sabato 29 agosto 2020

54. Tromsø. Arrivo nella città dell'aurora boreale, porto sull'Artico, ai piedi di Amundsen




26/8/28
giorno 54
Olderdalen-Tromso
76km

Oggi è l'ultima.
L'ultima pedalata, l'ultima tappa del viaggio verso l'estremo nord del nostro vecchio continente.
Oggi è l'ultimo giorno in cui ci si sveglia stanchi, sfatti, si fa colazione enorme come da settimane a pane e marmellata e biscotti, ci si veste da ciclisti,si chiudono le borse, si esce nel freddo e si resta in sella per ore, per ore, su e giù nella pioggia, nel vento, nel sole, per ore.
Oggi è anche l'ultimo giorno di libertà pura e di vita piena, almeno per un po'.
Perchè finire il viaggio significa sì riposare, e tornare a casa, nella comfort zone, al calduccio, con i vestiti puliti e asciutti e il letto morbido; ma significa pure ri-ingrigirsi, tornare ombra grigia in fila tra ombre, spegnersi, in auto, in coda, al semaforo, alla cassa del supermercato, davanti al pc nella luce soffusa la sera.
Per questo oggi è un giorno dolceamaro, per citare Saffo. Voglio arrivare, ho bisogno di fermarmi un poco e riposare. Ma non vorrei dover attendere un altro anno, prima di una nuova avventura a pedali. Mi basterebbe qualche giorno, una piccola sosta. Per poi ripartire, magari verso climi più miti.
Ma non è così, e in nome di un senso che è nell'altro-da-me rinuncio anche quest'anno ad attraversare il mondo per pura estetica. Non è il legno leggero che mi appartiene, non la barca sottile che galleggia e non lascia solco. Sono di terra e d'aratro, di seme che germoglia e fa frutto, la prossima estate, in futuro, quando non sarò più. Perchè non credo in dio 
ma non sono così disperata da credere
che tutto finisca con me.

Pipponi a parte, comunque, oggi è l'ultima tappa.
Alle 10 dal porto di Olderdalen salpa il traghetto che porta, in circa 40 minuti, a Lyngseidet, sull'altra sponda del fiordo.
Alle 9.30 siamo al molo, e c'è solo un'auto già lì, in coda, in attesa dell'imbarco.
Intorno tutto tace e il paese dorme, nonostante sia tutt'altro che presto. A star fermi fa ben fresco, benchè non piova, e siamo costretti a coprirci ulteriormente.








Mentre aspettiamo, ci raggiunge un secco e tirato ciclista norvegese, che viaggia su quel trike elettrico con carrellino che abbiamo visto a Honnigsvag, nel nostro ostello, e pure ieri, in cima all'ultima salita. Il brav'uomo, partito dal sud del paese, diretto a Nordkapp e ora sulla via del ritorno, porta due apparecchi acustici e comunque sente a fatica, oltre ad avere qualche problema di pronuncia. Chapeau a lui che non teme la strada.


Intanto, mentre si chiacchiera, ci raggiunge una signora in auto; è la proprietaria del baracchino dei panini qui accanto. Tutta agitata ci dice che forse il nostro traghetto è cancellato, e ci indica il cartello luminoso in cui, a me pare evidente, si legge che la corsa successiva, delle 13,30, è cancellata, non questa. Ma chissà. La sciura va anche dagli automobilisti in coda in attesa dell'imbarco (ne sono arrivati, e pure un camion e un trattore) e li allarma. Tutti telefonano, cercano notizie sugli smartphone... Il nostro collega pedalante addirittura se ne va.
Arriva poi un tizio un po' fricchettone un po' marcio e basta, con un cane bellissimo, che ci dice che il traghetto è in ritardo perchè ha avuto problemi tecnici, forse al quadro elettrico, e sbarca i passeggeri ma non fa risalire altri; e il successivo è alle 11.30.
Insomma, allora è vero.
Iniziamo a preoccuparci un po': una volta sbarcati ci attendono 20km in sella e poi un altro traghetto, che è alle 13, e ancora 50km da pedalare.
Non possiamo far troppo tardi... Ma non abbiamo più la forza di tirare e fare una crono-fiordo.
Il traghetto arriva, pian piano.


E subito, sbarcati passeggeri, auto e camion, il ragazzo dei biglietti va alla fila delle auto e inizia staccare ricevute. Ma allora il traghetto salpa! Era solo un po' in ritardo!
Ma vaff...


Così ci imbarchiamo e sistemiamo le bici cariche sul ponte. Abbiamo la conferma che no, i ciclisti non pagano e viaggiano gratis. Bene così, buon segno.


La caffetteria è chiusa ma il salone resta comunque caldo e accogliente, al punto che sia Gigi sia io ci assopiamo nel teporino delle poltrone.



Ci svegliamo di soprassalto e nessuno è più in coperta. Momento panico: non è che ci siam persi l'attracco e stiamo tornando indietro? Invece no, semplicemente siamo vicini al porto ed è ora di prepararsi a scendere.
Tornare sul ponte è un trauma: piove, tira un vento gelido e fa un freddo porco e maledetto.
Più rapidi di Brachetti ci cambiamo et voilà, impermeabili, caldi e grossi come foche, imbustati nei vestiti tecnici. Devo ripetermi spesso che è agosto. Chè con questi 7 gradi, 3 percepiti, si fa presto a dimenticarsene.


Da Lyngseidet usciamo subito e iniziamo a percorrere la costa del fiordino che spacca il fiordone su cui ci troviamo. Seguiamo la strada 91, la stessa dell'Eurovelo 1, fino a Svensby.



Monti a picco sull'acqua verde, nuvole basse a coronare queste cime pensose e brulle, spesso innevate, e il solito, continuo, ormai nauseante saliscendici attendono.


E anche i tunnel, ovviamente.


Per il resto, non c'è nessuno. Non anima viva, solo qualche pecora nei prati umidi e alcune gazze bercianti.
Mi chiedo spesso se sia la strada giusta, pur essendo l'unica. Mi pare troppo strano che tra un porto e l'altro, con in mezzo solo 20km, non ci sia COSI' nessuno.


Alla fine, però, qualche casa compare, anzi, qualche cascina. E il porto in lontananza, con il traghetto già al molo. Pur essendo presto, affrettiamo il passo, nel timore irrazionale che parta prima, sotto il nostro naso.
Almeno, tentiamo di affrettare il passo. Il vento ghiacciato ci respinge indietro e deve essere uno spettacolo ben buffo vederci spingere affannosamente sui pedali, come se stessimo facendo il record dell'ora, mentre andiamo a 16km/h.



Al porto si arriva e in largo anticipo. Aspettiamo anche qui una mezz'ora, e per fortuna un timido sole accarezza la nostra attesa.







Salpiamo in perfetto orario e questa volta approfittiamo della caffetteria aperta per una cioccolata calda. La traversata dura circa venti minuti e, in un attimo, è già ora di sbarcare a Breivikeidet.



Anche qui pioviscola, ma siamo riparati dal vento infido perchè la strada, per circa 25km, corre stretta in un vallone. Seguiamo il tortuosissimo corso dello Storelva. Le nuvole sono bassissime e quasi opprimono. L'umidità è alle stelle e impregna i boschi e il terreno.
Gigi più volte dice di aver l'impressione di essere in una foresta pluviale del Borneo. Penso che qui le scimmie porterebbero il maglione e il berretto di lana, però.






Le poche e brevi salitelle bastano a darmi i conati. Veramente, non se ne può più. E non immagino nemmeno che questo, per oggi, sia solo l'inizio. Il bello, il drammatico, deve ancora venire.




A 25km dall'arrivo, la strada secondaria seguita finora si tuffa nella E8, stradone che porta fino a Tromso.
Con dolore e pena, aggiungo io.


Appena imboccato lo stradone inizia l'inferno.
La strada è strettissima, tutta a curve cieche, ed estremamente trafficata, di camion, turisti rimbambiti, camper, caravan, autoarticolati e chi più ne ha più ne metta. E, come se non bastasse, ci sono frequenti cantieri che riducono la già striminzita carreggiata. L'asfalto è spaccato e grattato via, tra buche, sassi e ostacoli vari.
Insomma, pericoloso. Stressante.
Ah, tutto è in salita ripida o discesa vertiginosa, senza vie di mezzo.
A questo si aggiunga il vento contro e la mia urgenza di fare pipì. Su una strada senza servizi, senza benzinaio o locali. A strapiombo sul mare, da un lato, e con parete verticale di nuda roccia dall'altro. Che se tiri fuori le chiappe bianchissime ti avvistano fin dalle Svalbard e pensano sia un beluga.
In breve, questi ultimi 25km sono pura sofferenza.
Il colpo di grazia, la mazzata finale, la goccia che fa dire: basta.
Così arriviamo a Tromso.


Anzi, così. Ribaltati, cappottati, sottosopra dalla fatica.


Tromso città di cacciatori di foche e orsi polari, città dell'aurora boreale, porto sull'Artico per i pionieri del calibro di Amundsen.
Tromso ultima spiaggia che ci accoglie con il suo lungo ponte inarcato come la schiena di un gatto.


e la Cattedrale dell'Artico, che visiteremo con calma nei prossimi giorni.


Attraversiamo il fiordo sul ponte che, bontà sua, ha una ciclabile -la prima che vedo oggi (e dire che Tromso ha il certificato di città ecosostenibile, green ecc)-. Salita e vento contro fino alla fine!



Passiamo rapidi per le vie del centro, distrutti, con il solo obiettivo di arrivare il prima possibile. Ci attendono poche ultime rampe che facciamo a piedi, trascinando la bici, tanto siamo esausti.
Poi, finalmente, l'albergo. Pulito, accogliente, caldo, ricco di ogni ben di dio in cucina (i due vasi di Nutella lasciati da qualche viaggiatore nel cesto food for free non sopravvivono alla nottata).
L'arrivo. Sani, salvi, stanchi. Felici. 
Ricchi dell'esperienza raccolta per via,degli incontri e della solitudine dei grandi orizzonti.

Lasciamo le bici in un deposito al pian terreno, così che anche loro, così fedeli, così affidabili (nemmeno una foratura!) possano riposare. Doccia, e svacco totale sul letto profumato e morbido. Di qui non ci muoviamo per un po', e potrebbe servire un argano.
Ah no, la Nutella in cucina basta come incentivo.

L'albergo in cui siamo, Ami hotel (assolutamente consigliato) si trova in centro, accanto ad un liceo di chiara fama.


Andando a fare la spesa nel vicino supermercato (al Rema 1000, catena di discount dove la spesa, identica al solito, costa la metà, ovvero poco più che in Italia) e passiamo accanto alla pro-cattedrale di Nostra Signora, una delle poche chiese cattoliche in Norvegia.


Nella piazza di fronte, accanto al municipio, si erge la nera statua di re Hakoon VII, sul trono dal 1905 al 1957. Periodo non facile e un po' tumultuoso, diciamo.


I prossimi giorni saranno dedicati alla visita della città e dei dintorni, al riposo e all'organizzare il rientro. Come sempre bisogna recuperare i cartoni per imballare le bici, il materiale per chiudere tutto in sicurezza, pensare al mezzo per raggiungere l'aeroporto... Trovare un bravo tatuatore per il mio tradizionale souvenir di fine viaggio e così via.
Credo di aver tutta l'intenzione di scrivere anche di questi giorni da turisti, perchè Questa città merita davvero e ha "tante storie ancora da raccontare
per chi vuole ascoltare...
E a culo tutto il resto!"


giovedì 27 agosto 2020

52-53. Rune nell'acqua e nella pietra. Dove brinda Odino, dio viandante, guerriero, poeta





24/8/20
giorno 52
Alta-Sekkemo
129km

Che giornatona ragassi! Quasi 130km in queste condizioni son roba da eroi. Perchè salite, vento e pioggia, dopo 7, 8 ore in sella a meno di 10 gradi, diventano una vera prova di resistenza, fisica e soprattutto mentale.

Qui si parrà la tua nobilitate, per citare il Sommo.

E per fortuna non è stata una tappa sfigata, di quelle in cui a un certo punto, dopo averlo più volte nominato, chiedi a Jesoo di sedertisi accanto un momento e gli parli schietto: "Senti, ma che ti ho fatto? Se ci sono problemi con i tuoi colleghi, Allah, o Krishna o Aura Mazda, o i loro amici, dimmelo. Perchè non se ne può più".

Siamo partiti sotto un cielo plumbeo che tale è rimasto per tutto il giorno, con frequenti, anzi direi continui, pioviscoli fini fini. Di quelli che sembra che non ti stai bagnando, e invece sei già fradicio e surgelato come uno stoccafisso.

Dal campeggio di Solvang arrivare ad Alta è stato un breve passo.
Alta, inizialmente meta destinata per rientrare a casa (ha un aeroporto internazionale) è la città con più di 20.000 abitanti più a nord del mondo. Tipo di record mai sentito finora, in questo viaggio, eh?



I primi insediamenti risalgono al 10.000 aC, e qui si è sviluppata la cultura Komsa, di caccitori e raccoglitori del Mesolitico. La presenza di una civiltà organizzata è testimoniata da una ricchissima quantità e varietà di incisioni rupestri, ora patrimonio Unesco, che sono state realizzate dal 4200 al 500 aC.
Dopo la ribellione dei sami del 1852 due capi della rivolta furono decapitati qui vicino; il corpo fu sepolto nel cimitero locale, la testa spedita ad Oslo, all'università di medicina; i crani sono tornati a riunirsi al resto dei resti solo nel 1997, dopo anni di proteste da parte di attivisti sami.


Durante la Seconda guerra mondiale la città fu ridotta in cenere da un incendio e nel nel 1979 ci furono grandi manifestazioni di protesta, da parte di ambientalisti e sami, contro la costruzione di una diga sul fiume Alta, per una centrale idroelettrica. La diga fu costruita comunque, ma i salmoni del fiume sono ancora abbondanti e di buona qualità, tanto che il re di Norvegia viene in queste acque a pescare ogni estate.


Oltre al museo di storia della città, ad Alta d'interessante si trova la cattedrale dell'aurora boreale (o "delle luci del nord"). E' stata costruita tra 2009 e 2013 ed è in legno e cemento, con rivestimento in fogli di titanio. E' bella? E' particolare, diciamo. Sicuro non passa inosservata. Assomiglia ad un grande tortino alla crema con una candelina al centro. Perchè a dio si giunge per infinite strade.



Per il resto Alta è la classica cittadona di queste latitudini. Poche abitazioni, molti servizi, supermercati, benzinaio, negozi di ogni genere di utilità. Perchè per kilometri intorno ci sono boschi e fiumi e i villaggi e le case sparse fanno riferimento alla città, l'unica degna di tale nome incontrata da giorni.



Usciamo presto dal centro e subito la costa norvegese si dispiega in tutta la sua brutale bellezza: roccia a picco sul mare, in un continuo susseguirsi di rampe, a salire e a scendere. L'azzurro dei fiordi si apre sempre abbracciato dalle pendici dei monti, dove il verde si fonde al blu.






La strada, la famosa E6, che è anche il percorso dell'Eurovelo 1, si snoda a filo della costa, con fedeltà di sposa al mare.






Dopo esserci riempiti gli occhi di questa nuova bellezza, scopriamo un inconveniente tutt'altro che piccolo. I tunnel qui sono numerosi. Alcuni si possono percorrere in bici, altri sono vietati e presentano un'alternativa ciclabile esterna, sempre molto ben segnalata. Peccato che tale alternativa sia sempre molto più lunga e molto più tortuosa e impervia. Il mio asciutto commento allo stupore triste di Gigi è: "Mica li han scavati per un cazz i tunnel!"

E così siamo costretti da questi ingegneri della viabilità norvegesi, senza nome ma figli di buone donne, a infilarci nei monti boscosi, su e giù per fratte e ciglioni.






In questo modo passiamo pure da Kafjord, città sviluppatasi grazie alle miniere di rame, estratto tra 1826 e 1909; qui operava un'azienda di estrazione inglese, e il villaggio divenne, negli anni '40 dell'Ottocento, uno dei più popolosi della regione, con molti emigrati inglesi tra i residenti.






Durante la Seconda guerra mondiale la nave tedesca Tirpitz usava il fiordo come porto; fu danneggiata a più riprese e affondata dopo varie operazioni aeree e sottomarine. C'è anche un piccolo museo dedicato a queste vicende.




Noi, a questo punto della giornata, siamo già fradici di sudore e pioggia gelida, intirizziti e con le gambe che ormai son pezzi di legno ora, ora tizzoni ardenti. Ma ci attendono ancora tanti kilometri e la strada chiama.
Per fortuna qualche tunnel ci è concesso, e, nonostante buio, freddo, umidità e rumore inquietante delle auto, volentieri saltiamo qualche salita. Tanto siamo attrezzati, anzi, addobbati comealberi di Natale, con luci e abbigliamento ad alta visibilità.


Quando si riemerge alla luce, comunque, lo spettacolo è sempre lì in attesa.






A Talvik, primo e ultimo villaggio del giorno, facciamo una sosta. Era un porto e un mercato nell'800, ora è un buciodeculo con supermercato, benzinaio e chiesa in legno. E luci mutevoli.



Mi pregio di aver acquistato il peggior caffè mai bevuto in vita mia, e vi assicuro che, nella mia infinia ignoranza culinaria, bevo tranquillamente lavatura di piatti (dishwash) senza rendermene conto. Al super vedo una macchinetta del caffè. Chiedo alla cassiera due bicchieri in carta e di cambiarmi le monete, per averne due da 10 corone. Infilo la prima e me la mangia. La cassiera interviene, apre la macchinetta e mi rende la moneta. Riprovo, funziona. Scelgo la cioccolata. Escono due scoreggine di vapore marrone e nulla più. La cassiera, che ha visto tutto, riapre la macchinetta e mi ridà la moneta. Tetativo numero 3: cappuccino. Esce solo caffè nero e lunghissimo, tre dita. La cassiera riapre ancora la macchinetta e mi rende la moneta, con aria minacciosa, e mi dice: "Prendi il caffè, c'è solo il caffè".
Quando sto per schiacciare i pulsantini per avere, almeno una dose extra di zucchero, il donnone mi ferma e con voce perentoria afferma: "Non abbiamo lo zucchero".
E così abbiamo rimediato solo due bicchieroni pieni di un liquido amarissimo e nerastro. Gigi ci annaffia subito il prato, io resisto fin quasi alla fine. Mi vengono ancora i brividi a pensarci.
In tutto questo, noto che fuori dal supermercato ci sono dei box per i cani. Adoroh.


Ripartiamo, sapendo che siamo solo a un terzo della tappa, ma con l'impressione di essere in sella da mesi (in un certo senso...).







La strada, implacabile, sale e scende senza mostrare pietà. La pietra è pietra. E qui spesso pure ghiacciata, coperta di neve non fresca.




Certo vedere questi monti che si gettano a precipizio nel mare, facendo angusto l'orizzonte, è un tale spettacolo di grandezza e forza della natura immensa che a tratti distrae dalla fatica. Qui gli elementi convergono, la roccia e l'acqua, il vento e la terra, il legno e il fuoco si incontrano sul bordo estremo delle cose, sul cornicione dell'essere, e si sfiorano e quasi fondono.


Non manca qualche sparso negozio di souvenir sami, con pelli di renna in bella mostra.



Passiamo di fiordo in fiordo, e la costa è tanto sfrangiata, frastagliata e mossa da far perdere l'orientamento. C'è terra in ogni dove, acqua in ogni dove. Dolce di lago? Salata? Non saprei più dire.




Nell'unico rettilineo delle giornata, circa 40km, torniamo in compagnia di Eolo, sempre contrario, cocciuto, testardo, contrario, feroce, insopportabile ormai, contrario. Ho detto per caso che il vento era contrario? Be', nel caso l'avessi omesso, lo scrivo ora: il vento era contrario.






A Langfjordbotn, località rinomata per gli husky da slitta (ne vediamo un allevamento) la luce ormai è sparita, inghiottita da nuvole bassissime. Pioviggina e fa un freddo insopportabile. Facciamo il punto. Potremmo accorciare un poco la tappa di oggi, e fermarci a un paese che dista 20km, dove comunque dobbiamo fare la spesa. E allungare un poco domani o dopo. Tanto più che, dopo la spesa, ci attenderebbe una salita di 10km, un vero e proprio passo. Sì, ci fermeremo prima, a Burfjord, anzichè a Sekkemo.


ups! Un po' storta, scattata dalla sella in movimento. Ma era per mostrare le grandi flotte di pescherecci.

L'idea che manchino solo 20km e non 37 con salitona ci rimette un poco di calore nelle gambe e così pedaliamo con una certa lena su e giù di promontorio in golfo, fino all'agognata Burfjord. Qui abbiamo intenzione di far la spesa e trovare alloggio.
Non serve molto, però, per capire che l'unico ostello è chiuso da anni e in rovina. Altre opzioni non ci sono, fuor che buttare la tenda da qualche parte. Ma fa davvero freddo e continua a piovigginare. Entriamo al supermercato e compriamo il minimo indispensabile per la cena: è chiaro ormai che ci tocca pedalare fino a Sekkemo, altri 17km, con in mezzo il passo. Non vogliamo caricarci ulteriormente. Mangiamo cioccolato a gogo (ormai funzioniamo con quello, x barrette al kilometro) e dobbiamo pure sorbirci il pistolotto del cassiere che vuole consigliarci l'agriturismo di assuocuggino, che comunque è dopo il passo e pure fuori strada. Mi fa vedere le foto su Fb, mi dà il numero, mi mostra la strada... Mentre cerco di riposare e masticare a fatica. Dio santissimo, quanta pazienza.
Però, prima di partire, chiamo il campeggio dove dovremmo fermarci. Arriveremo tardi e, se fosse chiuso, sarebbe necessario ora fare scorta d'acqua.
Dopo due tentativi falliti, al terzo mi richiama una sciura che dice che sì sono aperti e ci aspettano. Almeno una gioia. Grazie sciura del Sekkemo camping. Jeg elsker deg. Te amo.

In una non-luce che fa dire a Gigi "Muoviamoci prima che faccia buio!", ma è solo maltempo, il tramonto è ancora tardissimo, a sera inoltrata, attacchiamo la salita.



Intorno roccia, bosco e acqua impetuosa di fiumi in corsa.



Nè renne nè alci ci degnano di una visita, ahimè,


e, più agilmente del previsto, arriviamo al passo.


Un pannello ricorda che qui intorno, durante la Seconda guerra mondiale, si trovavano diversi campi nazisti per prigionieri di guerra, impiegati in lavori forzati di costruzione strade e opere difensive.
Durante la ritirata, dal '44, i tedeschi usarono la tattica della terra bruciata, distruggendo tutto.





In cima io mi son ripresa e sto decisamente bene, quasi in forma e in forze. Forse nel Bounty c'era cocaina e non cocco, chissà. Gigi invece è piuttosto contrariato dalla situazione e, mentre mangia una barretta, mi spiega che, appena torneremo a casa, venderà tutte le bici e gli accessori da ciclista e donerà il ricavato in beneficenza. Mo va' là che adesso c'è la discesa!


In picchiata, nell'aria fredda che penetra tutti gli strati di kway e antivento, maglie termiche e giacche, e gela l sudore sulla pelle, scendiamo di nuovo sulla costa.




Eccoci a Sekkemo, finalmente. Nemmeno il cielo, chiunque ci abiti, riesce a crederci, e spalanca un occhio per vedere se davvero siamo riusciti ad arrivare fin lì nonostante tutto. Sì caro, ce l'abbiamo fatta.





In questo spettacolo di luce che ha del soprannaturale, del mistico, giungiamo al campeggio.



Che è anch'esso in cima a una rampa sterrata ripidissima. Signora mia, che hai risposto al telefono prima, ma popo 'n scima diobonino? Popo su'i cucuzzolo dovevi mette i' campeggio?
Però, da quella terraza panoramica, la vista sul fiordo è strepitosa.


Ci rintaniamo in una casetta e, dopo la doccia, si cena al calduccio e tutto torna in equilibrio.



Sono giorni duri, questi ultimi. Di salite e vento, di freddo, di gambe ormai sfibrate. Sono giorni di silenziosa, feroce, acuta lotta contro la stanchezza, che emerge ormai con prepotenza e fa lente le gambe, pesante la bici. E' come l'anello di Frodo, ogni giorno un fardello più oneroso.
Ma.
A sera, quando la furia del giorno si è acquietata, riaffiorano le immagini raccolte per via, gli orizzonti, i cieli, i volti. E ho l'anima in pace. Accade di rado, e quasi sempre e solo in viaggio. Ho l'anima in pace e per questo pago il prezzo della fatica estrema. Perchè il mio equilibrio è un gioco sottile, in bilico tra una profonda quiete immobile, giù nell'abisso più intimo della coscienza, e una necessità di riempire il tempo con il movimento. Di dargli un senso, senza che mi scorra addosso come gocce di pioggia. Una roba da pazzi, da ulissidi insonni. Da nomadi dello spirito. Da folli di dio. Da volpi a pedali.

26/8/20
giorno 53
Sekkemo-Olderdalen
109km

Via, oggi si ragiona. Fatica ragionevole, seppur per i nostri -ormai non ragionevoli- standard, freddo ragionevole, basta non pensare che è ancora piena estate, Eolo in disparte a farsi finalmente gli affari suoi, poca pioggia e solo un gran salire. E che paesaggi, signori miei, che sfondo da quadro romantico bello e maledetto.

Siamo partiti stamattina dopo una notte di freddo. Il riscaldamento della casetta ha fatto cilecca e ci siamo dovuti infagottare nel sacco a pelo alla buona, nel dormiveglia, con grande fastidio e disturbo. Dormire poco, in questa situazione, significa pagar pegno per tutto il giorno. Ma via, la strada chiama e ci vuole forti e attenti. 

I fiordi ancora dormono nel grigio luminescente del mattino e tutto tace. Anche il vento, se dio vuole.






Passiamo il ponte sul fiordo a Sorstraumen, nella finta indifferenza dei gabbiani





poi la strada si allontana dalla superficie liscissima dell'acqua e comincia a salire.
Sappiamo che ci attende un passo. Niente di che, 400 metri. Ma in questi giorni di continue salite, ogni rampa più lunga è una via crucis; e qui si sale per più di 10km, ininterrottamente.





E' il monte Kvaenangen che ci attende con i suoi boschi e i suoi torrenti impetuosi, e qualche renna, e molta neve intorno.











Dalla cima, cui giungiamo sudati e sfatti, accaldati e infreddoliti a un tempo, si gode comunque di una visuale fantastica su fiordi ed isole; nuvole basse e azzurro di seta fan da contorno all'isolotto Skorpa-Noklan. Qui, nel 1940, fu istituito un campo per prigionieri di guerra, questa volta tedeschi, sconfitti da norvegesi e Alleati. 450 tra soldati semplici, ufficiali e piloti della Luftwaffe, cui i britannici estorsero preziose informazioni, furono portati qui. Morirono poi durante il trasferimento verso la Gran Bretagna, per fuoco amico.




Qui in cima, mentre ci copriamo ad involtino tra k-way, antivento e giacche varie, in vista della discesa, ci abborda un rotondo danese, cercatore d'oro per passione, che ha girato il mondo a setacciar fondi limacciosi di fiumi ed è stato anche in Italia, a Biella e Oropa. Quest'anno avrebbe voluto tornare in Australia, perchè lì sì che si trovano pepitoni, ma causa Covid non ha potuto. E dunque è venuto qui, 25 anni dopo la sua prima volta nel Finnmark. Ci dice poi che a Tromso dobbiamo assolutamente mangiare la pizza, perchè lì la fanno più buona che in Italia, migliore di quella di Napoli e di Roma. I norvegesi, infatti, quando vogliono mangiare una buona pizza, vanno a Tromso, ed è risaputo che questa città sia la capitale della pizza.
Mah.
Magari la fanno con le uova di gabbiano, che son piatto tipico, e per davvero.





Iniziamo a scendere tra nuvole basse e cascate di vapore. Il sudore si gela addosso e l'aria gelida taglia il respiro, ma intorno tutto è così stupendo e incredibile, così perfetto, che pare di essercisi tuffati in un quadro ottocentesco, di natura selvaggia e grandiosa, indefinita e inafferrabile.


in acqua: vasche di allevamento salmoni






Altra cosa incredibile è come qui, a causa della latitudine, i paesaggi a 400 metri paiano i nostri a 2000 di quota. Sembra di essere in alta montagna, ma siamo a malapena su una collinetta.




In un attimo siamo di nuovo sul mare, e al volo passiamo i villaggi di Oksfjordhamn e Straumfjordnes





Le chine rocciose e innevate si gettano in acqua in verticale; tra azzurro e vapori di nubi l'orizzonte pare un mondo di dei a banchetto, che ridono della piccolezza umana e bevono ambrosia inebriante da coppe di legno chiaro.













La strada stessa è scavata nella roccia e forse è l'intarsio di un immenso scudo, opera d'artigiano celeste che raffigura il mondo, come Efesto fece per Achille furioso.





A tratti i monti si fanno più vicini e dolci, più umani, coperti da fittissimi boschi e circondati da acque stagnanti di bassa marea, dove gabbiani e cormorani sguazzano in un odore pungente di mare.








Giungiamo così a Storslett, città incredibilmente grande, e senza apparente ragione, tra innumerevoli micovillaggi. Oltre a supermercati, negozi e stazioni di servizio, oltre a porto ed aeroporto



c'è anche un museo che narra la storia ella città e mostra la ricostruzione di  edifici storici (tutto fu distrutto e bruciato dai nazisti in ritirata, nel '44)


Se si guarda da un lato pare di essere in Svizzera, sulle Alpi;


dall'altro invece c'è il mare, con tanto di porto e barchini.









Per evitare un tunnel vietato lle bici simo poi costretti ad arrampicarci di nuovo sulla cima di una di queste colline aspre e ripide, lungo i cui fianchi scorrono torrenti a precipizio. La fatica inizia a farsi sentire, ed è tempo di inserire il pilota automatico. Le gambe girano da sole, quasi a vuoto. La testa rifrulla e il pensiero si spinge lontano, oltre l'orizzonte di n azzurro che quasi ferisce, tanto è puro.







Dopo tanto salire nella luce ambrata che fa opalescente l'aria, vien finalmente il momento di scendere. Freddo, adrenalina, stanchezza e meraviglia si mescolano e tutto scorre con il sangue e il fiato e le ruote sull'asfalto.





La strada spiana un poco e i villaggi si fanno più frequenti. Ci sono porticcioli e campeggi per appassionati di pesca, e persino traghetti che portano alle isole qua di fronte. Che sono poi lo sfondo perfetto per una saga di dei ed eroi che vivono nel mondo del ghiaccio e del vento, e solcano mari d'altri mondi su navi che non temono tempesta.


spesso qui, sul tetto delle case, cresce l'erba. Perchè è riscaldato dal tepore che sale al soffitto.






Le nuvole corrono basse e si fanno e disfano di continuo. Anche la strada si fa e si disfa di continuo, nel saliscendi che non dà tregua. Piove ed esce il sole, o entrambi gli eventi contemporaneamente. Ma a noi poco importa: voliamo al sud, sul bordo estremo di una terra estrema, e la meta è vicina.




Arriviamo ad Olderdalen, fine tappa di oggi, che è ancora presto. Facciamo in tempo sia a far a spesa sia a sistemarci in una stanzetta accogliente e calda proprio accanto al porto.


dalla finestra

Domani infatti ci attende la tappa finale, l'ultima pedalata di questo lungo viaggio verso nord attraverso l'Europa e i suoi confini. Prenderemo qui un traghetto per Lyngseidet. Poi pedaleremo da lì a Svensby, dove ci attende un altro traghetto, fino a Breivikeidet, da cui si raggiunge Tromso agilmente. Questo percorso, che ricalca un tratto di Eurovelo 1, permette di evitare alcuni tunnel vietati alle bici e sprovvisti di alternativa ciclabile.

Approfittiamo di lavatrice ed asciugatrice per un bucato serio, visto che è da Rovaniemi (oltre 2 settimane! The horror) che indossiamo gli stessi vestiti, ormai muschiati, saponosi, fetidi e puteolenti. E ci prepariamo alla volata finale, gli ultimi 70km. Non pare vero. E' presto ancora per tirare le somme e far considerazioni. Certo è che questa avventura ha tanto dato e tanto insegnato, chiedendo in cambio soltanto tempo e forza. Di gambe e di testa, di spirito e volontà. E poi non abbiamo mai forato. Succederà domani? L'anno scorso negli States è successo anche negli ultimi kilometri, sotto i roveci e le folate impetuose dell'uragano in arrivo su New York. Non si può mai dire, può succedere ancora di tutto!