22/7/18
Ci sono giorni in cui fa male tutto. Fanno male le gambe e
la schiena, il collo, il culo, la testa, i ricordi, i sogni, il cuore e la
volontà. Quando la volontà, che è una forza potente, ma fragile, duole, allora
sarà un giorno difficile. Lo so fin dal primo istante in cui apro gli occhi al
mattino, alle 6. Con il sole che già conficca le sue unghie negli occhi e lame
di luce tagliano la penombra della moschea.
Il corpo risente del vento di ieri e delle salite, del poco
sonno e del cibo sbagliato. Le giunture, soprattutto spalle e gomiti, e tutte
le viti e i cristi che ho inchiodati dentro, sono una corona di spine. Su cui
mi sento seduta. La notte poi ha portato nostalgia di casa, di un volto, e il
dubbio che questo mio andare non abbia senso, o, se ha senso, muove comunque
nella direzione sbagliata. Khamenei, che dici tu?
Poi ci siamo alzati ed ho fatto il tè, come sempre,
lentamente, perché il mio cervello è ormai fritto dal caldo e dalla stanchezza.
La colazione un poco migliora le cose ma
mi ossessiona il pensiero della fatica di oggi, chè già si vedono i rami degli
alberi piegati dal vento, e di domani, che sarà da gran premio della montagna,
e della cronometro nei 5 giorni di Turkmenistan. Insomma, di molti giorni a
venire. Poi penso a Gaber
non passa per le case
le case dove noi ci nascondiamo
bisogna ritornare nella strada
nella strada per conoscere chi siamo.
C'è solo la strada su cui puoi contare
la strada è l'unica salvezza.
C'è solo la voglia e il bisogno di uscire
di esporsi nella strada nella piazza.
Perché il giudizio universale
non passa per le case
in casa non si sentono le trombe
in casa ti allontani dalla vita
dalla lotta dal dolore e dalle bombe”
e gran parte dei pensieri vola via come uno stormo di corvi.
Penso invero anche a Itaca di Kavafis (posto sotto per chi non conosce questa
poesia bellissima), ma io non torno ad una reggia o a un trono, tornerò a casa
e alla mia vita. Sono proprio come Odisseo, ma non una nera nave mi porta,
bensì una Signora a pedali, e non ci sono guerra e incendi alle mie spalle, ma
sorrisi e occhi gentili.
Come quelli che vengono a salutarci prima che si riparta,
dopo le solite foto. Ci osservano anche curiose tre donne, due galline che
razzolano per la strada e un cane.
dispenser d'acqua fredda potabile sacrosanti che si trovano nelle moschee |
Usciamo dal giardino della moschea e dal paesino, per
tornare sulla strada lasciata ieri. Oggi dobbiamo raggiungere Quchan, che sui
cartelli compare spesso come Goochan (e ogni volta ci si chiede se sia la
stessa città o se stiamo accannando strada).
Il vento è già teso e contrario, ma meno di ieri sera. E la
valle intorno si mostra dolce nella prima luce, tra campi e frutteti, chiusi
intorno dall’abbraccio dei monti di pasta di mandorle. I contadini e i pastori
sono già al lavoro. E’ tempo di tagliare l’erba, così rara e preziosa, e
lasciare che il sole la trasformi in oro, come Mida. Il fieno è pronto, biondo
e profumato.
Con qualche saliscendi giungiamo all’ultima scalata
impegnativa, che ci riporta a 1800 metri. Incastrato tra un pendio e l’altro
c’è il paese di Chekneh, dove tutto ancora tace perché alle 9 in Iran, se non
si è in grandi città, le saracinesche sono ancora abbassate. A metà salita ci
fermiamo a riposare. La mia schiena, lato destro, tra scapola e collo, urla e
piange: questa è la conseguenza di avere i gomiti bionici. Sono storta, dentro
e fuori, e dopo 2000km e passa inizio a risentirne.
Dopo datteri e banane si riparte, e la strada sale e sale.
Finalmente vediamo spianare. Ci sono un cimitero, un negozietto e una pozza
d’acqua con le papere dentro. Altra sosta, per comprar da bere e del pane
fresco, e il negoziante baffuto ci prende in simpatia. Ci regala anche le
pesche del suo orto, e ci lascia usare il bagno e fa prendere a Raymond l’acqua
per rimepire la sua borsa. Invero gli apre il cancello della pozza delle papere
e gli fa usare quella, invitandolo anche a lavarsi. I pennuti si avvicinano
curiosi e suggerisco di acchiapparne uno e portarcelo via, come mascotte.
Da qui in poi è tutto più rapido. Si scende finalmente a precipizio
nel nuovo vallone, e intorno son spighe e alberi. Davanti, azzurri monti per
l’aria calda che tremola. Arriviamo in fretta alla strada bassa, che è grande e
trafficata come non ne vedevamo da fuori Teheran. Ai lati ancora si vedono
pastori e armenti, frutteti, fattorie e grandi aziende agricole. Ma la zona
rurale e isolata è alle spalle, ormai.
Siccome il vento è teso e furibondo, nonostante manchino
15km a Quchan, ci fermiamo per pranzo all’ombra di alcuni mandorli. C’è pure un
minuscolo rivo. Oltre a un quantitativo di mosche che neanche in tutta
l’Africa, e a due ciclisti in tenuta specialized che si fermano a salutarci.
Quello davanti è un uomo, persiano baffuto e ciccio. Quello dietro ha la voce
da donna. Potrebbe essere un ragazzino in carne con il timbro femmineo, e
infatti ha i capelli corti… Ma a me pare una ragazza. In divisa da bici. Corta
tutta, pantaloni e maglietta. Senza velo. Ma allora son cogliona io, ve’? Che
da un mese pedalo con dei vestiti a metà tra il rifugiato di guerra, il matrimonio
romanì e il “uccidetemi ho troppo caldo, pietà”. Resto con il dubbio.
Poi il vento cambia e ne approfittiamo per farci spingere a
tutta birra (analcolica) verso la città, dove abbiamo già idividuato un hotel
che fa al caso nostro, Homa si chiama. Sta proprio affacciato all’auostrada, su
una rotonda, ed è impossibile non vederlo. Intanto nuvoloni neri sulle montagne vicine minacciano pioggia. O ma che davero? Non è che domani...
Prendiamo possesso così dell’appartamento, che vien via a 5
euro a capoccia e include: teiera antica che non si apre, sigillata dai tempi
dei Parti, che forse contiene genio della lampada ma forse solo malattie rare,
come quelle che presero gli archeologi aprendo le tombe egizie. La maledizione
della teiera persiana.
Incluse pure delle ciabatte antisismiche, per peso, altezza
e consistenza, tutte da donna, anche per Raymond, che qui i terremoti sono
frequenti e devastanti. Inclusa infine zozzura varia in giro e camera con vista sul rumore dell'highway.
Nei 5 euro non sono invece comprese: pulizia, lenzuola,
salviette, carta igienica. Che il Puill va a chiedere e si vede recapitare un
trono di plastica da posare sulla turca per trasformarla in wc. Eh vabe’.
Dopo la doccia e il momento bella lavanderina (col ca*zo che
pago più una laundry in un hotel iraniano!) siamo andati a fare spese per i
giorni prossimi. Così abbiamo visto un po’ il centro città, che è fornito di
supermercati simili ai nostri, pressochè inesistenti in tutto il resto del
paese, escluse le grandi grandi (grandi) città (che per altro di solito ne
hanno uno e triste, con i bancali vuoti e impolverati). I commessi ci chiedono
da dove veniamo e anche la gente ci ferma per strada per sapere, e nemmeno
siamo in bici! Un cassiere, vista la spesa curiosa che facciamo, ci regala due
barrette ci cioccolato, così, per simpatia o compassione.
Una piccola nota storica. Quchan, questa città di confine ma
comoda perché sta giù dai maledetti monti dove dovremo arrampicarci domani, fa
100.000 abitanti. Sono per lo più Curdi persiani e turchi, cosa che spiega la
cospicua presenza di parole, camionisti e baffi anatolici. Si producono
granaglie varie e vino, anche se questa cosa l’ho letta ma non l’ho capita. Da
esportare? Possibile? Mi par strano. Però se dio sta in alto Mammona sta ancora
più su.
Un fatto storico importante avvenuto qua è l’assassinio di
Nader Shah, nel 1747, trafitto dalla spada del capitano delle guardie e di
altri congiurati. Prima di morire, il Napoleone di Persia o Secondo Alessandro
magno, come era noto, riuscì ad uccidere due suoi assassini, dimostrando per
l’ultima volta la sua abilità militare e la sua ferocia. Era riuscito a
conquistare, durante il suo regno, quasi tutta l’Asia centrale, divenendo il
sovrano più potente di questo lembo di mondo. Venerava Gengis Khan e Tamerlano,
per il genio guerresco, per il potere infinito su cui non tramontava mai il
sole e per la crudeltà (anche lui, come loro, prese il bell’uso di costruire
piramidi con le teste dei nemici). Lasciò le casse dello stato svuotate (la
guerra costa sempre cara) ed un regno che si sgretolò immediatamente dopo la
sua morte.
Altra noticina storica: nel 1893 un terremoto devastante ha
falciato oltre 10.000 anime e raso al suolo la città, poi ricostruita a qualche
kilometro di distanza perché troppe erano le macerie da spostare. Onde le
sciavatte antisismiche.
Ora ci attendono la cena, somwhere over the rainbow, e il
riposo. Domani sarà una giornata in salita, per portarci al confine turkmeno. E
sarà tempo di fare le prime somme e i primi bilanci di questa nazione che tanto
ci ha regalato, in moneta di bellezza, fatica, stupore e umanità piccola o
grande, dai leoni di Persepoli alla mano callosa del contadino che ci ha
regalato un frutto. Un mese è passato, già, e siamo a circa metà del viaggio,
ricchi dei colori delle vetrate delle mosche e delle albe nel deserto.
Quando ti metterai in
viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,
né nell'irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l'anima non te li mette contro.
Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d'estate siano tanti
quando nei porti - finalmente e con che gioia -
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d'ogni sorta;
più profumi inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti
Sempre devi avere in mente Itaca -
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull'isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
in viaggio: che cos'altro ti aspetti?
E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,
né nell'irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l'anima non te li mette contro.
Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d'estate siano tanti
quando nei porti - finalmente e con che gioia -
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d'ogni sorta;
più profumi inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti
Sempre devi avere in mente Itaca -
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull'isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
in viaggio: che cos'altro ti aspetti?
E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.
certamente domani saranno più le discese delle salite e il vento stavolta vi spingerà. Buon viaggio 🤠
RispondiEliminaI volti sono impronte lasciate sull'anima. A volte si perdono dentro una nebbia confusa. Altre volte, ed è una benedizione, si trasformano in preghiere che acccarezzano le nostre fragilità. E' un mandala la vita, costruito a pezzi infinitesimali. L'ultimo pezzo però, anche se all'apparenza minuscolo, l'ultimo colore tracciato, saranno quelli che ci accompagneranno lungo il nostro sentiero. Buon viaggio a voi.
RispondiElimina"Ognuno ha una favola dentro, che non riesce a leggere da solo. Ha bisogno di qualcuno che, con la meraviglia e l'incanto negli occhi, la legga e gliela racconti". (Pablo Neruda)
RispondiEliminaSiete i miei idoli, vi ammiro e anche invidio un po' :-) : non mollate!
RispondiElimina