Piove. Tanto per cambiare. Oggi Giove pluvio e la Trimurti limortacci mi hanno seguita con precisione. Un tempo popo demmerda, per usare un francesismo.
Ho lasciato l'ostello di Chiavenna-lupolandia con calma, stamattina. Sapevo che avrei sofferto, le montagne avevano la barba, i baffi e pure i peli pubici di nuvolacce. Le montagne. Queste bellissime stronze. Ora capisco cosa prova un uomo innamorato di una donna impossibile. Ho raggiunto le cascate di Acquafraggia, dove avrei dovuto dormire ieri. Belle sì, meritavano.
Poi ho imboccato la strada che porta al passo Maloja. La prima parte, quella italiana, ha pendenze decenti. Si risale in questa valle stretta, tra montagne alte e scure di boschi, sempre costeggiando il fiume che scorre qualche decina di metri più in basso. Dopo Villa di Chiavenna, dolce di pietra e muschio, si giunge al confine svizzero.
E cominciano i dolori. Le pendenze si fanno subito più dure. Tocca mordere la strada, addentandola con la stessa violenza cui lei ti sottopone. Ma no, la strada fa di peggio: nemmeno ti considera, non ti sente, non ti ascolta. Però ti guarda, con i suoi occhi grigi. Ai lati le Alpi si elevano in tutta la loro maestosa grandezza. Si vedono i ghiacciai, le rocce nude là dove nemmeno i pini riescono a crescere. Si passa in gole mozzafiato, quel poco di fiato che resta. Poi cominciano i tornanti. Ci sono due muri prima di arrivare al passo. Due muri infiniti, disegnati da un folle sadico. Non sono tornanti, quelli, ma gironi, semicerchi d'inferno. Nel frattempo mi sono ritrovata in una nebbia spessa e fredda, le nuvole. Tutto si è fatto spettrale e grandioso, come un'apocalisse privata. Poi la pioggia, torrenziale. Mi sono trasformata in salmone e ho tirato dritto, su su per quel fiume asfaltato che a tratti diventava cascata.
Perché? Perché infliggersi questa sofferenza? Ogni ora passava puntuale un pullmino che trasporta anche le bici. Non ho voluto prenderlo. Volevo farcela da sola. E ce l'ho fatta. Pensavo che in cima ci fosse Godot. Quel senso. Il significato delle azioni fini a loro stesse, teoretiche come la filosofia e l'arte. Inutili, forse. Ma Godot sta sempre un passo in là. Non si fa afferrare, ti costringe a seguirlo, viaggiando, viaggiando ancora. Come l'orizzonte. Fa sentire il suo profumo e poi sparisce quando stai per raggiungerlo. Mi sento un po' come James Joyce. Lui ha inventato il flusso di coscienza per esprimere il turbinare dei significanti, le parole caotiche, che rimandano di continuo il significato. I miei viaggi sono flussi di coscienza. Sono la caccia all'imprendibile Godot.
Pensavo questo, nel raggiungere il passo.
Ho fatto due foto a me e alla Signora, per poi rifugiarmi sotto a una tettoia. C'era una famiglia di ebrei ortodossi. Godot sempre più lontano. Mi sono cambiata e ho aspettato che spiovesse. Poi è cominciata la parte estetica della tappa (quella etica era ovviamente la salita, e sticazzi!). Una discesa morbida nell'enorme cartolina che è l'Engadina. Pareti verdissime e pinete a strapiombo sull'acqua più azzurra e limpida che abbia mai visto. La natura nella sua forma più perfetta. Godot per un attimo è stato vicinissimo. Lì ho incontrato l'ombra curva di Nietzsche. Passeggiava con i suoi baffoni, le mani giunte dietro la schiena, sulla sponda del Silsersee, come era solito fare. Povero grande folle! Poco oltre, un'altra visione. Silvaplana. Una tonacona rossa. Petrarca. Innamorato di quel luogo, e si capisce! La pace e la grandezza silenziosa erano un balsamo per la sua anima dilaniata.
Poi St. Moritz.
Sopravvalutato covo di dementi pieni soldi, con macchinoni e puttanoni tanto al kilo. Anche la Signora, nel fare la foto, ha avuto un mancamento per la delusione.
Via in fretta, per l'ultima volata.
Al campeggio (Cul si chiama!) sono arrivata per una strada in lieve discesa, dolce, chiusa tra i monti boscosi. Luoghi di pace dei sensi, di sorrisi casuali alla bellezza gratuita.
Ho piantato la tenda, dove nel frattempo mi sono trasferita. Sono sulla sponda dell'Inn, che da domani seguirò. Si fa buio. I boschi altissimi sembrano minacciosi, ma dormono un sonno pesante. Il fiume canta il suo canto barbaro, accompagnato dalla pioggia. Godot è qui, vicino, appena fuori dal campo visivo.