lunedì 29 luglio 2019

28-29. Addio monti! La strada che fa perdere il senno. La Veta e La Junta, tra temporali, salite inattese e un'imprecazione lunga 30km



27/7
Del Norte-La Veta
156km

Dunque, abbiamo fatto due conti e no, non abbiamo tempo da perdere. Domani scoccherà il primo mese da che siamo partiti e abbiamo ancora più di 3600km da pedalare, se vogliamo vedere tutte le cose che avevo messo in programma. Certo, qualcosa si potrà accorciare e tagliare così qualche mezza giornata, ma anche no. Diventa una questione di principio!
E poi la geografia di questi luoghi non aiuta. Oggi o ci fermiamo a Fort Garland, a 90km, o dobbiamo tirare i 146km fino a La Veta, che sta dopo, mannaggia a lei, DOPO l'omonimo passo.
Considerando che il giorno successivo o ci si ferma a Walsenbrug ma è troppo vicino, o si tira ancora per 142km da La Veta fino a La Junta... E' evidente che ci toccano quasi 300km in due giorni. Così a occhio eh.

Dunque partiamo presto. Sveglia alle 6 anche se la notte è stata turbata da risate (mie) conseguenti alle guerre intestine (di Gigi). Insomma s'è dormito un caso ma stretta è la foglia, lunga la via; lunghissima. E bisogna andare.

Il cielo è limpidissimo e riluce di tutti i colori freschi delle mattinate estive in montagna. Uno spettacolo alla vista, una goduria di goccioline di rugiada che riflettono il solletico del sole. Usciamo rapidi da Del Norte, sempre in leggera discesa, e imbocchiamo la nostra highway 160 East, seguendo la pista di luce dei raggi ancora obliqui.

Intorno pascoli e pasturi e mucche placide.




Il profumo di terra bagnata ed erba sale nel primo caldo e incontriamo diverse casette isolate e ranch, mentre intorno le vette, sempre più docili, smussate e basse, chiudono lo sguardo. Le Rockyz sono ormai alle spalle, qui restano tracce liminali, di margine del campo visivo, di bordo d'orizzonte. Almeno così crediamo...




Procediamo spediti in un paesaggio che si fa arido a tratti, ma non assomiglia al deserto. C'è comunque una predominanza dei verdi e dell'azzurro profondissimo dell'alto cielo. Che un oceano rovesciato "dove naufragano gli astronauti" e le stelle sono i coralli, nuvole le onde.
Ogni tanto si incrocia un cimitero, cosa piuttosto rara in questi paesini 'mericani.dove sembra che non muoia nessuno o ce tutti si sniffino le ceneri dei loro cari.




Facciamo una prima sosta nella ridente Monte Vista, dove il centro è chiuso per la festa del paese (gh'iin i giustar! E che giustar, un parco divertimenti grande come Gardaland, ma non stanziale). I ragazzini presiedono a banchetti di giocattoli e vestiti usati, nei cortili delle case. Noi siamo costretti ad una serie di deviazioni moleste su strade sterrate e polverose. Così al primo supermercatino Family Dollar ci fermiamo un attimo a rifiatare.
E io trovo lei.


E' la volPina da manubrio, la polena, la mascotte, colei che starà in poppa d'ora in poi a scrutare l'orizzonte. E' troppo bella! E' l'accessorio definitivo per la bici, mi chiedo perchè i negozi di ciclismo non ne siano forniti!

Monte Vista, comunque, è una delle molte città della Saint Luis Valley che fu fondata nel 1884 per la ferrovia, nella fattispecie come punto di rifornimento d'acqua della Denver and Rio Grande Railroad. Ancora oggi qui corrono quei binari, tra cespugli e fiori lilla che non devono ingannare: sono irti di spine.




Pedaliamo spediti, in una leggera discesa che fa da controparte al vento, ora laterale ora contrario. Arriviamo dunque presto ad Alamosa, forse la città più grande di questa valle, dotata pure di un'università. Tanto per cambiare, Alamosa fu fondata nel 1878 come porto sicuro per la Denver and Santa Fè Railroad, e divenne presto un importante snodo ferroviario. Il suo nome significa, in spagnolo, "di cotone", perchè lungo il Rio Grande cresceva questa pianta in modo spontaneo.



Oggi è una cittadina polverosa e brutterella, mencia, triste. Vuol sembrare Messico, e non lo è. Vuol sembrare un forte di pionieri, e non lo è. Si dà arie da centro turistico per le vicine attrazioni: il rettilario Colorado Gators e il Great Sand dunes National park and preserve.
Noi tiriamo via dritti attraverso negozi accalappiaturisti e ruderi di case abbandonate. Ci fermiamo solo per una foto veloce al Rio Grande.



Poi via, on the road again. Ed è tirata unica fino a Fort Garland, che poteva essere meta di oggi, ma poi è diventata sosta di metà giornata. Tira un vento sempre più aggressivo e affilato da nord, laterale per noi, con folate che ci costringono a tener saldo il manubrio. Teniamo una buona media di velocità perchè vogliamo arrivare a Fort garland e riposare. Ma è una fatica grande, una lotta titanica contro Eolo.


Davanti a noi, per tutta questa lunga breve strada, si erge Blanca (o White) Peak, questa maestosa signora che sta seduta su se stessa e le sue chiappone di solida roccia. In cima splende un poco di neve, che riflette il sole e sembra un incendio candido di paradisi in fiamme. Ecco perchè si chiama così.
Dicono si possano vedere gli Ufo da queste parti, e ci sia una forte energia extraterrestre nei dintorni della vetta. Sarà. A me piane invece pensare al silenzio interrotto solo dalle folate del vento, in un susseguirsi di azzurri e bianchi riflessi tra ghiaccio e neve.







Intorno, lungo la strada, ci son solo piccole cose. Fattorie, cavalli, cancelli sparsi e qualche albero, ma pochi. Siamo tornati al regno dei cespugli e dei rami ritorti, al mondo di vita bassa sottovento, radici secche piantate nel terreno a cavar la poca acqua, spine per proteggersi dal mondo, come tanta gente fa, gente che ha paura. La terra è asciutta, aridi i letti dei torrenti, secche le foglie. Non fa caldo, siamo ancora troppo in alto e l'aria corre in masse fredde che rotolano giù dalle cime. Ma il sole brucia, e me ne accorgerò alla sera di quanto la mia pelle sia scottata nonostante la crema protettiva.





Il paesaggio muta di poco mantenendo invariato lo sfondo del Blanca. Case e casette, recinti, ruderi, altri recinti, cavallini o mucche. Dietro la sagoma azzurra, grandiosa, che domina tutto.


Raggiungiamo anche l'ingresso del Great sand dunes national park and preserve.
Un gran nome eh.
In poche parole trattasi di alte (240m) dune di sabbia, che non sarebbero nulla di interessante. Ma si trovano dove non dovrebbero essere, tra foreste di conifere, tundra, paludi, torrenti e praterie.
5 milioni di metri cubi di sabbia finissima, le più alte dune in Nord America, luogo sacro fin dalla preistoria e per i nativi Pueblo, per gli Ute e pure per i Navajo e gli Apache, scoperto dagli spagnoli nel Cinquecento e citato dagli inglesi nell'Ottocento, oggi è un parco per turisti. Ma molti lamentano, scocciati, di non poter saltare con i loro buffi mezzi a motore da sabbia (ma che sono?  Dune buggy?) in questo unicum, in questo scherzo della natura che ha messo il deserto in montagna.



Noi tiriamo dritti. Mi sono informata sul luogo e nulla delle offerte di visita mi ha intrigata davvero. Se devo veder dune, allora siano nel deserto, al posto loro. Cos'è questa anarchia. Dai.
Naturalmente è una scelta come mille altre, per questioni di tempo ed energie. Viaggiare lenti significa discernere, continuamente, ogni attimo, ciò che vale lo sforzo di più e ciò che di meno. Tutto sarebbe interessante e bello. Ma il tutto non si può afferrare, nè raggiungere. E' un esercizio di umiltà, un lavoro di lima a togliere.

Con le ultime energie della mattinata arriviamo a Fort Garland, 96km pedalati., dopo aver superato la città quasi fantasma di Blanca, che prende il nome dal monte, ora vicinissimo.
A Fort Garland ci lanciamo nel primo benzinaio con bagni e cibo. Gigi si cala due tramezzini e un gelato, oltre a varia bibenda, io un pezzo di carne secca al pepe (buonissima) e una cosa che mi faccio spesso ultimamente: tolla di fagiolini al naturale condita con le maionesine monouso che ciuccio ai distributori di hot dog. E' una specie di insalata russa, ovviamente da consumare seduti per terra a bordo strada direttamente dalla latta. Poi un caffettone zuccheratissimo come lo fanno qui.

 
Attiriamo, noi e le nostre schifezze che mangiamo, l'attenzione di molti avventori del benzinaio. E' tutto un WOW! e un AMAZING! detto che enorme enfasi, come solo gli statunitensi hanno il coraggio di fare, che paion la parodia di loro stessi.

Inutile dire che, durante la pausa, facciamo una breve visita al centro del paese, con pirlate e scemenze annesse.




Questa cittadina, autodefinitasi la "porta della San Luis valley" è patria di artisti, artigiani e musicisti piuttosto noti anche a livello internazionale, ed è ancora viva grazie al turismo e alla buona volontà di chi si occupa di luoghi come il museo di storia, il community center e la scuola. Nulla di nuovo sotto il sole.
Come dice il nome stesso, Fort Garland nacque nel 1858 come forte per proteggere i coloni della valle e del New Mexico Territory dagli assalti degli indiani. Nel 1883 se ne andò l'ultima guarnigione di soldati e il forte fu abbandonato, a seguito dell'allontanamento degli Ute la reclusione nelle riserve.
Il museo si trova in alcuni edifici originali del forte ottocentesco.




Entro anche al visitor center per chiedere informazioni riguardo alla strada di domani: come funziona il dispersed camping, ovvero il piantar la tenda dove capita? Le regole cambiano da stato a stato e da zona a zona, e potrebbe servirci nei prossimi giorni. Viste le distanze, se dovessimo avere problemi ci toccherebbe arrangiarci.
Trovo due anziane signore molto gentili ma molto ignoranti in materia. Sanno tutto di alberghi e Spa, ma niente di leggi sul campeggio wild. Però sono assai simpatiche, una ride così tanto della mia abbronzatura a righe zebrate da rovesciarsi il caffè addosso e tirar giù un Holy blood of Christ! Poi cercano informazioni ma non sanno aiutarmi. La più anziana, quella del caffè, mi chiede lumi sui miei tatuaggi e mi mostra tutti i suoi, spiegandomi il signifiicato, il perchè e il per come. Non mi mollano più! Approfitto dell'ingresso di due malcapitati ignari, saluto e svicolo.
Sappiamo che ci aspetta un'altra salitella, un ultimo passo, il La Veta.






Entriamo in una valle strettissima e tutta leggermente in salita, il Sangre de Christo range. Un nome un programma. La vallata è bella e colorata di tutti i verdi e i gialli di cui un vegetale è capace. Per i prossimi 60km non ci sarà nulla. Sulla mappa compare il nome di Muleshoe ma è ciò che resta di una ghost town, tre case e una cuccia, tutte in legno, marcite e abbandonate da anni.


Passiamo accanto al Costilla county veterans' memorial park, con tanto di aereo militare e nomi dei caduti, che stona così tanto con la dolcezza pura della natura intorno



e poi imbocchiamo la strada che ci porterà al passo, in un fuggi fuggi di daini e cervi che corrono nei pratoni. E' talmente tutto idilliaco e perfetto che pare finto. Finirà presto la pacchia, comunque.






Tra le cime, sulla Blanca, il Lindsey, il Rasperry, lo Sheep, la Silver e la Rough, le vette mute che chiudono il passo, si addensano nubi nere e minacciose. I primi tuoni, qualche lampo lunghissimo come una cicatrice. Arriva, arriva.


Si sente un galoppo lontano
(è là . . . ?),
che viene, che corre nel piano
con tremula rapidità.

Un piano deserto, infinito;
tutto ampio, tutt'arido, eguale:
qualche ombra d'uccello smarrito,
che scivola simile a strale:

non altro. Essi fuggono via
da qualche remoto sfacelo;
ma quale, ma dove egli sia,
non sa né la terra né il cielo.

Si sente un galoppo lontano
più forte,
che viene, che corre nel piano:
la Morte! la Morte! la Morte!


(Pascoli)




Noi tentiamo di accelerare il passo e, all'inizio, pare anche ci si riesca. Il temporale resta a lato e ci insegue, ma ho l'impressione che riusciremo a cavarcela anche oggi con poche gocce.





"Passa un treno veloce e la mandria resta a guardare..."
Da un lato il cielo sembra promettere salvezza. Dai che forse si riesce, che forse ce la si fa.



Ma la pendenza aumenta e il passo sembra sempre più lontano. Le nuvole, invece, sono ormai vicinissime e l'aria si è già fatta più fredda e umida. C'è odore di pioggia.





Ho il fiato corto e le gambe molli. Più di così non riesco a tirare. Le prime gocce. Intorno, per ripararsi, nulla. Solo boschi e pinete nere che stanno a guardia della strada. Al loro cospetto si passa a testa china.



E poi arriva. Si scatena l'inferno. Preannunciato da folate di vento e tuoni, il temporale ci si rovescia addosso con tutta la sua furia. Indossiamo i kway e gli antivento, almeno per non prendere freddo. Arranchiamo piano piano nell'aria liquida e si vede pure poco. Una fatica immane.



Per fortuna la pioggia cessa abbastanza presto, giusto il tempo di arrivare in cima.



In realtà non ci lascerà mai del tutto e questi nuvoloni ci terranno compagnia fino all'arrivo. Ora inizia la discesa. Ci copriamo. Sarebbe bellissimo se la strada non fosse super scivolosa e piena di sassi e ghiaino, e se non ci fossero folate terribili che spingono di lato a ogni tornante. Il vento è per lo più a favore, e fa rotolare giù come le biglie sul piano inclinato di Galileo, il mio incubo dei problemi di fisica al liceo. Ora la biglia sono io, il piano inclinato la strada, la forza quella del vento, che va sommata a quella di gravità. Una somma vettoriale, che si fa con la regola delle tre dita, e la risultante è il medio, da ficcarsi su per il baugigi. Per traverso.
A me fa paura questo vento atroce. La discesa. Con il freno tirato a bomba, non riesco a star sotto ai 60km/h. Gigi va giù a 80 all'ora. Probabilmente moriremo.
Inizio a bestemmiare a latrati acuti in cima al passo, e vado avanti ininterrottamente per i successivi 30km. Quando si alza la raffica di vento, la scoreggia potente di Eolo, maledetto prostituito e ladro, inveisco più forte. Ma cosa vuoi dimostrare, cielo dimmerda? Ma con chi ce l'hai? vuoi fare il grosso con noi? Bella storia! Prepotente coi deboli, bravo! E via così, per un ampio tratto di strada. Scendo e impreco. Rido anche, a tratti, nella follia, immaginandomi da fuori. Poi una folata mi fa sbandare e torno a bestemmiare incazzatissima con le cose e la natura e il brutto poter ch'ascoso a comun danno impera.




In qualche modo arriviamo al bivio per La Veta, il primo paesino dopo il passo schifoso marcio appena fatto. Il cielo si apre un poco ma il vento non molla, e ucciderei tutti, con un badile di ghisa, dato di taglio sul naso. Perchè viaggiare in bici è molto bello, molto. Ma a volte un po' stressante. Tipo quando rischi la vita per il tempo schifo.



A condire tutto torna ogni tanto qualche scroscio di pioggia, e io giù a cristare. Gigi si spaventa, penso tema che io sia impazzita del tutto mentre tiro giù le peggio cose, imbacuccata nel kway. ma tanto si perde tutto nel vento.



Partiamo da un presupposto. La Veta è un posto di merda. Anzi, dimmerda. Tutto attaccato. Un piccolo buco di culo abitato da una maggioranza di spocchiosi, acidi, stronzi proprio americanucci della peggior lega. E' in un gioiello di posto, appena giù dal passo, nella Huerfano County. Una perla incastonata in cima alla valle.

Il colonnello John M. Francisco, il sutler di Fort Garland, e il suo socio in affari, Henry Daigre, acquistarono 48.000 acri di terra nella valle di Cuchara nel 1862. Stabilirono un insediamento per agricoltori e allevatori, con Francisco Fort come centro commerciale, un edifico solido di 100 piedi quadrati precisi. Nel 1863 il forte fu attaccato dagli Ute. Gli uomini salirono sul tetto per difendere il forte e un volontario si recò a Fort Lyon. Gli Ute, però, si ritirarono prima dell'arrivo delle truppe. Nel 1871 l'insediamento fu chiamato Spanish Peak e fu istituito un ufficio postale. Nuovi coloni arrivarono nell'area con la Denver & Rio Grande Railroad. La ferrovia a scartamento ridotto, che attraversava il Passo della Veta, era all'epoca il passaggio ferroviario più alto degli Stati Uniti. Un deposito fu costruito a un isolato a nord del forte e la città fu tracciata dalla ferrovia nel 1876. Il forte è ora gestito dalla Società Storica Huerfano. Un ufficio postale chiamato La Veta è in funzione dal 1876. La comunità è stata nominata per un deposito minerale vicino al sito originale della città, La Veta che significa "vena minerale" in spagnolo.

Bello eh?
Ma non c'è un posto che sia uno per stare, se sei in bici, con la tenda, parecchio zozzo e molto stanco.
Abbiamo iniziato a fare il giro dei motel, degli inn e dei campeggi. Quando andava bene, ci guardavano con il sopracciglio alzato e aria di sufficienza. Non avete prenotato? Non c'è posto! Non abbiamo posti per tende, solo camper ed RV. Tutto pieno, no vacancy, sorry sto cazzo!
Insomma, una roba da non credere. 4 campeggi e altrettanti hotel e non un posto per una tenda di 2x2 metri a esagerare. Era sempre evidente che di posto ce ne fosse eccome, ma eravamo sporchi e fradici avremmo fatto brutto alle grassocce famigliole rubizze che grigliavano ecatombi in calzoncini, giù dai loro ecomostri megacamperoni.

Insomma, abbiamo girato il paese in lungo e in largo, tra i molti cervi che girano tranquilli per le strade e brucano nei giardini e nei parchi.





Poi, dopo aver inteso che il posto più vicino era uno state park a 30km, là dove evidentemente stava ancora diluviando, ci siamo buttati in una costosetta camera di motel, il La Veta Inn, in pieno centro. L'unica cosa ancora disponibile. Totale km pedalati: 156. Siamo distrutti. Portiamo su al secondo piano, nella camera più in fondo, armi e bagagli. Poi il flash. In questo paesino di merda stai a vedere che tutti i posti dove possiamo comprare qualcosa per cena chiudono prestissimo.
Controllo su Google. E' così.
Ancora vestiti da bici, prima di poterci lavare e cambiare, scendiamo di nuovo e rigiriamo tutto il paese alla ricerca di un negozietto, anche minimo. Nada.
Ma vaffanculo!
Siamo in una stanza super luxury che pare un appartamento, come da letto, cucina, soggiorno e bagno. Abbiamo tutti gli utensili e gli elettrodomestici del mondo... E non il cibo!

In realtà la situazione non è così allarmante (altrimenti, pur di non salater la cena, avrei tirato giù a calci la porta del benzinaio). Nelle borse anteriori, che servono da cambusa, da fureria, ho sempre una riserva per le emergenze. Questa consiste di: 2 pacchi di noodles istantanei (presi in prestito all'ostello ieri), 2 etti di pasta normale, una scatola di tonno all'olio per condire la suddetta pasta, una tolletta di wurstel (sempre presi in prestito in ostello), un caricatore di barrette tuttiigusti, tè, caffè, miele, zucchero. E voi direte: ma allora di che ti lamenti?
Del fatto che La Veta è un paese di merda.
Tutto qui.






Dunque ceniamo dando fondo alle scorte di emergenza ed io mi faccio un bagno caldo lungo tutta la sera, mentre studio il percorso che resta, da qui a New York. Ci metto dentro Wichita, Kansas city, una ciclabilissima doppia (rock island e katy trail) che segue il corso del Missouri e arriva a St Louis, poi Indianapolis, Pittsburgh, altra ciclabilissima che fu ferrovia (rail to trail), la great allegheny passage, Washington DC e NY. 3600km circa. In un mese e mezzo circa. Se pò fa'!

Poi crollo in un sonno nero e senza sogni. La stanchezza mi rapisce e domani ci sono ancora più di 140km da pedalare!


28/7
La Veta-La Junta
147km

Sveglia alle 6.30, che mica c'è da ciurlare nel manico, qui.
Alle 7 in punto, quando apre, siamo davanti alla sala della colazione, che offre bagel di vario tipo, dolci e salati, BUONISSIMI, marmellatine, burro fresco, cereali, caffè, latte, succo di frutta e formaggio fresco fatto dal casaro dietro l'angolo. Scelta non enorme per il prezzo del motel, ma veg bio e sticazzi acidissimi, che qui son tutti alla ricerca del salutare (nel senso ciao ciao) e del mistico (e mastico) a poca spesa, non di dollars ma di fatica.
Per riguadagnare un po' delle energie spese ieri mangio tutto. Svuoto ogni cestino, il frigo, il bancone. E' passato Attila? Han buttato il sale su Cartagine? No, c'è la volpe, affamata, contrariata, previdente su quel che sarà la fatica di oggi.
Quel che non va in pancia, finisce nello zaino. "Per dopo". Mi sento molto Scrat, lo scoiattolo dell'Era Glaciale con la sua preziosa ghianda.
Scendono poi due irlandesi che ieri mi hanno offerto ospitalità, peccato abitino a Fort Garland (e sì che ho spiegato loro bene tutto il viaggio... Ma pure la gente per bene e gentile non capisce un cazzo, qui?). Restano sconvolti da quanto misera sia l'offerta della colazione. E' colpa mia, signori, scusate. Ma dovevo farlo. Il daimon interiore me lo ordina.

Così, rinvigoriti (quando mi sveglio mi sembra di esser stata presa sotto da un cervo maschio adulto di 300kg), partiamo.
Il cielo sembrava bello due minuti prima, ora è già velato. E sì che ho controllato mille volte su mille siti diversi. Oggi non piove. Acqua 0% a La Junta. Tanto che ho anche già prenotato e pagato una piazzola al campeggio Koa nella città di arrivo. Metti mai che ci ritocca la scena da Giuseppe e Maria sull'asinello che cercano un posto per la notte di Natale. Che a Natale devi da prenotà, si sa.

Partiamo e usciamo dall'orifizio maledetto di La Veta. Per uscire si fa salita, te pareva. Appena in cima, spargo ditI medi sull'orizzonte. Quando il mondo finirà, questo sarà il primo luogo a sprofondare nel cuore di lava liquida della terra aperta e spaccata. Sappiate, così è scritto.





Più lasciamo kilometri tra noi e La Veta, più il cielo torna a sorridere. E la strada scende piano, e il vento è a favore. Senza pedalare si tengono i 30km/h ed è una meraviglia vedere la valle Cuchara spalancarsi ai nostri occhi.







Nei prati corrono i cervi, che poi si fermano, statue frementi, ad osservarci passare. Sono così maestosi e timidi a un tempo, natura inafferabile di vento e muschio. Mi viene in mente la Principessa Mononoke. Poesa pura.







Ci lasciamo alle spalle i monti, e le discese diventano meno ripide. Quasi pianura. Il vento inizia a girare un poco di lato. Le strade tradiscono quello che sarà il flagello, uno dei flagelli, di oggi: le cavallette. Ce ne sono centinaia, ovunque. Passando con le ruote se ne schiacciano tappeti, in un ciac crak disgustoso. Molte, impaurite, saltano e si aggrappano alle borse, alla bici, alle gambe. Ma che semo in Egitto e il faraone ancora tiene schiavi gli ebrei? Le cavallette che mi portano in casa i gatti, quelle grosse e marroni e bruttine, non mi fanno schifo. Ma queste sono grasse, lucide, e non stanno nel loro. Su de doss! Poi vedo qui una cosa già trovata in Iran. Le cavallette si nutrono delle loro compagne morte. E' una cosa raccapricciante vedere questi mostri, questi alien in miniatura, piazzarsi sulle interiora e l'esoscheletro spetasciato di una loro sorella e suggere i sughi sparsi sull'asfalto.

In breve, per fortuna, arriviamo all'unica città che vedremo oggi: Walsenburg.
Un ufficio postale chiamato Walsenburg è in funzione dal 1870. La comunità prese il nome da Fred Walsen, uno dei primi coloni. Walsenburg è menzionato nella canzone di Woody Guthrie, "Ludlow Massacre". La canzone racconta un attacco della Guardia Nazionale del Colorado e delle guardie armate della Colorado Fuel & Iron Company contro una colonia di tende di 1.200 minatori di carbone in sciopero e le loro famiglie a Ludlow, in Colorado, il 20 aprile 1914. Circa due dozzine di persone, tra cui donne e bambini, furono uccise. Il primo episodio di violenza a Walsenburg durante gli scioperi del carbone è noto come il massacro della settima strada, dove morirono tre minatori. Walsenburg divenne teatro anche di uno dei più sanguinosi episodi della Guerra dei Dieci Giorni il 27 aprile 1914. In questo giorno sarebbero morte circa 25 persone. 
Ah, qui c'è anche la casa di Robert Ford, l'assasino del fuorilegge Jesse James.



Noi facciamo sosta al 7 eleven. Anzitutto per tirar via le cavallette incastrate e infilzate nella bici. Poi per fare rifornimenti di acqua e qualcosa da mangiare: da qui a La Junta, per i prossimi 120km, non ci sarà nulla. Nulla nulla. Ho controllato anche con la visione dal satellite di Maps. Quindi meglio non farsi trovare impreparati. Sarà una giornata di distanze dal consorzio umano.




Lasciamo Walsenburg e le sue ultime fattorie. Pure di corsa, inseguiti da un cane da guardia minuscolo e incazzatissimo e ci vola addosso ma non riesce a prenderci.
Le ultime case, qualche stalla, e poi inizia il grande vuoto.





Il grande vuoto, "l'angoscia che dà una pianura infinita/ hai voglia di me e della vita/ di un giorno qualunque/ di una sponda brulla/ lo sai che non siamo più nulla..."




Esso vuoto consiste in prati, più o meno verdi, più o meno gialli, più o meno secchi. Sono proprietà private dei ranch, tutte chiuse da filo spinato e cartelli minacciosi che intimano di girar largo se no il cowboy prima spara poi chiama la polizia.
Dentro al filo spinato, qualche cespuglio, un albero ogni 50km, un paio di cavalli ogni 10km e una manciata di mucche, se va bene, ogni 15km.
All'inizio si vedevano gli ultimi monti e persino un bacino artificiale.





Poi più nulla. E voi direte: hai messo foto tutte uguali! Vero.
Ma scattate a kilometri di distanza. Perchè qui è tutto fermo, una pura immobilità dell'orizzonte che manda ai pazzi.





Aggiungo due o tre dettagliuzzi importanti:
uno. Fa caldo, tanto, e il sole scotta la pelle già bruciata più volte.
due. Tendenzialmente si perde quota, nel senso che siamo partiti da 2000m e arriveremo a 1200m. Ma non è mica una discesa vera. Non è mica come il grafico di Google. Nooooo, no no! Sono colline. Maledette colline. Una serie infinita. Una dopo l'altra! Sali 10, scendi 10,1. Sali 5, scendi 5,2. Così. Che per fare 800 metri di discesa ne fai quasi altrettanti ad arrampicare.
tre. Il vento ha girato corso, all'improvviso. Dopo Walsenburg è diventato contrario. E forte. Teso, arrabbiato. Su questa strada che è una linea che corre senza mai fare una curva, senza una piccola variazione, senza un giro di qualche grado per trovare requie. Fino al km 80 è una tortura. In discesa ancora ancora si va a 20 all'ora. In salita a 5, 6Km/h. Dobbiamo farne più di 140...








Ogni cosa diversa nel paesaggio dà alla mente un punto di riferimento su cui concentrarsi per non espandersi all'infinito come i gas. E poi schiopare come un pop corn. Per esempio, le pale eoliche.
Va' che belle le pale eoliche. Le vedi 20km prima e continui a guardarle, perchè non c'è altro.
Quante sono, 5,6. Ah no, 7. Aspetta che le riconto.
1
2
3
4
5
6
eh sì sono 7.
Come son girate? Eh di là, si vede che il vento soffia così, male.
Quante pale hanno le eliche?
1
2
3
Sì sono 3.
Che belle le pale eoliche.
Ma erano sette?
Aspetta che le riconto.
1
2
3
4
5
6
No cavolo sono 6.
Ah no 7, eccola lì.




E così via.
Una strada del genere è bella e imponente e tutto.
Ma ti fa accarezzare l'idea del suicidio.
Mica per la fatica, quella è una scelta.
Per l'amechania, l'impotenza, la sensazione di immobilità, di inutilità, l'infinita vanità del tutto.
Fare le salite, i passi, i kilometroni è roba da duri.
Fare queste strade qua è roba da eroi.
Non impazzire intendo.
Quando vedi così e sai che ne hai per 120km e vai a 6 all'ora sulle fatiche, e l'acqua finisce, e vorresti un po' d'ombra. Ma non c'è. Non c'è più neanche l'invasione di cavallette, dopo la gioia e la tristezza, dopo la rabbia, è evaporato nel vuote anche l'ultimo sentimento base, il disgusto.


Poco oltre la metà vediamo qualcosa di diverso.
Era un distributore di benzina con negozio.
Era, quando questa strada era l'unica a congiungere i Paesi di Walsenburg e La Junta.
Poi han costruito due autostrade e ciau Pep, saludi Maria. Qui sono rimaste solo le carcasse. I vuoti. Quelli dentro all'anima e quelli fuori al mondo.




Al primo albero vero che fa ombra vera, intorno ai 90km, ci fermiamo. E' ora di mangiare qualcosa e tirar le gambe, sgranchire la schiena e lasciare la posizione della mazzancolla al sale che si ha quando si sta in sella.
Scopriamo che il suddetto albero, essendo l'unico, è meta dei più come luogo ove riposare, orinare, cacare e mangiare. Tutto insieme.
Qualcuno, chissà chi, chissà perchè, lo ha tutto addobbato con addobbi di Natale.
Qualcuno cui la strada dritta infinita ha preso il senno, sicuro.
E qui mica si può andar sulla luna tutti i giorni a recuperarlo. Dove si noleggia un ippogrifo?






Dagli addobbi stacco un campanello. Oggi ho perso per strada un braccialetto che mi avevano regalato in California. La strada dà la strada toglie. Bisogna ristabilire l'equilibrio alchemico. Poi questo posto è magico, pieno di spiriti, sicuro. La gente viene qui a defecare all'ombra dei rami, è terra grassa, ci passa un cosmo tra radici e foglie.

Non stiamo molto, però.
Insetti di ogni genere, comprese falenottere azzurre, farfalloni amorosi (nòn più àndrài) e panfarfalle ci prendono di mira. Io ho magnato con sommo gusto due bagel presi stamani e varie marmellate, Gigi tolle miste, wirstel e ananas sciroppato. Tutto insieme.
Il senso si fa sottile, sta per perdersi. Non decifro più le cose del mondo, lo vedo dalla parte delle radici ed è buffo e spaventoso a un tempo.
Ripartiamo.





Vuoto cosmico e vento, fatica, rumore di folate, una serpe schiacciata che ancora si muove.
E poi le nuvole, ancora. Un temporale.
Ma dai. Non ci posso credere.
Allora non è sfiga, è predestinazione funesta. Una colpa commessa nella vita precedente, o dai miei avi.




Le nuvole si addensano e la temperatura cala bruscamente. Davanti e intorno a noi piove a scrosci, ma non SU di noi, se non qualche gocciolina. Allora non è sfiga nè predestinazione. E' culo sfacciato!
La strada è tutta fradicia e l'aria densa. Si vede che ha appena piovuto forte, ma noi arriviamo un attimo dopo. Tie'!
Dandoci il cambio ogni 2km circa a tirare la carovana controvento (il ciclismo è anche sport di squadra!), arriviamo finalmente, di nuovo alla civiltà
Che ci accoglie con rimasugli di paesini agricoli mezzi abbandonati e l'avviso di un ponte crollato, strada chiusa. Ma non importa, ci siamo quasi.
Controllo la mappa, faccio due conti e mi azzardo a imboccare la strada chiusa: devieremo prima del ponte, tra i campi.
Perchè qui son tornati i campi coltivati, a mais per lo più.
E ci sono anche delle fattorie più avanti, e delle case abitate e vive.


In breve siamo al campeggio, che è bello e piccino e vicino a un sacco di negozi e supermercati. Montiamo la tenda nella piazzola luxury, che ha tettoia, tavolo, bbq, prese di corrente, e non di culo, lavandino con acqua potabile, wifi, braciere (dove farò un fuoco de cristo per scaldare la cena, come Zaratustra, come il padrone dei segreti della fiamma antica ah! Il potere del fuoco che crea e distrugge nelle mie mani! Attenti voi!). Doccia e spesa.


Rimiro l'abbronzatura e le fettine scottate. LA crema solare che ho comprato qui non vale nulla! Urge rimedio.



La cena consiste nelle solite milletolle.
Ho anche ricostituito la scorta di emergenza, in caso di magra, come ieri.
Pensavo che se mettessimo in fila tutte le confezioni di cibo consumato in questo viaggio, copriremmo una linea ben più lunga di quella che stiamo tracciando con le ruote sulla strada. Una muraglia cinese di tolle Campbell's. Mi vengono i brividi!
Ah, ho inventato un nuovo piatto di alta cucina.
Fagiolini al naturale sgocciolati ma non troppo, e aperti male, con il coltello, conditi con la bustona di salsa al formaggio e jalapeno della Velveeta. Che non è una crema per depilarsi. E' una marca che va pasta al formaggio pronta. E il formaggio non è vero formaggio ma una crema bisunta buonissima, che andrebbe scaldata in microonde, e poi messa in coppa alla pasta. Ma schiaffata a freddo nei fagiolini fa un pastone che è ambrosia, nettare degli dei, linfa del paradiso.
Non spargete troppo la voce, devo brevettare la ricetta!


Domani si prosegue verso est. Prima o poi arriveremo a Wichita. Di questo passo in meno di una settimana. Di certo domani è l'ultimo giorno in Colorado. E' ora di Kansas!

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