Io, Dario il Grande, re dei re, re delle nazioni, re su queste terre,
figlio di Istaspe, l'Achemenide.
In questo posto in cui la fortezza è stata costruita, dove in
precedenza nessuna fortezza era stata costruita. Con la grazia di Ahuramazda,
ho costruito questa fortezza che era volere di Ahuramazda, tutti gli dei (sono)
con lui, (sapendo) che la fortezza è stata costruita. E io l’ho costruita,
completata e resa bella e durevole, ed è stata ordinata da me.
Così recita un’iscrizione
cuneiforme trilingue incisa sulla facciata meridionale di Persepoli, città di
Persia per antonomasia, che ancor oggi manifesta l’immensa potenza di quello
che fu uno dei più vasti e forti imperi dell’antichità, che si estendeva dagli
orli d’Europa all’India, tenendo sotto al proprio giogo i più diversi popoli.
Terra e acqua chiedevano i persiani alle città e alle genti che finivano sotto
l’ombra lunghissima della mano del Re dei Re.
Visitare le rovine di questa
capitale è stata per me un’esperienza davvero emozionante; si percepisce, in
mezzo alle rovine, un’aura di potere, di dovuta reverenza, di austerità e
sconfinata forza che, nei momenti di massimo splendore, hanno fatto cadere in
ginocchio e chinare il capo alla metà del mondo conosciuto (ma non ad una
manciata di disorganizzati soldati di Grecia, increduli a loro volta della
vittoria, tanto da farne epopea nazionale e vanto per l’eternità: l’uomo libero
e democratico che vince sul tiranno hybristes che vive con i propri piedi
posati sull’oro e sulle teste degli schiavi). Finalmente posso respirare
davvero questa infinita potenza, questa ombra lunghissima di conquiste e leggi
e dazi, di arte e fuoco sacro rivolto al cielo, di sangue e di incenso e pietra
nera. Ora comprendo Erodoto, comprendo Eschilo e vedo il coraggio di Leonida e
la rabbia spavalda degli Ioni, sento il furore della vendetta quando l’acropoli
di Atene fu divorata dalle fiamme dei persiani e si creò la colmata, e la gioia
salata di lacrime dopo Maratona e Salamina. E vedo anche la grandezza dei
vinti, il loro splendore colossale che incute rispetto e timore ancora oggi.
Non come fecero Alessandro il Macedone e i suoi uomini, più tracotanti del Re
dei Re: per ubriachezza, rabbia, furor o sete di vendetta distrussero la
capitale achemenide, la saccheggiarono e la diedero alle fiamme.
Ancora più misteriosa diventa la
storia di questo luogo, dopo il fumo e la cenere, poiché tra i persiani della tarda
antichità si credeva che i monumenti fossero stati costruiti da Jamshid, una
figura della mitologia persiana: il sito fu noto infatti come Trono di
Jamshid sin dai tempi dei Sassanidi, dal III secolo.
In realtà le evidenze
archeologiche dimostrano che fu Dario I, alla fine del VI secolo a.C., a far
costruire, sulla cima di una collina ingentilita da un fiume, la propria
residenza, terrazzamenti e palazzi, colonne e porte. Suo figlio Serse continuò
i lavori mastodontici e ulteriori modifiche vennero apportate fino alla fine
dell’impero Achemenide; era una città lontana dal cuore pulsante dell’impero,
nascosta tra i monti, tanto che i greci non ne seppero nulla fino all’arrivo di
Alessandro (che con le sue fiamme distrusse anche l’ampia biblioteca che
raccoglieva innumerevoli opere storiche e religiose zoroastriane, scritte, si
dice, con inchiosto d’oro su pelli di mucca). Anche ai romani rimase per lo più
ignota la città, che cadde in rovina sempre più, soprattutto dopo la conquista
islamica.
La visita inizia presto, appena
dopo colazione, per evitare che il sole abbacinante ed il caldo feroce come i
leoni dagli artigli di pietra ci rincoglioniscano ancor più di quanto già non
siamo.
La città si erge su una terrazza
scavata sul fianco del colle ed è protetta da un muro dai blocchi colossali; si
accede passando per la scalinata monumentale, che fa sentire piccoli piccoli,
minuscoli in contronto ai blocchi enormi di roccia chiara, tagliati dal colle e
squadrati per portare ordine sul caos. I gradini sono bassi perché ci si poteva
salire a cavallo, ma anche perché di lì dovevano passare i dignitari e gli alti
funzionari provenienti da tutto l’impero: potevano essere anziani e comunque
dovevano poter salire mantenendo una postura dignitosa, senza piegarsi in
avanti.
Dopo la doppia scalinata si giunge
all’impressionante Porta di tutte le Nazioni. Due lamassu a forma di toro con teste
di uomini barbuti custodiscono la soglia occidentale, mentre quella orientale è
presieduta da altri due guardiani silenziosi, con ali e teste persiane, a
riflettere il potere dell'impero. Qui, incisi in alto, si leggono il nome e la
dedica di Serse I, in tre lingue (persiano antico, elami e babilonese
Ahuramazda è un grande dio per aver creato la terra,
il cielo, l'uomo e per lui la felicità, colui che creò Serse e lo fece
diventare Re, Re dei Re, Re dei differenti popoli, Re di questo mondo vasto e
immenso, sono figlio di Dario il Re, discendo dagli Achemenidi.
Serse, il grande re, dichiara: io ho costruito questa "Porta di Tutti i Popoli" E molti altri edifici eretti da me dal mio padre. Quello che abbiamo costruito di bello è stato per ispirazione divina. Serse il grande Re dichiara: Ahuramazda protegga me il mio regno, protegga quello che ho costruito io e che ha costruito mio padre
Serse, il grande re, dichiara: io ho costruito questa "Porta di Tutti i Popoli" E molti altri edifici eretti da me dal mio padre. Quello che abbiamo costruito di bello è stato per ispirazione divina. Serse il grande Re dichiara: Ahuramazda protegga me il mio regno, protegga quello che ho costruito io e che ha costruito mio padre
Superato l’ingresso si accede al
Viale delle processioni, che termina con la Porta incompiuta. Essa conduce ad
un cortile che si apre sul Palazzo delle 100 colonne. Una doppia parete confina
con il viale su entrambi i lati, proteggendo il Palazzo dell'Apadana da sguardi
indiscreti. Delle sale per le guardie si trovavano ad essa collegate. Solo le
parti inferiori delle pareti rimangono oggi, ma alcuni credono raggiungessero
l'altezza delle statue lamassu. In una nicchia su un lato del viale, vi sono
due teste di grifone.
In un attimo si raggiunge il
maestoso Palazzo delle 100 colonne, il cui solo nome incute rispetto; non una,
non dieci, ma cento per il Re dei Re. E’ l’edificio più grande della città, con
lati di 70 metri. Due tori colossali costituiscono le basi delle colonne
principali, alte 18 metri. Tra queste rappresentazioni, si descrive l'ordine
delle cose, mostrato da cima a fondo: Ahuramazda, il re sul suo trono, poi
diverse file di soldati che lo sostengono. Il sovrano detiene quindi il suo
potere, che gli proviene da Ahuramazda che lo protegge, e controlla l'esercito
che espande e controlla il suo dominio.
Usciti da lì si raggiunge il
Tesoro, 10000 metri quadrati e due sole piccole porte; costruito da Dario, era
dettagliatamente schedato nelle tavolette di legno e d'argilla, di cui ne sono
state trovate alcune che specificano l'ammontare dei salari e dei benefici pagati
ai lavoratori che costruirono il sito. Secondo Plutarco 10000 muli e 5000
cammelli furono necessari ad Alessandro Magno per portare via il tesoro di
Persepoli. Il bassorilievo rappresenta il re, probabilmente Serse I (o il padre
Dario I) sul trono, mentre riceve un ufficiale medio inclinato in avanti
intento a portare la mano destra alle labbra in segno di rispetto. Potrebbe
essere un tribuno, un comandante di 1000 guardie, o un governatore del Tesoro.
Il principe ereditario e un nobile persiano si trovano in piedi dietro al
sovrano. Due portatori di incenso sono tra il re e i dignitari.
Non distante si trovano le
caserme, che potevano ospitare migliaia di soldati; il macedone lasciò lì una
guarnigione di 3000 uomini.
Da lì si può salire fino a quella
che viene identificata come la tomba di Artaserse II, che permette di godere di
una vista d’insieme sulle rovine. Gli altri re achemenidi, escluso Ciro di cui
abbiamo visto la tomba a Pasargadae, si trovano nella vicina necropoli di
Naghsh-e Rostam.
Si ridescende verso il gineceo, erroneamente
chiamato harem. Il suo centro è composto da una sala con colonnati, aperta a
nord su un cortile con un portico. La sala aveva quattro ingressi, le cui porte
erano decorate con bassorilievi. Quelli laterali mostrano ancora scene di lotta
eroica ricordando quelle del Palazzo delle 100 colonne. Il re è infatti
mostrato alle prese con un animale chimerico (leone-toro cornuto e alato, e
coda di scorpione) che potrebbe essere una rappresentazione di Ahriman,
divinità malvagia. L'eroe affonda la spada nel ventre della bestia che gli sta
di fronte. Il bassorilievo a sud mostra Serse I, seguito dai servi, in una
scena identica a quella del palazzo Hadish. La parte meridionale dell'ala e
l'altra ala che si estende ad Occidente presentano una serie di venticinque
appartamenti ipostili con sedici colonne ciascuno. L'edificio dispone anche di
due scale che lo collegano con l'Hadish, e due cortili che potrebbero
corrispondere ai giardini chiusi.
Non è certo che il gineceo potesse essere un
luogo di residenza delle donne. Secondo alcuni, la sezione centrale avrebbe
potuto essere destinata alla regina e al suo seguito. Altri credono che le
donne vivevano al di fuori delle mura. La funzione dell'edificio rimane controversa.
Oggi, parzialmente restaurato, ospita il piccolo museo ricco di reperti trovati
in loco.
Da lì si sale al Tachara, o Palazzo di Dario,
rimaneggiato poi dai sovrani successivi. Le decorazioni della scalinata sud
presentano dei simboli di Norouz: un leone che divora un toro. Le parti
ascendenti rappresentano dei medi e arachosi che portano animali, barattoli e
bottiglie. Questi sono probabilmente sacerdoti provenienti da luoghi sacri
zoroastriani. Il pannello centrale mostra due gruppi di nuove guardie e tre
pannelli con iscrizione trilingue di Serse II: il palazzo fu costruito da suo
padre; il tutto è sormontato dal disco alato, simbolo o di Ahuramazda o della
gloria reale, fiancheggiato da due sfingi.
Si giunge poi al piccolo Trypilon, o Sala delle
udienze, e all’Hadish, o Palazzo di Serse;
infine il clou, l’Apadana. Dario il
Grande costruì il più maestoso palazzo di Persepoliper le udienze ufficiali. I
lavori iniziarono nel 515 a.C., e suo figlio, Serse I, lo completò trent'anni
dopo. Il palazzo aveva una grande sala a forma quadrata, e ognuno dei lati
misurava 60 metri. C'erano 72 colonne, tredici delle quali si trovano ancora
erette sull'enorme piattaforma. Ogni colonna era alta 19 metri con un plinto
quadrato a forma di toro. La sommità delle colonne era costituita da sculture
rappresentanti animali come tori a due teste, leoni e aquile. Le colonne erano
unite tra loro con travi di quercia e cedro, provenienti dal Libano. Le pareti
erano coperte da uno strato di fango e stucco; ai lati c'erano tre portici
rettangolari. Vennero costruite due grandi scalinate, simmetriche tra loro e
collegate alle fondazioni in pietra. Per proteggere il tetto dall'erosione,
vennero realizzati canali di scolo verticali che scendevano attraverso le
pareti di mattoni. Nei quattro angoli dell'Apadana, rivolte verso l'esterno,
vennero costruite quattro torri. Le pareti erano piastrellate e decorate con
immagini di leoni, tori e fiori di loto. Dario ordinò di incidere il suo nome e
i dettagli del suo impero, in oro e argento, su piatti che vennero collocati in
contenitori di pietra nelle fondamenta sotto i quattro angoli del palazzo. Le
viste frontali esterne del palazzo erano in rilievo con sculture degli Immortali,
guardie d'élite dei re.
Dopo aver respirato tanta grandezza ed esseri
sentita minuscola davanti a tuta quella storia immensa di popoli e re, ci siamo
lasciati alle spalle le maestose rovine. Tra me e me pensavo a Guccini:
“Cadranno i
secoli, gli dei e le dee, cadranno torri, cadranno regni
e resteranno di uomini e di idee, polvere e segni;
ma ora capisco il mio non capire, che una risposta non ci sarà,
che la risposta sull'avvenire è in una voce che chiederà:
Shomèr ma mi-llailah?”
e resteranno di uomini e di idee, polvere e segni;
ma ora capisco il mio non capire, che una risposta non ci sarà,
che la risposta sull'avvenire è in una voce che chiederà:
Shomèr ma mi-llailah?”
Ma la strada chiamava ancora. Siamo tornati in
hotel e ci siamo preparati per ripartire alla volta di Shiraz, a soli 60km di
distanza. Purtroppo per l’ora e la posizione, tra valloni e monti, hanno fatto
sì che il caldo atroce ci violentasse gli occhi e il cervello. Appena usciti da
Persepoli abbiamo incrociato i “cammelli DECORATI” (definizione di Raymond, ben
esperto nel settore)
e poi l’incasinatissima città di Marvadsht, dove il
traffico allucinante ci ha rallentati e il Puill è stato pure preso dentro da
un’auto (qui ci si immette alla Inshallah, senza guardare precedenze, rossi,
frecce, sensi unici e altri dettagli). Per fortuna se l’è cavata con una
sbucciatura e niente più. Dopo qualche sosta, qualche parola scambiata con i
curiosi, alcune lattine di aranciata regalateci e l’obiettivo di non farci
donare frutta almeno per qualche giorno, abbiamo proseguito passandro le statue
con i combattenti e il lunapark presidiato dalle foto dei martiri morti in
guerra.
Quello che credo sia un tempio del fuoco ha dato inizio ad una serie di
salite estenuanti, per il caldo e lo smog dei camion che salgono lenti lenti
sbuffando calore e fumo nero.
Poi, accanto ad un’area militare dove stavano
sparando, finalmente il cartello per Shiraz.
Discesissima, clacson e saluti, e
via in città
attraverso la porta Quran e la tomba del poeta Kermani. E’ giusto
passare per di qui, per accedere alla città patria dei più grandi poeti di
Persia.
Abbiamo trovato alloggio in una bella casa
tradizionale nella kashba; nel cortile si è anche cenato con piatti tipici di
Shiraz e la bevanda con semi di basilico che rinfresca pure l’anima.
Domani ci
fermeremo a visitare monumenti e musei, prima di ripartire verso nord,
tagliando a metà l’Iran, attravero Yazd e il deserto sterile. Sarà avventura,
solo sabbia e cielo e una striscia d’asfalto alle spalle e davanti agli occhi. E già 1000km son fatti, ora.
Ma non prima dell'ennesimo selfie con le bambine che hanno anche chiesto (e ottenuto) di darmi un bacio a testa sulla guancia!
Il cuore ci spinge a fare cose che spesso la mente rifiuta. Quando avviene è perché il cuore le parla e le dice: “Vieni, dammi la mano e seguimi. Non avere paura…”. Così si realizzano i sogni piú belli. Buon viaggio dentro a tutta questa bellezza e che il vento ti soffi sempre alle spalle.
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