lunedì 12 agosto 2019

42-43. Il Missouri in piena. Rick e il violinista mancino. Pesci sull'asfalto in collina. Arrivederci, Missouri!



10/8
Columbia-Hermann
126km

Scrivo immersa nel buio di un campeggio statale, in un parco cittadino tanto solitario quanto ben attrezzato. Su una panca, al tavolo di legno grezzo, mi illuminano lo schermo del pc e la luna, che colora d'argento le piccole nuvole intorno. si sentono solo le cicale e il gorgogliare finissimo del torrente alle mie spalle, coperto dallo stormire delle foglie al vento. Vento che si sta alzando, ed è fresco e quasi fa rabbrividire; un balsamo dopo la calura di oggi. L'aria è fine e leggera e sa di estate. Tutto è perfetto, ora.

Oggi è stata una giornata lunga ma tranquilla. Una giornata di riconciliazioni.
Ho fatto pace con Gigi, che, poveretto, subisce le mie ire quando le cose non vanno. E dovete sapere che quando sbrocco, sbrocco male. Ma al punto da far incrinare le cupole di San Pietro, e da far scappare i cani randagi con la coda tra le zampe.
Ho fatto pace con il Missouri e la Katy trail, e con la gente del posto. Ieri ero così furiosa, così incazzata, che avrei volentieri recitato Angiolieri, s'i fossi foco, danzando una danza macabra sul rogo universale che brucia e distrugge e purifica, il rogo appiccato in Missouri perchè l'umanità espiasse alcune colpe, alcuni peccati che chiedon vendetta al cospetto d'Iddio. Per esempio: non segnalare le chiusure di una strada con giusto anticipo; per esempio: non comunicare, tu che sei del luogo a me che son forestiera, che dieci metri in là c'è un inferno di sabbia e fango e non posso passare.
Oggi, però, ho visto con i miei occhi i danni causati dalla piena e dall'esondazione del Missouri, avvenuta circa un mese fa per colpa delle forti e continue piogge. Ho visto che non è capriccio nè un scherzo: qui il fiume porta del pari la vita e la morte. E ho conosciuto alcuni locals molto affabili, e persino la strada è stata gentile, per quanto possibile in un paese fatto di distanze enormi e natura selvaggia, addomesticata a tratti, ma mai del tutto.

Dunque, la riconciliazione universale, l'equilibrio di yin e yang, volpe e mondo, è iniziato dal risveglio nel lettone comodoso dell'albergo di lusso in periferia di Columbia. Non si doveva passare di qui, ma già che ci si è passati, ci si è passati bene. Ristagna un poco il profumo di pizza mangiata ieri sera per cena, insieme ai morbidissimi bocconcini di pollo con salse. Pensavo: la pizza mica era cucinata, era solo scongelata. Ma scongelata fresca, scongelata al momento, e non al mattino (di tre giorni prima) e tenuta in caldo, come accade di solito nei grocery o nei general store. E questo, lo scongelare al momento, è il massimo della freschezza che si può chiedere qui.




Andiamo a far colazione e scopro che l'hotel, adiacente a un liceo, ha anche diverse sale conferenze e uno spazio dedicato alle nuove scienze. Giustamente è dedicato a Lewis e Clark.


A colazione siamo i primi ad arrivare e gli ultimi ad andarcene: il buffet presenta ogni bendiddio, dolce e salato, confezionato e fresco. Dai bagel alle marmellate e burro di arachidi, dai waffle con sciroppo d'acero ai muffin di pasticceria, uova prosciutto e salsa gravy, cereali e persino un monte di frutta fresca. Il paradiso del ciclista affamato!



Tra una pelle d'orso e un animale impagliato, nella fiera della tassidermia brutta, richiudiamo le borse, rito quotidiano ormai spontaneo, che non richiede nemmeno più attenzione. Tutto, bagagli e bici, vestiti, scarpe, tutto è lurido. L'aria umida del fiume ci ha resi appiccicosi, la sabbia e il fango si sono incollati a tutto. Sembriamo profughi di guerra, sembriamo naufraghi sfuggiti alla furia del mare e dell'isolamento in qualche atollo sperduto. Facciamo schifo ai cani. La gente, tutta infighettata e profumella, ci guarda. Eh sì, abbiamo dormito qui anche noi. Così imparate a giudicare dalle apparenze.










Prima di partire davvero faccio 3 cose:
1. ricalcolare il percorso tenendo conto delle sezioni di Katy trail chiuse, stando al bollettino sul sito del Missouri state parks. Per dove siamo, possiamo raggiungere St Louis comunque in due giorni, ma facendo tappa ad Hermann
2. sincerarmi delle condizioni delle strade, perchè ieri erano chiuse pure quelle asfaltate vicino al fiume. Viaggio tra siti e giornali locali, scarico l'app dello stato, che dà in tempo reale notizie relative alla viabilità e chiedo anche alla receptionist, che mi sembra una ragazza in gamba. Tutto dice bene: non piove da settimane, sono state riaperte le strade e dunque, se pure la Katy è chiusa a tratti, noi saltiamo sulla parallela highway e via così.
3.pulire e oliare un poco la catena, con l'aiuto di Gigi. Pure quella è piena di sabbia e schifo, una cosa inguardabile. Deplorevole, deprecabile. Ma tant'è, si f quel che si può e spero che la bicia tenga duro e non faccia la fighetta.

Partiamo, direzione sud. Dobbiamo in parte ripercorrere la strada di ieri sera e comunque tornare giù al fiume. Poi piegheremo verso Jefferson city e da lì sempre a est, seguendo le anse e le ansie del Missouri. Sulla Katy o sulla highway 94, non importa.

Appena usciti vediamo il Jewell cemetry, che non è nè più nè meno di un cimitero, con nomi importanti per la storia locale (un Jewell professore e il governatore Hardin).
Di Columbia non vediamo nè vogliamo vedere un fico secco. E' la città della famosa università, fondata nel 1839, fa 122.000 abitanti e tanto basti.



Passiamo di nuovo accanto al parco Rock bridge memorial, che ieri ci ha illusi e delusi con la promessa tradita di un campeggio. Gigi lo saluta con un bel dito medio, e io rincaro la dose.
Non si vedono più tutti i cervi che ieri sera si eran spinti fin sulla strada, ma ritrovo il plotone di oche canadesi che ieri, come in un sogno lucido, pascolavano in formazione nei campi da calcio di una scuola. Ora dormicchiano in riva a un lago pieno di ninfee.




Nel tornare al fiume passiamo per le belle colline verdissime, punteggiate di ville e ranch, ma ranch di lusso, con i cavalli pettinati e infiocchettati. Non mancano poi i laghetti fioriti e i campi da golf. Insomma, non è un paese per poveri.




Pierpont, Deer park, Elkhurst e Ashland sono nomi sulla carta e sui cartelli, e si riducono a una manciata di casine delle bambole e immensi prati sforbiciai ad arte perchè nessun filo d'erba osi essere poco poco più alto degli altri. Prati democratici.



la nuova Salem... Così si chiama la chiesa. Annamo bene!





Man mano che ci avviciniamo al fiume, le colline si fanno meno ripide e le rampe meno aggressive. Si pedala tra pareti aperte di nuda roccia e boschi sempre più fitti. Tracce di acqua del fiume, giunta fin qui, restano nei campi: sembrano piccoli laghi, ma sono l'ultima innocua orma dell'esondazione.





Finalmente arriviamo al Missouri, di nuovo, lasciato ieri in malo modo e senza preavviso. I cartelli indicano che si può andare ancora più a sud, giusto di là dal fiume, e raggiungere Jefferson city, la capitale dello stato. Oppure ad est, costeggiandolo sulla sponda settentrionale. Così faremo noi.


Da lontano si intravede il cupolone del Campidoglio, bianco tra nuvole bianche.
La regione fu la sede della cultura dei Mound Builders, che però erano scomparsi già da tempo quando i bianchi cominciarono ad arrivare, sostituiti dagli indiani Osage.
Jefferson City fu così chiamata in onore del terzo presidente degli Stati Uniti d'America, Thomas Jefferson. Quando nel 1812 fu organizzato il Territorio del Missouri, la sede del governo fu posta a Saint Louis, mentre Saint Charles funzionò da capitale fino a che Jefferson City fu scelta come nuova capitale nel 1821. Fino a quell'anno la città aveva il nome di Lohman's Landing, ma con l'elevazione a capitale fu proposto di cambiarle nome in "Missouriopolis", ma più tardi si scelse il nome attuale. All'epoca era poco più di una stazione commerciale in una regione ancora selvaggia, posta a metà strada fra Saint Louis e Kansas City. Nel 1826 per la prima volta il Congresso del Missouri si riunì a Jefferson City e nel 1839 si ebbe l'elevazione a rango di città.



Poco prima di riprendere a pedalare spediti, benchè controvento, notiamo un lago artificiale e, accanto, una sede dell'Abb. Non che sia chissà che, ma si tratta di una azienda che vediamo tutti i giorni, nelle nostre pedalate domestiche; si trova tra Vittuone e Arluno, e mi sono anche occupata delle vicende della sede perchè è a rischio chiusura da anni, e gli operai subiscono. Guarda un po' l'Abb, fin dove è giunta!






Riprendono anche i cartelli che indicano che di qui passarono i due esploratori, Lewis e Clark. Noi pedaliamo sulla strada asfaltata e, d'improvviso, ci ricompare a sinistra la Katy. Si intravede tra gli alberi. La strada è stretta e spesso gli automobilisti ci gridano contro, e pensiamo che, appena possibile, sarà bene tornare sulla ciclabile. Dopo Jefferson city dovrebbe essere per lo più aperta per un lungo tratto.




I campi intorno puzzano di pesce e acqua marcia. Si vedono le tracce dell'esondazione già qui. Le rane gioiscono. Ce ne sono a migliaia, di ogni genere e dimensione. Altrettante sono spetasciate sull'asfalto e paiono i resti delle chewing gum sui marciapiedi. Migliaia, decine di migliaia. La terra è pregna di acqua non sua. Molte pozze, grandi come laghetti, rimaste a far marcire i campi, sono gonfie di pesci morti, pesci grandi, bianchi, che galleggiano a pancia in su. Sembra la pestilenza di Tebe, sembra una catastrofe divina mandata a punire gli uomini. I pesci morti nei campi di grani, l'ordine rovesciato, il kosmos infranto.



Saltiamo sulla Katy e anche qui notiamo come il fondo sia molto più rovinato e sporco rispetto ai tratti già percorsi. Sabbia, fango, tronchi, sassi... Bisogna prestare grande attenzione e io, che sono una pippa alla guida, sto in sella a chiappe strette, con grande tensione.




Nonostante lo sterrato ci abbia rallentato, e parecchio, il passo, siamo riusciti a macinare già quasi 70km entro l'ora di pranzo. Giungiamo a Tebbetts, che, sulla mappa della Katy, è segnalata come città con tutti i servizi possibili. In realtà è tutto chiuso e abbandonato, tranne la banca e la posta. Si vede che l'alluvione ha portato via anche molti turisti, e tanti albergatori e ristoratori son rimasti, è il caso di dirlo, a bocca asciutta. Comunque il paesino merita, pare una ghost town di frontiera sull'orlo del Vecchio West. Ci fermiamo qui e mangiamo mele e banane e biscotti, quel che abbiamo, quel che basta. L'acqua corrente c'è ed è fresca, e la si pompa da un tubo come ai good ol' times. Ci sono anche i bagni... E chi c'ammazza? Anche perchè qui, tra Jefferson e Mokane, per quasi 50km, non c'è assolutamente nulla. Solo campi e boschi, da questa parte del fiume. "C'erano solo cani e fumo, e tende capovolte...".
Sembra il deserto, dirà Gigi. Ma qui il deserto, per assurdo, lo ha fatto l'acqua.












Ripartiamo, con l'idea di fare una seconda sostina a Mokane, che dista circa 10km. Giusto per il dessert. Man mano la ciclabile si fa più sporca e i segni dell'esondazione sempre più chiari.













E' incredibile come, comunque, siano riusciti a rimettere tutto in sesto, almeno un minimo, nel giro di un mese. Persino la ciclabile è stata riaperta. Il fiume ha portato centinaia di migliaia di tonnellate di acqua e fango, detriti, tronchi e roccia, li ha vomitati sulle strade, ha spaccato ponti e pali della luce, ha divelto pilastri e spazzato via le strade. Eppure restano solo pochi segni. Sopra a tutti, l'odore di acqua ferma, di palude, di ristagno e di pesce marcio. Pesce che galleggia ovunque. Si vedono pesci morti enormi persino sulla strada, sulle collinette a quasi un kilometro dal letto del Missouri. E' pazzesco.

Arriviamo a Mokane.
Qui dovrebbe esserci un benzinaio, ed è così. Ma non ha il relativo general store. Dunque cerchiamo un negozio, che dovrà pur esserci, e incappiamo nel Mokane's market.






Il Mokane's market è un posto che va visto, almeno una volta nella vita. E con i proprietari bisogna parlarci, almeno una volta, per capire qualcosa in più della Merica.
Dunque, il general store non ha insegne: devi sapere che è lì, e tutti sanno che è lì. E' l'unico posto dove comprare qualcosa di già morto e cucinato nel raggio di qualche decina di kilometri. Da fuori si presenta con due vetrate e un cartello scritto a mano che recita, perentorio: "Niente bici sul marciapiede e sulla vetrina". Simpatici, però! Allora appoggiamo i nostri potenti mezzi al muro laterale, di mattoni; su ogni mattone c'è un nome inciso, o un disegno: dalla A di anarchia all'Ufo, dall'alieno con il volto triangolare e gli occhi grandi al cuore. Scopriremo essere le firme di tutti gli amici e i parenti dei proprietari.
Dentro, come sempre, l'aria condizionata è a palla e si trova di tutto. Oltre a due tavoli e sedie, ci sono diversi oggetti d'arredo: animali impagliati, attrezzi contadini d'epoca, numerose foto storiche e ritagli di giornale che parlano di Mokane.



Il primo impatto con Rick Huckameyer non è dei più felici: mi borbotta qualcosa in merito alle bici e malinterpreto, credo che voglia farcele spostare. Allora lo prendo di petto e sto per litigarci, poi decifro il bofonchio e capisco che ha solo detto che le bici lì vanno benone e non c'è da preoccuparsi, qui nessuno ruba, lui lascia pure l'auto e la casa aperte da sempre. E meno male, aggiunge, che non siamo come quei ciclisti che vede spesso arrivare qui e legare le bici con ventordici lucchetti, cosa che lui trova irrispettosa nei confronti dei residenti. Non siamo mica a Los Angeles, aggiunge.
La moglie di Rick, il proprietario, che vive qui da sempre, si lima le unghie dietro al bancone, direttamente sugli affettati per i panini, e annuisce in silenzio senza mai alzare lo sguardo.
Ho letto molte recensioni negative su Rick, i ciclisti della Katy lo definiscono unfriendly.





Ci chiede di dove siamo, che viaggio stiamo facendo, e resta positivamente impressionato. Ci parla della Katy e di quel che c'è dopo, si offre persino di disegnarci una mappa. Lui non ha mai sentito parlare di Milano. Noi ci si mette al tavolo a mangiare la frutta fresca che il buon Rick vende, e pare roba che viene dai campi intorno. Poi mi vede interessata alle foto appese e si avvicina. Dice: questo qui che suona il fiddle, il violino country diciamo, è mio padre. Vedi che suona con la sinistra? Era un autodidatta, non ha mai preso una sola lezione in vita sua. Ma era il migliore da queste parti. Ha vinto gare in tutto il Missouri, e non solo! Suonava da solo e in gruppo. E mica per lavoro, no! Era il suo passatempo, era il migliore.




Poi iniziamo a discutere della percezione del tempo e dello spazio in America e in Europa. Mi conferma la teoria di spazio esteso/storia breve qui, spazio ridotto/passato profondo da noi. Dice che per loro un edificio che ha 100 anni è monumento storico, che è pazzesco pensare che in Europa ci siano cose che hanno anche 500 o 600 anni. O 2000, o 3000, ribatto io. Già.
Poi discutiamo di unità di misura e sistemi differenti, mentre troviamo la quadra per far capire quanto pedaliamo in totale e al giorno. Gli dico che fino a 300 anni fa da noi ogni paese, regno, repubblica, stato, aveva unità di misura differenti. Ora han tentato di far ordine e unificare, ma non del tutto. Lui ribatte che Hubble ha avuto problemi con specchi e lenti per la diversa unità di misura. E aggiunge che qui 300 anni fa c'erano solo gli indiani. E il bosco. E la gente che ti faceva lo scalpo. Ride.

Poi, non ricordo come, si finisce a parlare di popolazione in crescita o decrescita e di immigrazione. Gli alzo una schiacciata paurosa e viene fuori un po' di razzismo, ma capisco, da noi sarebbe anche peggio. Dice che quando era piccolo qui c'erano solo due case (ora quattro) e che doveva camminare due ore per raggiungere la prima città. Ora invece c'è troppa gente. Aggiunge che il grosso son persone che arrivano da tutto il mondo. Il primo forestiero qui è stato un messicano, aveva una specie di capanna senza nemmeno il pavimento! Somehow barbaric. Eh già. Anche da noi, spiego, ci sono molti immigrati, dall'Asia e dell'Africa soprattutto. Lui mi guarda strano. Ai suoi occhi siamo NOI il popolo di migranti.

Si discute anche delle piene e delle bizze nefaste del fiume. Rick sostiene di aver assistito a più di 40 esondazioni; nel '93 la più grave: l'acqua è arrivata all'altezza delle finestre, fino al benzinaio (di fronte al Market), che pure è uphill. E fino a tre settimane fa c'era acqua tutt'intorno al suo negozio, ancora. Ma è normale, quando piove. E qui piove assai, quando decide.

Chiacchieriamo del più e del meno per quasi un'ora. Rick è rude e grezzo nei modi, e la moglie anche, ma sono entrambi di gran cuore. E più colti e fini di quanto possa sembrare a un primo sguardo. Bisogna parlarci, e non piazzargli le bici sulle vetrine. Sono contenta di averlo conosciuto. E' proprio un tipo "show me", ma gentile. Ci augurano tutta la fortuna del mondo per completare il viaggio e ci dicono che stiamo per passare in zone bellissime, dove lui va spesso a camminare. E, senza troppe manfrine, ci salutiamo.

Mentre parlavo con Rick, alle mie spalle Gigi, che mastica poco la lingua e si estranea dalle conversazioni, per ammazzare il tempo si è scolato una tanica di succo d'arancia chimico freddo diaccio di frigo. Gli effetti infausti si vedranno di lì a poco.
Comunque ce ne torniamo sulla Katy, dove il trailhead di Mokane segna la ripartenza. Abbiamo ancora parecchia strada da fare!











Come sempre seguiamo a ritroso i passi di Lewis e Clark, ma con fatica ora. Il fondo è davvero sporco a tratti e pericoloso. Vibrano le vetrate del Duomo ad ogni sasso che prendo e mi fa sbilanciare, con rischio caduta. Il fango intorno e i segni dell'alluvione sono chiari, così come la puzza nauseante di acqua ferma e pesce marcio.



Inizia qui un ghirigoro pedalato dentro e fuori la Katy, per evitare i punti più difficili e i tratti chiusi. Per fortuna la strada corre sempre parallela, o quasi, e si passa facilmente dalla ciclabile alla highway; questa, purtroppo, è molto stretta e prima di bordo. C'è poco traffico ma quel che basta per aver brevi e urlati diverbi con gli automobilisti, che ci urlano di stare sulla trail e di lasciar libera la strada. Che devono passar loro coi loro macchinoni dimerda, stupidi mangiapannocchie. Qualcuno, tra ieri e oggi, ci ha ha anche augurato di esser presi sotto da un'auto. Per fortuna il Missouri è uno degli stati più bike-friendly!




Mi colpisce vedere i campi, ora coltivati ora, ancora, coperti d'acqua. Si son creati laghi, fiumi interni e paludi; ci metterà gran tempo ad asciugare questo regno del fango. In alcune pozze ci sono pesci vivi, in molte pesci morti. Ne troviamo di nuovo pure sulla strada, che vanno ad tener compagnia a procioni, armadilli, furetti, donnole, rane e tartarughe, lepri e cervi, tutti morti, investiti, ammazzati da quegli stessi idioti che ci sfrecciano accanto urlando. Penso all'Iran. Alle parole degli ayatollah. Non han tutti i torti. Almeno lì si è disumani per un dio, qui si è disumani per gioco, per egoismo, per stupidità.

Acqua del fiume, acqua che ha distrutto e divelto, acqua che ha portato e preso. Acqua, tu lo sai.








Arriva il momento di allontanarsi dalla Katy: il fango ha mangiato la pista, la piena ha portato tronchi e sassi. Alcuni ponti sono crollati.




Bisogna uscire sulla strada fino a Portland, ma la strada non era mica per il treno, e quindi non rimane in piano ma infila tutte, tutte le ripide colline che sorgono ai bordi del letto del Missouri. E non solo si sale e si scende su rampe ripidissime, ma ci sono pure continue curve strette e la strada non ha bordo. Come stare su una giostra. Mi sento sulla bici come su una biga impazzita che non riesco a governare, complice la stanchezza.




A Portland riprendiamo la Katy: non vorremo fare sterrato, ma non vogliamo nemmeno scalare tutte quelle colline. Allora optiamo per il minore dei mali. Qui incontriamo Richard e compagna, lei ordinata signora per bene, lui harleysta dura e puro, con gilet di pelle tutto pieno di borchie e toppe, baffo aggressive, jeans e stivale di pelle. Ha 66 anni ed è di St Louis. Anche in questo caso la conversazione si protrae a lungo e si discute del più e del meno, dalla piena alle colline, dai viaggi alla cultura americana on the road. Poi ci salutiamo e si riparte, ognuno per la propria strada. Brava gente anche loro. Lei azzarda un timido "ciao", appena imparato da Gigi.




La Katy è discretamente pedalabile qui, e molto panoramica. Corre tra il fiume e i costoni di roccia su cui fanno il nido le aquile, di cui si sentono i gridi alti e si intravedono i voli in cerchio, un'ombra nel sole che filtra trai rami. L'acqua si vede a tratti, e c'è persino qualcuno in motoscafo che solca il fiume ascoltando musica country.





L'acqua, però, è arrivata anche qui, e anche qui sabbia e fango rischiano di farci rallentare troppo. Le lunghe chiacchierate ci han rubato tempo prezioso e il sole già sta calando sull'orizzonte, nella sua luce sempre più morbida e avvolgente che caramella di miele e ombre ogni cosa.
Decidiamo dunque di uscire sulla strada. Il traffico è ridottissimo a quest'ora, e riusciamo a darci il cambio per tirare un po' controvento.




Passiamo tutte le zone rurali e agricole lasciate intatte dall'esondazione. Bluffton, fondato nel 1866 e che si chiama così per i bluffs, i promontori sul fiume; Rhineland, cioè renania, fondata da immigrati tedeschi provenienti dalle sponde del Reno nel 1853 e devastata dalla piena del 1993, quando poi, con fondi statali, tutte le case furono spostate qualche centinaio di metri più lontano dal fiume. E infine McKittrick (1895, deposito ferroviario), l'ultimo paese della Katy per noi, l'ultimo sulla sponda nord del Missouri.

All'altezza di McKittrick, infatti, giriamo i manubri a destra, verso sud, verso l'altra sponda del fiume. Qui, dopo un bellissimo ponte che ci mostra il Missouri nella sua grazia di calma apparente, al tramonto, giungiamo a Hermann.










Hermann è un ameno paesino di cui vi dirò domani, quando ripasseremo dal centro con calma. Stasera siamo di corsa: Gigi, sempre per la malaugarata faccenda della tanica di succo d'arancia, necessita di un bagno. Siamo stanchi, dobbiamo procurarci la cena e raggiungere il campeggio. Che in realtà è il parco cittadino, che, tra la piscina, i campi da basket e tennis, i tavoli da pic nic e altre amenità, ha pure dei siti attrezzati per camper e tende.





Facciamo la spesa per la cena (e colazione, ma i biscotti non sopravvivono mai fino al mattino e tocca sempre tornare a comprarli) e anche qui ci intratteniamo un poco con i cassieri del benzinaio. Poi pedaliamo gli ultimi 500 metri per entrare al parco e, meraviglia delle meraviglie, non ci sono problemi. Il posto è tranquillo, non manca di nulla e c'è posto a prezzo ragionevolissimo. Ci sono i bagni e le docce calde, e ogni piazzola, nel prato, sotto ad alti alberi, ha tavolo, panche, tettoia, bidone, attacco acqua e corrente, fire pit e barbecue. Ma che si vuole di più? Lasciamo i soldi nella cassettina all'ingresso, pur sapendo che nessuno controllerà e potremmo farla sporca, se volessimo. Ma non vogliamo. Poi montiamo la tenda, ci laviamo, togliendo di dosso la fatica e la polvere, e ceniamo. La sera è il momento più bello. Quando, davanti a un piatto caldo, ripensi alla giornata, a quel che hai visto, ai volti che hai incontrato. La sera è l'ora più dolce.







Giunge presto anche il buio: le giornate si stanno accorciando, e più andiamo a est più la luce è breve. Ma è un buon segno. Significa che abbiamo percorso tanta strada!



Domani pedaleremo solo su strada "normale". La Katy, stando a quanto dice il bollettino del Missouri state parks, da qui in poi, verso St Louis, è più chiusa che aperta, e nelle zone aperte probabilmente il fondo è pessimo. Dunque staremo a sud del fiume, tagliando pure un po' di kilometri. Ci fermeremo in periferia di St Louis, al Red roof inn, che ho prenotato via booking. Dopodomani, uscendo dalla città, avremo modo di visitare i punti salienti, i luoghi-simbolo, come la basilica, il parco e l'arco sul fiume, con relativo museo delle esplorazioni e dell'avanzata nel Lontano Ovest.

11/8
Hermann-St Louis (periferia)
119km

La nottata è stata tranquilla e riposante; purtoppo ho avuto la conferma che il mio materassino comodissimo e meraviglioso non tiene più e si sgonfia. Credo abbia un problema alle valvole di ingresso e uscita. Ho dormito, stanotte, col culo per terra, letteralmente, e la testa sui sassi. Come tutto l'anno scorso, d'altronde, quando avevo forato il materassino e mi son fatta due mesi con la schiena a pezzi. Urge correre ai ripari: oggi, domani al più tardi, devo trovarne uno nuovo.

Richiudiamo la tenda e i bagagli e salutiamo il bel campeggino di Hermann. Gigi mi fa notare come i tedeschi, che han fondato anche questa città, non abbiano rinunciato alle loro tradizioni. Le feste elencate qui infatti sono la Wurstfest, Maifest e, ovviamente, l'Octoberfest. Ma siamo in Missouri o in Baviera?




Uscendo dal parco noto quest'opera d'arte che fa ridere per i successivi 20km; l'aquila storta. Il gabbiano del presidente. Mi ricorda i lavoretti, da noi chiamati "lavorini" (di M) che fanno gli alunni a scuola. Mi fa troppo ghignare!


Dopo colazione torniamo in centro ad Hermann, di là dalla collina, per imboccare la highway 100, che sarà per lo più la nostra strada di oggi.


Come già accennavo, Hermann è un paesino grazioso, un locus amoenus.
La città fu fondata dalla Deutsche Ansiedlungs-Gesellschaft zu Philadelphia (German Settlement Society of Philadelphia) nel 1837. Fu promossa da Gottfried Duden, che ne scrisse nella sua Bericht über eine Reise nach den westlichen Staaten Nord Amerikas (Rapporto di un viaggio negli Stati occidentali del Nord America). Un primo gruppo di coloni era guidato da George Bayer ed Edward Hermann, che acquistarono la terra e sono considerati i fondatori. La città è stata tracciata dopo che la società ha venduto quote di 11.300 acri (4.600 ettari) del fiume Gasconade, terra della valle che aveva acquistato.
La società aveva obiettivi quasi utopistici: dar vita a un "cuore dell'America tedesca" in cui perpetuare la cultura tradizionale tedesca e stabilire una colonia autonoma basata sull'agricoltura, il commercio e  l'industria. La città prende il nome da Hermann der Cherusker. Arminius, un leader germanico che sconfisse i romani nella battaglia della foresta di Teutoburgo nell'anno 9 d.C. Nel 2009, Hermann celebrò il 2000° anniversario della battaglia, in cui il guerriero germanico Hermann sconfisse tre legioni romane. Una statua in bronzo si trova nel Parco Hermann.
Hermann era la città più vicina dopo il disastro ferroviario del Ponte di Gasconade, il 1 ° novembre 1855. Il Lamer Hotel di Hermann fu usato come ospedale temporaneo per curare i feriti







Negli anni '60, la gente iniziò a ricostruire l'industria del vino nell'area di Hermann.
Oggi, i vigneti e le cantine contribuiscono alle economie del turismo agricolo e del patrimonio locale, con visite in cantina e degustazioni di vini. La Stone Hill Winery, la più grande azienda vinicola dello stato, e la Hermannhof Winery, si trovano in città. Poco a sud c'è la Adam Puchta Winery, la più antica azienda a conduzione familiare ininterrotta della nazione, sotto la diretta proprietà della famiglia dal 1855. Bias Vineyards è a meno di 13 km ad est vicino a Berger. Nella Hermann AVA sono inclusi anche Oakglenn Vineyards and Winery, Azienda Agricola Mandorlo Bommarito Estate e Röbbler Vineyards and Winery vicino a New Haven.
La città è il centro commerciale della Hermann American Viticultural Area, le cui sette cantine producono circa un terzo del vino dello stato. Designato nel 1983, è una delle prime aree viticole americane riconosciute a livello federaleLa designazione ha riconosciuto la rinascita di un'area di vigneti e cantine fondata da immigrati tedeschi durante la metà del XIX secolo. Chiuso dal proibizionismo , iniziò a rinascere negli anni '60.
Hermann tiene un Maifest durante il terzo fine settimana di maggio e un Oktoberfest i primi quattro fine settimana di ottobre. Hermann si definisce anche la capitale del Missouri per la produzione di salsicce. Giustamente, non fa una grinza.
La Hermann High School detiene il record statale per la maggior parte dei campionati di pallavolo delle scuole superiori nel Missouri.

Ora che sappiamo tutto (grazie wikipedia!) ci si può goder le cose.




Arminius


una chiesa cattolica










Usciamo dalla città e iniziano subito i vigneti. E le colline.








Quella di oggi è stata una giornata di tremende colline. Non fianchi morbidi e ondulati su cui pedalare con facilità, no. Rampe e curve strette, salite ripide e discese in picchiata, con poco o niente bordo e tanti automobilisti incazzosi che ce ne han dette di tutti i colori. Abbiamo messo via più di 1000 metri di dislivello a suon di rampette da 3 metri. Un delirio!









La strada, qui a sud del fiume, corre nelle colline, appunto, senza mai allontanarsi troppo dal Missouri, ma arrampicandosi abbastanza per tenere le terre di questi furbi tedeschi al riparo dalle piene. ahimè la gente qui è proprio campagnola e dalla mente grezza. Passano sfrecciando coi loro immensi pick up e ci urlano il peggio dai finestrini. Uno, addirittura, supera prima Gigi, poi me, sgasando in modo da affumicarci con una nuvolona di fumi tossici neri. Io gli faccio il dito medio, che sbuca dalla nube di gas, unica mia parte visibile, e lui risponde a tono. Ancora ripenso all'ayatollah e alle sue ragioni.


Passiamo da New Haven, sempre tra vigne e colline. Siamo già cotti, con le gambe sfibrate dal saliscendi, a meno di 40km dalla partenza! Ci insegue un temporale ma fa caldissimo. Ogni tanto pioviggina. I siti meteo parlano di 37 gradi. L'umidità è alle stelle, e si suda, si gronda, si cola, ci si scioglie, si fa la colla. Poi si appiccicano addosso polvere e insetti, e si torna a far schifo ai cani come sempre dopo una certa.

New Haven comunque è un buco di chiulo pieno di avvinazzati gonfi di birra e sarcicce, ci sono più chiese che case e i bigotti non mancano, ma di quelli di razza brutta e infestante, quelli che spendono gran soldi per enormi cartelloni pubblicitari contro i matrimoni gay e l'aborto. Il cielo, è evidente, mi dà ragione.

acquedotto e cartello, e bandiere


Dopo varie colline e madonnine, siamo giunti a Washington (non DC, non ancora!) e abbiam fatto lì pausa pranzo, dentro e fuori dal benzinaro (dentro perchè fuori pioveva, fuori perchè dentro faceva troppo freddo causa aria condizionata tenuta a 12 gradi). Si chiamava San Juan del Misuri (1796-1803), poi St John Meyer e infine Washington, in onore del presidente. Per primo giunse Daniel Boone, esploratore, pioniere e boscaiolo, con la sua famiglia. Poi fu autorizzato un traghetto sul fiume e arrivarono in molti, attratti dalla terra fertile e la città fu fondata nel 1827. Chi, entro due anni, costruiva una casa vera e propria, o altri edifici, si vedeva restituire il denaro sborsato per acquistare la terra. Arrivarono sempre più coloni, e molta nuova gente. Questi forestieri erano anti-schiavisti, ed ebbero grandi attriti con i residenti, per lo più proprietari di uomini e donne, usati come bestie nei campi. Tuttavia entrò nell'Unione, durante la guerra civile, e fu saccheggiata più volte. Poi divenne centro dei traffici sulla ferrovia e sul fiume, benchè, negli ultimi anni, l'industria abbia subito i colpi della crisi e sopravviva solo il turismo.
Qui, in una filiale di Dick's sporting goods (materiale sportivo del caz...), simile in tutto a quella di Wichita, compro un materassino, l'unico portatile e non immenso e pesantissimo e da gonfiare con il compressore. Qui han tanta roba per il campeggio e l'outdoor eh, ma fatti in auto o in camper, non in bici e a piedi!

Fuori città giunge la ferale, sofferta decisione: lasciare la 100, tagliare un po' di km e passare per la highway T, che T tira scemo e T devasta per il dislivello assurdo tutto fatto di infinite rampette ripidissime che T sfibrano le gambe e T fanno impazzire. Però è il percorso di Clark e Lewis, mica balle!


Tra idilliaci paesaggi collinari, verdissimi di pratoni e boschi, arranchiamo su e giù per questi 37km di dolore sordo e terribile. Si fa fatica, tanta. Si va piano, quasi da cadere, a 4, massimo 5km/h spingendo forte. La mia catena, tutta piena di sabbia e schifo, tende a cadere, e io di conseguenza. Una delle sensazioni peggiori che si possano provare in sella è essere agganciati ai pedali, avere le mani salde al manubrio e perdere l'equilibrio, con le borse a pieno carico. Si va giù come pere cotte, come cachi maturi, e si pesta il grugno. O, peggio, per me che son bionica a entrambi i gomiti, si pestano, e forte, le braccia. Rompere un osso o tre è un attimo. Quindi pedalo con un piede sganciato, ma pedalo storta e male, e mi aggrappo alle manopole con forza eccessiva. Spingo sui pedali, ho il cambietto più molle, eppure la bici sembra incollata alla strada. Non va, non va. La tensione di ogni fibra è totale e titanico lo sforzo. Si gronda di sudore in questo caldo umido, e le zanzare ronzano intorno al viso ma non le si può scacciare: servono entrambe le mani sul manubrio per non cadere, per non aprirsi la testa come un popone. Andiamo avanti senza soste e senza parlare, si fa troppa, troppa fatica. Una cosa inimmaginabile per chi non l'ha provata, una roba da bestie da soma che muoiono schiacciate sotto al carico.









Le foto non rendono giustizia. C'è pure un poco di traffico su questi 37km di strada senza paesi, solo un villaggio, Labadie. Ma dove vanno tutti, che c'è la strada grande e dritta un solo un poco più lunga? Gigi ha la risposta: "Vanno a schiacciare gli armadilli". In effetti ce n'è una quantità esagerata, tutti spiaccicati sulla strada. Oltre ai soliti procioni e opossum, furetti, serpenti, cervi e tartarughe. Ne tiro via una piccina dalla strada, su una salita, prima che finisca male come tutte le sue cugine. Mi soffia da dentro il carapace, porella: è terrorizzata.



Superiamo Labadie, che prende il nome da Sylvester L'Abaddie, un cacciatore che (secondo alcuni resoconti) fu ucciso da un orso nella vicina Grotta di Labaddie. Una storia della contea pubblicata nel 1968, tuttavia, registra che "morì in pace nel suo letto nel suo settantesimo anno, il 25 luglio 1849, nella sua casa di Olive Street a St. Louis". L'ufficio postale di Labadie fu istituito il 7 giugno 1855. Labaddie Creek entra qui nel fiume Missouri, e questa era la posizione della stazione Labaddie della Missouri Pacific Railroad.
E' l'unico paese fino alla fine delle colline. Per il resto solo alberi e prati. E rampe.


Finalmente raggiungiamo Wildwood, che son tre case intorno a un immenso campo da golf super pettinato, dove alcuni ricconi in calzoncini bianchi stanno giocando. Si girano a guardarci e strabuzzano gli occhi. Non per l'impresa, ma per come siamo conciati, sudati marci, appiccicosi e pieni di terra e insetti. Ma felici: qui ricomincia la 100. Che non è in piano, ma nemmeno così tragica. Ovviamente andiamo a est, sempre sulle orme di Lewis e Clark.


Facciamo una sosta al benzinaio che pare un Campidoglio, dove parcheggiano macchinoni guidati da sbarbatelli sedicenni.



E si riparte per gli ultimi 30km che ci separano dalla doccia e dal letto del Red roof inn di St Louis.
Per entrare in città passiamo da Chesterfield, che sorgeva nella cosiddetta Gumbo flats, valle talmente umida, fangosa e bagnata di limo da essere paragonata al Gumbo, lo stufato brodoso tipico della Louisiana.
Questa zona è stata abitata da nativi per oltre 4000 anni; poi son state fondate varie cittadine, lungo il fiume e lungo la ferrovia, a partire dalla prima metà dell'Ottocento e fino alla fine del secolo. Chesterfield era una zona, un'area di campi e paludi e villaggi. E' diventata città solo nel 1988, perchè la popolazione aumentava ma mancavano i servizi essenziali. Poi sono iniziate le grandi opere di costruzione, dai parchi ai giardini botanici, dai centri commerciali enormi ai quartieri residenziali.
Nel 1967 tutta l'area è stata devastata da un tornado, e nel 1993 dalla già citata piena del Missouri.
Noi pedaliamo su immensi stradoni muniti di ciclabile o di cartelli che avvertono gli automobilisti a "share the road", condividere la strada con i biciclisti. E poi qui siamo in città e la gente è più educata, e rispettosa.


Con gli ultimi saliscendi, mentre si addensa l'ennesimo temporale, raggiungiamo il Westport plaza, immenso centro commerciale che incute timore


e infine il motel. Siamo bolliti. Per fortuna riusciamo a caricare in ascensore le bici per fare i tre piani che ci separano dall'agognata stanza. Dobbiamo spegnere l'aria condizionata e lasciare la porta aperta per un po': dentro ci saranno 15 gradi a esagerare, fuori 30. Ma che problemi hanno gli americani? E' come con le bevande: o sono ricolme di ghiaccio e troppo, troppo fredde, o sono ustionanti e caldissime, imbevibili.







Una volta docciati e fatto il bucato a mano, scendiamo al benzinaio ben fornito per la cena, e ci rimpinziamo a dovere. Poi studiamo il tragitto per i prossimi giorni.


In breve, a grandi linee: domani visiteremo St Louis direttamente in sella, e poi ce la lasceremo alle spalle, entrando in Illinois. Facciamo rotta verso Pittsburgh, dove inizia un'altra grande ciclabile, sempre rail to trail, la Great Allegheny passage, che, in 500km, porta fino alla capitale (ma noi ne pedaleremo solo metà perchè poi diventa troppo brutto il fondo, dicono).
Da qui a Pittsburgh sono 1000km abbondanti, per noi spezzati da Indianapolis, dove potremmo fare una sosta, e Columbus.
Quindi, da qui: Indianapolis (400km), Columbus, Pittsburgh (1000km), Washington DC (1500km) e New York (2000km).
Facendo questo conto, il kilometraggio totale del viaggio dovrebbe aggirarsi intorno ai 6500km. Mica noccioline! In 72 giorni di viaggio, inclusi i voli e le soste turistiche... La media è alta, e le gambe, le braccia, le chiappe, la schiena, le mani e i piedi... Tutto insomma, tutto ne risente. Ma siamo allenatissimi e assolutamente nel mood dei pionieri, quindi fate largo, americani, che dobbiam passare!

Ah, il materassino sembra bene. Non è il top come il mio, ma come ripiego di emergenza è perfetto. Domani già probabilmente si campeggia, ci sarà la sensata esperienza.



Grandi speranze
Occhi aperti, cuore socchiuso
Seguimi, non so dove sono
Su un prato, su un campo minato
Come sei bella
Non mi sono ancora abituato
Sei la bussola e l'uragano
Il grande freddo
Preso alla stazione di Milano...


(mi frullano in testa queste canzoni qui, quindi ve la cuccate!)

Cadeva la sera
Su una bella e malandata Europa multiculturale
Su un altro bar che cambia gestione
Su un altro eroe da dimenticare
Il giorno degli attentati hai scritto
Per tranquillizzare tutti
Che come sempre eri da quelle parti
Ma non eri tra i feriti o tra i morti
Arriverà la pace inaspettata e benedetta
Come ogni sera sarai stanca morta
Saranno tutti inginocchiati
In direzione del Nord America
Del nord Italia o della Mecca
Chiudere gli occhi per vedere fuori
L'inverno più mite degli ultimi diecimila anni
Quei quattro alberi, i tuoi santi protettori
E tua madre, la Madonna degli affanni
E dove c'era un minareto o un campanile
C'è un albero in fiore tra le rovine
Ci siamo noi due accecati dal sole
Mentre cerchi di spiegare
Cos'è che ci ha fatto inventare
La Torre Eiffel, le guerre di religione
La stazione spaziale internazionale
Le armi di distruzione di massa
E le canzoni d'amore
Cos'è che ci rende unici e fragili
Con sette vite e sette miliardi di desideri?
Una pelle molto sottile
Sempre assaliti dai pensieri
Su questo pianeta chiamato Terra
Anche se come noi
È quasi soltanto acqua
Come noi, tra un amore e una guerra
Assediati da quello che manca
Era per andare via da me, da te
Dalla piazza della cattedrale
Hai scoperto che Toronto
È una Varese più grande
Ma a parte il freddo non si sta poi così male
E lì ci sono ragazze come te
Che da piccole sono state molto sole
E adesso sono più forti
Di un intero paese
C'è un uragano con il tuo nome
Aerei militari che come certi baci non fanno rumore
E dove c'era un minareto o un campanile
C'è un albero in fiore tra le rovine
Ci siamo noi due accecati dal sole
Mentre cerchi di spiegare
Cos'è che ci ha fatto inventare
La Torre Eiffel, le sinfonie di Beethoven
La stazione spaziale internazionale
Le armi di distruzione di massa
Le canzoni d'amore
Cos'è che ci ha fatto inventare
La Torre Eiffel, le guerre di religione
La stazione spaziale internazionale
Le armi di distruzione di massa
Le canzoni d'amore

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