sabato 27 luglio 2019

27. Il Wolf creek pass, sul Great Divide. A 3309m sulle Montagne rocciose, "Pieni, pieni di fede nell'errore di ieri, di oggi, di domani, che non può mancare"



26/7
Pagosa Springs-Del Norte
97km

Che tappa fantastica quella di oggi! Densa, tosta, bella e fortunata pur nelle difficoltà. Abbiamo scalato il passo più alto del viaggio, 3309m, abbiamo superato i 2600km pedalati, schivato più di un temporale, forato, riparato e pedalato per quasi 100km tra vette e boschi e pascoli di cavalli. Colorado, ora sì che ragioniamo!

Dunque, ieri sera siamo andati a nanna con presagi funesti che venivano dai siti delle previsioni meteo. Pioggia per tre giorni di seguito, con temporali anche in quota, allerta per i fulmini e così via. Insomma, temevamo di dover risalire la strada come salmoni il fiume, nell'acqua in ammollo per ore. Temevamo di dover addirittura rimandare la partenza al pomeriggio, o al giorno seguente. Tutta la notte il diluvio ha battuta le sue "innumerevoli dita" sul tetto e alle finestre del motel.
Comunque, "pieni, pieni di fede nell'errore di ieri, di oggi, di domani che non può mancare", abbiamo puntato la sveglia alle 6.30, con l'idea di partire presto e farla fuori presto, l'eventuale sofferenza.
Invece, stamattina, aprendo le tende...


Incredibile!


Dunque aveva ragione Salinas, che ho citato poche righe sopra.

"Sperdutamente
amanti, per il mondo,
Amare! Che confusione
senza pari! Quanti errori!
baciare volti invece
di maschere amate.
Universo in equivoci:
minerali in fiore,
che vogano nel cielo,
sirene e coralli
sulle nevi perenni,
e nel fondo del mare,
costellazioni ormai
stanche, transfughe
dalla gran notte orfana
dove muoiono i palombari.
Noi due. Che smarrimento!
Questa strada, l’altra,
quella? Le carte, false,
scombussolando le rotte,
giocano a farci smarrire,
fra rischi senza faro.
I giorni ed i baci
sono in errore:
non hanno termine dove dicono.
Ma per amare dobbiamo
imbarcarci su tutti
i progetti che passano,
senza chiedere nulla,
pieni, pieni di fede
nell’errore
di ieri, di oggi, di domani,
che non può mancare.
Dell’allegria purissima
di sbagliare e trovarci
sulle soglie, sui margini
tremuli di vittoria,
senza voglia di vincere.
Con il giubilo unico
di vivere una vita
innocente tra errori,
e che non vuole altro
che essere, amare, amarsi
nell’immensa altezza
di un amore
che si ama ormai
con tanto distacco da tutto
ciò che non è lui,
che si muove ormai al di sopra
di trionfi o di sconfitte,
ebbro nella pura gloria
della sua certezza."



Insomma, il cielo è sereno. Serenissimo, Azzuro, puro, limpido e cristallino. Facciamo una colazione coi fiocchi al motel, che offre pane fresco di ogni tipo e con ogni farina e seme, formaggio, marmellata, uova, muffins, frutta a volontà (evvai!) e avena. Imparo anche a farmi i waffle, che innaffio di sciroppo d'acero. Metti che la montagna abbia la meglio sul mio corpo, almeno vivo gli ultimi metri e momenti felice e piena di zuccheri.

Partiamo presto comunque, non è saggio sfidare la sorte e gli spiriti della pioggia. Ci aspetta una lunga salita, precisamente 40km, di cui 20 tranquilli e 20 impegnativi. Ma con le bici così cariche sarà comunque un discreto calvario anche là dove le pendenze non sono esagerate.

Imbocchiamo la solita 160 east e iniziamo subito a salire. Non c'è dubbio che il passo sia da questa parte.
Intorno i campi lavati di fresco splendono di rugiada nel primo sole, e le goccioline sembrano perle e diamanti, argento liquido versato su tutto.



L'aria è fresca e fina, e davanti a noi si ergono i giganti dormienti delle montagne, che non vogliamo disturbare. Pedaliamo in silenzio e con calma, per non disperdere le energie sulle prime rampe e per ascoltare il silenzio che silenzio non è: fruscio di foglie, elitre, ali che frullano tra i rami, qualche macchina ogni tanto, che sclacsona in segno di incoraggiamento. Sanno a cosa andiamo incontro.



La strada è ancora fradicia e così tutto ciò che ci circonda. I cavalli e le mucche pascolano placidamente nel sole ancora tiepido. Noi saliamo su strade in falsopiano che ci permettono di tenere una media discreta e di scaldarci le gambe e il cuore. Intorno tutto è bello, tutto è pieno di dei delle piccole cose, nella natura immensa che non fa paura.



Più il paese si allontana alle nostre spalle, più si fanno fitti e scuri i boschi intorno, che rubano la luce ai prati e sembrano fare la guardia alla strada. "Attenti voi che salite, attenti a non infrangere le leggi del cosmo, ordine bello". E questo ammonimento è potato nell'aria dal profumo di resina e muschio.




I fiori addolciscono l'asfalto e lo adornano di colori tenui. Sembra di pedalare in un acquarello vivo, che freme e pulsa e respira. I pini scuri ammoniscono, i petali gialli e azzurri invitano ad andare. Tengo questo fitto discorso con la vita vegetale, ed è un parlare muto, un capirsi, un sentirsi.









Fiori, pinete, pasturi e qualche ranch isolato sono i nostri compagni di viaggio mentre il sole si alza e scalda. Andando piano piano i tempi si dilatano. Tuttavia i kilometri si lasciano accarezzare e domare mansueti, e ancora la fatica non si fa sentire, nè il fiato è spezzato.



 

Più si guadagna quota più la nuda roccia si mostra allo sguardo e non è impudicizia. Si vede la natura ultima di questa montagna, che è sasso e pietra come tutta la terra su cui abitiamo. Sasso e pietra, roccia e sabbia, terra se va bene. Questa è la pelle del mondo, questa la suo essenza, il nocciolo, il cuore. Un ciottolo sospeso nello spazio buio e infinito che rotola nel tempo, scaldato da una stella che è un altro sasso in fiamme, che brucia e brucia e ci fa sudare.




Ecco poi le ultime case, una bandiera a stelle strisce e il passo davanti a noi, che si intravede azzurro nella distanza. Ne abbiamo di strada da fare, ancora! E tanta parte d'aria ci separa dal cielo vicino che sarà lassù.



Ci raggiungono due stradisti del posto, uno più giovane e uno più anziano. Scambio prima l'uno poi l'altro per Gigi, che è rimasto un attimo indietro, e, dopo aver parlato con loro alle spalle per un bel po' in italiano, non sentendo risposta, mi volto e capisco. Ridono e mi dicono che questa salita non è nè troppo lunga nè troppo ripida, ma è una buona "introduzione" alle Rockies. Dicono che pure con i bagagli è fattibilissima. Lo dicono in sella a bici che peseranno un kilo a esagerare, e son ben pulite, oliate e scattanti. Poi allungano il passo salutando con un "Ci vediamo in cima!". Sarà davvero così.


La valle del fiume San Juan sta per finire e si vede davanti a noi il muro di pareti di roccia su cui dovremo abbarbicarci. Ci son solo due tornanti su questa salita, che è quasi un'unica lunghissima rampa infinita.



Ai lati, nello scorcio della valle, i monti sembrano chinarsi verso la strada a chiedere cosa ci stia passando per la testa. Sono neri e fradici d'ombra, freddi e scuri e custodiscono, tra gli alberi, strappi di nuvole e vapori della notte di tempesta appena trascorsa. "Badate ai vostri passi, alle vostre ruote!", "Non sfidate la roccia, non sfidate il cielo!" sembrano sussurrare. Noi passiamo sotto il loro sguardo severo senza starle a sentire. Intorno è pieno di cervi morti, su cui i corvi pasteggiano e gracchiano. Brutti presagi di morte.



Per fortuna il lato al sole della valle ride e si scrolla il freddo di dosso, come un solletico.






Le Treasure falls, cascatelle dove diversi hikers e camperisti son fermi ad osservare la wildlife, segnano il punto esatto in cui il falsopiano diventa salita tosta, e dal 3% si passa bruscamente al 7-9%.


Pinnacoli e guglie di roccia cupa sono l'ultimo tempio prima che la montagna prenda il sopravvento su tutto, e si porti via le nostre forse e il fiato. E' un rito di sacrificio che si consuma in silenzio.





Ma la vista è meravigliosa, soprattutto quanto, al gomito del primo tornate, la valle del San Juan, di cui abbiamo raggiunto le sorgenti, si spalanca allo sguardo in tutte le sue sfumature di verde e verdissimo.


La gioia si mescola alla fatica, il fiato si impasta all'aria finissima; sudore, acqua, rugiada e sole fanno un tutt'uno addosso e inizio a contare i kilometri che mancano, in teoria, al passo. Procedo a 6km/h. Mancano 8km. Respiro. E' lunga.




Faccio sempre meno foto e divento parte del paesaggio. Divento sasso e corteccia, radice e ruscello, goccia di resina che cade in un secolo. Cade una goccia di sudore, in un secolo. Cresce un albero, srotola le venature una felce. Passano diverse stagioni, il sole va e torna. La strada dietro di noi pare un serpente che si scalda nel tepore della mattina.



Pini sottili come aghi. Un lago verde, l'azzurro del cielo terso che sta raccogliendo nubi bianche e poi nere. Mancano ancora 3km al passo, di questo passo, passi, ma con un altro passo, passerei più veloce. Ma si va piano, a passo d'uomo, a passo di volpe, al passo del Lupo, il Lobo, il Wolf.


Le nubi corrono e portano via luce. Sale l'ansia dei temporali, si tenta di accelerare. Si intravede un punto dove il monte sembra interrompersi e aprirsi alla discesa, ma non arriva mai, mai. Che fatica, mi tremano le gambe. Sto portando a 3309 metri, tremilatrecentonove, virgola ventuno, 21, una bici che pesa come, oltre alle mie chiappe. Oh! Ma siamo matti? Anche Gigi soffre e si dichiara stanco. Ma non si dà per vinto. Lui non ha mai fatto salite in bici, se non robetta. E' il suo battesimo col botto. Speriamo non anche l'estrema unzione. Ha 7 stent nel cuore. E' matto pure lui, come un cavallo.


Poi, inatteso, inaspettato, sperato, improvviso, eccolo!
Il passo, con il cartello informativo visto in tante foto e cercato con lo sguardo per ore, oggi.
Il Wolf creek pass. Sul Great (o continental) divide.
Sulle cime intorno splende candida la neve. Noi, prima di qualunque altra cosa, ci cambiamo. Togliamo i vestiti fradici e sudati della salita e indossiamo l'invernale completo. Non arriva a 10 gradi la temperatura.




I pannelli informativi riportano la storia sofferta della strada che passa per di qua e il riferimento alla canzone del cantante country C. W. Mccall.che descrive il difficile transito di un camion su questi "37 miles o' hell - which is up on the Great Divide." 

Scopro anche che c'è un trail, molto famoso tra i mountain bikers, che attraversa da nord a sud, come una spina dorsale, tutte le Montagne rocciose. Sarà per un'altra volta, ci diciamo.

Capisco anche perchè sia stato bocciato il progetto di un multimilionario texano che voleva costruire qui un resort capace di accogliere 8000 persone. Per fortuna non si è giunti a tal segno.



Il Continental Divide è lo spartiacque che divide il bacino idrografico dei fiumi che finiscono nell'Oceano Atlantico (e nel Mar Glaciale Artico) da quello dei fiumi che finiscono nell'Oceano Pacifico.
Il versante orientale si affaccia sull'immenso bacino fluviale del Missouri ed a sud fino al Rio Grande. Il versante occidentale o pacifico comprende il Gran Bacino ed i bacini dello Snake e del Colorado. Storicamente, era considerato l'ideale confine occidentale della Louisiana francese.

Abbiamo pure passato una cima che si chiama Fox Mountain, ma che vogliamo di più?




Poi inizia il bello. La discesa. Per quanto ne so, durerà diversi giorni, ben oltre oggi. E sarà l'ultimo saluto alle salite e ai monti. Da qui all'Atlantico è pianura. Cotton belt. Corn belt. Certo ci sono gli Appalachi, ma son monti vecchi e sdentati, limati dal tempo e addomesticati dalle stagioni. Poi li attraverseremo su una ciclabile che segue la linea di una vecchia ferrovia. Ha tunnel e pendenze minime. E poi è talmente in là nel tempo da essere inafferrabile con la mente, ancora. Non so dove sarò domani, figuriamoci tra un mese!




Si viene giù a 60km/h come una valanga, come un fiume in piena. E tutto perchè un po' tiriamo i freni a causa delle curve strette, del traffico anche di mezzi pesanti e delle roccette cadute che potrebbero farti spiccare il volo e portarti direttamente a New York. Fa pure un bel freschetto, per fortuna ci siamo attrezzati: ammalarsi significa interrompere il viaggio per qualche giorno, e poi essere di corsa, e far di fretta, e male. Il tempo, intanto, sta decisamente mutando. Alle nostre spalle tuoni e fulmini, nel cuore di una massa di nuvole nere, preannunciano la pioggia imminente. Al passo già si vede una colonna d'acqua che scroscia a lavare la neve. Via, via di corsa approfittando della discesa!


Incrociamo il Rio Grande, che scende insieme a noi, impetuoso e limpido allo stesso modo.





Il paesaggio, da questo versante, è più arido e roccioso, meno a boschi e valloni e prati. Ha un suo fascino austero, un volto duro e segnato dalle intemperie. La terra si spacca e mostra i denti di pietra, in un ghigno tremendo che dura nei secoli.











Volando in picchiata, in fuga dal temporale, raggiungiamo South Fork dopo aver passato una Ski area e numerosi campeggi sul fiume. Qui succedono diverse cose: Gigi crolla per quella che credo sia una crisi di fame. Facciamo sosta al supermercato Dollar general, dove si rifocilla. Inizia a piovere. Scopriamo che la sua ruota anteriore è a terra, sgonfia. Pensiamo di fermarci lì a South Fork, tanto non cambia nulla: vorrà dire che domani al posto di 90km ne faremo 116.
Poi però smette di piovere, Gigi torna in forze e cambiamo la camera d'aria. Nel copertone trovo una spina di cactus e 3 fili di metallo dei copertoni. Poi il vento volge a nostro favore. Decidiamo quindi di proseguire fino a Del Norte, sempre a est, in falsopiano di discesa, con il vento alle spalle.

"Mondani, sorrida che è in foto!"
(e mi fa il dito medio, anche se nello scatto non si vede)


South Fork è nata alla confluenza tra Rio Grande e il fiume South Fork come centro di falegnami, come segheria e luogo di approvvigionamento di legname, visti gli estesissimi boschi intorno, che un tempo dovevano essere un manto verde ininterrotto e maestoso.
La città è stata fondata nel 1882 e ci passava la ferrovia che la collegava alle miniere d'argento di Creede, ma già prima esisteva come luogo di sosta delle carovane, ai piedi del passo. Tuttavia è diventata una città vera e propria solo nel 1992, ultima e più giovane "statuatory town" del Colorado.
Oggi della falegnameria e dell'estrazione mineraria resta ben poco. Di 604 abitanti, almeno due terzi sono impegnati nel turismo e nella ricezione. Ci sono qualcosa come 20 motel, lodge e inn, numerosi campeggi e RV park, negozi e robivendoli. Ma non ci lasciamo tentare. E' ancora presto, nonostante tutto! E a Del Norte ho individuato un posto per fermarsi che sembra valere la pena.





I 26km che ci separano dalla meta di oggi li faccio ridendo: Gigi, oltre a sacchetti e sacchettini pieni di vestiti sporchi e sudati, la tenda (insacchettata) e altre amenità (insaccate antipioggia), si è caricato sopra alle borse anche la camera d'aria forata, da rattoppare. E si è autodefinito "il rutamat", il rottamaio. In effetti la sua bici non fa pensare ad altro. Mi fa sbellicare anche adesso mentre scrivo. Mentre andiamo e sghignazzo, penso che in un motel un po' serio, se ci vedono arrivare così, non ci facciano entrare.





Il paesaggio cambia di nuovo. Le cime intorno sono più basse, ci sono di nuovo i pascoli e i pratoni umidi della pioggia recente. Il cielo borbotta. Il cartellone di una chiesa invita i fedeli alla Messa di domenica, anticipando il tema del sermone: "How to deal with difficulties". Sembra fare il caso nostro. Mi piace, tra l'altro, che qui pubblicizzino la Messa con titoli di predica accattivanti, come fosse un prodotto da vendere.



Alle nostre spalle si scatena l'inferno, ma noi siamo fuori pericolo. Il vento ci spinge e la strada è in leggera discesa: procediamo a più di 30km/h, velocità mai viste ultimamente, tra salite ed Eolo incazzato.




Piove tutto intorno, tranne che su di noi.


Le montagne lontane diventano colline e poi roccioni e dune sporgenti dalle forme smussate. Ce ne stiamo andando, ci lasciano passare. La pietra si aperta e levigata al passaggio.



uno dei molti ranch con i cancelli "poco vistosi"

Passiamo Alpine e Gerrard, e finalmente raggiungiamo Del Norte.
Qui so esserci un posto che ho visto su Google e su AirBnB: la Casita Bonita.
E' una sorta di ostello, o meglio, una casetta con bagno in comune, cucina, soggiorno e 8 posti letto in un unico stanzone. Costa 30 dollari e va benissimo per passare una notte al riparo da acquazzoni e fanga dei campeggi lungofiume.






Il posto si vede subito: sono 3 casette di legno tutte decorate in stile hippy-peace&love e a tema bicicletta. Un ciclista molto gay ci accoglie e ci dice che lui ha soggiornato qui e si è trovato benissimo. Ha fatto tutto il Great divide trail, partendo dal Canada fin qui, e ora sta tornando a casa. Ci fa vedere l'interno, poi ci dice di chiamare la proprietaria (c'è un numero sulla porta). Telefono e la signora, gentilissima, mi dà tutte le indicazioni per entrare, pagare e sistemarci. Ci dice che probabilmente saremo gli unici ospiti stasera, quindi doppia scialla.


La casetta è davvero carina, incasinata ma pulita e con un suo senso. E' tutta di legno e lamiera, decorata con buddha, sciva e madonne, sculture fatte dalla proprietaria, ghirlande di fiori secchi e disegni di elefanti e simboli della pace.
C'è anche una cucina molto attrezzata e piena di cibo che possiamo usare liberamente.
Whaaaaaat? Basta, c'è da fermarsi qui un mese e mezzo!





Scegliamo un letto a castello appartato e, prima della doccia calda e saponosa profumenta di detergenti bio-organic-salcaz, prima del tè e del caffè e del secondo tè, laviamo le bici e soprattutto la catena e il pignone con i vari strumentini messi a disposizioni all'esterno della casetta. Che bene!









Poi viene a trovarci il proprietario, ovvero il marito e padre dei figli della signora gentile con cui ho parlato. Scopriamo che sono due ex viaggiatori incalliti, un po' hippy, un po' freak, un po' new age, che, nel 2000 han comprato delle casette di legno abbandonate e tutte distrutte e marce e le han rimesse a posto. Ne hanno 2 qui, una è un ristorante-caffetteria con cibo organic bio km0, una in montagna (tutta decorata con cocci di bottiglia colorata) e una in campagna, un ranch nel bosco. In poche parole, dopo aver fatto i fricchettoni, questi due si son rimboccati le maniche e si son fatti un bucio che la metà basta. Han messo in piedi queste attività e adesso ci campano, e bene direi.
Mi piace il loro stile e ancor di più la loro filosofia di vita, sbandierata in ogni angolo della casita bonita.




E bravi KimAnna e Michael!
Verso sera, quando smette di piovere (eh sì, perchè appena arrivati è iniziato il temporalone, che si è preso un mio plateale gesto dell'ombrello), andiamo a far due passi e apprezziamo le decorazioni dell'ostello, nonchè la location.



Del Norte prende il nome dal fiume Rio Grande del Norte. Gli Ute sono stati i primi a vivere qui, in particolare nelle estati, per l'abbondanza di selvaggina, piante, acqua e legname nella zona. Tuttavia, gli inverni erano troppo freddi e rigidi perché si stabilissero permanentemente. Sotto la giurisdizione messicana, alcune famiglie ispaniche si trasferirono nell'area all'inizio della metà del XIX secolo come parte delle concessioni di terra per aiutare il governo messicano ad occupare il territorio, ma nessun insediamento su larga scala poteva essere stabilito perché gli Ute si sono opposti, anche con la violenza, all'insediamento dei coloni. Il primo villaggio vero e proprio si chiamava "La Loma". Quest'area fu scelta perché qui il Rio Grande poteva essere attraversato in modo sicuro e facile. L'insediamento americano iniziò nei primi anni del '70 dell'Ottocento, per mano di cercatori d'oro e argento nelle montagne vicine. Le montagne di San Juan furono una delle ultime regioni del Colorado in cui i minatori furono autorizzati a esplorare e ricercare minerali, ma furono dopo il Trattato di Brunot. Una volta che le miniere vicino a Summitville si dimostrarono redditizie, Del Norte fu istituita ufficialmente intorno al 1874 per servire come campo base. I minatori si trasferirono rapidamente nell'area, e furono seguiti da allevatori e agricoltori: molte di queste famiglie ancora oggi operano e vivono nell'area di Del Norte. Dopo che lo Sherman Act fu abrogato nel 1893, le attività minerarie divennero rapidamente non redditizie e cessarono. I "giorni di gloria" di Del Norte finirono presto, ma la comunità sopravvisse grazie ai rancheros e agli farmers. Tra fine dell'Ottocento e inizio del Novecento questa zona meridionale dello stato voleva separarsi dal Colorado e creare lo stato di San Juan, con Del Norte che capitale; tuttavia questo movimento di secessione morì rapidamente. Del Norte vedrà cicli di prosperità e crisi nel corso del XX secolo, ma recentemente è diventata una città fiorente per il turismo tra mountain bike, trekking, arrampicata su roccia, pesca, caccia, campeggio... E infatti noi siamo qui. Del Norte è anche una delle comunità che fornisce alloggio per la vicina area sciistica di Wolf Creek. La Grand Avenue, la strada principale che attraversa Del Norte, conserva ancora molte facciate dei suoi negozi del 1800, a ricordare ai suoi residenti e turisti il ​​passato storico della città  Li vedremo bene domani, andandocene.


Un'ultima chicca, visto che è una delle domande più frequenti che mi viene posta. Che se magnamo noi tutte le sere, visto che a pranzo ce la caviamo con mele, barrette e caffettoni e tanta speranza?

Dunque, qui in USA è il paradiso della schifezza, ma a noi non va l'idea di turarci le arterie quotidianamente con i grassi saturi e i tritritrigliceridi del fast food. I ristoranti (diner) chiudono spesso alle 18, quindi manco per i cazz*. Nei supermercati vendono anche hot dog, tacos e porcheria varia, ma ricadiamo ancora nel junk food. E quindi?
Quindi cibo in scatola. Che si trasporta facilmente, si scalda facilmente e si tracanna facilissimamente. E costa poco.
A volte ci facciamo i noodles tipo Saikebon, altre proprio le tolle. Qui sotto un esempio di cena + colazione (tè, caffè, latte in polvere, zucchero e spezie sono in ostello). Da sinistra a destra, divisi tra ciò che mi calo io (R) e ciò che si cala Gigi (G):
wafer (R&G), tolla di spezzatino di manzo con verdure (G), tolla con patate al formaggio e bacon (G), confezione di riso e pollo (R), doppio succo di frutta (R&G), tolle di fagiolini e carote al naturale (R), confezione Campbell's di noodles in brodo e pezzi di pollo (R), Philadelphia grande e grosso (G), caricatore di biscotti simil ringo a un dollaro (li prendiamo sempre, non avanzano mai) (R&G), doppia scatola di frutta sciroppata (G).


Domani proseguiremo verso est. Ora la prossima grande città sarà Wichita, in Kansas, tra una settimana circa. Nel giro di un paio di giorni ci lasceremo definitivamente alle spalle le montagne. Domani dovrebbe essere ancora tutta lieve discesa, verso Alamosa, Fort Garland e il Great sand dunes national park. Poi... Poi si vedrà!


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