Sarà notte e agosto
Quando cambiano la guardia le stelle. E le montagne leggere
Piene di vento buio sono appena sopra la linea dell’orizzonte
Intorno odore di erba bruciata.
E una pena di ignota stirpe
Che dall’alto
scende in un rivo sul mare addormentato
Risplende dentro di me tutto quel che ignoro. E tuttavia risplende.
(Elitis)
19/8/21
Hofn-Reynivellir
71km
Con oggi è ufficialmente iniziata l'ultima sezione del nostro viaggio in Islanda (pedalanda). Abbiamo infatti accumulato, fin qui, un tesoretto di giorni extra che ora, essendo a meno di 400km da Reykjavik, possiamo iniziare a spendere senza tema di difficoltà insormontabili e conseguenti ritardi. In soldoni ciò significa permetterci tappe più brevi e più umane, che ci consentano di godere la meraviglia di questa terra incantata (davvero sembra di muoversi sul set di un fantasy) senza che l'andare sia martirio e via crucis.
Oggi, ad esempio, ci siamo tenuti ampiamente sotto ai 100km quotidiani che sono il mio rito di viaggio, e ci siamo anche concessi (prima e unica volta, causa prezzi proibitivi) una sera in una struttura, e non in tenda. E chi vuol intendere...
Stamattina siamo partiti lentissimi e con calmissima, proprio nell'idea di avere una giornata di fatica dimezzata e doppio tempo da godersi. Abbiamo incrociato i francesi di Djupivogur, che, più o meno come noi, hanno deciso che da qui alla capitale se la prenderanno comoda. Infatti oggi si scaraventano su un bus e saltano a pie' pari i 130km senza città che noi spezzeremo in due tappe. Poi andiamo a fare la spesa, perchè nel paesino dove ci fermeremo stasera non ci sono negozi. Certo, la fattoria in cui dormiamo ha anche il ristorante, ma pecore e agnelli che vedo da settimane liberi nel prato non voglio finiscano nel mio piatto.
Stipiamo la bici (ormai porto carichi come un mulo andino, non mi faccio problema di comprare verdura in tolla e frutta e roba pesantissima ma di cui ho gola) e partiamo. Dopo 100 metri incrociamo i due bresciani, che ci dicono che ieri si sono fermati prima di noi, in una guesthouse, e han fatto le ore piccole con un gruppone di italiani che festeggiava il compleanno di una della comitiva.
Poi si va davvero, ed è passato il mezzogiorno. La luce è sempre quella delle sei di sera di un novembre padano, ma almeno non piove e il vento tace.
Usciamo da Hofn, riprendiamo la 1 e salutiamo le ultime fattorie sparse i monti che si sgretolano, qui particolarmente maestosi, come giganti assopiti in un sonno di disfacimento briciola a briciola, granello a granello.
Non serve pedalare a lungo prima di iniziare ad intravedere le lunghe lingue di ghiaccio bianco e azzurrognolo del Vatnajökull; trattasi di cappa di ghiaccio che, con circa 8.100 km², è la più grande d'Europa per volume e la quarta al mondo dopo le calotte glaciali dell'Antartide, della Groenlandia ed il Campo de Hielo Sur in Patagonia
Ho il sospetto che parte del fresco freschissimo di questi giorni derivi dalla presenza di questo immenso freezer lasciato aperto, spalancato al cielo, così grande da debordare dal plateau di roccia (e vulcani attivi) su cui è adagiato e riversarsi a terra con gelidi rigurgiti che catturano la poca luce e la riflettono a kilometri (pare fino a 550, dalle Fær Øer.
Inutile dire che un panorama del genere non si vede che qui, nella terra del ghiaccio e del fuoco. Cosa che procura non pochi problemi a chi abita queste terre, fra l'altro. Tra i vulcani attivi che ribollono sotto alla massa di ghiaccio ce n'è uno, il Grímsvötn le cui ultime eruzioni risalgono al 1996 e 1998. La prima, in particolare, ha sciolto circa 3 km³ di ghiaccio creando un enorme lago che, a distanza di un mese, si è riversato a valle provocando il jökulhlaup, cioè la temutissima inondazione dall'alto che spazza via case e bestie e anime.
Ogni ghiacciaio vallivo, al pari di ogni valle, ha un suo proprio nome e un suo fiume dal largo letto che scorre al vicinissimo mare. Ne passiamo diversi, tutti su ponti a una corsia.
Dove il ghiaccio non deborda lascia comunque intuire la sua presenza con vapori gelidi che si levano tutt'attorno, proprio come quando si apre una cella frigorifera. Nei laghi attorno impavidi cigni galleggiano. Qualcuno si trasformerà in principessa, qualcuno in cavaliere maledetto per un'antica colpa.
Le montagne intorno non sono altissime, circa 700 metri, ma arrivano alla media di 1200 (con picco massimo a 2110m) aggiungendo la massa di ghiaccio, che va dai 380 ai 950m di spessore che sulle loro spalle grava. Infatti il profilo di queste alture è corrucciato, come una fronte aggrottata che cade a pezzi e si sgretola per l'enorme fatica di sostenere tutto quel gelo.
A tratti poi, quando lo sguardo non si perde nella massa del Vatnajokull, mi accorgo di formazioni rocciose simili a colonne di pietra, che, nella loro forma irregolare e inattesa, paiono statue o persone immobili, monaci incappucciati in preghiera, pellegrini rimasti congelati e poi pietrificati.
I petali di ghiaccio si sfogliano uno ad uno davanti ai nostri occhi, e sembrano onde di mare o cascate rimaste intrappolate fuori dal fluire del tempo, che è misura di movimento.
Lì tutto è immobile, almeno a un primo sguardo. Purtroppo, però, anche questa immensa calotta di ghiaccio si sta sciogliendo a causa del cambiamento climatico. Ora è grande quanto la Corsica, ma tra qualche decina d'anni potrebbe trasformarsi in una miseranda pozza d'acqua, dopo essersi portata via con sè tutte le comunità che abitano sulla costa.
La costa a ridosso delle propaggini del ghiacciaio, in realtà, è la più antropizzata vista finora. Ci sono poche abitazioni, sì, ma le fattorie sparse sono circondate da km di campi coltivati a foraggio, e tutto è recintato e le pecore pascolano in spazi immensi ma non sconfinati
L'unica sosta che facciamo è una pausa pipì sotto ponte, con vista
A metà strada si alza di nuovo il vento e i restanti 30km sono una sofferenza, e per fortuna sono pochi. Ci diamo il cambio ogni km, tirando come bestie su rettilinei che non danno tregua.
Certo, la bellezza malinconia e sommessa del paesaggio intorno aiuta un poco a lenire la fatica. Il mare, chiarissimo, d'argento, i cavalli dalle criniere spettinate al vento, il profumo salmastro e di erba umida, i monti dalle creste acuminate e nere, il candore del cotone selvatico e il belato e la buffa corsa con le chiappone di lana delle pecore danno senso all'andare. Che è duro sempre e mai scontato, ma facile, qui.
La strada si srotola ostinatamente diritta e sempre dobbiamo affrontare Eolo e la sua furia. Ma manca poco.
Quando il mio ginocchio proprio non ce la fa più, ecco il bivio per Reynivellir, il minuscolo agglomerato di case e cascine in cui abbiamo prenotato un alloggio per stasera. Ci accoglie il Thorbergssetur, museo con ristorante visitato dai più solo ed esclusivamente per quest'ultimo. L'esposizione è dedicata alla vita degli abitanti della zona e ai suoi personaggi illustri.
Dopo qualche colpo di pedale siamo alla Gerdi Guesthouse, che è una fattoria con 500 pecore e cavalli, un ristorante che le propone nel piatto e una struttura che funge da albergo. La vista, appena si getta lo sguardo oltre il vetro della finestra, è impagabile. Il mare, da un lato, i monti e la linea di costa, dall'altro. E, poco distante, la perla che ci attende domani, il Jökulsárlón, lago in cui il ghiacciaio si sgretola in iceberg che galleggiano verso l'oceano.
Concludo condividendo con voi un guilty pleasure scoperto da pochi giorni. Mi costerà la cittadinanza italiana, ma non posso tenere per me un tale segreto. Spaghetti proteici precotti in busta conditi con maionese piccante. Provare per credere.
20/8/21
Reynivellir-Svinafell
77km
Quella di oggi è stata la giornata di svolta, di ritorno alla bellezza, di ritrovato senso. Dopo una fatica disumana e in condizioni di disagio continuo, che mi avevano allontanata dal significato del cercare la meraviglia un colpo di pedale alla volta, con oggi sono tornata in uno stato di grazia sufficiente da avere di nuovo occhi per guardare, e per vedere quanto sia spettacolare questa terra grandiosa di assoluti intatti e purissimi.
Questa mattina siamo partiti con calma ma non troppo, dopo aver asciugato i nostri quattro stracci lavati ieri grazie al pavimento riscaldato con energia geotermica. Abbiamo oliato le catene e le articolazioni e siamo partiti in un clima molto più freddo del solito, intorno ai 4-5 gradi, ma senza pioggia e senza vento.
Mentre si chiudevano le borse mi sono intravista nello specchio, cosa che succede abbastanza di rado, vivendo tra campeggi e prati, e sono rimasta colpita dalla forma da volpe artica che ho assunto.
Abbiamo lasciato le quattro case di Reynivellir e, con partenza in salita, siamo tornati sulla nostra amata Ring road, che stiamo percorrendo in senso antiorario per tornare alla capitale.
I primi kilometri sono stati di nera pianura lavica, mossa a tratti da leggere ondulazioni. Un paesaggio di tundra desolata, con il mare chiarissimo quasi bianco a sinistra, che non fa riverbero perchè la luce manca, e il profilo dei monti cupi e nebbiosi a destra. Ma sapevo che, di lì a poco, saremmo incappati in qualcosa di magnifico e unico.
Stavamo infatti pedalando in direzione della Jökulsárlón, la laguna glaciale più famosa d'Islanda che, insieme al ghiacciaio che la origina, costituisce il parco naturale più grande d'Europa, se dal vecchio continente escludiamo la Russia.
Questo luogo della meraviglia più pura si spalanca improvviso davanti agli occhi, senza dare tempo di prepararsi allo spettacolo, scorgendolo di lontano. La temperatura scende di parecchi gradi ma è un freddo secco, che passa restando in movimento. E il gioco di azzurri e bianchi che riflettono la luce, mentre gli iceberg si inseguono come diamanti di nuvola fino al mare, è di bellezza indescrivibile.
Questo luogo non è sempre esistito, anzi, è nato di recente, in questa terra giovane che muta e ribolle di continuo. "Intorno al 900 dC, quando i primi coloni arrivarono in Islanda, il bordo del Breiðamerkurjökull (la lingua del Vatnajokull da cui nasce la laguna) era circa 20 chilometri più a nord rispetto alla sua posizione attuale. Durante il breve periodo glaciale, tra il 1600 e il 1900, le temperature fredde che prevalgono in queste latitudini fecero crescere il ghiacciaio di circa 1 chilometro. Poi, con l'aumento delle temperature tra il 1920 e il 1965, nuove modifiche trasformarono il ghiacciaio. Cominciarono a cadere rapidamente dei pezzi di ghiaccio di varie dimensioni, creando nella loro scia una laguna, negli anni 1934-1935. Le sue dimensioni passarono da 7,9 km² nel 1975 a 18 km² oggi", ahimè a causa del rapido scioglimento del ghiacciaio dovuto al surriscaldamento globale". (Wikipedia)
Spettacolari sono anche i giochi cromatici creati dagli iceberg, che hanno tonalità diversissime, che vanno dall'intera gamma di bianchi e turchese al nero della cenere al blu profondo, ma anche al giallo, a causa del solfuro di origine vulcanica.
"Il lago Jökulsárlón offre una vista eccezionale sulla calotta ghiacciata, che qui si trova ad un'altezza di 910 metri. Servono 19 kilometri i "scivolo" prima che il ghiaccio raggiunga la laguna. In estate, gli iceberg possono derivare nel lago, fino alla sua bocca, dove si fondono gradualmente prima di scomparire nel mare. D'inverno, il lago congela e blocca gli iceberg. Gli enormi blocchi di ghiaccio che si staccano dal Vatnajökull possono raggiungere i 30 m di altezza.
La velocità impressionante alla quale il Vatnajökull si ritira suggerisce la possibile nascita di un fiordo profondo. Inoltre, questo fenomeno di scioglimento è anche visto come una minaccia a lungo termine per la Strada nº1. Delle misure di protezione per il ponte sono già state messe in atto, compresa la costruzione di una diga. Quest'ultima facilita l'accesso al sito per le macchine di cantiere e di protezione, come durante la posa di pietre per evitare agli iceberg di colpire i pilastri del ponte."
"Il lago è pieno di pesci che arrivano dal mare grazie alle maree. Le foche si riuniscono alla bocca del lago per catturarli. Possono essere viste mentre nuotano nel lago, o quando sono sdraiate sugli iceberg.
Un gran numero di uccelli marini, come le sterne artiche o i gabbiani hanno i loro nidi nelle vicinanze, e si riuniscono per la cattura delle aringhe, trote, dei salmoni e altri pesci o ancora del krill. Durante la stagione estiva, lo stercorario maggiore costruisce il proprio nido sul lago. Questi ultimi, riconoscibili grazie ai loro colori scuri e decorazioni bianche sulle ali, sono anche chiamati "pirati del mare". Molto aggressivi, possono molestare altri uccelli come le sule bassane, presenti anche loro intorno al lago. Sono anche predatori delle famose pulcinelle di mare".
Qui sono anche state girate diverse scene di film ben noti, due della serie 007, Batman Begins e Lara Croft: Tomb Raider. E i turisti sono numerosi, attratti anche dalle escursioni su mezzi anfibi che portano a vedere gli iceberg da vicino, oltrechè le grotte nel ghiacciaio.
Noi rimaniamo a lungo incantati ad osservare il movimento, lento ma continuo, dei blocchi di ghiaccio, che scivolano silenziosamente portati dalla corrente, dai vulcani all'oceano, e collidono, si scontrano, incontrano, fondono, fino a trovare pace dopo aver riflesso ogni goccia di luce. Ecco perchè sono qui. Ecco perchè tutta quella fatica. Per questo istante e gli altri mille raccolti per via, come tasselli preziosissimi di un mosaico che sto costruendo con ricordi ed esperienze. La mia vita. Questa è la tessera azzurro-ghiaccio.
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ci sono anche le volpi artiche! |
Andarsene è difficile. Lasciare questo luogo è impresa ardua. Ma il freddo sta iniziando a congelarci il volto e le mani, e la strada ci chiama per nome. La tappa è breve, mancano solo una cinquantina di km, ma sappiamo che qui ogni metro può diventare infinito controvento o nel diluvio, e la via è piena di insidie.
Continuiamo a costeggiare il ghiacciaio, e le sue lingue ad ogni valle ci osservano con occhi pallidi, che fanno contrasto con la terra nera di antiche eruzioni.
Il vento si alza, come sempre, ma questa volta è a favore e ci sospinge gentile verso la meta. Oggi è una giornata benedetta da tutte le divinità pagane che governano gli elementi dell'isola. Oggi è un giorno pieno di una grazia antica.
Superiamo, godendoci ogni metro, altri laghi di origine glaciale, i loro fiumi che scendono alla spiaggia e il loro argenteo riflesso.
Il piano poi torna a corrucciarsi del profilo in rovina dei monti di sabbia nera e roccia friabile,
e pare di intravedere rovine di castelli e torrioni crollati sotto i colpi del tempo.
Ci fermiamo, poichè è molto presto, in un caffè che sorge proprio ai piedi della montagna più alta d'Islanda, che è un vulcano, lo Hvannadalshnjúkur (2019m)
Fa parte del Parco nazionale Skaftafell ed è la cima più elevata del bordo del cratere ricoperto di ghiaccio Öræfajökull, il cui nome significa ghiacciaio del deserto. Venne così denominato dopo una grande eruzione avvenuta nel 1362, che ha distrutto molte fattorie della zona. L'ultima volta che il vulcano ha eruttato è stato nel 1728, e, benché le fattorie siano state ricostruite, questa zona è conosciuta come Öræfi, terreno deserto.
Nel locale incontriamo due ciclisti in fat bike e assetto bike packing. Sono bardati da pioggia come palombari e ci chiedono se da dove veniamo ha messo acqua. No. Allora si spogliano e riprendono il cammino, in direzione opposta alla nostra. Noi ci concediamo un caffè bollente (io) e un panino prosciutto e formaggio mandato giù con cioccolata calda (Gigi). E poi lui non resiste al richiamo di una tavoletta di cioccolato Omnom, pluripremiato dolce gourmet islandese che vende in tutto il mondo. Finiamo su una tavoletta al latte con liquirizia, per tenere alti il morale e la pressione. Anche il packaging è opera d'arte.
Nel caffè è allestita anche una personale fotografica con scatti veramente incredibili, che ritraggono le grotte di ghiaccio e la fauna locale.
Ripartiamo per gli ultimi kilometri, dolcemente in discesa e a favore di vento. E' tornato il freddo, che cala dalla calotta del ghiacciaio, ma siamo quasi giunti alla meta: il campeggio di Svinafell (che per tutto ieri e pure oggi ho letto SNivafell, con forma di dislessia dovuta all'assonanza snow/neve/sniva).
Pare d'essere nella Terra di Mezzo.
Facciamo un piccolo detour per la spesa della cena e della colazione (questi paesini sono sprovvisti di negozi e bisogna spingersi alla stazione di benzina, che di solito offre anche mini shop e ristorantino fast food. I prezzi sono spaventosi ma c'è anche da dire che rifornire questi luoghi e mantenerli aperti è impresa non facile).
Il campeggio si popola man mano, quando noi siamo già docciati e sistemati. Ci sono grupponi di gite organizzate da operatori turistici, che offrono poi le tende tutte uguali o l'alloggio in casetta.
Intorno, prati e pecore, e i monti ghiacciati a chiudere l'orizzonte. Ora, dalla cucina/sala comune, sale un tepore gonfio di risate e chiacchiere in molte lingue, una Babele dolce nella luce giallastra velata dai fumi delle pentole e dai vapori umani. Domani ci spingeremo fino a Kirkjubæjarklaustur, sempre un passo più vicini al rientro. Ma se prima contavo i kilometri e giorni, ora sono tornata a perderne il conto, distratta dalla bellezza. E andrei avanti ancora e ancora, sempre ad esplorare un poco oltre l'orizzonte. Ma settembre incombe e l'anno di prova per il ruolo mi attende al varco.
Una nota a margine, ora che sono fresca di "studi" del percorso di domani. Qui i supermercati e i negozi, anche nelle città, aprono tardi (9, spesso 10, nei weekend anche 11) e chiudono presto (18, 16 o 15 nei weekend). In Islanda stanno facendo degli esperimenti sulla riduzione dell'orario di lavoro, e pare che effettivamente si produca di più e meglio sapendo che le ore d'ufficio sono poche, quindi win-win: gli impiegati hanno più ore libere e riescono a gestire meglio gli equilibri lavoro/famiglia/privato/ svago; le aziende ottengono una pari resa ma risparmiano sull'apertura fisica dei locali.
Altra nota a margine. Siccome abbiamo qualche momento libero in più, con queste tappe brevi, ci stiamo occupando di alcune faccenducole. Ad esempio, Gigi ha trovato chi ci accompagna a casa dall'aeroporto. Io ho appuntamento il 27 alle 16,30 allo studio Valkyrie Tattoo di Reykjavik, studio gestito da sole fanciulle. E' mia abitudine, alla fine di un cicloviaggio, sigillare con l'inchiostro sottopelle l'esperienza. So anche già cosa mi farò tatuare, ma per ora è segreto professionale tra me e le valchirie.
Che peccato anche per noi follower, tra poco terminerai anche questo viaggio. È bello per 3 mesi, alzarsi fare il caffè e leggere le tue simpatiche e ardue imprese. Quando forse verso i 90 anni non pedalerai cosi tanto, sarai tutta tatuata. Sarai anche tu un libro di viaggi.
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