26/7
Cancun-Tulum (via Riviera maya) con autobus (quinto giorno senza bici nè bagagli)
La notte trascorre pressochè insonne: fino a tardi discutiamo i possibili scenari, e ad ogni vibrazione del telefono ci precipitiamo a leggere sperando ci siano novità. L'attesa a tempo indeterminato è una tortura lenta e terribile, diciamocelo.
Ma dopo troppe speranze deluse, arrivano i messaggi tanto attesi. Gli amici di Gigi si sono attivati e han smosso mari e monti. La compagnia aerea ha inviato una mail. Il call center della sede di Madrid ha risposto a mia zia. Pare proprio che i nostri bagagli siano stati individuati, ancora a Madrid, e saranno imbarcati sul primo volo disponibile, martedì 27. L'entusiasmo galoppa, ma cerchiamo di non lasciarlo correre troppo perchè un'ulteriore delusione potrebbe attenderci, e a quel punto il rischio di perdere tutte le speranze diventerebbe concreto.
Ma bando alle ciance, non possiamo farci immobilizzare dal dubbio, dalle incertezze. Oggi non dobbiamo pensare alle bici al conseguente destino del nostro viaggio. Oggi andiamo a esplorare qualche nuovo lembo di questa terra! Animo!
Le decisioni da prendere sono tante e si affastellano nella mia testa a ritmo folle. Come ottimizzare questi tempi di attesa? Come riorganizzare le tappe e il percorso da pedalare?
L'idea arriva subito: oggi e domani concentriamoci sulla Riviera maya. Così, quando avremo le bici, punteremo direttamente verso Valladolid, Chichen Itza e Merida, recuperando tempo sulla tabella di marcia, ma senza rinunciare a nulla di quanto previsto, anzi pregustato.
Quindi oggi facciamo check out dalla camera, ormai ridotta a mefitica tana, in cui ci rifugiamo da giorni, con l'idea di tornarci domani sera ad accogliere le nostre bici come con festa grande ed eventuali mariachi. Impacchettiamo i nostri quattro stracci puzzolenti e, così, ci tuffiamo nell'aria umida e rovente diretti alla stazione degli autobus, che ormai conosciamo come le nostre tasche. Facciamo il biglietto, direzione Tulum. Gigi riesce anche ad acquistare, nell'attesa, un farmaco importante di cui ha finito la scorta che si era portato nel bagaglio a mano. Oggi tutto va bene e le cose hanno una piega che pare un sorriso.
Ci carichiamo sull'autobus senza aver ancora prenotato un hotel in cui dormire stanotte. Si farà durante il tragitto. E anche in questo siamo fortunati. Troviamo una camera economicissima in una struttura in centro che, oltre ad essere gestita da local e ad avere una vocazione eco-friendly, ha un'estetica meravigliosa.
Il primo impatto con Tulum, oltre alla mazzata in capo della calura, che fa appannare gli occhiali quando si scende dal bus con l'aria condizionata a mille, è quello di una cittadina turistica, sì, ma più sottovoce rispetto a Cancun. In modo più modesto, per quanto non, forse, più autentico. La via centrale è un susseguirsi di negozietti di souvenir e locali. Però non ci sono grandi alberghi, palazzoni e resort che nascondono il mare. Ci sono invece tante case dal tetto di frasche, molte strutture, anche grandi, a mo' di capanna (senza pareti, di legno e con tetto di fogliame) e edifici colorati di murales e mosaici. C'è anche tanta polizia, armata fino ai denti e impegnata a controllare le auto e i camion che transitano dalla città.
Dopo aver preso possesso della nostra stanza, ci ributtiamo in strada, in un caldo devastante che ci scioglie le scarpe e la volontà, diretti alle rovine archeologiche. Costeggiamo ampi tratti di giungla di mangrovie, che qui è tenuta a bada solo a causa della progressiva, lenta ma inarrestabile cementificazione. E forse la flora si rimangerebbe persino strade e case, se ci si distraesse un attimo. Qua e là, per via, si incontrano ambulanti che vendono panini, burritos, frutta esotica dei colori e delle forme più insoliti o cocco fresco appena raccolto e squartato con dei machete alti come me.
Raggiungiamo finalmente. dopo 3km di abbrustolimento, il punto di accesso alle rovine e, da lì, camminiamo ancora per 3km, facendo lo slalom tra finti addetti al sito, che cercano di vendere il loro tour privati, e un labirinto di negozietti e baracchini di souvenir e parafernalia con sombrero e baffi. Stiamo diventando più abili nel districarci, ma la camminata su sterrato tra le mangrovie ci annebbia comunque i già rallentati cervellini. Non ci facciamo abbindolare ma sbagliamo strada, anche perchè qui è tutto un cantiere aperto con decine di operai che buttano giù asfalto rovente; camminiamo tantissimo, poi ancora e ancora per tornare indietro e raggiungere le ruinas vere e proprie. Scopriamo subito che ne è valsa la pena.
Tulum ha un triste primato: fu la prima città maya ad essere avvistata dagli spagnoli, nel 1517, in quanto posta su una scogliera a picco sul mare, roccia su roccia che affaccia a spiagge di sabbia candida e finissima. La posizione era anche stata la sua fortuna: si trattava infatti di un fiorente centro di scambi commerciali via mare; da qui passavano pesce, miele, sale, ossidiana e piume di quetzal. Il periodo di massimo splendore di questa città pare sia stato quello postclassico (1200-1521), quando i maya veleggiavano lungo tutta la costa fino all'attuale Belize. Quando gli spagnoli arrivarono, rimasero stupiti dalle altere mura, dagli edifici dipinti di rosso, azzurro e giallo e dal fuoco rituale che ardeva in cima alla torre di guardia, specchiandosi in mare.
Le mura, che proteggevano gli edifici amministrativi e cerimoniali su tre lati (il quarto affaccia al mare) sono segno di quanto accanite siano state le lotte tra città-stato maya.
Ma dopo soli 75 anni dalla conquista spagnola, qui nessuno viveva più; i maya, comunque, continuarono a recarsi qui in pellegrinaggio e sempre qui i nativi in fuga dalla guerra delle caste trovarono rifugio. Tulum significa, infatti, in lingua maya, muro, e dà l'idea del luogo. Ma questo nome è stato attribuito dagli archeologici che hanno riscoperto il sito nel XX secolo; il nome originale era Zama, alba, che, vista da qui, sul mare, deve proprio essere uno spettacolo.
Gli edifici più interessanti (tutti popolati da iguane), oltre alle mura e alle torri, sono la cosiddetta "Casa del cenote", il tempio del dio del vento, il tempio delle pitture (con murales variopinti e maschere in rilievo) e quello del "dio discendente", una divinità a testa in giù che rappresenta forse il culto delle api e del miele. C'è poi il tempio della stele, che ha fatto impazzire gli studiosi perchè qui han trovato una stele, appunto, con una data di molto precedente (1000 anni!) a quella che tutti concordavano fosse la fondazione della città (la stele si è poi capito che arrivava da un altro luogo vicino ma più antico, Tankah). La struttura più maestosa resta il Castillo, con serpenti piumati in stile tolteco (i Kukulcanes).
scarabeo stercorario con relativa pallina |
In questo sito le rovine e la natura maestosa si completano a vicenda, formando uno spettacolare paesaggio naturale e culturale in perfetto equilibrio. La vegetazione rigogliosa, il mare, i templi, la fauna locale e le rovine sono un unicum dove nulla è di troppo. Si respira una pace antica, e il caldo ha mollato la presa: la brezza salmastra rinfresca l'aria e noi ci godiamo questa meraviglia. Il tempo si ferma per un attimo e tutto resta sospeso tra epoche e mondi.
Finita la visita al sito archeologico decidiamo di non tornare subito verso il centro città, ma di prendere la strada più lunga, decisamente più panoramica, che costeggia il mare. Camminiamo per diversi kilometri sulla spiaggia mentre un temporale incombe (ma abbiamo capito che qui durano poco e, per quanto violenti, portano solo altra caldazza). Prima di raggiungere le spiagge più turistiche passiamo per quelle utilizzate dai pescatori, dove ci sono barche in secca ed altre ormeggiate sul bagnasciuga. Il vento alza la sabbia e fa correre i nuvoloni, mentre le fregate restano sospese in volo come aquiloni.
Oltre ad assistere al passaggio di stormi di pellicani che volano bassi sul pelo dell'acqua, ci imbattiamo in numerosi nidi di tartaruga marina, tutti protetti e ben segnalati in modo da evitare che i passanti li calpestino. Meraviglia delle meraviglie, vediamo anche una tartarughina muovere le sue prime pinnate nel tentativo di uscire dalla buca nella sabbia dove si è schiuso l'uovo. Non le stiamo addosso, però, così da non disturbare il suo arduo cammino verso il mare.
Dopo essere passati in calette da cartolina, che sembrano risuonare delle risate grosse di pirati e avventurieri gonfi di avidità e rum, torniamo in centro con un colectivo. Gigi si concede una banana split in gelateria e io scopro due cose molto importanti. La prima: meglio se evito la panna, perchè mi provoca un immediato contorcimento di budella. La seconda: i bagni, qui a Tulum, si intasano nel peggiore dei modi che potete immaginare e con una facilità estrema. Di questo avremo, ahimè, conferma, anche in albergo, qualche ora più tardi.
Prima di tornare in stanza, facciamo un giro per la città, che ha conservato una marcata vena hippie ma sembra comunque molto vivibile. Ci sono parchi pubblici curati, campi di calcio e da basket popolati da ragazzini, giardinetti con mamme e bimbi e anche un numero piuttosto ampio di senzatetto e cani randagi che, però, non sembrano passarsela neanche malissimo. Fa caldo tutto l'anno, c'è il mare, i turisti abbondano e si riesce a sopravvivere con poco.
Prima di rientrare per una doccia necessaria, facciamo shopping: Gigi compra una t-shirt sportiva in un negozio dell'usato; poi veniamo fagocitato da uno store di vestiti che si chiama Milano (pheega!) e compriamo mutande, calzini e una maglietta per me, il tutto per un totale di 5 euro. Usciamo poi la sera tardi a cenare in un locale losco il giusto, dove, però, si mangiano fajitas, tacos e nachos di bontà divina, il tutto con musica sparata a palla come usa qui. Piove a scroscioni per tutta la sera e tutta la notte. La gente si ubriaca, schiamazza, balla. Il caldo è devastante. Si sta bene, in questo angolino di universo.
tra i tanti murales, spiccano per tamarraggine quelli con vernice fosforescente |
27/6
Tulum - Riserva di Sian Ka'an - Tulum - Cancun
A quanto pare è vero: oggi, stasera, quasi notte, le nostre bici arriveranno da Madrid. Siamo felicemente trepidanti, ma vogliamo anche far buon uso di questa giornata. Quindi abbiamo deciso di andare a visitare la riserva naturale, nonchè patrimonio Unesco, di Sian Ka'an. Ci sono molti tour guidati che portano lì decine di turisti al giorno, ma noi ci andiamo con i mezzi, in autonomia, chiedendo solo un passaggio in barca per visitare le lagune e i canali maya. Oltretutto così si alimenta l'economia delle comunità maya che vivono da quelle parti. Poi con la mia nuova maglia mexicanmaranza posso affrontare la jungla (letto iungla) in scioltezza.
Facciamo colazione in hotel e assistiamo allo spettacolo del piovasco tropicale con sole che illumina le foglie bagnate e le gocce come fossero oro liquido. Poi andiamo alla stazione dei bus e acquistiamo un biglietto per Chunyaxché, che è un pueblo minuscolo a pochi minuti a piedi da Muyil. Qui si trovano delle rovine maya e l'accesso alla riserva. Il biglietto del bus costa 1.5 euro, contro i 150 che fan pagare i tour privati. Certo, il posto a sedere non è garantito e gli orari sono pura opinione, ma noi non abbiamo alcuna fretta. Intanto Gigi cerca di contattare la sua banca perchè sta avendo problemi con le carte e non riesce a pagare nè a ritirare contante. Montezuma colpisce ancora?
Quando arriva il bus ci imbarchiamo e siamo i soli turisti. La cosa mi fa solo piacere. In breve siamo su una strada che buca la vegetazione fitta, giungla di qua e giungla di là. I telefoni perdono la connessione. Un soffio e siamo arrivati. Ci accoglie un centro visitatori gestito dalla locale comunità maya, che si occupa di mantenere i siti archeologici (23) e la riserva della biosfera circostante, che si estende per la bellezza di 5280 kilometri quadrati e va dall'oceano con la sua barriera corallina alla giungla, dalle lagune d'acqua dolce ai canali (naturali e artificiali, costruiti dai maya) che le collegano.
Il primo impatto è subito magico. Le rovine sono immerse nella vegetazione. Ci sono addetti che lavorano al restauro di alcuni edifici, mentre altri, per lo più templi e un castillo, si ergono negli angusti spazi liberi tra tronchi e radici. A terra, un tappeto di petali rossi. Il caldo è devastante, camminare faticosissimo.
Dopo aver visitato le rovine, che risalgono a periodi diversi e stratificati, dal 350 a.C. al 1500 d.C., ed erano fulcro di città che commerciavano con altre popolazioni caraibiche, imbocchiamo un sentiero che conduce all'ingresso della riserva naturale. Vediamo un'infinità di farfalle enormi e coloratissime, uccelli di ogni forma e piumaggio, qualche ombra di scimmia ragno e... Il primo coati! Purtroppo si rifugia nel fogliame pima che io possa fotografarlo. Ma se tutto va bene ne vedremo altri, nei prossimi giorni.
Una volta entrati nella riserva, procediamo su una passerella di legno che passa sopra paludi, acquitrini e un intrico incredibile di radici e foglie. Stiamo con le orecchie tese: si vede poco, ma ogni fruscio può essere un incontro incredibile con la ricchissima fauna selvatica.
A circa metà del sentiero si erge una torre panoramica in legno, composta da diversi ordini di rampe di scale verticali, poco meno che a pioli, inframezzate da terrazzini. Gigi sale tranquillo, mentre io devo vincere tutti i freni che la paura dell'altezza mi pone. Piano piano, un piede per volta, una mano per volta, arrivo anch'io alla sommità, e la meraviglia si spalanca davanti a noi. Si vede la giungla, una coperta verde a perdita d'occhio, in ogni direzione. Solo la laguna, un occhio turchese spalancato al cielo, interrompe questa distesa di linfa densa e spessa. Respiriamo a pieni polmoni. Questa è Sian Ka'an, la "Porta del cielo".
Scendere non è impresa più semplice che salire. Ma, una volta giù, nel giro di pochi minuti, completiamo il sentiero e giungiamo alla prima laguna, dove si trova l'imbarcadero delle lance con cui si possono visitare questi specchi d'acqua dolce e limpidissima incastonati tra giungla e mare (che ospita la seconda più grande barriera corallina dopo quella australiana, e un'infinità di specie marine, dai cetacei alle tartarughe). Questo è habitat da lamantini, ma anche da coccodrilli e oltre 300 specie di uccelli (mentre nella foresta si trovano giaguari, scimmie, tapiri, granchi terricoli giganti...).
Appare davanti a noi una distesa d'acqua che va dal verde al blu, passando per tutte le sfumature di luce ed ombra. Conosciamo Juan, el capitan, che ci guiderà alla scoperta di questi luoghi, con la sua esperienza e le sue placche metalliche a forma di cuore sugli incisivi superiori. Appena saliti, e siamo solo noi tre, dà gas e iniziamo a sfrecciare in questo paradiso alla velocità del vento. Intanto ci spiega quel che sa in merito alle piante, ai pesci, al clima e alla storia di questo posto.
Dopo la folle corsa adrenalinica, che è un sorso di azzurro che finisce dritto nei polmoni, rallentiamo per percorrere il canale artificiale, costruito 500 anni fa dai maya, che mette in comunicazione una laguna con l'altra. L'acqua è trasparente e sul fondo sabbioso si vedono granchi e pesciolini, oltre alle radici delle mangrovie. Intorno, per kilometri, un tappeto fittissimo di piante acquatiche.
Giungiamo nella seconda laguna, e qui i colori sono diversi, ma non meno affascinanti. Con un'altra breve corsa Juan ci porta all'imboccatura di un secondo canale, questa volta naturale, dove è possibile fare il bagno. Gigi ha già rinunciato in partenza, io non vedo l'ora!
Juan mi spiega come funziona. Non serve nuotare, la corrente, pur placida, porta fino alla fine del canale. Mi fa indossare il giubbotto salvagente, che è obbligatorio, a mo' di pannolino, infilando le gambe dove solitamente van le braccia. Così ho una specie di seggiolino galleggiante e non mi resta che godermi l'acqua tiepida e trasparente, nell'ombra delle mangrovie che lasciano filtrare la luce a chiazze. Gigi e il capitan mi aspettano alla fine del canale, che impiego circa 20 minuti a percorrere. 20 minuti di benessere totale, di immersione completa nella natura, di silenzio, di pace purissima. Il fatto che a poca distanza vivano colonie di coccodrilli non mi crea problemi, al massimo mi farò mettere l'uncino anche io.
Purtroppo viene il momento di rientrare. Chiacchieriamo un po' con Juan. Ci spiega che lui è originario di Veracruz, suo papà è mancato ma sua mamma è ancora là. Ci consiglia, ridendo, di assaggiare i tacos di iguana. Racconta che lui fa il barcaiolo e la guida qui, ma può fare solo due corse al giorno; nel resto del tempo fa il carpentiere, e costruisce infissi, porte... Poi rimane fulminato dal nostro viaggio in bici e, in generale, dalle altre esperienze degli scorsi anni. Ci riempie di domande, è entusiasta. Io divento immediatamente El zorro pedaleante. Mi dice, quando gli spiego il percorso qui in Messico, che sono tutte zone spettacolari. Ma poi mi sfiora la testa e chiede, sorridendo: "Que tiene en esta cabezita?". Insomma, mi ha dato della testina anche lui!
Lo salutiamo, ci dà una benedizione un po' blasfema e poi riprendiamo il nostro cammino, ripassando per le rovine di Muyil.
Prendiamo al volo un colectivo vuoto e, nel caldo da coccolone immediato, torniamo a Tulum. Qui facciamo una sosta acqua (si beve tanto, ma tanto tanto) e scopro che il nome dell'imperatore Carlo V, che possedeva, nel Cinquecento, tutto il vecchio e il nuovo mondo, è finito su una bevanda tristissima al cioccolato, di quelle che ti fanno venire il cagotto immediato, anzi, preventivo. Che curiosa forma di vendetta!
Con calma recuperiamo i bagagli in hotel, dove ci salutano con molto meno entusiasmo ora che han visto quanto fosse intasato il wc. Facciamo due passi e torniamo alla stazione dei bus, dove ci imbarchiamo per tornare a Cancun. Stasera è la sera delle sere. Arrivano le bici. Forse.
Burrito al volo e via in hotel, lo stesso dei giorni scorsi, ma in una camera più bella. E' per festeggiare! Aspettiamo in trepidante attesa notizie da parte dell'omino dei bagagli. Il silenzio ci tiene sulle spine.
Ma poi... Eccolo! Mi manda su Whatsapp le foto di tutti i nostri scatoloni, perfettamente intatti, tra le sue mani, sul suo carrellino. Gioia! Gaudio! Ho fatto bene oggi a fargli gli auguri per il suo compleanno, è una brava persona e ci sta salvando il culo (oltre agli amici di Gigi che non ringrazieremo mai abbastanza). C'è un attimo di panico perchè mi scrive che lo hanno fermato alla dogana e vogliono fargli pagare una tassa. Ci dice di raggiungerlo immediatamente all'aeroporto, e che lui sta per avere una crisi di nervi e di pianto. Ci vestiamo di corsa per uscire... Ma il problema si risolve quando gli agenti brillantissimi capiscono che nel mio scatolone, che è quello di un tagliaerba, non c'è un tagliaerba, ma vestiti, scarpe e cianfrusaglie varie che servono per il viaggio. Ora siamo in camera e lo stiamo aspettando. Oggi è il giorno dei giorni. Domani si parte pedalando, finalmente!