sabato 7 luglio 2018

10. PERSEPOLI. La pietra che canta muta la grandezza dell'impero persiano. Arrivo a SHIRAZ



Io, Dario il Grande, re dei re, re delle nazioni, re su queste terre, figlio di Istaspe, l'Achemenide.
In questo posto in cui la fortezza è stata costruita, dove in precedenza nessuna fortezza era stata costruita. Con la grazia di Ahuramazda, ho costruito questa fortezza che era volere di Ahuramazda, tutti gli dei (sono) con lui, (sapendo) che la fortezza è stata costruita. E io l’ho costruita, completata e resa bella e durevole, ed è stata ordinata da me.



Così recita un’iscrizione cuneiforme trilingue incisa sulla facciata meridionale di Persepoli, città di Persia per antonomasia, che ancor oggi manifesta l’immensa potenza di quello che fu uno dei più vasti e forti imperi dell’antichità, che si estendeva dagli orli d’Europa all’India, tenendo sotto al proprio giogo i più diversi popoli. Terra e acqua chiedevano i persiani alle città e alle genti che finivano sotto l’ombra lunghissima della mano del Re dei Re.

Visitare le rovine di questa capitale è stata per me un’esperienza davvero emozionante; si percepisce, in mezzo alle rovine, un’aura di potere, di dovuta reverenza, di austerità e sconfinata forza che, nei momenti di massimo splendore, hanno fatto cadere in ginocchio e chinare il capo alla metà del mondo conosciuto (ma non ad una manciata di disorganizzati soldati di Grecia, increduli a loro volta della vittoria, tanto da farne epopea nazionale e vanto per l’eternità: l’uomo libero e democratico che vince sul tiranno hybristes che vive con i propri piedi posati sull’oro e sulle teste degli schiavi). Finalmente posso respirare davvero questa infinita potenza, questa ombra lunghissima di conquiste e leggi e dazi, di arte e fuoco sacro rivolto al cielo, di sangue e di incenso e pietra nera. Ora comprendo Erodoto, comprendo Eschilo e vedo il coraggio di Leonida e la rabbia spavalda degli Ioni, sento il furore della vendetta quando l’acropoli di Atene fu divorata dalle fiamme dei persiani e si creò la colmata, e la gioia salata di lacrime dopo Maratona e Salamina. E vedo anche la grandezza dei vinti, il loro splendore colossale che incute rispetto e timore ancora oggi. Non come fecero Alessandro il Macedone e i suoi uomini, più tracotanti del Re dei Re: per ubriachezza, rabbia, furor o sete di vendetta distrussero la capitale achemenide, la saccheggiarono e la diedero alle fiamme.

Ancora più misteriosa diventa la storia di questo luogo, dopo il fumo e la cenere, poiché tra i persiani della tarda antichità si credeva che i monumenti fossero stati costruiti da Jamshid, una figura della mitologia persiana: il sito fu noto infatti come Trono di Jamshid sin dai tempi dei Sassanidi, dal III secolo.
In realtà le evidenze archeologiche dimostrano che fu Dario I, alla fine del VI secolo a.C., a far costruire, sulla cima di una collina ingentilita da un fiume, la propria residenza, terrazzamenti e palazzi, colonne e porte. Suo figlio Serse continuò i lavori mastodontici e ulteriori modifiche vennero apportate fino alla fine dell’impero Achemenide; era una città lontana dal cuore pulsante dell’impero, nascosta tra i monti, tanto che i greci non ne seppero nulla fino all’arrivo di Alessandro (che con le sue fiamme distrusse anche l’ampia biblioteca che raccoglieva innumerevoli opere storiche e religiose zoroastriane, scritte, si dice, con inchiosto d’oro su pelli di mucca). Anche ai romani rimase per lo più ignota la città, che cadde in rovina sempre più, soprattutto dopo la conquista islamica.

La visita inizia presto, appena dopo colazione, per evitare che il sole abbacinante ed il caldo feroce come i leoni dagli artigli di pietra ci rincoglioniscano ancor più di quanto già non siamo.
La città si erge su una terrazza scavata sul fianco del colle ed è protetta da un muro dai blocchi colossali; si accede passando per la scalinata monumentale, che fa sentire piccoli piccoli, minuscoli in contronto ai blocchi enormi di roccia chiara, tagliati dal colle e squadrati per portare ordine sul caos. I gradini sono bassi perché ci si poteva salire a cavallo, ma anche perché di lì dovevano passare i dignitari e gli alti funzionari provenienti da tutto l’impero: potevano essere anziani e comunque dovevano poter salire mantenendo una postura dignitosa, senza piegarsi in avanti.




Dopo la doppia scalinata si giunge all’impressionante Porta di tutte le Nazioni. Due lamassu a forma di toro con teste di uomini barbuti custodiscono la soglia occidentale, mentre quella orientale è presieduta da altri due guardiani silenziosi, con ali e teste persiane, a riflettere il potere dell'impero. Qui, incisi in alto, si leggono il nome e la dedica di Serse I, in tre lingue (persiano antico, elami e babilonese
Ahuramazda è un grande dio per aver creato la terra, il cielo, l'uomo e per lui la felicità, colui che creò Serse e lo fece diventare Re, Re dei Re, Re dei differenti popoli, Re di questo mondo vasto e immenso, sono figlio di Dario il Re, discendo dagli Achemenidi.
Serse, il grande re, dichiara: io ho costruito questa "Porta di Tutti i Popoli" E molti altri edifici eretti da me dal mio padre. Quello che abbiamo costruito di bello è stato per ispirazione divina. Serse il grande Re dichiara: Ahuramazda protegga me il mio regno, protegga quello che ho costruito io e che ha costruito mio padre







Superato l’ingresso si accede al Viale delle processioni, che termina con la Porta incompiuta. Essa conduce ad un cortile che si apre sul Palazzo delle 100 colonne. Una doppia parete confina con il viale su entrambi i lati, proteggendo il Palazzo dell'Apadana da sguardi indiscreti. Delle sale per le guardie si trovavano ad essa collegate. Solo le parti inferiori delle pareti rimangono oggi, ma alcuni credono raggiungessero l'altezza delle statue lamassu. In una nicchia su un lato del viale, vi sono due teste di grifone.









In un attimo si raggiunge il maestoso Palazzo delle 100 colonne, il cui solo nome incute rispetto; non una, non dieci, ma cento per il Re dei Re. E’ l’edificio più grande della città, con lati di 70 metri. Due tori colossali costituiscono le basi delle colonne principali, alte 18 metri. Tra queste rappresentazioni, si descrive l'ordine delle cose, mostrato da cima a fondo: Ahuramazda, il re sul suo trono, poi diverse file di soldati che lo sostengono. Il sovrano detiene quindi il suo potere, che gli proviene da Ahuramazda che lo protegge, e controlla l'esercito che espande  e controlla il suo dominio.













Usciti da lì si raggiunge il Tesoro, 10000 metri quadrati e due sole piccole porte; costruito da Dario, era dettagliatamente schedato nelle tavolette di legno e d'argilla, di cui ne sono state trovate alcune che specificano l'ammontare dei salari e dei benefici pagati ai lavoratori che costruirono il sito. Secondo Plutarco 10000 muli e 5000 cammelli furono necessari ad Alessandro Magno per portare via il tesoro di Persepoli. Il bassorilievo rappresenta il re, probabilmente Serse I (o il padre Dario I) sul trono, mentre riceve un ufficiale medio inclinato in avanti intento a portare la mano destra alle labbra in segno di rispetto. Potrebbe essere un tribuno, un comandante di 1000 guardie, o un governatore del Tesoro. Il principe ereditario e un nobile persiano si trovano in piedi dietro al sovrano. Due portatori di incenso sono tra il re e i dignitari.
Non distante si trovano le caserme, che potevano ospitare migliaia di soldati; il macedone lasciò lì una guarnigione di 3000 uomini.




Da lì si può salire fino a quella che viene identificata come la tomba di Artaserse II, che permette di godere di una vista d’insieme sulle rovine. Gli altri re achemenidi, escluso Ciro di cui abbiamo visto la tomba a Pasargadae, si trovano nella vicina necropoli di Naghsh-e Rostam.










Si ridescende verso il gineceo, erroneamente chiamato harem. Il suo centro è composto da una sala con colonnati, aperta a nord su un cortile con un portico. La sala aveva quattro ingressi, le cui porte erano decorate con bassorilievi. Quelli laterali mostrano ancora scene di lotta eroica ricordando quelle del Palazzo delle 100 colonne. Il re è infatti mostrato alle prese con un animale chimerico (leone-toro cornuto e alato, e coda di scorpione) che potrebbe essere una rappresentazione di Ahriman, divinità malvagia. L'eroe affonda la spada nel ventre della bestia che gli sta di fronte. Il bassorilievo a sud mostra Serse I, seguito dai servi, in una scena identica a quella del palazzo Hadish. La parte meridionale dell'ala e l'altra ala che si estende ad Occidente presentano una serie di venticinque appartamenti ipostili con sedici colonne ciascuno. L'edificio dispone anche di due scale che lo collegano con l'Hadish, e due cortili che potrebbero corrispondere ai giardini chiusi.
Non è certo che il gineceo potesse essere un luogo di residenza delle donne. Secondo alcuni, la sezione centrale avrebbe potuto essere destinata alla regina e al suo seguito. Altri credono che le donne vivevano al di fuori delle mura. La funzione dell'edificio rimane controversa. Oggi, parzialmente restaurato, ospita il piccolo museo ricco di reperti trovati in loco.














Da lì si sale al Tachara, o Palazzo di Dario, rimaneggiato poi dai sovrani successivi. Le decorazioni della scalinata sud presentano dei simboli di Norouz: un leone che divora un toro. Le parti ascendenti rappresentano dei medi e arachosi che portano animali, barattoli e bottiglie. Questi sono probabilmente sacerdoti provenienti da luoghi sacri zoroastriani. Il pannello centrale mostra due gruppi di nuove guardie e tre pannelli con iscrizione trilingue di Serse II: il palazzo fu costruito da suo padre; il tutto è sormontato dal disco alato, simbolo o di Ahuramazda o della gloria reale, fiancheggiato da due sfingi.




















Si giunge poi al piccolo Trypilon, o Sala delle udienze, e all’Hadish, o Palazzo di Serse; 





infine il clou, l’Apadana. Dario il Grande costruì il più maestoso palazzo di Persepoliper le udienze ufficiali. I lavori iniziarono nel 515 a.C., e suo figlio, Serse I, lo completò trent'anni dopo. Il palazzo aveva una grande sala a forma quadrata, e ognuno dei lati misurava 60 metri. C'erano 72 colonne, tredici delle quali si trovano ancora erette sull'enorme piattaforma. Ogni colonna era alta 19 metri con un plinto quadrato a forma di toro. La sommità delle colonne era costituita da sculture rappresentanti animali come tori a due teste, leoni e aquile. Le colonne erano unite tra loro con travi di quercia e cedro, provenienti dal Libano. Le pareti erano coperte da uno strato di fango e stucco; ai lati c'erano tre portici rettangolari. Vennero costruite due grandi scalinate, simmetriche tra loro e collegate alle fondazioni in pietra. Per proteggere il tetto dall'erosione, vennero realizzati canali di scolo verticali che scendevano attraverso le pareti di mattoni. Nei quattro angoli dell'Apadana, rivolte verso l'esterno, vennero costruite quattro torri. Le pareti erano piastrellate e decorate con immagini di leoni, tori e fiori di loto. Dario ordinò di incidere il suo nome e i dettagli del suo impero, in oro e argento, su piatti che vennero collocati in contenitori di pietra nelle fondamenta sotto i quattro angoli del palazzo. Le viste frontali esterne del palazzo erano in rilievo con sculture degli Immortali, guardie d'élite dei re.





















Dopo aver respirato tanta grandezza ed esseri sentita minuscola davanti a tuta quella storia immensa di popoli e re, ci siamo lasciati alle spalle le maestose rovine. Tra me e me pensavo a Guccini:
“Cadranno i secoli, gli dei e le dee, cadranno torri, cadranno regni
e resteranno di uomini e di idee, polvere e segni;
ma ora capisco il mio non capire, che una risposta non ci sarà,
che la risposta sull'avvenire è in una voce che chiederà:
Shomèr ma mi-llailah?”




Ma la strada chiamava ancora. Siamo tornati in hotel e ci siamo preparati per ripartire alla volta di Shiraz, a soli 60km di distanza. Purtroppo per l’ora e la posizione, tra valloni e monti, hanno fatto sì che il caldo atroce ci violentasse gli occhi e il cervello. Appena usciti da Persepoli abbiamo incrociato i “cammelli DECORATI” (definizione di Raymond, ben esperto nel settore) 






e poi l’incasinatissima città di Marvadsht, dove il traffico allucinante ci ha rallentati e il Puill è stato pure preso dentro da un’auto (qui ci si immette alla Inshallah, senza guardare precedenze, rossi, frecce, sensi unici e altri dettagli). Per fortuna se l’è cavata con una sbucciatura e niente più. Dopo qualche sosta, qualche parola scambiata con i curiosi, alcune lattine di aranciata regalateci e l’obiettivo di non farci donare frutta almeno per qualche giorno, abbiamo proseguito passandro le statue con i combattenti e il lunapark presidiato dalle foto dei martiri morti in guerra.





Quello che credo sia un tempio del fuoco ha dato inizio ad una serie di salite estenuanti, per il caldo e lo smog dei camion che salgono lenti lenti sbuffando calore e fumo nero. 






Poi, accanto ad un’area militare dove stavano sparando, finalmente il cartello per Shiraz.



Discesissima, clacson e saluti, e via in città 




attraverso la porta Quran e la tomba del poeta Kermani. E’ giusto passare per di qui, per accedere alla città patria dei più grandi poeti di Persia.







Abbiamo trovato alloggio in una bella casa tradizionale nella kashba; nel cortile si è anche cenato con piatti tipici di Shiraz e la bevanda con semi di basilico che rinfresca pure l’anima. 





Domani ci fermeremo a visitare monumenti e musei, prima di ripartire verso nord, tagliando a metà l’Iran, attravero Yazd e il deserto sterile. Sarà avventura, solo sabbia e cielo e una striscia d’asfalto alle spalle e davanti agli occhi. E già 1000km son fatti, ora.

Ma non prima dell'ennesimo selfie con le bambine che hanno anche chiesto (e ottenuto) di darmi un bacio a testa sulla guancia! 



1 commento:

  1. Il cuore ci spinge a fare cose che spesso la mente rifiuta. Quando avviene è perché il cuore le parla e le dice: “Vieni, dammi la mano e seguimi. Non avere paura…”. Così si realizzano i sogni piú belli. Buon viaggio dentro a tutta questa bellezza e che il vento ti soffi sempre alle spalle.

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