30/7/18
Bukhara, o Buxoro come si dice qui, è proprio una bella città. Roba da starci due settimane, due mesi, due o tre anni, come fecero i Polo prima di proseguire verso la Cina. Ma erano altri tempi, nel senso di passati e ben più larghi e comodi. Nessun contratto a tempo determinato, per dir.
UN PO' DI STORIA s'il vous plait
È stata per secoli una delle più importanti città della Transoxiana islamica, sita a oriente del Khorasan. Di essa era nativo Bukhari, il massimo tradizionalista di tutta la storia dell'Islam.
Durante l'invasione mongola, fu distrutta da Gengis Khan e cadde poi sotto l'influenza di Tamerlano. Più tardi divenne famosa come Khanato di Bukhara e in questo periodo vide svilupparsi considerevolmente la sua economia grazie ai ricchi traffici mercantili che la coinvolgevano, sorgendo sulla via della seta. La città divenne così di nuovo un importante centro religioso dell'Asia; si costruirono numerose moschee e madrase che testimoniano ancora oggi uno splendido passato.
Tra il 1261 e il 1264 vissero per tre anni Niccolò e Matteo Polo, prima di partire verso la corte di Kublai Khan.
Più tardi divenne un emirato, protettorato dell'Impero russo a fine Ottocento, contro le lunghe zampe dell'Inghilterra che aveva l'India, e poi Repubblica sovietica.
Ha una popolazione calcolata in 231.793 abitanti nel 2010.
Il toponimo deriva quasi certamente dal termine vihara, che designava un monastero buddista
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Per noi pure è stata una giornata di riposo, finalmente, chè dal passaggio del confine siamo rotolati verso oriente con mala grazia e molta pena, poco sonno e tanto dolòr. Per fortuna alla Helene Oasis si vien trattati bene e con tutti i crismi, e si respira un'aria tranquilla e sonnacchiosa come i gatti nei pomeriggi d'agosto. La corte interna dell'albergo è davvero bella ed è un piacere sostare all'ombra dei portici che profumano di legno vecchio.
Anche la colazione è degna d'un satrapo, nemmeno di un khan, o di un gat. Infatti Raymond è felice, soprattutto quando a questo bendiddio aggiungono le frittellone dolci e salate e, meraviglia per il palato francese, le crepes. Io, ahimè, sono ancora a dieta ferrea perchè gli antibiotici iniziano a funzionare ma non è che posso magnare casoeula e topi morti a colazione.
Usciamo poi diretti alla via dello shopping, nella parte più nuova della città. Lì ho infatti visto che c'è la sede centrale della Ucell, una delle compagnie telefoniche e, a quanto pare, la più affidabile anche in deserti e montagne. Qui dovrebbe essere tutto più semplice con l'internet. Innanzitutto ho già verificato che non ci sono blocchi di sorta, tutti i social e le app e i siti sono raggiungibili, ergo niet pasticci con la Vpn. Inoltre da qualche mese è stata modificata la legge sui permessi di vendita delle Sim, e, in breve, anche gli stranieri possono acquistarne una semplicemente con un passaporto valido. Non è chiaro se si possa ricaricare o meno, pare possano farlo solo i residenti in Uzbekistan, ma poco male. Una Sim nuova con 8 Giga costa poco più di 10 euro e vale un mese; noi in questa nazione dovremmo stare circa due settimane, giorno più, giorno meno.
Per arrivare alla via dello shopping, ulitsa Mustakillik, percorriamo alcune centinaia di metri del cuore antico di Bukhara. L'hotel sta in Arabon street (ma allora, ulitsa o street?), che con ogni probabilità appariva esattamente così anche ai tempi dei Polo.
Queste prime cupole sono quelle di uno dei molti bazaar, il Taki-Sarrafon, che sta proprio al crocevia centrale della città. Era la sede dei cambiavalute. Indovinate di quale religione? Ebrei, esatto. Infatti anche i maomettani, come i cristiani, consideravano i traffici di denaro qualcosa di sporco, e lasciavano il lavoro meschino ai giudei. Qui ce n'erano moltissimi, e tuttora questo è il quartiere ebraico, con tanto di sinagoga. Ma i più sono emigrati in Israele o negli States, e si capisce. Però le vie restano intitolate ai Levi e simili.
Usciti dal bazaar si incontrano le prime madrase, per cui Bukhara è famosa. Tante furono le scuole fiorite qui e tantissimi i dottori in legge e fede, medicina e letteratura, che sapevano dell'umana e della divina scienza. Sotto nella prima foto è il Nadir Divanbegi khanaka, una sorta di chiostro usato dai sufi, i mistici, per cerimonie e dibattiti, e risale al 1600.
Mentre camminiamo iniziamo a vedere le prime di molte auto del Mongol Rally. Si tratta di un eventone qui assai noto perchè è uno dei pochi che veramente attraversa in maniera avventurosa l'Asia centrale. Le squadre, armate di vecchie auto e nessun sistema gps, partono da Londra o da altre capitali europee e raggiungono Ulan Bator, con la regola di dover evitare le autostrade. Una volta in Mongolia le macchine vengono vendute all'asta e il ricavato va in beneficenza. Noi oggi di mezzi così ne abbiam visti parecchi, spagnoli, polacchi e della Repubblica ceca.
Siamo poi giunti alla via dei negozi e, acquistata dopo gran fila (ma con il biglietto con il numerino e un ordine che manco in Italia si vede negli uffici pubblici) la nostra bella Sim uzbeka, abbiamo girato qualche attività alla ricerca del gas per campeggio. Ovviamente, non lo abbiamo trovato.
In compenso abbiamo incrociato negozietti e centri commerciali di ogni tipo, belli, nuovi, puliti, facili. Dopo il deserto di sabbia e il deserto umano pare davvero di essere approdati al paradiso terrestre.
Di ritorno verso l'albergo noto anche un enorme segno di ritrovata civiltà: una pista ciclabile! Magari sono gli unici 50 metri di tutto l'Uzbekistan. Ma hey. Sanno cosa sia. E per di più gli automobilisti rispettano i semafori e le precedenze, sulle strisce pedonali rallentano e si fermano se vedono un pedone e non strombazzano a caso con clacson imrpoponibili. Praticamente gli svizzeri delle repubbliche ex sovietiche!
Oltretutto gli edifici storici, se anche sono stati rimodernati, non presentano obbrobri architettonici nè ci sono, in centro i soviet palazzoni in cemento che rovinerebbero la bellezza di questa città.
Facciamo una piccola sosta alla Lyab-i Hauz, nella pozza in persiano, la zona circostante uno dei pochi howz (stagni) rimanenti che sono sopravvissuti nella città.Fino al periodo sovietico c'erano molte di queste vasche, che erano la fonte principale d'acqua della città, ma erano note per la diffusione delle malattie e sono state in gran parte riempiti durante gli anni 20 e 30 del '900. Il Lyab-i Hauz è sopravvissuto perché è il fulcro di un magnifico complesso architettonico, creato durante il XVI e il XVII secolo, che non è stato significativamente modificato da allora. Nell'acqua si specchiano infatti la Madrasa Kukeldash (1568-1569), la più grande della città, e di due edifici religiosi costruiti da Nadir Divan-Beghi: la Khanqa dei sufi itineranti (1620) e la madrasa (1622).
C'è anche la statua di Nasreddin Khoja sull'asinello, figura favolistica (ma anche presente nella letteratura del sufismo), che la cultura turca vorrebbe vissuta intorno al XIII secolo ad Akşehir e successivamente a Konya, al tempo della dinastia Selgiuchide, ma che, sotto il nome di Guha, ossia Giufà, è presente anche nella favolistica araba-siciliana. Sarebbe stato un filosofo populista, spesso citato in storielle divertenti e aneddoti.
Immancabili infine i cammellini (finti però) e i mercanti, che han scritto la storia di questo luogo.
Dopo pranzo (Raymond, dopo la colazione gigante di due ore prima, se magna il beef in a pot; io mi limito ad un succo di carota freschissimo) torniamo in hotel ed io svengo per qualche ora, mentre l'ombra e il sussurro delle foglie mi cullano il sonno.
Quando il morso del sole si fa meno serrato è l'ora di andare alla scoperta della città antica. Dalle cupole dei cambiavalute ci dirigiamo verso la moschea Magoki Attor, che oggi ospita un museo dei tappeti. Lo abbiamo visitato con l'intento di saperne di più, noi che siamo ignoranti in materia. Ma ne siamo usciti tabulae rasae quanto prima: più che capire che quelli uzbeki son prodotti meno fini di quelli persiani non s'è fatto.
In compenso la moschea è la più antica dell'Asia centrale. L'edificio venne eretto nel IX secolo mentre altre parti sono state aggiunte da Abdul Aziz Khan nel 1546-7. Negli anni 30 del secolo scorso l'archeologo russo Shishkin trovò i resti di un tempio zoroastriano del V secolo nonché quello di un precedente tempio buddista, forse origine del nome della città. La moschea sopravvisse alle devastazioni mongole perché (secondo la leggenda) la gente del posto la seppellì sotto la sabbia occultandola.
Più avanti ci sono le imponenti mura e le porte antiche del caravaneserraglio più grande della città.
A pochi passi altre cupole: è il bazaar dei cappellai (matti?), dove tuttora si vendono berretti e copricapi di ogni genere, in pelliccia o in tessuto. Non mancano i pellami grezzi e i cappotti e le giacche con inserti di pelo d'agnello di Bukhara e pure di volpe. Mica un bel segno!
Non mancano hammam e moschee, che sono sbocciate a partire dalla prima conquista araba e poi si sono accumulate e sovrapposte arco su arco e colonna su colonna fino al XVIII secolo.
Due grandi madrase si contendono la piazza che precede il bazaar dei gioiellieri. In particolare la Ulugh Beg, del 1417, in piena epoca timuride, è la più grande della città e la più antica dell'Asia centrale.
Le condizioni dell'edificio non sono buone e necessiterebbero di un restauro. Sono tuttavia visibili la bella piastrellatura azzurra e un'iscrizione che mostra l'approccio del sovrano alla vita: "La ricerca della conoscenza è il dovere di ogni seguace dell'Islam, uomo e donna". Si dice che vi era presente anche un'altra iscrizione, persasi nel XVI secolo, che diceva: "Che le porte della benedizione di Dio si aprano su un cerchio di popoli, esperti nella saggezza del libro".Gli architetti della madrasa erano migliori professionisti di quel tempo, e si vede tutt'oggi.
Da lì si giunge all'ultimo mercato antico che animava la vita della città al tempo dei cammelli e dei carovanieri: quello dei gioiellieri, in questa regione di miniere d'oro e metalli preziosi cavati direttamente dalla pancia del deserto.
Si apre subito alle spalle delle cupole quella che è forse la più bella piazza di Bukhara, Poi Kalyan ("ai piedi della grande"). Dal 713 diversi complessi di moschee e madrase sono stati costruiti in questa zona, a sud della cittadella Ark, dove prima sorgeva un tempio zoroastriano. Uno di questi complessi, incendiato da Gengis Khan durante l'assedio di Bukhara, è stato costruito nel 1121 dal sovrano Karakhanide Arslan-Khan. Il minareto Kalyan è l'unico delle strutture dei complessi Arslan-han che è stato tenuto al sicuro. La grandezza delle strutture sorprese Genghis Khan, che ha erroneamente creduto che la moschea fosse un palazzo del khan. Tuttavia, la costruzione della moschea non è stata risparmiata dal fuoco, e per molti anni dopo l'incendio era rimasta in rovina. Tutto ciò che è rimasto intatto della costruzione originale era il minareto Kalyan. Il fatto che il governatore di Bukhara nel 1514 abbia costruito questa grande moschea poteva dipendere dal voler rivaleggiare con il simbolo regale di Samarcanda - la moschea di Bibi-Khanym-, che mostra una tendenza a rendere finalmente Bukhara la capitale dello stato Shaibanide. Con la costruzione della Moschea di Kalyan, Ubaidullah-Sultan ha iniziato la formazione di una nuova capitale, piuttosto che combattere per il dominio su Samarcanda, che era sempre ostile agli Shaibanidi. Il minareto, noticola a margine, è conosciuto anche come "torre della morte" perchè per secoli i criminali venivano semplicemente buttati giù da qui.
Si giunge infine all'imponente, cicciuta fortezza di Ark, inizialmente costruita e occupata intorno al V secolo. Oltre ad essere una struttura militare, l'Ark ha contenuto ciò che era essenzialmente una città nella città, abitata dalle varie corti reali che dominarono la regione di Bukhara. L'Ark è stato utilizzato come fortezza fino a quando giunse la dominazione russa nel 1920. Attualmente ospita vari musei.
L'ingresso cerimoniale nella cittadella è architettonicamente incorniciato da due torri del XVIII secolo. Le parti superiori delle torri sono collegate da una galleria, camere e terrazze. Una rampa di scale conduce attraverso un portale e un lungo corridoio coperto alla moschea di Dzhuma. Il corridoio coperto offre l'accesso ai magazzini e alle celle della prigione. Nel centro dell'Ark si trova un grande complesso di edifici, uno dei meglio conservati, essendo della moschea di Ul'dukhtaron, che è collegata alle leggende di quaranta ragazze torturate e gettate in un pozzo
Nella leggenda, il creatore dell'Ark era l'eroe epico Siyavusha. Da giovane, venne nascosto dalla sua matrigna nel ricco paese-oasi di Turana. Siyavusha e la figlia del governatore locale di Afrosiab si innamorarono. Il padre della ragazza permise loro di sposarsi, a condizione che Siyavusha avrebbe prima costruito un palazzo nella zona delimitata da una pelle di toro, ovviamente intesa come un compito impossibile. Ma Siyavusha tagliò la pelle di toro in strisce sottili, collegate alle estremità, e all'interno di questo limite costruì il palazzo (ricicciamento della leggenda classica di Didone e della fondazione di Cartagine).
L'Ark venne in realtà costruita sui resti di strutture precedenti, che costituiscono uno strato di una ventina di metri di profondità sotto l'arco di base, gli strati indicano che le fortezze precedenti erano state costruite e distrutte sul sito.
Il primo riferimento conosciuto per l'Ark è contenuto nella "Storia di Bukhara" di Abubakra di Narshakhi (899-960). Abubakra ha scritto "Biden, il sovrano di Bukhara, costruì questa fortezza, ma ben presto venne distrutta. Molte volte è stata ricostruita, più volte distrutta." Abubakra dice che quando l'ultimo sovrano per ricostruire chiese consiglio ai suoi saggi, essi gli suggerirono di costruire la fortezza attorno a sette punti, che si trovano nello stesso rapporto tra loro come le stelle della costellazione dell'Orsa Maggiore. Così costruita, la fortezza non fu mai più distrutta.
L'età dell'Ark non è stata stabilita con precisione, ma dal 500 d.C. era già la residenza dei governanti locali. Qui, nella solidità della cittadella, hanno vissuto gli emiri, il loro capo visir, i capi militari e numerosi servitori.
Quando i soldati di Gengis Khan hanno preso Bukhara, gli abitanti della città hanno trovato rifugio nell'Ark, ma i conquistatori hanno fracassato le difese e saccheggiato la fortezza.
Nel Medioevo nella fortezza vi lavorarono Rudaki, Ferdowsi, Avicenna, al-Farabi, e più tardi Omar Khayyam. Anche qui è stata mantenuta una grande biblioteca, di cui Avicenna ha scritto:
"Ho trovato in questa libreria tali libri, di cui non avevo
conosciuto e che non avevo mai visto prima in vita mia. Li ho letti, e
sono venuto a sapere di ogni scienziato e di ogni scienza. Davanti a me
si sono aperte delle porte di ispirazione e delle grandi profondità di
conoscenza che non avevo ipotizzato potessero esistere."
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Durante la guerra civile russa, l'Ark è stata notevolmente danneggiata dalle truppe dell'Armata Rossa sotto il comando di Mikhail Frunze durante la Battaglia di Bukhara del 1920. Frunze ha ordinato il bombardamento aereo dell'Ark, che ha lasciato una grande parte della struttura in rovina. Vi è anche ragione di credere che l'ultimo emiro, Alim Khan (1880-1944), che fuggì in Afghanistan con il tesoro reale, ha ordinato di far saltare in aria l'Ark in modo che i suoi luoghi segreti (in particolare l'harem) non potessero essere profanati dai bolscevichi.
Certo è che chi entrava sfilava in un corridoio su cui si affacciavano le anguste celle, a monito.
mentre in cima si trova la bella moschea in legno con i manoscritti e le miniature
La saladel trono è grandiosa, ma il trono in sè è minuscolo, e mi aspetterei un sultano ancora più microscopico che quasi non si vede, perso tra molti cuscini ricamati.
I musei sono assai interessanti, sia per comprendere storia e cultura locali, sia per vedere quanto questa città sia stata crocevia d'uomini e merci.
Sotto qui gli averi dei sufi pellegrini, i mistici che giravano il mondo in cerca di conoscenza e vivevano della generosità della gente
i regnanti serissimi di Bukhara
e gli abiti tradizionali
nonchè le merci importate ed esportate. India, Iran, Cina, Russia, Europa. Tutto il mondo è passato di qui.
L'ultimo khan di Bukhara spodestato dai bolscevichi nel 1920, viveva nell'Ark:
A margine: ogni edificio pubblico porta questo cartello con tutte le disgrazie che possono accadere, dal terrorismo all'incendio all'attacco atomico, e cosa fare nel caso.
Una volta fuori dall'Ark ci diriagiamo verso un parco che è un parco davvero, e ci sono i bambini che giocano, le mamme con i passeggini e persino qualche coraggioso che corre e si allena. Ci sono gelaterie e musica, ragazzine sui pattini e un piccolo luna park.
E in mezzo a tutto le moschee di legno dalle colonne fini con i minareti erranti
ed altre auto del Mongol Rally
Questo è il mausoleo di Ismail Samani. Fu un emiro potente e influente della dinastia Samanide, uno degli ultimi nativi delle dinastie persiane che hanno governato in Asia centrale nel IX e X secolo, dopo che i Samanidi ebbero stabilito un'indipendenza virtuale dal califfato abbaside di Baghdad. Oltre a Ismail Samani, il mausoleo ospita anche le spoglie di suo padre Ahmed e suo nipote Nasr, così come i resti di altri membri della dinastia Samanide. Risale al 905.
Il fatto che la legge religiosa ortodossa sunnita proibisca severamente la costruzione di mausolei su luoghi di sepoltura sottolinea l'importanza del mausoleo Samanide, che è il più antico monumento di architettura islamica in Asia centrale e l'unico monumento che è sopravvissuto dall'epoca della dinastia Samanide. Il mausoleo Samanide potrebbe essere una dei primi inizi da tale restrizione religiosa ortodossa nella storia dell'architettura islamica.
Il santuario è considerato come uno dei monumenti più antichi della regione di Bukhara - al momento dell'invasione di Gengis Khan, il santuario era già stato sepolto dal fango delle inondazioni. Così, quando le orde mongole hanno raggiunto Bukhara, il santuario fu risparmiato dalla loro distruzione. Il sito è stato riscoperto solo nel 1934 dagli archeologi sovietici V.A. Shishkin, e ha richiesto due anni per lo scavo.
Il santuario è stato considerato sacro dai residenti locali e pellegrini che ponevano dei dilemmi e delle domande a un mullah che avrebbe risposto da dietro un muro al fine di preservare l'anonimato per firmatari. Il santuario era una volta il fulcro di un vasto cimitero dove sono stati sepolti anche gli ex emiri di Bukhara.
Durante l'era sovietica, il cimitero locale era pavimentato, e un parco di divertimenti è stato costruito immediatamente adiacente al Santuario, che è ancora in funzione. Un parco è stato anche costruito per circondare completamente il santuario su cui sono visibili le mura della città shaybanite.
E ci si fa il book fotografico del matrimonio davanti, veh!
A breve distanza si trova il mausoleo Chashma-Ayub, nel bel mezzo di un piccolo e antico cimitero. Risale al 1208 e copre un pozzo da cui si dice sgorghi acqua pura e salutare. Questa sarebbe stata fatta scaturire dal tocco del bastone del sant'uomo qui sepolto. Storie non nuove.
Torniamo indietro piano piano verso l'hotel e siamo colmi di meraviglia. Che bello, che bello sentire la storia che scorre nei muri e sottoterra, nelle radici degli alberi vecchi e sul fondo delle melmose piscine, dove riposanoi secoli come pesci ciechi che sentono tutto. E questa luce dolce al caramello che glassa le torri e le cupole rende ogni cosa ancora più dolce, nell'ora e nel momento.
Concludiamo in bellezza la giornata con una cena in grazia di dio in un ristorante chiccoso dove coppiette da tutto il mondo fumano il narghilè e bevono tè. Noi ci lasciamo sedurre dal plov, piatto nazionale uzbeko. Qui è preparato con riso giallo misto a carne d'agnello cotta sul fuoco e carote, uvette e spezie delicate. E' buonissimo!
Siccome la mia salute sembra tenere, domani si riparte, destinazione Navoiy, cittadina di industrie e zone tax-free che sta a 110km da qui. E Samarcanda è sempre più vicina... Oh oh! Cavallo, oh oh!