lunedì 13 agosto 2018

47. JALALABAD. La valle di Fergana alle spalle, primi assaggi di salita sul Tien Shan

13/8/18

Tappa per ambientarsi nella nuova nazione, quella di oggi, con i suoi 107km iniziati in pianura, proseguiti in collina e finiti nell'ultima insenatura piatta prima dei monti enormi.

Siamo usciti da Osh non senza qualche difficoltà per il traffico assurdo e sconclusionato, strombazzante e imprevedibile che appesta le strade delle ittà kirghize.Siamo tornati alla pura anarchia, come in Iran, tra auto che tagliano la strada, marshrutki che accostano e ripartono senza mai la freccia e camion ovunque, pure fermi in mezzo alla carreggiata così, per non portarsi al bordo.

La proprietaria dell'ostello ci aveva detto infatti che molti cicloturisti preferiscono raggiungere Jalalabad, nostra meta di oggi, con un taxi. Ma, a dirla tutta, il casino è solo in concomitanza delle città. Per il resto la strada, che è quella nuova e bella per Bishkek, è pedalabilissima.


Appena fuori città, tra un saliscendi leggero, ci troviamo di nuovo immersi nel verdissimo umido dei campi della pianura di Fergana, che abbiamo attraversato da parte a parte, prima in Uzbekistan poi qui. Il clima è più vivibile e si respira meglio: fa molto meno caldo, grazie ai piovoni di ieri e alla vicinanza dei monti.



Le cose che si possono incontrare a bordo strada, da queste parti, sono: cowboy a cavallo


e ciclisti francesi. Questa coppia ha appena finito la Pamir highway e ora farà la nostra stessa strada. Ma pedalano lenti lentissimi e li stacchiamo subito, appena dopo una breve chiacchieratain r moscia.


A differenza dell'Uzbekistan, qui non ci sono le melonere e le poponaie, ma gli zucchivendoli. Zucche ci ogni genere, grandi e piccole e in ogni forma. Zucche urbi et orbi. Zucche.









Quell che doveva essere pianura si è rivelata una tappa di collina con punte di salita al 12% per diversi kilometri. Questo è il concetto kirghizo di pianura insomma.





Abbiamo attraversato una zona tutta agricola, di campi e piccoli villaggi, per lo più di nuova costruzione o ancora a cantiere aperto, costeggiando torno torno l'ultimo corno di Uzbekistan, e stando ben attenti a non rientrare nel paese appena lasciato.




ah ma allora ci sono pure qui un po' di popones!






Tra cavalli e pecore, prati e pendici morbide di bionde spighe, abbiamo persino visto la prima yurta kirghiza, una di quelle da clima freddo e con il tetto alto. Oltre all'arredone urbano che ne ricorda la forma, naturalmont.





Così senza difficoltà ci siamo portati fino al fiume Karadarya, che, insieme al Kurshab e al Yassy, vanno ad alimetare il lago artificiali di Andijon; in parole povere, i tre fiumi kirghizi portano le loro acque impetuose e torbide a beneficio dei campi uzbeki. Altro che scontri etnici e disordini per le divisioni territoriali!








Dopo il ponte che segna la fine della regione di Osh e l'inizio di quella di Jalalabad, scaliamo la collina su cui sorge Uzgen, città che chiude la valle di Fergana e segna la metà esatta della nostra tappa.





Questa città conserva ancora una poco di storia, ma poca poca; ciò nonostante è uno dei rari luoghi in cui si possano trovare, in Kirghizistan, monumenti precedenti all'arrivo delle orde mongole. La città è citata in documenti cinesi fin dai primi secoli della nostra era, ma le poche tracce antiche sono un minareto e tre mausolei risparmiati dall'ira di Gengis Khan.

La città è nota anche per il pregiato riso che i suoi campi producono, per l'incasinatissimo bazaar che crea un traffico mortale e per il mercato degli animali.











Facciamo sosta poco dopo, in un villaggio che si chiama Progress (!) su una takhtana a bordo strada di fronte ad un supermercatino. Una pergola d'uva ci ripara dal sole



Io me magno un gelato al carbon Coke


poi svengo in un sonno nero come il suddetto carbone



Mi sveglio e per prima cosa, aprendo gli occhi, vedo una libellula posata sul casco di Raymond. E' una messaggera alata che arriva da lontano. Porta un pensiero leggerissimo ed un nome scritto nelle venature d'oro delle sue ali. E' un pensiero pieno di grazia.


Ripartiamo e ci si para di fronte una striscia di pianura ancor più verde, tutta a prati e campi di mais, cavalli (e crani di cavallo), pioppi e spighe bionde








E' un piacere pedalare in questa natura dolce e addomesticata, a misura d'uomo, non feroce e immensa come quella che ci attende di qui a poco, quando inizieremo ad attaccare le pendici del Tien Shan occidentale; cioè domani. Si susseguono villaggi rurali con minuscole moschee in lamiera o legno.









All'orizzonte, e poi sempre più vicino, ci compare anche il bacino artificiale di Andijon, un occhio azzurro chiaro come quelli che amo, spalancato al cielo in una placida luce meridiana. L'Uzbekistan è ancora qui a due passi.








 A noi tocca invece scalare una piccola catena che ci porta a circa 1200 metri di altezza. Ci son nuove case in costruzione e nessuno o quasi in giro, se non i camioni che passano sulla strada, diretti alla capitale.





Più si sale più il paesaggio si fa ocra e rosso di terra, arido e brullo o con al più bassi arbusti. Sembra di essere in Mongolia, ma con pendenze maggiori.









Finalmente scolliniamo e ricompaiono i paesini e le moscheine, e qualche passante con alto berretto kirghizo






Sull'ultima discesa, che ci regala una vista mozzafiato sui monti tutt'attorno e sulla pianura sottostante, dove siamo diretti, Raymond perde il telefono per strada. Lo aveva dimenticato appoggiato sulle borse, dopo aver scattato alcune foto. Lo recupero io, massacrato nello schermo ma ancora funzionante, grazie alla "cover da anziano" (quelle con la copertina tipo libro) per cui tanto l'ho preso in giro (lui e non solo lui). Ora so che non è solo da anziano perchè adatta a chi usa poco lo smartphone, ma pure perchè previene danni gravi in caso di momenti di dimenticanza atroce.











In basso si rivede il verde e il profilo assopito della città di Jalalabad. Da qui lasceremo la strada della capitale per infognarci in gola ai monti, dritti nel cuoredi pietra alta del paese


il momento in cui rendo a Raymond il telefono e lui lo vuole provare facendomi una foto


Dopo gran scendere arriviamo infine alla città, ai suoi monumenti sovietici della Seconda Guerra e alle sue moschee ben più grandi di quelle dei villaggi

Jalalabad sorge ai piedi dei monti Babash Ata, nell'ultima fetta di pianura fertile scavata dal fiume Khogart, ad un tiro di sputo dall'Uzbekistan.


Questa città è da sempre punto di passaggio per chi transita sulla via della seta e sulle rotte che uniscono oriente a occidente, nord a sud dell'Asia. Perchè a lato stanno i monti invalicabili. Di qui, seppur non ne resti traccia, sono passati mercanti, viaggiatori e pellegrini di ogni nazione e in ogni epoca.



I monti qui attorno sono ricchi di minerali, ma la risorsa del suolo più apprezzata qui è l'acqua, in particolare quella che sgorga dall'Azreti-Ayut.Paygambar; da sempre si crede abbia poteri curativi: i musulmani la pensano capace di guarire la lebbra e ogni sorta di malattia. I sovietici costruirono numerosi sanatori nei dintorni e terme miracolose, per i minerali presenti nell'acqua. Tutt'oggi ci sono spa e l'acqua viene pure imbottigliata e venduta a caro prezzo con il simbolo del presidio medico sull'etichetta. Al ristorante dove ceniamo ce la rifilano, s'intende.


Così si chiude la serata. Domattino faremo spesa per i prossimi giorni wild e iniziaremo a risalire la valle che porta al lago Song Kol, a 3000 metri di altezza. Probabilmente lì dormiremo dai pastori nomani, in yurta.

Il sospetto è quello che, per i prossimi giorni, ogni tipo di connessione ad internet e telefonica sia sospesa. Pertanto anche qui sul blog, per un po', ci sarà silenzio, come ne ascolterò io tra i giri larghi dei falchi e le albe e i tramonti in quota, su pendici scoscese e tornanti ripidi di strade sterrate.

Arrivederci alla prossima valle!

2 commenti:

  1. VIAGGIARE
    Si può viaggiare in treno,
    in auto o col tramway,
    sperando non sia pieno
    perché se no son guai!
    Puoi prender l’aereoplano,
    e poi guardare giù,
    perfino il deltaplano
    l’ho visto alla tivù!
    Puoi anche camminare
    poi, quando viene sera,
    stanco di faticare
    ti prendi la corriera.
    Se vuoi c’è anche il cammello
    per viaggi originali
    oppure c’è il vascello
    sui mari tropicali.
    Insomma non ti manca
    nessuna varietà,
    da Mosca a Casablanca
    ci vuol creatività.
    La volpe? Viaggia in bici!
    Pedala piano piano,
    “Arrivederci amici,
    vi aspetto qui a Milano…”


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  2. Merci pour cet excellent reportage, André

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