lunedì 8 luglio 2019

5-7. Dal Big Sur alla Morro Bay, fino a Santa Barbara. Colibrì, elefanti marini e ciò che storia (non) è



Piccola premessa dal futuro (cioè da LA): mi scuso per non riuscire a pubblicare giornalmente o quasi ma, campeggiando tutti i giorni, il tempo è poco (dopo aver pedalato tutto il giorno bisogna montare la tenda, preparare la cena, fare la doccia se c'è, magari lontana, ecc); inoltre la connessione è spesso traballante (era meglio in Iran!) e, soprattutto, non ho modo di ricaricare tutti i dispositivi: ho 4 powerbank ma mi servono per i due telefoni e per le luci della bici. Il pc non è di prima necessità quindi si scarica anche solo per gestire le foto e poi non ho modo di ricaricare.
In ogni caso non preoccupatevi: la mia assenza virtuale non è affatto dovuta alle scosse di terremoto che hanno colpito questa zona i giorni scorsi. Noi le abbiamo sentite solo al Tg! Grazie comunque a tutti quelli che mi hanno scritto per sincerarsi delle nostre condizioni. Fa sempre piacere sentirsi "vicini" quando si è lontani.

Ora riprendo il racconto da dove lo avevo lasciato. E' diviso in giorni come capitoli (ne pubblico 3 per ora, dopodomani gli altri 3 che mancheranno e siamo in pari, fiuuuuuuu che corsa!)

4/7
Gorda-Avila
126km

Si comincia ben riposati dopo la notte nel motel della città di Gorda, eufemismo per le due strutture che ospitano i già citati 11 abitanti di questa remota ed isolata area del Big Sur. Oggi è il 4 luglio e in Usa si festeggia l'indipendenza, tra fiere, bandiere e spettacoli pirotecnici. Ma non qui, non nel Big Sur.
Qui regna ancora la calma antica della terra e delle onde, dello sgretolarsi lentissimo della roccia alle ferite del vento e ai baci violenti di un sole freddo che però scotta.
(ah, il mio cranio è tornato normale!).
Così usciamo, nell'aria fresca, coperti come fossero i primi di marzo da noi, e iniziamo a pedalare.
In salita ovviamente, e sempre a picco sull'oceano, sul bordo estremo del nostro mondo fatto di terra e radici, e piedi, per viaggiare.
La luce limpida del mattino sfida la foschia, che qui ogni giorno, al mattino e alla sera, avvolge i fianchi dei colli e le nasconde allo sguardo dei più, abbraccio protettivo.
Tutto splende di argento soffuso.






Con il passare del tempo, una goccia di sudore alla volta, la luce piccola e guizzante delle scaglie di sole sul mare si scioglie in un azzurro terso e intenso. L'aria si scalda, in un silenzio irreale. E' mezzogiorno.






Dalla panoramicissima balconata che è la highway 1 si vede un orizzonte grande e si immaginano tempi remoti e viaggi lontani; tutto perde misura nella distanza immensa.
Ma ci sono anche le cose piccole, con il loro dio che le protegge. Vedo ad esempio, oltre ai molti condor e falchi, dei minuscoli colibrì indaffarati fra i rami, presi a gustarsi i fiori succulenti di questo albero.
Nella foto, aguzza la vista!



Con fatica innegabile sulle salite a tornanti spazzati dal vento, arriviamo finalmente a Ragged Point, una sorta di porta, in uscita per noi, del Big Sur. Qui una serie di negozi e attività commerciali attirano i turisti di passaggio. Il profumo di hot dog e un complesso che fa musica dal vivo, country rock per la precisione, non ci lasciano indifferenti. Ci fermiamo e ne approfittiamo per uno spuntino veloce. Io scopro il paradiso della verdura fritta piccante, roba tex mex della peggior specie ma... Che delizia deliziosa slurpolosa! Non per chi ti sta accanto poi, ma amen.
Al tg, su un megaschermo in un bar, veniamo a sapere che tutta la California del sud e fino a Los angeles e Las Vegas sono state colpite da diverse scosse di terremoto. Si vedono immagini di incendi e forze dell'ordine indaffarate. Noi, per fortuna, non abbiamo sentito nulla. D'altra parte qui la terra trema, cerca di scuotersi di dosso il troppo peso, il brulicare frenetico dell'umanità. La terra trema, e siamo troppo piccoli, formichine, per poter fare qualcosa.




Rinfrancati, si riparte. Il Big Sur è finito, ed è tornata anche la connessione dati del telefono. Il panorama si fa più dolce e meno aguzzo, meno impervie le salite e meno a precipizio le discese. La roccia non è più nuda ma un manto di erba e cespugli verdi e roridi la rendono dolce allo sguardo.














Pedalando nell'aria calda  e adesso torrida a tratti, là dove il vento non soffia, intravedo su una spiaggia delle sagome. Ci fermiamo. Sembrano foche, ma enormi. E puzzano, si sente persino dalla strada. E fanno un verso da sifone intasato che sta per sgorgarsi.
Risalgo in sella con il tarlo maledetto di recuperare tra i cassetti della memoria il nome di questi animali ciccioni e puzzoni ma niente, mi vengono i mente i lurpodrilli e le falenottere, i trichehi, i leoni marini, le foche monache, di tutto, ma non questi aggeggioni.


Mentre ci penso vedo anche un faro (risale al 1875). Ce ne sono diversi da queste parti, quasi tutti ottocenteschi, costruiti per far attraccare in sicurezza baleniere e mercantili; oggi sono per lo più trasformati in ostelli, come i rifugi in montagna da noi. Sono stati tenuti com'erano e persino le piante sono state scelte per mantenere intatto il paesaggio.


Finalmente, l'illuminazione! ELEFANTI MARINI!
Ecco cosa sono.
Elefanti marini. I maschi raggiungono le due tonnellate e chissà quanto pesce devono ingurgitare per mantenersi informi. Poco oltre ce ne sono spiagge piene. E' la riserva di Piedras Blancas.
Il fetore è per fortuna portato via in fretta dal vento tesissimo e resta la bellezza strana di queste bestie così goffe sul bagnasciuga, così agili in mare, con un nasone assurdo e la tendenza ad ammucchiarsi uno sull'altro tra un rotolo di ciccia, uno sbadiglio e un pigro allungarsi di pinne.
Un desiderio inconfessabile è quello di buttarmi in mezzo a questi ammassi di grasso, che devono essere morbidosi assai. Ma sono aggressivi e imprevedibili e abbastanza stupidi, sicchè, meglio tenersi a distanza.










Non sono tanto belli, eh. Però, vuoi mettere? E pensate fare il bagno e trovarsi un silurone siffatto che sfreccia accanto e ammicca con occhioni e lunghe ciglia!
Si riparte.


Sulla strada ci sono diversi animali spetasciati. Non nell'ordine: serpenti di ogni genere, tra cui crotali (almeno pare dalle strisce chiare e scure alternate); donnole; procioni; scoiattoli e leprotti; ratti duri e puri; un cane; un gufo o civetta o padulo enrome, penne chiare color crema; un opossum.
Il paesaggio è mutato di nuovo.
Ora tutto intorno è campi biondi ed erba riarsa, vacche nere pascolano nel sole alto e il vento è calato. Non sembra nemmeno più di essere sull'oceano, benchè il Pacifico sia lì a pochi metri.




Raggiungiamo il paesino di San Simeon.
Fu fondato come stazione baleniera nel 1852, quando qui si cacciavano la balene grigie (che partoriscono nelle acque tiepide della California e poi vanno a nutrirsi in Alaska. Un giretto) e le lontre di mare, che quasi si sono estinte per colpa dei cacciatori russi. Nel 1865 il senatore George Hearst comprò 18.000 ettari di terreno edificabile e fondò un insediamento; le case ottocentesche, disegnate dall'architetto Morgan, sono ancora oggi date in affitto ai dipendenti della Hearst Co, che si estende su 33.000 ettari adibiti all'allevamento sostenibile.





Il figlio del senatore, William Randolph Hearst, costruì poco lontano una villa, oggi nota come Hearst Castle, originariamente la cuesta encantada. 165 stanze, giardini, uno zoo privato tra i più grandi al mondo e un accumulo di opere d'arte, statue, ceramiche, vasi e laqualunque in ogni stile e forma. Tutto è stato accumulato nel nome del lusso e del kitsch, per noi una pataccata allucinante. Basti pensare che Hearst ha ispirato la figura del protagonista di Quarto potere e ha tentato di impedirne la diffusione nelle sale!
Tutto sommato, non ci è parso il caso di fare una salita appositamente per vedere questo museo dell'accumulo seriale. Per cui abbiamo imboccato di nuovo la 1 e via, pedalare!








Dopo un altro tratto di costa, sempre meno scosceso e più dolce, siamo passati per Cambria, paesino delizioso e tranquillo che vanta un romantico Moonstone park, benchè le bianche pietre di luna non ci siano più da mo. Fu fondata su terreni della spagnola Missione san Miguel e all'inizio definita Slabtown perchè i pionieri si costruivano le case con grezze assi di legno. Oggi è un luogo chic per benestanti, bmw e radical chic con cappellone di paglia e frullato biovegsalamdon in una mano, Iphone nell'altra.

Dopo Cambria si lascia la costa e ci addentra tra colline che celano l'oceano alla vista. I saliscendi uniti al caldo sempre più intenso rendono impegnativo pedalare, ma la strada è sempre larga e poco trafficata, quindi si prosegue spediti verso la Morro Bay.







Incontriamo il vivace paese di Cayucos, i cui edifici storici e i negozi di antiquariato richiamano inevitabilmente alla mente i paesi di frontiera del vecchio Far west che tanto far non è, per noi. Qui si sta festeggiando l'indipendenza, e alla grande. C'è gente in giro in ogni dove, bandiere, palloncini, musica, mercatini e un onnipresente profumino goloso di hot dog, bbq e frittino. Irresistibile davvero!






Le città qui si visitano in fretta, comunque. Non ci sono edifici storici particolari, non ci sono musei imperdibili. E' più un clima, un paesaggio umano da assorbire lentamente passandoci attraverso. Se ne rimane intrisi come del profumo di fritto.
Via, oltre, dobbiamo andare.
Ai nostri occhi si apre Morro Bay, sede di una flotta mercantile ma famosa per la Morro rock, formazione vulcanica che si innalza dal fondo dell'oceano.


E' una delle Nine sisters, catena roccioso di 21 milioni di anni fa che scende fino a San Luis Obispo. Oggi hanno diritto ad accedere alla roccia solo i membri della tribù chumash, ed è questo ciò che rimane loro: un sasso aguzzo dove nidificano i falchi pellegrini, deturpato da tre ciminiere di una centrale elettrica.
Per il resto le spiagge sono piuttosto proletarie e senza pretese, i prezzi sono abbordabili e ci sono molte famigliole di ogni colore, soprattutto messicane, ad oziare al sole o ai pagaiare sui kayak.


Si torna ancora nell'entroterra, sulle colline tranquille che languono al sole sempre più obliquo ed ambrato del tardo pomeriggio.


Bisogna fare una scelta quanto all'itinerario: puntare alla cittadina universitaria di San Luis Obispo e fermarsi lì, oppure scendere di nuovo sulla costa?
Decidiamo per la seconda, più comoda e sicuramente più economica. Oggi è giorno di festa e gli hotel potrebbero essere tutti occupati.


Noto che anche qui, come tutta la highway 1, la pulizia di ogni tratto di strada è affidata a privati (singoli cittadini, associazioni, aziende...). Se ti occupi di ripulire dall'immondizia la strada, hai diritto ad un cartello pubblicitario di ringraziamento. Funzionale e tremendo ad un tempo: ogni cosa qui è affidata all'iniziativa privata. E funziona, oltretutto.


Ancora qualche colpo di pedale ed arriviamo finalmente ad Avila. Il primo campeggio, un Koa, è tutto pieno. Mannaggia! Proseguiamo al secondo e fortunatamente c'è posto. Il campeggio sorge intorno alle sorgenti di acqua calda e sulfurea (leggi: puzzolente) che son state imprigionate in una piscina pubblica cui noi ci guardiamo bene dall'accedere (ci saranno 15 gradi al massimo e un vento freddo e teso, di nuovo).
La piazzola è dotata di tavolo e barbecue, perchè per un americano non esiste campeggio senza carne grigliata. Grigliano qualunque bestia, a qualunque ora, dalle 8 del mattino al 10 di sera. Il profumo è allettante, ma si vive costantemente in una nuvola di fumo di braciola che pare la nebbia di Milano a novembre.



Doccia, cena, ed è subito sera. Così finisce questa giornata di festa e l'ultimo sole si porta via la stachezza dagli occhi. L'America inizia a capirmi, inizio a capire l'America, grande e terribile, libera, assoluta, prigioniera e schiava di un sistema quasi disumano, anzi, umano, troppo umano. Buonanotte America.




5/7
Avila-Gaviota
125km

La nottata è passata serena con un sonno profondo ma vivo di sogni. Al mattino fa sempre freddo e sempre una bruma umida che sale dall'oceano avvolge tutto. Non sembra estate, non sembra California, non quella del mio immaginario, dove belle biondone sfrecciano sui pattini in bikini tutto l'anno. Che menzogna! Fa un frecc dall'osti. Tè caldo, riparando il fornello dal vento che impedisce tutto, e via. Gigi vuole una foto da por omm, et voilà. 


Lasciamo le sorgenti sulfuree per rotolare verso sud ancora e ancora, come ormai facciamo da che siam partiti.


Passiamo la pianura grigia di Pismo Beach, dove finalmente troviamo una banca (da giorni non ne vediamo, negli Usa!). Ne esce un anziano con bastone e caffè in mano e ci fa i complimenti, commentando: "Enjoy the ride! I'm a dreamer!".


Pismo non è bella nè colorata, non entusiasma e non ha anima per la mia sensibilità di italiana dei cento comuni. Mi sembrano un po' tutte uguali queste cittadine costiere con le spiagge, le casette, i locali e le palmine ordinate. Un sacco di auto e poca gente in giro, anzi, quasi nessuno. Ma tant'è. Pismo ha un lunghissimo molo dove James Dean dava appuntamento ad Anna Maria Pier Angeli. C'è una spiaggia di sabbia e un'atmosfera un po' anni '50 tipo Amrican Graffiti, e, soprattutto, Pismo di autodefinisce capitale mondiale delle vongole. E' un vanto, neh,




Questo sopra è il cartello di una chiesa luterana. Apro e chiudo una parentesi. In questi giorni ho visto più edifici di culto di quanti me ne siano capitati sotto gli occhi in tutti i miei viaggi. Spesso sono edifici anonimi. Ma c'è di tutto: chiese cattoliche, luterane, templi degli avventisti del settimo giorno, battisti, sinagoghe, moschee, templi buddhisti e zen, tutto mescolato con le etnie del luogo. Per esempio gli avventisti sono coreani e quindi è tutto scritto in coreano. Gli ortodossi sono greci, e ci sta, i luterani son cinesi. Un casino pazzesco. Un rebelotto di divinità pregate in tutti i modi e in tutte le lingue del mondo.

Riprendiamo la strada, in una baia pianeggiante o con solo lievi colline. Si susseguono Nipomo e Santa Maria, città di cowboy, ranch e stivali grossi. Ma anche di enormi campi coltivati, sopratutto a fragole (e torna il profumo dolcissimo e intenso vellutato che coccola le narici)






A Santa Maria facciamo sosta. E' un paese per lo più di messicani, e sembra di essere già oltre il confine, tipo a Tijuana. Troviamo negozi di frutta e verdura dove enormi albicocche succose, banane di mille tipi e pesche mature vengono vendute a prezzi più che umani, insieme a vari prodotti tipici della cucina messicana e a un numero preoccupante di pignatte appese al soffitto.


Poi prendiamo ancora qualcosa per la sera e la mattina successiva in un supermercatino messicano. Anche qui c'è solo cibo messicano, solo volti messicani e tutto è in spagnolo. A palla musica di mariachi diffusa tra una tortilla e un peperoncino. Ci fermiamo subito fuori a consumare un rapido pranzo.


Io ho preso delle fave ripassate in chili e lime (ottimissime ma pestano con il piccante!), Gigi una serie di cose tra cui una coppetta gelato senza cucchiaino. Che viene consumata senza problemi con i ditI.




Dopo aver riso fino alla sfinimento per suddetta situazione (ho altre foto ben peggiori ma il veto sulla pubblicazione) riprendiamo la strada tra le colline, seguendo stavolta la 101. Continuano gli strawberry fields forever



ma pure i fianchi aridi e screpolati dal sole e dal vento, dove serpenti stiacciati si alternano a pigre mucche che pascolano in lontananza. Purtroppo io inizio a faticare per un dolore alle ginocchia che, ahimè, spesso mi è compagno di viaggio fin dai tempi della campagna di Russia. Sto invecchiando. Pedalo spingendo con una sola gamba e vado su un po' storta, a denti stretti.



 Arriviamo così a Los Alamos, cittadina fondata nel 1839 intorno ad un ranch.




Qui la gente ha avuto cura di mantenere il più possibile gli edifici e l'impianto della città in stile far west più o meno posticcio, ma suggestivo. Il bar si chiama saloon e ci si aspetta da un momento all'altro di veder sbucare due cowboy che si sfidano ad un duello di pistola nella polvere.







Si risale sulla 101 e sempre tra rampe e montagne russe arriviamo a Buellton, nota per l'Andersen's peas soup restaurant, che da oltre 100 anni sfama i viaggiatori con ciotole colme di crema verde.



E via di nuovo tra le colline lungo la 101. nella foto qui sotto non si vede un gran che ma c'è una sorta di lampione con campanaccio e la scritta "Historic el camino real". Era una strada di 965km che collegava tutte le 21 missioni spagnole della California, oltre che presidi e pueblos, da San Francisco a San Diego. La costruzione è iniziata negli anni '30 del 1600 ed è stata portata avanti per oltre due secoli sia da gesuiti e francescani spagnoli, sia da gruppi di pionieri mandati dal re, poi dallo stato messicano e infine da quello americano. Le missioni erano collocate ogni 30km circa, per comodità di chi si spostava lungo questa via.



Noi abbiamo avuto la fortuna di vedere anche tre cervi, una femmina e due cuccioli, proprio a bordo strada.


Ultimo sforzo, ultima tirata con il mio ginocchio sifulino. Ancora qualche salita lungo la 101 e poi giù a precipizio in una discesa vorticosa tra raffiche di vento e pareti di roccia che parevano chiudersi intorno alla strada. Un canyon vero e proprio (di cui non ho foto perchè, dopo molto salire con fatica e dolore, mi sono buttata giù fino alla costa a 50km/h senza sfiorare i freni).




Siamo arrivati al campeggio, al Gaviota State park, che stava già facendo buio. Una volta lì scopriamo che è tutto pieno. Piange il cuore: fa freddo, c'è vento e la costa è tutta a saliscendi. Mi fa male il ginocchio ed è quasi buio. I prossimi campeggi sono a più di 20km.
Per fortuna arrivano, proprio mentre ce ne stiamo andando, due ragazzi in bici anche loro. Ci dicono di seguirli e di stare tranquilli, per hiker e biker si trova sempre un posto. E così è.  Montiamo la tenda con sforzo sommo causa vento a raffiche fortissime.
Poi mi ritiro in doccia, unico luogo riparato, a cucinare la "pasta (messicana) alla Raymond". Ovvero: si fa bollire l'acqua. Quando bolle, si buttano i fusilli (in questo caso) e li si lascia nell'acqua bollente per 1 minuto. Poi si spegne il fuoco e si lascia tutto in ammollo per 10 minuti. Si scola e si condisce buttandoci dentro con mala grazia una tolla di tonno all'olio. Et voilà. Buona, molla, già predigerita. E il gas del fornello è risparmiato.


Così finisce la giornata e ci si addormenta al calduccio della tenda tra le urla del vento e il mormorio profondo delle onde dell'oceano.
Ah, Gaviota non sembra un insulto in milanese? T'è se propri 'n gaviota, te!


6/7
Gaviota-Oxnard
111km

La mattina si presenta fredda e umida come sempre e per ripartire serve tempo. Mentre ci prepariamo lemme lemme e chiudiamo la tenda, un ragazzo supertramp, rasta, tatuato, vagabondo e strafatto di marijuana attacca un bottone che non finisce più. Dice di aver girato gli States in autostop per 10 anni, e da 2 anni pedala in giro. Ogni tanto si ferma e lavora, ogni tanto si fa ospitare da amici, e così attraversa il tempo e lo spazio galleggiando sulle cose, go with flow, o with the flaws, a seconda.
Ci offre anche un caffè terribile, dice che è Nespresso. Suo fratello fa il triatleta e vive a LA. Lui sta andando a Portland.
Noi, nella nebbia, lungo la costa scoscesa.




pellicani!


Ci avviciniamo sempre più a mete importanti, a città e luoghi che evocano immagini tratte da film, serie tv, libri e un impasto di commercialate e sogni autentici.



Passiamo Capitan e Goleta, entrambe cittadine incastonate nella roccia, che sembra tirino indentro la pancia per non farsi bagnare dal Pacifico che le lambisce.
C'è un edificio storico, è recintato ed ha pure un cartello con la spiegazione.
Storico... del 1929. E' stata una delle prime stazioni di benzina e ristorante su questa strada. Era la Grande depressione ma non per chi aveva scoperto il petrolio (che ancora oggi viene estratto, sia sulla terraferma sia con piattaforme nell'oceano).
E' qui che mi rendo conto che questi luoghi non hanno storia, se non recente. Recente e turbinosa e rapida. Ma prima? Prima del 1800? In alcuni casi del 1600?
Prima c'erano "gli altri".
E la storia degli altri non è stata scritta. Mi han colpito i cartelli del Camino Real, dove si vede, come iconina che la segnala, la sagoma di un prete spagnolo a cavallo che avanza tenendo in mano una corda cui è legato un indigeno, nudo e con un copricapo di piume. Ecco qual era la storia, quella che manca, che non è stata scritta nè raccontata, e quindi non esiste. Esiste la prima pompa di benzina, luogo della memoria, ma non i secoli precedenti la colonizzazione feroce.
E prima ancora?
Mi chiedevo se si potesse parlare di una storia per le piante e gli animali e la natura. Sì, forse. Ma serve uno sguardo che la raccolga e che ne abbia cura. Altrimenti resta muta e cade in oblio. Cosa che forse sarebbe più saggia, in generale e per tutti. Vivere il momento. Lo dicevano già gli antichi, non c'è tempo per voltarsi indietro. Eppure... Eppure io ho il terrore, un horror vacui se sento mancare la profondità del passato. Come se mi mancasse la terra sotto ai piedi. Per me le due dimensioni dello spazio e del tempo vanno di pari passo e devono entrambe aver consistenza solida.



Mentre rimugino tra me e me queste cose, proseguiamo nel grigiolatte delle ciclabili a prova di idiota che collegano tutte le vie della California.


Noto che le nuove case in vendita sono pubblicizzate da sandwichmen e persone che sventolano cartelli per ore a bordo strada. Primo pensiero: ma comprare una nuova casa è roba da venir in mente così, mentre guidi, d'improvviso, perchè vedi la pubblicità?
Seconda riflessione: qui si alternano mega striscioni pubblicitari portati in giro a svolazzare nei cieli da aerei leggeri e ragazzini o disperati che fanno da palo umano per reggere i cartelli. Strano mondo di opposti.


Un giro di pedale dopo l'altro raggiungiamo infine Santa Barbara.



Centinaia di anni prima dell'arrivo degli spagnoli, nella regione prosperò il popolo chumash, che costrui canoe in legno di sequoia chiamate tomol e tracciò rotte commerciali la terraferma e le Channel Islands. Nel 1542, l'esploratore Juan Rodriguez brillo entrò con le sue navi nel canale rivendicandolo per la Corona spagnola, ma poco dopo incontrò la morte (a causa di una gamba in cancrena) su un'isola vicina. I chumash vissero in pace e prosperità fino alla fine del Settecento, quando gli spagnoli tornarono per stabilirsi definitivamente nella zona e i sacerdoti cattolici fondarono le missioni lungo tutta la costa per convertire al cristianesimo le popolazioni locali. Gli spagnoli costrinsero i chumash ad abbandonare le Channel Islands per costruire le missioni e i presidi e per fornire manodopera nei campi, mentre sulla terraferma il numero dei nativi si ridusse sensibilmente a causa delle malattie importate dall'Europa e dei maltrattamenti. I rancheros messicani si insediarono nel territorio dopo la conquista dell'indipendenza dalla Spagna, ottenuta nel 1821. Nel 1848 la città venne annessa agli Stati Uniti d'America. Con la corsa all'oro del 1849, giunsero migliaia di emigranti dagli Stati Uniti orientali e sul finire del secolo Santa Barbara trasformo in una località di vacanza della SoCal per benestanti. Dopo il devastante terremoto del 1925, sancito per legge che la maggior parte della città fosse ricostruita in quello che oggi e suo caratteristico stile spagnoleggiante, con gli edifici rivestiti di stucco bianco e il tetto in tegole rosse (Wikipedia)






Santa Barbara è una città piacevole per rilassarsi sul mare e per godersi il fresco tra palmeti e giardini degli edifici lasciati in stile spagnolo dei secoli che furono. Certo è un luogo di lusso, soprattutto nel centro, tra negozi e botteghe super chic e macchinoni o auto sportive tamarrissime e costose, in puro spirito di ostentazione sfacciata.






Ci fermiamo per la pausa pranzo sulla sabbia, all'inizio del lungo molo in palafitte in legno sempre intasato di auto. Si sta bene qui. Il sole è tiepido e si sente la gente ridere e chiacchierare allegra. Roba da ricchi, eh, roba per pochi, roba da ingiustizia sociale a manetta (ci sono homeless sulla spiaggia poco oltre). Ma così, di passaggio, da turisti dell'attimo, va bene.


Io ne approfitto per assaggiare una cosa che mi tenta da giorni. Uno sfilaccione di carne secca un po' piccante, una specie di salame magro, di bresaola spessa al peperoncino. Che porcheria squisita! Come direbbe Gigi: "Ho mangiato una pirlata". Ma buona!


Dopo la sosta e un momento di grazia riprendiamo a pedalare sulle ciclabili che corrono a bordo spiaggia. Ci sono le torrette dei bagnini tipo baywatch e gente che corre e pedala. E pure i risciò a noleggio, quel cancro per la viabilità delle ciclopedonali che attecchisce in tutto il mondo.






Poi ancora palmine sottile, torrette e sabbia, che se una cosa agli americani piace, la tirano in lungo per decine di km. Tanto mica han problemi di spazio!








Con calma, come tutto qui (tra una zaffata di ganja e trap a palla dalle auto) usciamo dall'appiccicoso ventre largo di Santa Barbara.
Raggiungiamo così, sempre su ciclabile, Montecito, Summerland e Carpinteria.
Il primo è un paesino sofisticato immerso nel verde, tra le colline pedemontane delle Santa Ynez Mountains; qui la guida dice che non vivono solo persone ricche e famose ma "vergognosamente ricche e ultra-famose"



Summerland invece è una comunità costiera ricca di pace, fondata nel 1880 da H. L. Williams; non solo speculatore immobiliare, ma seguace di una corrente spirituale che credeva nell capacità dei mediumdi mettere in contatto vivi e morti. Tant'è che la cittadina, in cui si diceva che gli spiritualisti avessero stanze segrete per i fantasmi, fu soprannominata Spookville.



Dopo qualche saliscendi al sole ci si riimmerge nella nebbia salmastra che sale dal Pacifico, lungo una bella ciclabile che corre tra la 101 e la spiaggia.






Carpinteria si chiama così perchè qui i chumash costruivano le canoe. Oggi invece ci sono un monte di surfisti che sfidano il freddo e le onde nelle loro tutine in neoprene.






trivelle

Notevole, anzi incredibile, la quantità abnorme di camper e camperoni e roulotte e van che formano una linea continua e ininterrotta lungo la costa. E' come una città mobile di viaggiatore su gomma che grigliano e giocano, bevono, ridono e crescono figli e accudiscono anziani, sempre a vento in faccia, tra l'odore della benzina e quello del barbecue.







Prosegue la sfilata di spiagge, che hanno un aspetto malinconico per l'assenza di luce. Il profumo di legna aromatica bruciata mi richiama persino il Natale, altro che surfin' Usa...






Superata anche Ventura e il fiume Santa Clara, in una leggera pioviggine, arriviamo all'inizio di Oxnard, dove ci attende il campeggio nel parco McGrath. Anche qui c'è la self-registration, ovvero peschi una busta dall'apposita cassetta, la compili con tutti i dati e ci metti dentro i danari (10 dollari anche qui, come in tutti i parchi di questa zona). Butti il tutto in una casella della posta e, il giorno dopo, il ranger viene a controllare.
Piantiamo la tenda in un fuggi fuggi di leprotti che corrono tra i cespugli, sotto lo sguardo di gabbiani enormi e merli con la mantella rossa, nel verso elettrico (tipo cavi dell'alta tensione) di gazze piccine. Doccia calda (un quarto di dollaro per 2 minuti d'acqua) e cena in tenda, con un panino gigante (pita tacchino e formaggio) chè il gas è quasi finito e non abbiamo trovato ricariche.


Ma poco importa. Domani si arriva a Los Angeles!

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