dalle sue sculture e dal carosello del Mall. Un homeless completa il quadro, e questa è l'America, amici miei.




Poco distante si trova l'Art and industries museum e lo Smithsonian castle, centro informazioni del complesso museale (quello in cui siamo immersi) più grande del mondo. Mica robetta.







Ci avviciniamo all'obelisco e i musei sembrano moltiplicarsi al nostro passaggio: gallerie di arte da tutto il mondo, pinacoteche, museo di storia naturale e di storia americana (che visiteremo domani), e, in mezzo, a buffo, il dipartimento dell'agricoltura.



Arriviamo infine all'obelisco. Intorno c'è chi passeggia, chi corre, chi va in monopattino, chi gioca frisbee e chi a kickball.
Questi 169 metri di marmo bianco hanno una storia travagliata: i lavori iniziarono nel 1848, ma vennero interrotti per mancanza di fondi durante la guerra civile; ricominciarono 30 anni dopo, e il risultato si vede nella differenza di colore del marmo da un certo punto in poi. La figata è che l'obelisco si specchia nella grande piscina di fronte, e sta in linea perfetta, al centro del Mall, con il Campidoglio, da un lato, e il Lincoln memorial, dall'altro, e con tutti i monumenti sparsi in questo immenso viale.








Oltre l'obelisco inizia una parte del Mall dedicata ai caduti e alle guerre: in Corea, a sinistra, del Vietnam, a destra, e la seconda guerra mondiale al centro.



Ma ormai è tardi ed è ora di rientrare. Domani proseguiremo la visita di ciò che manca al nostro breve e intenso programma da perfetti turisti.


28/8
Washington DC

Il risveglio è traumatico: Gigi si è reso conto che ho prenotato solo due notti e non tre. Oh, è da Los Angeles che non ci fermiamo così tanto in una stessa città! Non sono più abituata ad essere sedentaria. Comunque l'inghippo si risolve in fretta e, dopo abbondante colazione, si riparte verso il Mall. Anche oggi andiamo con Uber pool, che costa pochissimo, meno dei mezzi, e fa risparmiare gran tempo.

La prima tappa è l'Archivio nazionale. Questo palazzo, in cui è tassativamente vietato fare foto, ci sono gli archivi di tutta la storia scritta, fotografata, disegnata, registrata e filmata degli Stati uniti. Una marea di documenti di ogni genere, dai brevetti più assurdi ai registri d'immigrazione, dagli archivi top secret che mano a mano vengono aperti alle leggi, ma anche i kombat film di tutte le guerre, milioni di foto, registrazioni audio, pellicole, pergamene, diari e bobine. Tutta la memoria storica è conservata qui dentro. L'esposizione è sempre duplice e mette a fuoco sia i fatti salienti della storia, sia i modi con cui è stata registrata e conservata.

E poi, dulcis in fundo, ci sono tre cosette da niente: le copie originali della Dichiarazione di indipendenza, della Costituzione e della Carta dei diritti.
A proposito di diritti, è davvero illuminante la sezione dedicata all'estensione dei confini di quel "We, the people". Ci sono le lotte per l'emancipazione femminile e dei neri, degli immigrati, delle minoranze. Sono raccolti documenti di protesta e vittoria, di lotta e conquista dei diritti. E dei rovesci anche. Ma si esce da queste sale con un senso di pienezza, di giustizia sociale e di cause vinte che non è proprio aderente alla realtà, ma fa stare bene. Anche questa visita è gratuita e non va persa assolutamente, se si è in zona. 





Ci rituffiamo nel Mall, tra giardini, fontane e sculture, diretti verso il Museo di storia americana.









Passiamo davanti al mastodontico museo di storia naturale, che è il più grande al mondo





e giungiamo infine a quello che ci interessa, quello della storia 'mericana. Passeremo in questo edificio le successive 4 ore.





Si entra senza biglietto, solo con i controlli di sicurezza. All'info desk una simpaticissima anziana mi prepara un tour di tutti e 4 i piani della struttura, disegnando freccine e scrivendo cosette e appunti e asterischi e cappelli di Lincoln sulla mappa. E via che si parte.
Tutta la prima sezione è dedicata alla bandiera, originale del 1814, che ha ispirato la nascita dell'inno nazionale, issata alla facciazza degli inglesi a guerra vinta.


Poi si passa ad una sala dedicata alle abitazioni e alle case nelle varie epoche, dalle capanne dei pionieri ai grattacieli.



Washington in posa da imperatore romano







Da lì si entra nella bella e critica sezione in cui si affronta il tema del melting pot, delle minoranze, dei mille volti di tutti i colori che compongono il "noi" del popolo americano. Davanti alla statua della libertà si dice che qualcuno già viveva qui, qualcuno ci è venuto spontaneamente, qualcuno è stato portato con la forza.




resistenza della cultura cinese all'americanizzazione





l'immigrazione dal Messico




eccellenze straniere in campo medico. Un chirurgo indiano

la statua della libertà latina/nera, che raccoglie pomodori


che quando c'era bisogno di carne da cannone, anche i neri andavano bene

Un'ampia ala è dedicata alla democrazia americana, alla sua idealizzazione e alle realizzazioni pratiche. L'estensione del diritto di voto, man mano, è al centro dell'attenzione, e anche qui si respira un senso di vittoria, di giustizia. Inizio a capire un po' un certo tipo di orgoglio stars&stripes. Non quello delle armi e dei gonfaloni. Quello dei diritti. Ma... Ma. Non voglio ripetermi. In breve: una società che calpesta il debole è disumana. Tutto qui.










Si procede verso una sparata giustamente autocelebrativa sulle principali invenzioni, sulla creatività e le idee nate qui nel nuovo continente. Robetta: dal computer ai più moderni strumenti della medicina, dal cinema a tanti generi musicali








Segue un lungo corridoio in cui è descritta la storia di alcuni oggetti, oggi di uso comune, che han fatto, a modo loro, una rivoluzione, una spaccatura tra il prima e il dopo, e che han cambiato la vita delle persone.
In primis, ah che bello!, la bicicletta!





Poi, il frigorifero, e il freezer. E i supermercati, i carrelli e gli scaffali.



deh

Si torna seri, a esplorare i capitoli della storia americana. Un'ala è dedicata al lavoro, al commercio e alla produzione, in tutti i settori dell'economia. Si parte dalla manodopera schiavile delle piantagioni e si arriva al franchising, alle catene e ai problemi ambientali di oggi. E' un'esposizione illuminante davvero.




Al Capone







carte di credito




NO WTO!





Poi si scende nel ventre di questa enciclopedia della storia nazionale, e si passa alla sezione trasporti. Che sono stati la chiave di volta, l'inchiostro con cui tracciare le linee di questo racconto. Batmobile a parte


e prime Mountain bike escluse,



si viene accolti inaspettatamente da una sezione dedicata al cibo. Che c'entra? Nulla. Ma tutto fa brodo, visto il tema. Speravo fosse un poco più critica, ma pazienza.



Torniamo ai trasporti. Si parte da quelli via mare, dai vascelli ai vaporetti, dai transatlantici alle zattere in pelle di bisonte degli indiani, alle baleniere ai sottomarini. Sono infinite storie di marinai e pescatori, di immigrati e povera gente, di naufragi e salvezza. Il mare dà e toglie in un attimo, e bisogna aver coraggio.










Poi c'è la sezione dei trasporti via terra, che è fatta da dio e ricostruisce interi scenari di città in diverse epoche.



ci siamo passati!









coast to coast in auto, con un cane con gli occhiali da aviatore. Il primo tentativo









con la diffusione delle auto compaiono i motel

i primi scuolabus








auto elettriche... In giro, davvero, sulle strade, non ne ho vista nemmeno una!

A questo punto, tutti gasati, saliamo all'ultimo piano ma l'entusiasmo si spegne un poco: uno spazio immenso è dedicato alle sole scarpette rosse di Dorothy del Mago di Oz. Evidentemente, sono un simbolo per gli americani. In grande si legge anche la citazione: "Nessun posto è come casa". Eh va be'.



Al che si entra nella roboante sezione dedicata a presidenti e first ladies. Oltre alle storie, ai cimeli, alle foto e alla vita pubblica, grande spazio è dedicato a quella privata. Ed è pieno di parafernalia dei vari mr president



compreso il cappello di Lincoln (quello originale).




Da ultimo, ecco le sale dedicate alle guerre. L'esposizione è sì celebrativa, ma non troppo, e critica il giusto. Insomma, la differenza con i tromboni di Indianapolis è evidente. Questo è il bello di Washington, come dicevo ieri. Infatti la mostra si intitola "Il prezzo della libertà".









qui è stato dedicato anche spazio ai movimenti di protesta pacifisti. Bravi!




Usciamo soddisfatti dal museo e diluvia. Ed è tardissimo. Non facciamo in tempo a visitare il vicino museo dei nari americani, che sarebbe stato davvero interessante, e la stessa sorte tocca a quello dell'olocausto. Il tempo è volato! Però ora mi è tutto più chiaro. Dico Stati uniti d'America e so un poco di cosa sto parlando. Sono felice. Imparare e capire è una delle sensazioni migliori che io conosca. Per questo viaggio!


Ci dirigiamo ad un altro imperdibile, più per il nome che per il contenuto: la Casa bianca.






Tutte le vie intorno sono sbarrate da transenne e controllate da un dispiego di forze che non avete idea. E là davanti, di fronte a Lafayette square, sta il famoso edificio visto tante volte in tv. Washington morì prima che fosse inaugurata (nel 1800) e Jefferson la criticò dicendo che era troppo grande: "Non è necessariauna casa grande abbastanza per due imperatori, un papa e un dalai lama", ma poi ne richiese ulteriori espansioni e abbellimenti, alla costruzione delle gabbie per gli orsi polari (dono di esploratori). Fu data alle fiamme dagli inglesi e ricostruita subito dopo, ma rimodernata solo con Roosvelt. Ogni presidente ha a disposizione 100.000 dollari per apportare modifiche (Obama ha fatto costruire, ad esempio, un campo da basket).



Davanti e intorno alla residenza del presidente, personaggi di varia natura espongono cartelli di protesta misto-varia, maremonti. Dal Kashmir all'onestà, dagli OGM alle armi da fuoco.






Passiamo davanti all'Eisenhower executive office building


alla Renwick gallery



e alla sede della croce rossa


oltrechè all'organizzazione degli stati americani


per tornare al punto in cui la nostra visita del Mall si era interrotta ieri, al memoriale della seconda guerra mondiale.







Da qui, tra giochi d'acqua e increspature di onde e nuvole, luce su grigio, si vedono il Lincoln memorial



e il Washington monument, perfettamente allineati. Altro che grandeur.




dietro all'obelisco, il Campidoglio


Saliamo la candida scalinata del Lincoln memorial, che è proprio un tempio dorico in tutto e per tutto. Pensato nel 1867 ma realizzato dal 1914, contiene un'enorme statua dell'amato presidente, il discorso di Gettysburg e del secondo indirizzo inaugurale. Ci sono diverse leggende legate a questa scultura, leggo su Wikipedia.
"Secondo alcuni la faccia del generale Robert Edward Lee è scolpita sul retro della statua di Lincoln. Secondo un'altra diffusa leggenda Lincoln è raffigurato in modo da comporre con le mani le sue iniziali con la lingua dei segni. In effetti la mano sinistra del presidente è una A e la destra una L nella lingua dei segni usata dai sordi. Il National Park Service ha dichiarato che nessuna di queste storie risponde a verità. Lo storico statunitense Gerald Prokopowicz ha scritto che, anche se non è dimostrato che lo scultore Daniel Chester French abbia intenzionalmente scolpito le mani di Lincoln per formare le sue iniziali con la lingua dei segni, è pur sempre possibile che la leggenda sia veritiera, visto che French conosceva la lingua dei segni americana e forse voleva omaggiare Lincoln per aver autorizzato un'università speciale per studenti sordi."




"Nel 1939 alla cantante lirica afro-americana Marian Anderson fu rifiutato il permesso di esibirsi a Constitution Hall a causa del colore della sua pelle. Dietro suggerimento di Eleanor Roosevelt, moglie del presidente Franklin Delano Roosevelt, il segretario agli affari interni Harold L. Ickes organizzò un'esibizione della cantante sui gradini del Lincoln Memorial per un pubblico di oltre settantamila persone oltre a una trasmissione radio nazionale.
Il 28 agosto del 1963 il Lincoln Memorial ospitò una delle più grandi manifestazioni politiche della storia americana, la Marcia su Washington per il lavoro e la libertà che rappresentò il punto più alto del movimento per i diritti civili negli anni sessanta. Si stima che circa 250.000 persone parteciparono alla manifestazione, durante la quale Martin Luther King pronunciò il suo memorabile discorso che cominciava con le parole “I have a dream”, davanti al monumento dedicato al presidente che aveva proclamato l'emancipazione degli schiavi neri cento anni prima. Anche la polizia di Washington apprezzò la scelta del sito perché essendo circondato su tre lati da acqua ogni incidente poteva essere facilmente contenuto. Una speciale mattonella, posta sui gradini del monumento, ricorda il luogo esatto dal quale King pronunciò il famoso discorso".







E così, con questa ventata d'aria fresca e buona di rivoluzioni andate e buon fine, nonostante tutto, ce ne torniamo in motel, pieni di immagini e volti di coloro che, in silenzio o con le parole, con il lavoro o con le armi, nel bene e nel male, hanno fatto la storia di questo paese del tutto, del troppo, e del nulla.

I palazzi di Arlington ci riaccolgono a sera. Fatta la spesa, mi accorgo che da certi circoli viziosi non si esce, e amen, abbiamo supportato l'esercito comprando la pasta Mac&cheese. Ah, a proposito di militari: ieri al supermercato abbiamo incontrato un militare italiano che da tre anni vive e lavora qui in ambasciata. Con forte accento siculo li ha definiti: "I 3 anni migliori della sua vita". Stava comprando due vasi canopi enormi di Nutella. Nostalgia di casa?





Domani ce ne andiamo, si smontano le tende e si riparte. Direzione Filadelfia. Vista la pericolosità delle strade pedalate in entrata, ho studiato delle possibili alternative alla linea retta che ci conduce verso Baltimora e poi Filadelfia (e New York). Esiste una certa East coast greenway che collega ciclabili, sentieri e strade secondarie, dal Canada al Messico, lungo l'Atlantico. E' da tenere in conto, ma allunga parecchio, forse troppo, la strada, soprattutto i primi due giorni. Vedremo al momento il da farsi, in base al traffico e alla sicurezza. Certo è che non manca poi molto. Qualunque sia la strada, in meno di una settimana porteremo le nostre chiappette a New York!

1 commento:

  1. sarà che sono vecchio e malandato, ma sta amerka non riesce a piacermi, vi preferivo la mongolia, dove la realtà quella era. Lì in amerika sono mille paesi in uno, ma tutti con molte tristezze e pecchè, e sopratutto tanta polvere nescosta sotto il tappeto. Un tempo per me non era così, ma allora vedevo le cose in modo diverso, però forse, non erano così nemmeno gli ammerikkani
    Devo ringraziare te e Gigi per avermeli fatti conoscere ancora meglio con i vostri commenti

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