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Oggi si parte davvero. Le bici sono già montate ma bisogna organizzare i bagagli e far stare nelle borse tutto il popò di roba che sarà la nostra casa per i prossimi due mesi abbondanti. L'impresa richiede tempo, soprattutto viste le condizioni in cui si lavora: spazio microscopico (la stanza è mini) e io sono conciata da buttare via (tra poco vedrete). L'unico modo per cominciare con il piede giusto è la colazione, sempre restando umili e ricordando le proprie origini, con i biscotti Milano del bangla.
Quanto alla sottoscritta volpe, inutile negarlo, ci son dei problemini. Io sono ridotta così
con la testa piena d'acqua come un cocco, come un popone. E come mai? Perchè mi sono scottata la cucuzza all'invisibile ma bruciante sole di San Francisco. Vuoi che mi son rasata i capelli prima di partire, vuoi che il buco nell'ozono sia un dato di fatto, certo è che ho lo scalpo gremato e due litri d'acqua nella capoccia, e mi sento una medusa idrocefala.
(Mamma che leggi e alla quale finora non ho detto nulla se non un generico "tutto bene" per non destare preoccupazioni: ora sto bene davvero ed è passato tutto -nota dal futuro)
Nonostante iil mio cranio produca più acqua di un cactus, riusciamo a fare i bagagli, portare giù per due piani di anguste scale sia le borse sia le bici e acchittare tutto. Certo son già le 11 del mattino ma amen.
Foto di rito di Rita davanti all'hotel da cui si parte e via, verso l'oceano.
Ripercorriamo la strada di ieri ma al contrario, in direzione est. Si arranca perchè le bici, così cariche, sembrano (sono) pesantissime e ingovernabili, soprattutto sulle perfide salite di San Fran. Muscoli e cervello devono ancora adattarsi all'assetto da viaggio e ci vorrà un po'. Intanto, in un inaspettato freddo grigio e umido, passiamo da Haight-Ashbury con le sue case colorate.
Torniamo anche al Golden Gate park
e finalmente riesco a vedere un po' meglio i mesti bisUnti che ci vivono. Non hanno certo un'aria fiera e sono menci e spelacchiati da far tristezza. D'altronde carne erano per gli indiani e carne son rimasti per gli americani, solo in scala più grande e devastante. Decimati come i nativi, come i nativi vivono solo nelle riserve.
Usciti dall'enorme parco vediamo finalmente la costa e l'oceano. Da qui in poi sarà il nostro punto di riferimento, il limite ultimo, l'orlo da seguire metro a metro. Muoviamo a sud, il Pacifico alla nostra destra fino a Los Angeles. Tra una gelida folata di vento teso e l'altra vedo questo cartello. Ottimi consigli in caso di incontro ravvicinato con un coyote!
Nella nebbiolina salmastra che bagna e raffredda imbocchiamo un ciclabile grigia come il cielo e come l'oceano, ma rallegrata dalle coloratissime casette che vi si affacciano.
Solo poi iniziano i dolori. La Cabrillo Highway, la 1, la strada costiera che dovremo seguire per quasi 800km, non è facile da imboccare perchè inizia più a sud del limite cittadino di San Francisco; per di più a tratti è vietata alle bici e, ciliegina sulla torta, le salite si susseguono sempre più lunghe e ripide in una periferia immensa fatta di casette tutte uguali: villinoe garage, villino e garage, garage e villino... Villino e garage. Per di più inizia la consapevolezza che non troveremo mai una quadra quanto all'abbigliamento: fa freddo e tira un vento gelido MA in salita si suda e il sole sembra bruciare. Da dar via la testa. La mia, quella piena d'acqua.
Dopo un indefinito numero di madonne tirate nel vento e sulle pendenze sbagliate, troviamo la 1, o meglio, la ciclabile che la costeggia nei tratti in cui la highway è vietata. Non che manchino le rampe, ma almeno il panorama migliora ampiamente e si inizia a respirare quella che nel mio immaginario è aria di California.
Alla prima spiaggia in cui ci fermiamo per uno spuntino noto che tra gli scogli corrono rapidi degli animalini. Guardo meglio e sì, sono decisamente scoiattoli. Squirelli. Anzi. SqOrrel, come pronuncia l'abbondante signora cui chiedo lumi. "They like holes" mi dice, stupita del fatto che non avessi mai visto una spiaggia gremita di squrri. Ebbene, no signora mia, mai visti scoiattoli d'acqua salata.
Detti squirelli, di dimensioni ragguardevoli, sono tutt'altro che intimoriti dalla nostra presenza e anzi si avvicinano curiosi in cerca di cibo. Gigi è il cibo e viene circondato, finchè ce ne andiamo. Cip e Ciop 1, umani 0.
Riprendiamo così la nostra bella e tranquilla ciclabile che scorre lenta tra l'oceano e la 1. A tratti offre viste mozzafiato sulle spiagge dove i surfisti si preparano ad entrare in acqua
a tratti, invece, si immerge in boschi di pino ed eucalipto dai quali emana un profumo inebriante che sa insieme di mare e montagna.
Purtroppo la pacchia finisce presto e, dopo qualche errorino di rotta, imbocchiamo la highway vera e propria, ora non più vietata alle bici ma comunque meno panoramica e più trafficata. Gli automobilisti si riconfermano estremamente rispettosi, anche a costo di rallentare e rimanere dietro alla bici fino a che possono sorpassare in sicurezza. Intanto noi ci si arrampica su collinotte forate di tunnel.
Poi di nuovo l'orizzonte, finalmente, si spalanca al nostro sguardo. Ancora l'oceano che torna, che respira la schiuma e il vento, ancora il ruggito lontano delle onde sugli scogli a strapiombo e il grido dei gabbiani ogni tanto.
L'acqua del cerebro è scesa, dalla fronte alle tempie e agli occhi. Non fa male ma è orripilante. Mi vergogno a parlare con la gente, mi sento the elephant man. Il sottocasco e gli occhiali, con la minima pressione che fanno,mi disegnano oltretutto dei solchi sul gonfio molle d'acqua e nulla, andrei volentieri in giro con un sacchetto sulla testa. Spero solo di non rimanere scema più del solito.
Lungo la ciclabile, che è tornata ed è pure abbastanza in piano, ci sono anche delle stazioni per bici con attrezzi vari e una pompa. Purtroppo non si adatta alle nostre valvole. E dico purtroppo perchè le nostre bici han le ruote mezze sgonfie, schiacciate sotto al peso dei bagagli e molli sull'asfalto tanto da raddoppiare la fatica. Che non si sente perchè il primo giorno tutti i sensi e le vibrisse e i pori sono tesi a captare questo nuovo mondo, l'adrenalina è al massimo e la curiosità anche. Ma c'è la fatica, sottile, pesante, nelle fibre dei muscoli e sotto alle palpebre.
Dopo alcune piccole città, che sono più che altro agglomerati di case e qualche negozio
Ogni tanto si spalancano delle insenature di scogli a strapiombo, cliffs come ne ho viste in Irlanda e Portogallo.
Questo sembra il faro di quel quadro di Hopper che mi ha sempre affascinata, così luminoso e freddo al tempo stesso, così solo. Invero è paesino raccolto intorno al faro e ci sarebbe anche un ostello qui a Pidgeon Point, ma i prezzi sono proibitivi e per stare in giro più di due mesi negli Usa bisogna guardare piuttosto ai campeggi, comunque molto diffusi.
E infatti è proprio in un campeggio che decidiamo di fermarci. E' della catena Koa (Camping of America). Non è economicissimo (12 dollari a capoccia solo per mettere la tenda) ma è super attrezzato. Ha tutti i servizi (compresa la sauna, i caminetti accesi -perchè fa un freddo barbino, le prese di corrente dove c'è la tenda...). Montiamo così la nostra casetta e, all'altezza di Pescadero, un non paesino di due case, dopo 105km, finisce la prima tappa.
Cena a base di Saikebon (mangi, bevi e ti scaldi)
e un ultimo selfie di autocompatimento, un requiem per il mio viso enfio che chissà domattina come sarà conciato, dopo una notte di ristagno!
Per fortuna il sacco a pelo è ben caldo e il fragore delle onde dalla spiaggia poco distante culla il sonno.
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La notte è passata rapida ed è ora tornare on the road. Prima di smontare la tenda, in attesa che apra il bar per colazione, facciamo un giro per il campeggio fronte-oceano. C'è una calma quasi surreale, persino le cicale tacciono e il vento si è placato.
Dall'erba secca fa capolino un leprotto e saltella in giro come segno fausto per una buona giornata.
cestini dell'immondizia anti-procione |
stendino a prova di vento oceanico |
Smontiamo baracca e burattini e andiamo a far colazione. I prezzi sono da diventar respirariani ma poi le porzioni ripagano. Il caffè è con free refill, cioè appena finisci la tazza ti viene riempita di nuovo all'infinito. Ovviamente è caffè americano, brodaglia. Ma con tanto latte e tantissimo zucchero diventa un normale caffelatte più che accettabile.
L'oatmil, pappona di avena, una vasca praticamente, viene servita con mandorle tostate, uvette secche e zucchero di canna per condirla. Zuccheri pronti all'uso e carboidrati complessi a rilascio lento sono ciò che ci serve, anche se Gigi è abbastanza sconvolto dalle quantità.
la mia bicia si è fatta bella con un adesivo regalato al Pride |
Finalmente, con un kilo d'avena in corpo a fare da fondo per non volare via con il vento, partiamo. Oggi la destinazione è Monterey, 125km più a sud, sempre seguendo la costa.
All'inizio passiamo per boschi di eucalipto e giovani sequoie sottili che sembrano chinarsi sulla strada per guardarci meglio.
Poi torna l'oceano, con i suoi azzurri e le sue nuvole in corsa sul bordo dell'orizzonte.
Ma in piano e lungo la spiaggia si resta ben poco. Ci sono colline e promontori, verdissimi, che si gettano direttamente sulla sabbia e sull'acqua salata. Ogni promontorio è una salita, con conseguente discesa. Poi di nuovo, salita e discesa. Le gambe sono ancora dure e fredde nell'aria che arriva dalle onde. Però si suda, perchè il sole scotta.
Tutta la prima parte di questa tappa fila via liscia, con il vento a favore e una visuale da cartolina sul Pacifico.
Poi d'improvviso, le cose cambiano.Ci si allontana dalla costa, iniziano a vedersi distese di campi coltivati e i lineamenti del paesaggio si fanno più artificiali, più antropizzati.
Giungiamo quindi a Santa Cruz, prima città degna di tale nome che incrociamo da ieri. Ne approfittiamo per chiedere a un gentile ragazzo in un negozio di bici di pompare le nostre gomme con una pompa seria, e non con le nostre piccine.
Santa Cruz è una cittadina di mare, con un'università e tanti surfisti. Per dire, ha sede qui la O'Neill.
La cosa buffa è che, dal 2002, è gemellata con Riva Trigoso, paesino vicino a Sestri Levante dove Gigi ed io abbiamo fatta tappa una notte, nelle ferie di Pasqua, quando abbiamo pedalato da casa a Firenze. Qui infatti emigrarono alcuni marinai che resero la città fiorente per la pesca e, ancor oggi, c'è una comunità che parla il dialetto rivierasco. That's great, belin!
Santa Cruz, però, oltre che delizia, come dice il nome stesso, è per noi anche croce. In concomitanza della città, infatti, la highway che stavamo così comodamente seguendo diventa una freeway vietata alle bici. Ciò significa cercare la ciclabile della pacific route che è più lunga, ha più saliscendi e si intreccia con le vie cittadine diventando talora una pista invisibile. Ci dobbiamo fermare tante, troppe volte a controllare la strada e perdiamo tempo. Un anziano in bici ci affianca e ci dice che siamo stati intelligenti a non fare comunque la 1, decisione presa da molti cicloturisti nonostante il divieto, perchè la litoranea è più bella. E massacrante, tremenda, lunghissima.
Tra un ghirigoro e l'altro, mentre intrecciamo percorsi per seguire la costa verso sud, il sole inizia ad abbassarsi e le ombre si allungano, mentre il vento si alza di nuovo, teso e cattivo. E contrario. Solleva mulinelli di polvere e sabbia e rende ogni colpo di pedale uno sforzo titanico.
Intorno campi.
Campi di fragole enormi, che esalano un profumo che par di essere immersi in un vasetto di yogurt alla fragola. Campi di verze, campi di carciofi e di zucche. E messicani bruni di sole che ridono e cantano e lavorano con la schiena piegata.
Gli ultimi 40km sono una sofferenza. Io non ho più forze, il vento ci urla in faccia di tornare indietro. La ciclabile parallela alla 1 è tutta a montagne russe, sue giù e su di nuovo. Corriamo accanto a dune di sabbia formatesi migliaia di anni fa e rifinite dal vento, granello a granello, come un'opera di fine oreficeria e cesello. Sono un parco naturale. Qui è tutto parco naturale. ogni minimo quadrato di verde e alberi è parco statale o privato. E ci sono precisi regolamenti su come campeggiare, come fare i picnic, come passeggiare, come grattarsi il culo. Nulla è lasciato al caso, a prova di scemo, a prova di legge e relative multe. Peccato che poi, lungo i binari di una vecchia ferrovia abbandonata, viva un sottobosco di homeless e tossici che si trascinano tra tende, carrelli pieni di stracci e monnezza.
Dopo aver visto pure dei pellicani in volo, e giuro che non erano allucinazioni da stanchezza, arriviamo a Monterey. Fondata il 3 giugno 1770 col nome di El Presidio Real de San Carlos de Monterrey, fu la prima capitale dello Stato della California tra il 1777 ed il 1849 sotto le bandiere di Spagna, Messico e Stati Uniti d'America. Il 7 luglio 1846, durante la Guerra Messicano-Americana, fu teatro della Battaglia di Monterey e in quell'occasione annessa al territorio degli Stati Uniti. Il 13 ottobre 1849 vi fu firmata la prima Costituzione californiana.
Nel 1967 si è tenuto qui un celeberrismo festival della musica cui parteciparono oltre 200.000 spettatori; fu l'esordio di Hendrix e Joplin, prima di Woodstock.
Oggi Monterey, in cui Steinbeck ha ambientato molti dei suoi romanzi, è meta di milioni di turisti ogni anno per i suoi edifici coloniali, il circuito automobilistico, la riserva naturalistica marina e un acquario tra i più grandi del nord America. Noi di tutto questo non abbiamo visto quasi nulla perchè il centro era chiuso, c'era una festa in corso e sopratutto stava per fare buio e ancora eravamo distanti dal campeggio.
Abbiamo scelto infatti di piantare la tenda al Veteran's memorial park, un parco pubblico cittadino dove, per 6 dollari a notte, si può campeggiare. Non mancano docce e bagni e siti per il barbecue, immancabile accessorio per l'americano in vacanza. Nella natura. A mangiare costine e braciole. Anche qui, come al Koa di ieri, oltre un certo orario il check in lo si fa da sè: alla bacheca sono appesi i moduli da compilare, sulla mappa sono segnati i posti ancora liberi e c'è una cassetta delle lettere in cui infilare una busta con dati e denaro. Unica pecca: il campeggio sta in cima ad una collina le cui strade sono estremamente ripide.
Dopo questo ultimo sforzo montiamo la tenda nella zona dedicata ad hiker e biker, e incontriamo un buon numero di cicloviaggiatori, tutti californiani in vacanza sulle strade del loro stato. Sono tutti molto gentili e amano conversare amabilmente tra uno wow e l'altro, in un modo così politically correct che mette quasi a disagio. Ah, ci avviano di mettere il cibo negli appositi armadi lucchettati perchè qui ci sono i procioni. Quelli con la P non quelli del Pride. E sono grossi così, e frugano nelle tende e nelle borse, rosicchiano e rubano. Per quello hanno la mascherina, sono thieves, they steal your food and they drink your eggs and they stare at you in the tent. Ok. Però io vorrei vederli!
Così si va a nanna anche oggi, nella tendina al caldo e la notte è in effetti un susseguirsi di rumori, scalpiccii e foglie mosse. Ci sono anche i cervi in questo parco, chissà...
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Come ieri sera alle 22 è suonato il silenzio (accanto al parco c'è una scuola di lingue della marina militare), così stamattina alle 8 suona la sveglia. Ma noi siamo già in giro da tempo, per partire presto e goderci la giornata senza fretta.
I procioni hanno lasciato grosse orme intorno all'armadio del cibo, ma è l'unica traccia che hanno lasciato
Facciamo colazione con tè e biscotti e viene finalmente il momento di assaggiare le famigerate Pop Tarts, sorta di biscottone da scaldare che conosco grazie ai Griffin. Niente male, una botta di vita! Costano 99 centesimi, quanto UNA mela, UNA banana ecc. Chè qui la frutta viene per lo più venduta al pezzo, e non a peso, e costa un rene.
Visto che si prevedono varie notti in campeggio, decido di montare per oggi anche i pannelli solari, per caricare i powerbank che, a loro volta, uso per caricare telefoni e luci. Funionano alla grande e, in capo a una giornata di sole, tutte le batterie sono al 100%.
Lui è Woody.
Ci ha tenuto compagnia tutta mattina, è super ciarliero ed ha la classica parlata americana sbragata, con voce roca da fumatore incallinito. Dice di essere in giro a piedi da 30 anni su e giù per il paese, ma ora sta tornando a casa, in New Carolina. Ha da poco subito un intervento e vuole rientrare alla base. Lui cammina. Mangia come un disperato, fuma come un assassino, e sa mimare tutti i versi degli animali, compresi il coyote e il coguaro (che, dice lui, è identico all'urlo di una donna). Ci racconta dei suoi viaggi e di quel che ha visto, dal Gran Canyon alle Montagne rocciose, dai campi del Kansas al deserto del Nevada. "I leoni di montagna sono timidi, i coyote mangiano solo polli. Però state attenti ai serpenti!". Poi loda l'aria della California e parla con malinconia del suo stato, dice di aver sempre avuto bisogno di vagabondare, è un supertramp, un hopeless wanderer. E su questo ci capiamo al volo. Gigi sostiene si aun ex sessantottino, per me è un Christopher McCendless che ce l'ha fatta, che l'ha condivisa subito la sua felicità ed ama chiacchierare.
Oggi avrete una giornata meravigliosa ci dice, salutando.
Ed ha ragione.
Oggi è il giorno del Big Sur, delle scogliere a picco sull'oceano.
Uno strappo di salita, un volo in discesa e ci lasciamo alle spalle Monterey e Carmel by the sea nel giro di un attimo.
Iniziano subito i saliscendi su questa strada che è un balcone esposto alla bellezza intensa e grandiosa della lotta tra roccia e onde, tra venti e radici contorte aggrappate alla terra. Il Big Sur è azzurro e verde, profumo di pici ed eucalipti, aria tagliente e salata come gli scogli e i costoni dei monti Santa Lucia. Si fa fatica, ma il sudore è il biglietto per questo spettacolo.
I primi abitanti della regione furono tre tribù di nativi americani: gli Ohlone, gli Esselen ed i Salinian. I reperti archeologici mostrano che queste tribù vissero nel Big Sur per centinaia di anni, conducendo un'esistenza da cacciatori-raccoglitori nomadi. Sono sopravvissute poche tracce della loro cultura materiale. Le punte delle loro frecce erano fatte di ossidiana; questo indica che avevano rapporti commerciali con altre tribù distanti anche centinaia di miglia, dato che le fonti più vicine di ossidiana si trovano nelle montagne della Sierra Nevada e nella costa Nord della California. Attraverso tutto il Big Sur si trovano numerosi mortai, per schiacciare le ghiande di quercia fino a farne una farina.
I primi europei a vedere il Big Sur furono i marinai spagnoli condotti da Juan Cabrillo nel 1542, che risalirono la costa senza sbarcare. Trascorsero due secoli prima che gli spagnoli tentassero di colonizzare l'area. Nel 1769 una spedizione capitanata da Gaspar de Portolá fu la prima, tra quelle europee, a mettere piede nel Big Sur, nel profondo Sud vicino al San Carpoforo Canyon. Intimiditi dalle scogliere ripide, questi primi colonizzatori abbandonarono l'area e si spostarono verso l'interno.
Portolà sbarcò nella baia di Monterey nel 1770 e, con padre Junìpero Serra, che aiutò ad istituire molte missioni in California, fondò la città di Monterey, che divenne la capitale della colonia spagnola di Alta California. Gli spagnoli diedero al Big Sur questo nome proprio in quel periodo, chiamando la regione el paìs grande del sur, poiché era un territorio vasto, inesplorato ed impenetrabile, situato a sud della loro capitale Monterey. La colonizzazione spagnola devastò la popolazione dei nativi americani. Molti membri di queste tribù morirono a causa di malattie portate dagli europei, o a causa dei lavori forzati e della malnutrizione presente nelle missioni del XVIII secolo, mentre alcuni altri nel XIX secolo vennero assimilati come membri nei ranch di spagnoli e messicani.
Il Big Sur, come il resto della California, divenne parte del Messico quando questo ottenne l'indipendenza dalla Spagna nel 1821. Nel 1848, a seguito della guerra contro gli Stati Uniti, il Messico cedette a questi la California. Dopo l'approvazione dell'Homestead Act nel 1862 alcuni pionieri americani si trasferirono nel Big Sur, attirati dalla promessa della proprietà di 160 acri di terreno. Molte località con nomi ricorrenti come Pfeiffer, Post, Partington e McWay, vennero denominate proprio in quel periodo, dopo l'arrivo dei pionieri.
Dal 1860 ai primi decenni del XX secolo, l'attività dei boscaioli produsse l'abbattimento di gran parte delle sequoie. Grazie a questa e alle industrie basate sulla raccolta delle cortecce, sull'estrazione dell'oro e sulla lavorazione del calcare, l'economia locale forniva più posti di lavoro e sosteneva una popolazione più grande di quella odierna. Negli anni 1880, una città del boom della corsa all'oro, Manchester, sorse ad Alder Creek, nell'estremo sud. La città vantava una popolazione di 200 abitanti, quattro negozi, un ristorante, cinque saloon, una sala da ballo e un hotel, ma venne abbandonata poco dopo l'inizio del nuovo secolo e ridotta in cenere da un incendio nel 1909. Non esistevano strade affidabili per rifornire queste industrie, così gli imprenditori locali costruirono piccoli attracchi per imbarcazioni in alcune piccole cale lungo la costa. Nessuno di questi attracchi esiste oggi, e pochi altri segni di questo breve periodo industriale sono visibili al viaggiatore casuale. Il terreno rugoso e isolato tenne alla larga tutti, ad eccezione dei coloni più tenaci ed autosufficienti. Un viaggio di 45 km fino a Monterey poteva richiedere tre giorni in carrozza, lungo un percorso duro e pericoloso.
Con l'affievolimento del boom industriale i primi decenni del ventesimo secolo trascorsero con pochi cambiamenti e il Big Sur restò quasi come una giungla inaccessibile. Sino agli anni 1920 nessun abitante aveva l'elettricità e anche quando arrivò, essa fu disponibile soltanto in due abitazioni in tutta la regione, generata localmente da mulini ad acqua e a vento. La maggior parte della popolazione visse senza elettricità finché non fu stabilita la connessione con la rete elettrica della California durante gli anni50. Il Big Sur si modificò rapidamente a seguito del completamento nel 1937 della Highway 1, dopo diciotto anni di lavori, grazie ai fondi del New Deal ed all'utilizzo dei lavori forzati.
La Highway 1 modificò drammaticamente l'economia locale e avvicinò molto il mondo esterno, con ranch e fattorie che lasciavano rapidamente strada a località turistiche e seconde case. Anche con queste modernizzazioni, al Big Sur vennero risparmiati i peggiori eccessi dello sviluppo, grazie soprattutto alla previdenza dei residenti, che lottarono per mantenere incontaminate le loro terre. Il governo della Contea di Monterey vinse uno storico caso giudiziario nel 1962, affermando il suo diritto di vietare cartelloni pubblicitari e altre distrazioni visive lungo la Highway 1. La contea adottò quindi uno dei piani più stringenti a livello nazionale sulla pianificazione dell'uso del suolo, proibendo qualsiasi nuova costruzione che fosse visibile dalla highway.
A metà del XX secolo, il relativo isolamento e la bellezza naturale del Big Sur iniziarono ad attirare un diverso tipo di pionieri - scrittori e artisti, tra cui Henry Miller, Robinson Jeffers, Edward Weston, Richard Brautigan, Hunter S. Thompson, e Jack Kerouac. La regione divenne anche sede di centri di studi e meditazione, di un monastero cattolico il New Camaldoli Hermitage, fondato nel 1958, e dell'Esalen Institute, un laboratorio e centro di ritiro fondato nel 1962. Esalen ospitò molte figure del nascente movimento "New Age", e negli anni 1960 giocò un ruolo importante nel popolarizzare le filosofie orientali, il "movimento per il potenziale umano" e la terapia gestalt negli Stati Uniti. Il Big Sur acquisì una reputazione bohemienne grazie a questi nuovi arrivati. Henry Miller raccontò che un viaggiatore bussò alla sua porta, alla ricerca del "culto del sesso e dell'anarchia". Apparentemente senza aver trovato né l'uno né l'altro, il visitatore deluso fece ritorno a casa.
Il Big Sur resta scarsamente popolato, con meno di 1.500 abitanti, secondo il censimento statunitense del 2000. La popolazione del Big Sur oggì è una miscela di discendenti dei colonizzatori originari e delle famiglie di allevatori, di artisti e altri personaggi creativi, oltre a proprietari benestanti del mondo del commercio e dell'intrattenimento. Non esistono aree urbane, anche se tre piccoli ammassi di stazioni di rifornimento, ristoranti e motel, sono spesso segnati sulle mappe come "città": L'economia è quasi completamente basata sul turismo. Gran parte del terreno lungo la costa è di proprietà privata o è stato donato al sistema statale dei parchi, mentre la vasta Foresta Nazionale di Los Padres e la riserva militare di Fort Hunter Liggett occupano gran parte delle aree interne. Il terreno montuoso, residenti ambientalmente consapevoli e la mancanza di proprietà disponibili per lo sviluppo, hanno mantenuto il Big Sur praticamente incontaminato, e intatta la sua isolata mistica di frontiera.
Infatti è difficilissimo avere campo per il telefono e le strutture per dormire o anche solo trovare acqua e cibo sono piuttosto limitate.
Noi, alla prima e quasi ultima, abbiamo fatto incetta, anche per i prossimi giorni
una porcata che chiama a gran voce: burro d'arachidi + marmellata alla fragola. Roba da turarsi le arterie in due cucchiaiate! Yummy! |
il pane è solo in confenzioni XXL. Allora ho preso le mini tortillas, ma Gigi non è convinto |
Proseguiamo tra salite e boschi, balconi sull'oceano e rapidi momenti di grazia. Non chiedo la pigra gratuità delle discese ma nemmeno lo sforzo atroce delle salite. Mi basta l'onesta fatica del piano, ma qui non è data. E' paradiso e inferno, mai purgatorio, luce assoluta e fosca ombra che tutto avvolge.
Abbiamo anche visto i condor. Sono quelli della California, piccini, che volano in cerchi larghi sulle scogliere. Sono in miniatura, sono condorelli (come i cioccolatini e torroncini natalizi).
la nuova Camaldoli |
L'obiettivo di oggi era fare circa 110km e portarsi verso quella che sulla mappa è segnata come la città di Gorda, la grassa. Giunti al primo resort disponibile, ci arrampichiamo su per una collina con fatica mannaggissima, per poi scoprire che è un luogo fighetto da hippie de noantri, con yurte di plastica e balsami alla salvia vera finta bio. Ci guardano entrare, zozzi, sudati, coperti di polvere e residui appiccicaticci di crema solare e ci dicono che sorry, non hanno posto, good luck.
Così torniamo sulla 1 e proseguiamo, fino a raggiungere quello che sembra un motel con annesso bar, risorante, pompa di benzina e general store. Ne ho visti tanti in Russia di posti così.
Ebbene, questa è la città di Gorda, che conta 11 anime tutte qui residenti.
La proprietaria, che parla meglio lo spagnolo dell'inglese ed è effettivamente gorda, ci dice che hanno una stanza. 190 dollari. Eh la Madonna! Mi parte il Renato Pozzetto che alberga in me. Dopo varie contrattazioni e discussioni, capiamo che non c'è scelta. Non c'è posto per campeggiare wild in sicurezza nè città vicine. E poi domani è festa grande: è il 4 luglio.
Così, per 160 dollari, strappiamo una doppia grande come un appartamento, vista oceano. Il ristorante ha prezzi ancora più improponibili quindi compriamo quattro carabattole nel negozio e ce le pappiamo nella megasuite. Io mi calo un burrito BUONISSIMO ancorchè brutto in veranda e ciao.
Poi si aspetta il tramonto, viene l'ora di scrivere e a breve di dormire. Domani la tappa sarà lunga e vedrò finalmente cosa davvero sia l'Independence day in quest'angolo di mondo!
Grande Rita,l'estate non esiste senza i tuoi viaggi,le tue foto, il tuo racconto...un bacio
RispondiEliminaProf. Salfati