29/7
La Junta-Holly
145km
E nulla, è periodo così. Di tappissime, di kilometroni, di vento contro e temporali catìvi.
Al mattino non sembra mai che possa accadere tutto quel popò di schifo in cielo, e dopo in terra.
Al mattino il cielo fa promesse che poi la sera non mantiene, infido.
Anche oggi sveglia presto, colazione outdoor a tè e biscotti e subito in sella, che abbiamo un bel po' di strada da fare. Abbiamo un piano: se siamo stanchi o le condizioni meteo sono avverse, possiamo fermarci a Lamar, a 90km, dove ci sono campeggi e motel. Se possiamo, e dobbiamo provarci, ci spingiamo fino a Holly, a 140km, sul confine con il Kansas. Qui ci sono 2 motel molto economici. Prendo giù numeri e indirizzi di TUTTO, chè dopo l'esperienza a La Veta non mi fregano più. In ogni caso noto con piacere che internet è ricomparso sul telefono. Fa schivi ma c'è.
Ah, oggi passiamo i 3000km. Ma abbondantemente anche.
Dunque, si parte e si arriva subito al paese di La Junta, in periferia del quale si trova il campeggio.
La Junta (in spagnolo "l'incrocio") deve il nome alla sua posizione, all'incrocio tra la strada per Santa Fe e un sentiero di pionieri per Pueblo. La città si sviluppò vicino al Bent's Post, una stazione commerciale di pellicce aperta nel XIX secolo.
Durante la seconda guerra mondiale La Junta aveva una base di addestramento dell'esercito dell'aeronautica fuori città. Un distaccamento dell'Aeronautica del Comando aereo strategico rimase lì fino a quando i moderni simulatori di volo sviluppati negli anni '80 non resero il volo vero inutile per le manovre di addestramento dei piloti. Almeno un aereo militare si è schiantato vicino durante queste prove di cadetti.
L'aeroporto, a 8km a nord di La Junta, ha 77 acri di asfalto e due piste ancora in uso.
Il Caboose (nella foto sotto) è il drive-through per la Banca di Stato, che è stata fondata nel 1893. La banca è stata ristrutturata con pezzi d'antiquariato, tra cui una linea di casse della fine del 1890.
In realtà La Junta è l'ennesimo paesino polveroso e triste, che deve la sua esistenza ai binari del treno ed è ancora sporco di carbone e fumi neri. Sono ben misere le cittadine qui, senz'anima, senza gioia. Un agglomerato minimal di case, negozi e servizi, con tanti edifici abbandonati nel mezzo.
Fuori La Junta ricomincia la strada dritta e lievemente collinare, ma non è vuota e folle come ieri. Qui si susseguono campi, pascoli, fattorie, laghetti, riserve naturali e paesi. Per ora il vento è laterale e non molto forte. Si viaggia bene su questa quasi pianura che profuma di campagna aperta, di spighe che maturano al sole e di terra umida e grassa dove corrono acqua e radici in un intreccio forte di vita.
Lo so, lo so. Dalle foto sembra tutto vuoto di nuovo. Tutto desolato. Ma non lo è, vi assicuro! Questi prati brulicano di vita e fremono di ali di farfalle, voli obliqui di libellule in amore, piccole corse dei roditori tra i cespugli. E ci sono mucche e cavalli, lama e alpaca persino. Purtroppo, ahimè, tanti animali si vedono morti a bordo strada, investiti, abbagliati e uccisi di notte, senza un grido, senza nemmeno un po' di rammarico. Ci sono procioni e puzzole, lepri, cervi, topolini e donnole. Anche una volpe e un gufo. Tremenda la frequenza di laboratori dedicati alla tassidermia. Qui va parecchio anche la caccia. Ammazzare è un passatempo diffuso.
Tra ronzii di api laboriose e ali leggere di farfalla, nel cinguettio di passeri che si mescola al vento, arriviamo ad una prima città dove far sosta, pedalati i primi 40km: Las Animas. Ci accoglie un recinto da rodeo enorme, con tanto di tribune e odor di stalla, forte e acre, che impregna l'aria.
Il nome è tutto un programma, considerando poi che sta alla confluenza tra fiume Arkansas e fiume Purgatorio.
Secondo la leggenda, la città e il fiume furono chiamati da un gruppo di conquistadores, probabilmente parte della spedizione di Coronado , che morì senza gli ultimi riti sacramentali di un prete. Secondo la credenza cattolica, le loro anime sarebbero dunque finite in Purgatorio. Il nome originale spagnolo era forse La Ciudad de Las Animas Perdidas in Purgatorio, "La città delle anime perdute nel Purgatorio".
Tuttavia, secondo l'autore Morris F. Taylor, ciò non è coerente con la credenza cattolica spagnola, ma con una credenza cattolica francese. La versione spagnola, El Rio de las Animas Perdidas in Purgatorio, era considerata un abbellimento della versione francese. Nessuna mappa del XIX secolo mostra questo nome spagnolo completo o una sua traduzione. Le mappe esistenti hanno nomi diversi per il fiume: Rio de Las Animas, Purgatory River e "Picatoire", una corruzione del Purgatoire (che oggi è anglicizzato come Picketwire). I commercianti di pellicce francesi del XIX secolo si riferivano al fiume come al Purgatoire. Un'altra anglicizzazione è stata Pick of Ware.
Non un toponimo.Un casino.
ll Picket Post di Gantt, noto anche come Fort Gantt, fu costruito vicino all'attuale Las Animas nel 1832, operando come stazione commerciale fino al 1834. Il secondo forte militare di Fort Lyon fu costruito a Las Animas nel 1867. Rimase attivo fino al 1867.
L'acqua è un problema centrale in Las Animas. Come molte città del sud-est del Colorado, Las Animas compete con le città più ricche della Front Range per consentire all'acqua di sostenere la vita e l'economia agricola locale. Gli sviluppatori e i comuni hanno capitalizzato sulla siccità e sui bassi prezzi delle colture acquistando acqua da agricoltori disperati. Poiché quest'acqua viene deviata a monte per servire le città più grandi, Las Animas perde l'accesso a questa importante risorsa.
A causa della scarsa qualità dell'approvvigionamento idrico della città, a metà degli anni '90, fu installato un impianto di filtrazione ad osmosi inversa. La perdita di minerali nell'acqua provocò il crollo di molte condutture idriche, che erano state sostenute da depositi minerali che si erano formati all'interno dei tubi
Las Animas si trova lungo il ramo di montagna del sentiero per Santa Fe ed era la principale città nel sud-est del Colorado fino a quando la Atchison, Topeka and Santa Fe railway trasferirono tutto a La Junta.
Las Animas celebra un annuale Santa Fe Trail Day, una celebrazione dei pionieri e dei commercianti che hanno utilizzato questo percorso. Questa festività locale è il più antico evento sponsorizzato dal consiglio studentesco negli Stati Uniti. Il Consiglio degli studenti delle scuole superiori Las Animas organizza la giornata, con l'assistenza della Camera di commercio di Bent County. I festeggiamenti hanno incluso una parata, una gara di costumi, balli di piazza , un derby di demolizione e un pranzo tradizionale "Ranchburger", oltre a molte altre attività. Negli anni passati, gli studenti hanno distribuito gli eventi per un periodo di due giorni, a volte trasformandolo in un fine settimana, sempre dall'ultimo venerdì di aprile.
Indovinate un po'?
Anche Las Animas è un paesino polveroso dove case abbandonate e stazioni di benzina arrugginite e spettrali da film horror si alternano a negozi ancora aperti e villini dipinti di fresco. Noi ci siamo fermati a fare una seconda colazione al benzinaio e ci è passata accanto un'umanità degna delle pubblicità progresso sull'abuso di droghe. Le facce eran tutte da "dopo".
Però il gelato si faceva mangiare e il caffettone tritri (che triplica i trigliceridi, per citare Benni) costava pure poco. Tra occhiate torve e curiose e sorrisi sdentati, ce ne andiamo anche da Las animas del purgatorio, che davvero ben descrive ciò che dev'essere la vita qui, il quotidiano. Altro che regno di mezzo, qui in cima non c'è nessun giardino perduto.
Torniamo in sella e Gigi mi fa notare che quei fiori gialli che vedo da giorni sono piccoli girasoli, lo si capisce dai semi e dal fatto che son sempre rivolti alla luce. Mi vengono in mente quei campi gialli sconfinati nei Balcani, dove i ragazzini lerci rubano i cuori di questi giallissimi fioroni e sgranocchiano i semi, come i corvi posati direttamente sugli steli alti.
Il girasole è il simbolo del Kansas dopotutto. E il Kansas è qui a due passi.
Però il gelato si faceva mangiare e il caffettone tritri (che triplica i trigliceridi, per citare Benni) costava pure poco. Tra occhiate torve e curiose e sorrisi sdentati, ce ne andiamo anche da Las animas del purgatorio, che davvero ben descrive ciò che dev'essere la vita qui, il quotidiano. Altro che regno di mezzo, qui in cima non c'è nessun giardino perduto.
Torniamo in sella e Gigi mi fa notare che quei fiori gialli che vedo da giorni sono piccoli girasoli, lo si capisce dai semi e dal fatto che son sempre rivolti alla luce. Mi vengono in mente quei campi gialli sconfinati nei Balcani, dove i ragazzini lerci rubano i cuori di questi giallissimi fioroni e sgranocchiano i semi, come i corvi posati direttamente sugli steli alti.
Il girasole è il simbolo del Kansas dopotutto. E il Kansas è qui a due passi.
Facciamo un'altra sosta ad Hasty -oggi si fa il giro completo di tutto i paesini-, al Valley grocery, dopo aver passato la zona umida del John Martin Reservoir, che raccoglie le acque impetuose dell'Arkansas.
Hasty. Un nome troppo miceneo per essere vero. Qui, poi!
Sembra rimasto inalterato nei secoli, paese di pionieri, villaggio di frontiera sulle terre aperte ancora da esplorare.
Nel piccolo alimentari, che è anche l'unico negozio del paese (vende di tutto, dai vermi da pesca al balsamo), nonchè l'unico ristorante, ci sono 4 cowboy che trincano birra e ingurgitano pollo arrosto. Tutti sono rigorosamente vestiti con pantaloni jeans, camicia a quadri e cappello a tesa larga. Stivali o sneakers sotto al tavolo, a seconda dell'età. La parona, un donnone tanto, struccato e verace, manda avanti la baracca e intanto bada alle figlie, buondo-rosse con lentiggini e stivali di pelle in cui entrano le gambine secche secche. La più piccola, che avrà 7 anni, continua a salutarmi e a farmi vedere che bella paletta schiacciamosche sta manovrando. Ma che bel gioco! Qui d'altronde, più che spetasciare mosche, non c'è un gran divertimento, porella.
Dopo pranzo, mentre facciamo riposare le zampe, decido di chiamare uno dei motel, il più economico, di Holly, il paese che sta a 140km dalla partenza. Siamo già a 70km, abbiamo tutto il tempo. E le condizioni meteo non sono poi tremende, solo un medio vento laterale. Chiamo e la telefonata è difficile. La signora, che è molto gentile e continua a chiamarmi "ma'am", spesso dice di non sentirmi perchè "Grandma's screaming". Annamo bene. In ogni caso prenoto e il prezzo è da piazzola in campeggio. Bene così, anche oggi maciniamo kilometri e ci portiamo avanti.
Duunque si riparte,con la prospettiva di essere circa a metà. Passiamo altre fattorie (con pure i lama! E i cavalli conle scarpe arancioni di stoffa. Giuro. Non sono uscita di cotica).
Superiamo numerosi torrenti che si gettano nell'Arkansas, dai nomi spettrali tipo "Graveyard" e "Deadman", che fanno pensare a una storia locale piuttosto turbolenta di conti regolati con il piombo. Le case sono per lo più abbandonate, crollato il tetto e marcite le travi. Poi vediamo questo edificio, che fu una scuola, ed è una delle cose/case più vecchie che si possano vedere. E' dell'ultima decade del XIX secolo, e gode d'ottima salute. Il cartello accanto è per chieder donazioni affinchè l'edificio continui ad esser preservato dall'oblio.
Subito prima di un grosso incrocio ecco un cartello che attira la nostra attenzione. A 47 miglia da qui si trova il sito storico del massacro del fiume Sand creek.
Da Wikipedia:
"Il massacro di Sand Creek (chiamato anche massacro di Chivington o battaglia di Sand Creek) si verificò il 29 novembre 1864, nell'ambito dei più vasti eventi della guerra del Colorado e delle guerre indiane. Un accampamento di circa 600 nativi americani membri delle tribù Cheyenne meridionali e Arapaho, situato in un'ansa del fiume Big Sandy Creek (oggi nella Contea di Kiowa nella parte orientale dello Stato del Colorado), fu attaccato da 700 soldati della milizia statale comandati dal colonnello John Chivington, a dispetto dei vari trattati di pace firmati dai capi tribù locali con il governo statunitense. Visto lo scarso numero di guerrieri armati e capaci di difendersi presenti nel campo, l'attacco dei soldati si tradusse in un massacro indiscriminato di donne e bambini, con un numero di morti tra i nativi stimato tra le 125 e le 175 vittime (oltre ad altri 24 morti e 52 feriti tra gli stessi militari attaccanti); come riferito da molti testimoni oculari, i corpi dei nativi uccisi furono scalpati e in molti casi ripetutamente mutilati da parte dei soldati. Inizialmente dipinti come una "vittoriosa battaglia" contro nativi ribelli, i fatti di Sand Creek furono poi oggetto di varie investigazioni da parte dell'Esercito statunitense e del Congresso, le quali espressero un severo giudizio sull'operato di Chivington e dei suoi uomini; a dispetto di ciò, tuttavia, nessuna misura punitiva fu presa nei confronti di alcuno dei partecipanti al massacro. I fatti di Sand Creek provocarono attacchi di rappresaglia da parte dei nativi contro gli insediamenti dei coloni europei, nonché un esodo di massa delle tribù native dal Colorado orientale."
Si son presi il nostro cuore sotto una coperta scura
Sotto una luna morta piccola dormivamo senza paura
Fu un generale di vent'anni
Occhi turchini e giacca uguale
Fu un generale di vent'anni
Figlio d'un temporale
Sotto una luna morta piccola dormivamo senza paura
Fu un generale di vent'anni
Occhi turchini e giacca uguale
Fu un generale di vent'anni
Figlio d'un temporale
C'è un dollaro d'argento sul fondo del Sand Creek.
I nostri guerrieri troppo lontani sulla pista del bisonte
E quella musica distante diventò sempre più forte
Chiusi gli occhi per tre volte
Mi ritrovai ancora lì
Chiesi a mio nonno è solo un sogno
Mio nonno disse sì
A volte i pesci cantano sul fondo del Sand Creek
Sognai talmente forte che mi uscì il sangue dal naso
Il lampo in un orecchio nell'altro il paradiso
Le lacrime più piccole
Le lacrime più grosse
Quando l'albero della neve
Fiorì di stelle rosse
Ora i bambini dormono nel letto del Sand Creek
Quando il sole alzò la testa tra le spalle della notte
C'erano solo cani e fumo e tende capovolte
Tirai una freccia in cielo
Per farlo respirare
Tirai una freccia al vento
Per farlo sanguinare
Con la testa che rincorre immagini di volti rubati al tempo, di donne, bambini e uomini morti come animali nel nome di una qualche giustizia, nel nome di un qualche dio, arriviamo a Lamar. Il vento si è alzato brusco e teso, arrabbiato contro la storia e pronto a spazzare via questa umanità non degna. Noi, di sicuro, esposti al suo capriccio.
Entrare in città è un anticipo di inferno.
C'è una curva, che dà su un cavalcavia tutto sconnesso e pieni di rottami pericolosi. Il vento ti colpisce in faccia come una sberla a mano aperta, e ti investe come una mandria di bufali che fugge dal treno. Quasi cado. Intorno, campi di polvere gialla. Sabbia, ma fine, artificiale. Si alza a nuvoloni ed entra negli occhi, nel naso, nei polmoni. Annebbia l'aria. Intorno, camion che passano con un rumore tremendo, sferragliando, spaccando, schiacciando. Li sento ma fatico a vederli, nelle nuvole di polvere. E' una prefigurazione di ciò che c'è sotto, giù agli inferi. Non diavoloni nè fiamme, non corpi dilaniati nè pianti o alti guai. Una strada così, in cui pedali senza muoverti, in eterno.
Riusciamo in moviola a levarci da quell'assaggio d'Ade e ci fermiamo un momento a bere qualcosa di fresco. La temperatura è tornata ad impennare, cavallo di fuoco imbizzarrito dalla criniera di lapilli. Ci sono 40 gradi e passa. Si stianta.
La sosta serve anche a tirar via le cavallette dai vestiti e dalla bici.
Ormai mi sono rassegnata a trasportare questi alien per kilometri. Saltano su, con quelle zampine ad artiglio, e ogni tanto si staccano. Ogni tanto restano. E ti fissano. Guardano. Chissà che vedono. Cosa pensano. Come interpretano la realtà circostante e i suoi simboli. Magari hanno elaborato teorie di decifrazione del vero ma non hanno il linguaggio per esprimerle. Magari invece contengono un buio vuoto di non-pensiero. Come certa gente che so io.
Lamar è l'ennesimo bucio di culo smerigliato dalla sabbia.
Manco Wikipedia, manco quella in inglese, fornisce informazioni buone sulla sua storia.
Bisogna aprire il sito della città, che è tenuto da gente MOLTO orgogliosa di viverci. E, frugato il sito, in merito alla storia locale, si legge:
"The history of Lamar began with the arrival of the railroad. The earliest settler in this area was a cattleman called A. R. Black, whose home and ranch were located on both sides of the Santa Fe Trail. The city was named after the Secretary of the Interior under Grover Cleveland, Lucius Quintius Lamar. Lamar was officially established as a community in the year 1886".
Non esageriamo coi dettagli!
Poi ci sono diversi articoli dedicati a sceriffi e uomini della legge che hanno ammazzato o sono stati ammazzati da ladri e banditi, in rocambolesche sparatorie, fughe e cavallo e battute salaci che dovrebbero far ridere, tipo a storiella del ladro che risponde allo sceriffo di farsi i cazzi suoi, e per questa risposta si trova 6 pallottole in corpo. Ah! Ah! Che storia esilarante!
Dopo Lamar pedalare diventa una sofferenza pazzesca.
Il vento è feroce e impietoso, impetuoso, impetoso. E frontale. Si avanza a meno di 10km/h, con il cambietto molle delle salite. L'intero corpo inizia ad andare in tilt perchè dalla centralina nella melonera arrivano segnali contrastanti: il super io dice di andare avanti, l'Es lo manda a cagare, l'ego piange perchè non sa che fare. I piedi bruciano, dove la tacchetta pigia il pedale. La schiena è spaccata, le braccia e la spalle rigide nelo sforzo. Le labbra si spaccano e non c'è più saliva per tener umide le fauci, mi sento le croste al naso come i bambini del terzo mondo e mi fanno male persino i calli al culo, quelli da sella. Praticamente sono un rottame, una roba che sta già marcendo, da buttare in un fosso e chiuderla lì.
Con sforzo inverecondo e indicibile avanziamo, e arriviamo a Granada.
No, non abbiamo sbagliata strada finendo in Andalusia. Qui c'è una Granada ben più miseranda, ma comunque buona per capire che qualche kilometro lo abbiamo percorso.
Risulta attivo un post office con questo nome già dal 1873 e il paese prende il nome dall'omonimo torrente che scorre vicino.
La cosa interessante è qui, durante la Seconda guerra mondiale, sorgeva Camp Amache, di cui oggi resta solo un cartello.
Si trattava di un campo di prigionia di giapponesi che vivevano in America.
In seguito all'attacco giapponese a Pearl Harbor il 7 dicembre 1941, il presidente Franklin D. Roosevelt autorizzò la delocalizzazione forzata degli americani giapponesi che vivevano sulla costa occidentale. Nella primavera del 1942, circa 120.000 giapponesi americani furono "evacuati" e collocati in "centri di raccolta" temporanei prima di essere trasferiti in "centri di trasferimento" più permanenti e isolati come Granada. Gestito dalla War Relocation Authority, l'ente governativo responsabile dell'amministrazione del programma di detenzione, Granada era uno dei dieci campi di questo tipo, l'unico ad essere costruito su un terreno privato. Il campo si estendeva per 40km quadrati, di cui solo 2 utilizzati per edifici residenziali, comunitari e amministrativi, mentre il resto era dedicato a progetti agricoli. La terra era di proprietà di diversi allevatori e agricoltori prima della guerra, e solo uno di questi proprietari di proprietà vendette volentieri la sua superficie per far posto al campo, creando tensione tra l'ARR e gli altri proprietari terrieri, i cui lotti furono presi per imposizione. Tuttavia, ciò non si tradusse necessariamente in una resistenza generale nei confronti degli americani giapponesi ospitati nell'area: il governatore del Colorado, Ralph Lawrence Carr, fu uno dei pochi ad accogliere i giapponesi americani e l'unico governatore a non opporsi alla creazione di un campo della WRA nel suo stato, andando contro il sentimento anti-giapponese dei tempi. Granada aprì il 27 agosto 1942 e raggiunse il picco di popolazione di 7.318 persone entro il febbraio del 1943, rendendolo il più piccolo dei campi della WRA (sebbene il numero totale di persone che attraversò il campo durante la sua esistenza di tre anni fosse di oltre 10.000). Quasi tutti gli internati del campo provenivano dalla California. A ogni persona è stato permesso di portare solo una borsa, quindi molti sono stati costretti a vendere ciò che potevano o regalare i loro beni, compresi gli animali domestici, prima di essere trasferiti.
Il nome non ufficiale del campo divenne rapidamente Camp Amache, dal nome della figlia di un capo Cheyenne, moglie di John Prowers. (La contea in cui si trova il Campo Amache prende il nome da Prowers). Questo cambio di nome era dovuto a una confusione per la posta tra la città di Granada e il campo.
L'area residenziale di Camp Amache si estende su una bassa collina, il che ha impedito le inondazioni e i problemi di fango che hanno afflitto altri campi della WRA, sebbene l'area fosse soggetta a forti venti e forti tempeste di polvere.
E noi lo sappiamo.
Era circondato da recinzioni di filo spinato, con otto torri di mitragliatrici situate intorno al campo. Tuttavia, tutte e otto le torri erano raramente presidiate contemporaneamente e le pistole non venivano mai usate. Il direttore del progetto, James G. Lindley, permise agli internati di fare gite di un giorno nella città di Granada, situata a pochi passi dal campo, e sebbene alcuni locali rimasero ostili ai loro vicini "Jap", alla fine fraternizzarono con gli internati, al punto che molti imprenditori assunsero americani giapponesi e immagazzinarono prodotti per i loro clienti di Amache.
Sebbene i rapporti con i residenti di Granada e altre comunità vicine siano stati in gran parte positivi, molti coloradiani hanno protestato contro la costruzione della Amache High School nel 1943. La regione si stava ancora riprendendo dalla depressione degli anni '30, e i cittadini sostenevano che i loro dollari delle tasse non dovevano andare a sostegno Studenti americani giapponesi. Facendo eco alle voci diffuse secondo cui la WRA stava trattando gli americani giapponesi meglio dei cittadini, mentre il paese soffriva di carenze in tempo di guerra, il senatore degli Stati Uniti Edwin C. Johnson definì la scuola un esempio di "coccole" al nemico. La scuola superiore fu completata nel giugno del 1943, ma i piani per costruire due scuole aggiuntive per gli studenti delle scuole elementari e medie furono abbandonati.
Le fonti indicano che la squadra di football del liceo ha perso una sola partita in tre anni. Un evento degno di nota è stato quando la squadra di calcio Amache ha giocato contro la compagine imbattuta di Holly. Questa partita è stata unica perché Holly ha effettivamente accettato di giocare in trasefrta, in casa Amache. Uno dei giocatori della squadra di Holly era Roy Romer, che divenne governatore del Colorado. La squadra Amache ha vinto questa partita con un punteggio di 7-0.
Gli adulti nel campo avevano varie opportunità di lavoro. Il campo aveva un dipartimento di polizia che era gestito da sessanta internati americani giapponesi, sebbene fosse diretto da un ufficiale di sicurezza bianco. Allo stesso modo, i vigili del fuoco di Amache erano composti da tre squadre di pompieri americani giapponesi e un capo dei pompieri internato che lavorava sotto supervisori bianchi. Alcuni (anche se non molti) che avevano guadagnato le credenziali di insegnamento prima del loro confino erano impiegati nelle scuole del campo. Nel 1943 fu istituito un negozio di serigrafia e i suoi quarantacinque membri del personale hanno creato materiali di formazione e oltre 250.000 poster a colori per la Marina degli Stati Uniti, oltre a calendari, cartelloni e altri oggetti di uso personale per i residenti del campo. Come in tutti i campi della WRA, ex medici, infermieri, dentisti e altri operatori sanitari hanno trovato lavoro presso l'ospedale del campo, anche se sono stati pagati in modo significativamente inferiore rispetto ai loro colleghi bianchi - e i compagni internati spesso hanno raccolto fondi per sovvenzionare i loro bassi salari.
Tuttavia, gran parte del lavoro a Granada era diretto alla produzione agricola. Come la maggior parte degli altri campi della WRA, la terra che circonda le aree residenziali era dedicata all'agricoltura e all'allevamento del bestiame. Il budget della WRA ha limitato l'assegnazione di cibo per detenuto a 45 centesimi al giorno, in parte per evitare che si dicesse che il nemico era coccolato e viziato, e in parte perché il campo era destinato principalmente ad essere autosufficiente nella sua produzione alimentare. Questi sforzi si sono dimostrati particolarmente efficaci a Granada, dove i lavoratori interni hanno prodotto abbastanza per nutrire l'intera popolazione del campo e inviare il surplus all'esercito americano e ad altri campi. (Nel 1943, ad esempio, gli agricoltori di Granada coltivavano 4 milioni di chili di verdura). E c'era pure un gruppo di boy scout!
Ora, di tutto questo, resta ben poco. Altri volti mescolati alla polvere, altre voci nel vento.
Gli ultimi kilometri son pedalati per disperazione e desiderio bruciante, più della fatica, di porre fine alle nostre sofferenze. Come se non bastasse, oltre al vento, si è aggiunta la minaccia di pioggia. Il nostro temporale quotidiano. Mannaggia a lui. Ci costringe a tirare ancor di più, come se riuscissimo, e ci fa sentire ancora più lenti e impotenti, esposti al cielo, alla terra, alle cose del mondo materiale che è duro e freddo e inadatto alla vita.
Per fortuna Holly esiste. Ne ho dubitato fino all'ultimo
Holly è l'agrifoglio. Holly è bene, è salvezza. Qui sta il motel che ho prenotato, qui potremo finalmente fermarci per un poco a riposare. Una sera, una notte, una stagione del tempo che fugge.
Holly fu fondata come comunità di allevamento e la città fu incorporata nel 1903. La città fu chiamata così per Hiram S. Holly, un allevatore locale che si trasferì nella città nel 1871 e portò con sé 1.300 capi di bestiame. Il ranch di Holly fu il primo insediamento nell'area. Il signor agrifoglio era il boss del quartiere insomma.
Nel 1905 fu poi aperta la Holly Sugar, giusto in tempo per la raccolta delle barbabietole da zucchero quell'anno. La produzione ebbe così tanto successo che l'azienda cercò rapidamente di espandersi ad altre comunità. Nel 1911, Holly Sugar si era espansa fuori dallo Stato del Colorado. La società ha da tempo lasciato la comunità di Holly. Nel 1988, la Holly Sugar si è fusa con la Imperial Sugar.
Le altre cose notevoli di questo posto sono tremende.
La prima riguarda la devastante serie di tornado del 2007, che han fatto danni e morti. Non mi lamenterò più del vento, promesso.
La seconda invece è l'epidemia di listeriosi (roba brutta, ma brutta brutta) esplosa nel 2011.
Insomma, una amena località ridente.
Arriviamo al motel, che fu un albergo nei primi anni del secolo ed ora è mezzo scassato e mezzo ristrutturato. Una banda di messicani sta grigliando laqualunque in un parco accanto, e tutto sta di fronte A. al centro anziani B. alle pompe funebri.
Dal gruppo que viva Mexico si alza una anziana più larga che alta, treccia di capelli grigi e pochi denti nel sorriso. Ci saluta e la riconosco dal "Ma'am" già sentito al telefono. E' la proprietaria. Ci fa mettere le bici in quello che fu il bar dell'hotel, e ora è un magazzino mezzo abbandonato. Poi manda figlie e nipoti ad aprirci la stanza e spiegarci tutto il tutto. In poche parole mi sa che è tutto in nero e la struttura, ben lungi dall'essere a norma, ospita operai di colore che ridono mentre fumano canne e mangiano pizze enormi, ancora sporchi di calcestruzzo. Uno, per sbaglio, entra in camera da noi, e si scusa come avesse commesso chissà quale colpa.
L'anziana messicana ci chiede se vogliamo qualcosa per cena, che loro stan grigliando giù in cortile. Va bene! Dico. E ci mancherebbe, con la fame che ho potrei mangiarle il copridivano.
Mentre apprezzo come l'albergo storico sia stato più o meno risistemato, si presentano nonna e nipote con due piattazzi di panini, hamburger e salamella, una fetta di pomodoro, mezza cipolla e una manciata di patatine alla cipolla, di quelle che digerisci nella prossima vita, con karma. E due Dr Pepper, che sono una porcheria immane. Gigi le tracanna e puntualmente starà male poco dopo. Il cibo, invece, è da leccarsi i baffi. Speriamo che la listeriosi non mi si diffonda in corpo con meningite purulenta eccetera.
Mentre ceniamo noto, sulla cucina, un orologio
Dice: "Tutto è possibile se Credi". Credi con la C maiuscola.
In realtà mi colpisce che siano le 8 ma segni già le 9. Domani in Kansas cambia fuso orario... Vuoi che qui già abbiano tirato un'ora avanti? In effetti il sole tramonta ben presto...
Elucubro forte. Mezz'ora dopo mi rendo conto del fatto che l'orologio sia fermo da mo, e le lancette sono in quella posizione da anni. "Tutto è possibile se Credi" con la C maiuscola. Mo va' caghèr!
Siccome si è già cenato grazie alla signora (che è tornata a chiedermi di dove siamo, cosa facciamo, se ci sono differenze tra Usa e Italia... E perchè non andiamo giù a grigliare anche noi... E bla bla bla... Du balle signora mia! So stanca!), facciamo due passi per rifinire il pasto. Per il rinforzino. Il parcheggio è pieno di neri strafatti che tossiscono l'anima, e il vento non si è placato.
Tuoni e lampi preannunciano una tempesta che non verrà. Eolo invece fa tremare le pareti e i soffitti, ululando tra le vecchie assi sconnesse. Noi ci godiamo il secondo dopocena. In foto: mele, Pepsi, dolcetti alla noce, marmellata, miele, caffè, confezione di cookies, 3 confezioni di wafer, di cui quella rosa fa fare rosa anche i rutti, e, al centro, la mia gioia del palato: anans con chili (pina enchilada) e mango con habanero. Voi non avete idea della bontà sopraffina.
Nell'infuriare del vento studio la tappa di domani: ci toccano ancora più di 100km per arrivare in città, a Garden city. Ma se succede qualcosa, a 90km c'è un lurido campeggio che può fare da salvagente. Vedremo. Di certo entriamo in Kansas, perdiamo un'ora per il fuso e, in termini di km, superiamo i 3200, che potrebbero esser considerati una buona metà del viaggio.
30/7
Holly-Garden city
119km
Partiamo con calma, tanto oggi, a causa del fuso, saremo comunque in ritardo rispetto al solito. Qualunque sia il "solito" in un viaggio dove ogni giorni cambi casa, orizzonti e luci, volti e nomi.
Il temporale si è dissolto ed è rimasto in cielo un azzurro intenso, appena lavato e ripulito di fresco. Di certo anche oggi farà caldo, e arriveremo intorno ai 40 gradi. Per ora l'aria è tiepida e non brucia il sole. Le cicale ancora non si sono "accese" con il loro rumore elettrico d'alta tensione.
Si parte. Il vento c'è ancora, purtroppo, mezzo contro mezzo laterale, da sud est (noi andiamo a est sud-est).
La campagna intorno sorride, è una natura docile e buona. Almeno sembra. Poi vengono i tornado e spazzano via tutto, mucche e tetti. In fondo ora capisco il perchè del Mago di Oz.
A nemmeno 10km dalla partenza arriviamo al confine tra Colorado e Kansas. Lo segnalano un'area di sosta semiabbandonata, quel che fu forse un negozio e due cartelli. Alle spalle un "Welcome di colorful Colorado".
Davanti un "Kansas welcomes you". Se so sprecati! Però non rinunciamo alle foto di rito, con il girasole e il blu del cielo in controluce piena.
Viaggiando dritti verso est, ci bruciamo di mattina il viso, di pomeriggio la collizza.
Cambiamo la posizione delle lancette, noto che qui c'è sempre il 4G sul telefono con la Sim 'mericana.E arriviamo a Coolidge, prima città del nuovo stato, che ci accoglie in tutto il suo splendore da Booco di Coolidge.
Città fondata nel 1881 sulla ferrovia (infatti qui in Kansas è tutto un susseguirsi di cartelli che ricordano sia il Santa Fe trail sia la strada ferrata, con pannelli informativi e cippi ogni poche miglia, pure in mezzo ai bricchi), Coolidge prende il nome da quel pezzo di figliolo di Thomas Jefferson Coolidge, primo presidente della Atchinson, Topeka&Santa Fe Railway. Che fantasia.
Qui, come in tutti i paesini di oggi, ci sono: un micromuseo (chiuso) sulla storia della ferrovia o dei contadini e allevatori; un enorme silo per il grano o i mangimi; vecchi edifici in disuso; odore di stalla.
Coolidge non ha nulla da offrirci se non un caffettone e un attimo di sosta dal vento malefico. Perchè sì, è tornato, più forte ancora di ieri. Che ferma e rallenta e fa sbandare. Praticamente ci costringe a procedere in fila indiana, così uno tira e l'altro riposa. Dobbiamo cambiare ogni 2km circa, tanta è la fatica del trainare la baracca.
E' una pianura spazzata da raffiche di vento fortissime che non danno tregua, ma è buona già che non siano tornado.
Intorno, campi. Grano, fieno.
E ranch, con mucche e cavalli (sempre con le scarpe arancioni). Il frinire delle cicale arriva a intermittenza, con le folate calde di un'aria che già s'è arroventata. Anche oggi è fatica.
E pensare che il vento potrebbe pure non esserci, o soffiare a favore. Psicologicamente è devastante. Una salita è lì, sai che c'è, inizia, finisce. Ti dà la soddisfazione di aver scalato una vetta. Ma il vento. Il vento no, è energia sprecata inutilmente. E' un modo malvagio di render faticoso ciò che potrebbe non esserlo. Come fare una maratona con le pinne da sub. Una roba delirante.
Tra prati e mais che rendono ancor più monotono lo sfondo, che già scorre piano ai bordi dello sguardo, ci trasciniamo fino a Syracuse, sempre seguendo il corso sottile dell'Arkansas.
La città nacque come riserva d'acqua e stazione di posta per la ferrovia, nel 1873. Nel 1888 aveva una popolazione di 1.300 abitanti. E' sempre stata un luogo piuttosto ambito in cui vivere, con molte opportunità legate alla terra: il vicino fiume rende fertile il suolo ed è una delle aree più produttive per grano, fieno, mais e latte. Non mancano aziende di mangimi e caseifici. Gli enormi silos e i binari ferroviari, fonte della prosperità locale, ci accolgono fin da subito, appena ci avviciniamo.
Ci fermiamo un poco (lo so, il nostro procedere pare una via crucis con tutte le stazioni. Ma lo è davvero: anche solo 30km con il vento brutto che ci tira sberle in faccia tutto il giorno, sono poi meritevoli di sosta).
Io bevo l'ennesimo cappuccione super dolce e spesso (prima al gusto caramello e cioccolato bianco, ora zucca speziata). Mentre rilasso i muscoli delle gambe e della schiena cerco qualcosa da leggere.
Prima mi capita in mano il volantino di una conferenza dedicata agli agricoltori sull'uso e il risparmio dell'acqua,
poi un giornale tutto dedicato alla vendita di trattori e mezzi agricoli.
Ho capito che siamo in piena comunità rurale, che "la terra è bassa/ la vita è storta/ e al camposanto poi nunse canta"... ma che monomania! Che monotonia!
Ci rimettiamo in strada. Un inferno.
Un piattone, una griglia arroventata dal sole che brucia e riarde. E il vento teso che ferma. Non c'è verso, procedere è fatica all'ennesima potenza, un distillato di sforzo e sofferenza e volontà
Siamo costretti a fare delle pause intermedie, anche là dove non ci sono paesi. Basta un filo d'ombra per attrarci come un magnete, come le mosche col miele. Nella fattispecie, ci lasciamo sedurre dalla pace, pur sferzata dalle raffiche di vento, di un piccolo cimitero, quello di Kendall, microvillaggio agricolo.
Sembra Spoon river, forse lo è.
"Dormono, dormono sulla collina...."
Ci sdraiamo all'ombra, sull'erba secca che profuma di estate. Vedo tra i rami un mosaico di azzurri purissimi, la luce filtra a gocce e scaglie. Mi addormento un attimo, tra i finissimi sistri d'argento delle cavallette. Potrei stare qui un secolo, o due. Metter radici, bere l'acqua dalla terra e lasciare che il sangue diventi linfa. Passano diverse stagioni dietro alle mie palpebre. Soli e lune, una giostra di stelle e nuvole. Poi Gigi mi chiama. Bisogna andare.
Riprendiamo con dolore, conto i kilometri, ma è troppo, allora le centinaia di metri, poi le decine. Non riesco a distrarmi dai numeri che indicano la misura esatta della nostra impotente amechania, non riesco a distrarmi e il pensiero di fissa, si incolla, diventa appiccicoso, un vischio. Appiccica le palpebre, impasta la bocca. Ho un sonno incredibile. Potrei addormentarmi mentre pedalo. E' il mio corpo che cerca requie, che tenta di chiudersi in una crisalide di silenzio e immobilità. I muscoli non vogliono più contrarsi, i tendini nemmeno. Ogni fibra si oppone allo sforzo. Per fortuna c'è la melonera a dare indicazioni, e bastone e frusta le parti impigrite, che tentano di assopirsi. L'allenamento fa, ma la volontà è tutto. Se la testa tradisce, è finita. Forza e coraggio, che la vita è un gran viaggio!
Mi alzo sui pedali e riprendo il ritmo, mentre il vento mi butta a tratti in mezzo alla carreggiata.
Per fortuna qui tutti guidano benissimo e in modo super rispettoso, e aspettano di poter superare passando larghissimi, anche quando non sarebbe necessario. La corsia d'emergenza è sempre molto ampia.
Tra mucche e cavalli con gli stivali arriviamo a Lakin, un paesotto un po' meno polveroso degli altri. Fondata nel 1874 e divenuta città nel 1888, prende il nome dal fu tesoriere dell Atchinson, Topeka e Santa Fe Railway, tal David Long Lakin. Veramente qui di fantasia si muore!
Mi colpisce questo cartello, che dà la misura delle cose e ridimensiona quello che io chiamo forte vento. In California, sulla costa, c'eranoi cartelli a indicare le vie di fuga e i punti di raccolta in caso di terremoto e tsunami. Qui Tempeste di neve e tornado. Altro che natura matrigna. Siamo ben poca cosa, noi formichine.
Dopo una sosta dove decidiamo di poter arrivare alla città di Garden city, altri 35km, senza doverci fermare al vicino campeggio sgrauso e zanzaroso di Deerfield, mi concedo una sorta di pranzo-merenda. Oltre al bibitone freddo di rito e un gelato, dopo questi, provo per la prima volta un Tamale(s). Che io ho ribattezzato già da un mese Staimale(s). Al benzinaio li vendono confezionati uno a uno, tenuti caldi alla piastra.
Ne prendo uno alla carne. E' BUONO!
Se non sapete cos'è uno Staimale, blam
https://it.wikipedia.org/wiki/Tamales
fateve na curtura.
Non ho foto, ero affamata e stanca e distratta e curiosa. Provvederò.
Dopo questa pausa ripartiamo per gli ultimi sofferti kilometri della giornata. Lasciamo la stradona (in realtà poco trafficata) che seguiamo da giorni, ora chiamata 400, e ci buttiamo ancor più a capofitto nei campi, tra mais verde-argento che riflette il sole, spighe bionde e laghetti. Non fosse per Eolo, Eolo arrabbiato e contrario, Eolo che porta via i profumi e i rumore e stordisce, sembrerebbe quasi di essere a casa.
Sembrano luoghi tranquilli dove la gente ha le mani callose e la terra sotto alle unghie, dove si va a letto presto e all'alba si è già al campo a lavorare.
Scopro solo in un secondo momento che Holcomb, che prende il nome da un locale allevatore di maiali e che fu fondata nel 1909 per la ferrovia, nasconde un'ombra di sangue tra le foglie taglienti del granturco.
Il 15 novembre 1959, quattro membri della famiglia Clutter (il padre Herb, 48 anni; sua moglie Bonnie, 45; la loro figlia più giovane, Nancy, 16, e figlio Kenyon, 15 anni) sono stati trovati legati e uccisi a colpi di arma da fuoco in varie stanze della loro casa, la River Valley Farm, alla periferia di Holcomb.
Due ex detenuti, Richard ("Dick") Hickock e Perry Smith , furono arrestati, processati e condannati per le uccisioni. Tutto è iniziato quando sia Hickock che Smith sono stati rilasciati dal carcere; agendo in base alle informazioni di un compagno di cella di Hickock, tal Floyd Wells (che aveva lavorato per i Clutter nel 1948), han fatto piani per rapinare la famiglia Clutter con l'errata convinzione che i Clutter tenessro migliaia di dollari in contanti in una cassetta di sicurezza presso la residenza. Non c'era nulla di vero, nessun tesoro da rubare. Dopo questa scoperta, e dopo aver ucciso la famiglia per eliminare eventuali testimoni, la coppia di criminali fuggì con circa 42$ (361 dollari oggi), una radio portatile e un paio di binocoli. Furono arrestati il 30 dicembre 1959 a Las Vegas, in Nevada , dopo che avevano probabilmente ucciso un'altra famiglia in Florida. Hickock e Smith furono impiccati per omicidio di primo grado il 14 aprile 1965.
Gli omicidi, gli arresti e le condanne di Hickock e Smith furono la base dell'acclamato libro dell'autore Truman Capote , In Cold Blood , che fu serializzato sulla rivista The New Yorker nel 1965 e pubblicato per la prima volta in forma di libro nel 1966.
Il libro, a sua volta, ha generato diverse trasposizioni cinematografiche.
Ah, l'America!
La sua brava gente, i suoi paesini di campagna!
I suoi serial killeri!
E gli autori che trasformano la bassezza umana in opere d'arte!
Ah, l'America!
Con le ultime energie arriviamo finalmente a Garden city.
Di questa città, che ha una storia finalmente un poco più complessa delle sue sorelle intorno, scriverò domani.
Per ora infatti ne ho visto solo una piccola fetta di periferia, dove ci siamo fermati per la notte.
Da qui la città non ha nulla del "giardino" ed è una delle molte che raccolgono anime tra campagna e campagna. Anche qui fa assai caldo e anche qui tira vento forte e contrario. Anche qui il tramonto rende tutto più poetico, e il crepuscolo appeso ai fili della luce fa sembrare bello pure questo cielo, pure questa terra.
Fra 3 giorni saremo a Wichita. Domani, probabilmente, ci concederemo una tappa brevis, di 90km, a Dodge city. Ci sono diversi campeggi e un sito storico. Sono curiosa di addentrarmi al cuore di questo nuovo stato di vento e girasoli!
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