21/8
Uhrichville-Steubenville
89km
Quella odierna è stata una giornata pigra e lenta, quasi strascinata. Sia Gigi sia moi eravamo stanchi, appesantiti da un sonno tanto insondabile quanto inspiegabile, e gravati da dolorini da usura. Io devo aver preso delle legnate sui gomiti bionici, le scorse notti, da parte degli spiriti indiani mehnahmerdha, ed ogni scossa al manubrio è una fitta elettrica che arriva al cervello. E poi le gambe pesano, almeno quanto il culo, in senso metaforico. Siamo secchi secchi. Ma psicologicamente iniziamo a rilassarci, perchè il grosso è fatto e non manca molto alla fine del viaggio. E' sempre così: gli ultimi giorni sono i più difficili. L'adrenalina e la carica vanno scemando, i nodi di furor, tenacia, ostinazione si sciolgono. I muri e gli argini che avevano contenuto la percezione della stanchezza, della fatica, iniziano a cedere. E queste emergono dal fondo delle fibre, come un relitto che torna alla luce dopo esser stato sepolto sotto sabbia, alghe e duemilametri di mare buio. Così, da duemila metri di profondità della coscienza, o dell'incoscienza, dove avevamo costretto la stanchezza, eccola riemergere, paludosa e piena di cirripedi, di incrostazioni e melma.
Stasera ho rifatto i conti, e siamo in largo anticipo, ma davvero. Abbiamo pedalato più in fretta del previsto, quindi ci concederemo qualche pausa in più.
In linea di massima, comunque, i numeri sono questi:
- domani (22/8) arriveremo a Pittsburgh presto (62km, di cui la maggior parte sulla Panhandle bike trail)
- in due giorni (23-24/8) saremo a Cumberland, via Great Allegheny passage, una ciclabile di 240km che ci porterà al passo degli Appalachi
- in altri due giorni (25-26/8) arriveremo alla capitale, a Washington DC, con 220km di sgambata; in questa città ci fermeremo due giorni a fare i turisti (27-28/8)
- tra Dc e New York, meta finale del viaggio, ci sono 450km, roba che in 4 giorni si fa; considerando che il nostro volo di ritorno, acquistato insieme a quello d'andata una vita fa, è il 7/9 pomeriggio, ci fermeremo 4 giorni e mezzo a NYC e ci avanza ancora un giorno da spendere, magari a Filadelfia, la famosa patria del formaggino, se non ci sono imprevisti che rallentano la marcia.
Insomma, abbiamo passato i 5500km, ne mancano poco meno di 1000, che poi diventeranno un po' più di 1000 con il nostro girovagare, e il record di viaggio più lungo, per me, è bell'e segnato.
Ma ciancio alle bande, che ho ancora da raccontare tutta la tappa di oggi!
Donc, come dicevo, siamo partiti lenti e acciaccati, con la scimmia del relax (la rella, come diceva mio nonno) sulla schiena a spulciarci le meningi. Uh Uh!
Abbiamo fatto colazione al Red roof a base di bagel, che tanto sono buoni ed esteticamente pregevoli, quanto indigeribili; ma che ci mettono nell'impasto? Il catrame? La pece indiana? Boh. Il bagel è una di quelle cose che mangi e poi rirutti per tutto il giorno, e ti tiene compagnia e si ripresenta e parla yiddish e polacco e ti saluta. "Gesundheit"! "Labriut"! Alla salute!
Torniamo indietro per l'ultimo tratto di strada percorso ieri e il cielo non dice bene; per non percorrere la stradona trafficata che attraversa Uhrichville, prendiamo un cavalcavia che porta a lupolandia, ovvero in culo ai lupi, su per delle collinette piccole e terribili dove, tra la luce che manca, il quasi freddo del vento sulla pelle e le foglie gialle a terra, pare già ottobre.
Tra saliscendi inutili e continui, nel grigiocielo grigioasfalto, passiamo attraverso casette sparse curatissime, che paiono modellini di plastica appoggiati su un tappeto verde. Ma quanto tempo passano gli americani a tenere in ordine le loro villette? Quanti soldi, quante energie? Sono belle, eh, per carità. E danno un senso di pulito accogliente. Ma è roba da maniaci, da malati di mente. Io che faccio le pulizie domestiche una volta all'anno, prima di partire, e che vivo in una casa da me personalmente trasformata in regno del caos, non posso capire. Ma non hanno modi migliori di passare il tempo, che sfregare con la spugnetta tegola a tegola? Sul serio? O lo fan fare al "negretto" di turno, che magari è sudamericano e bianco, ma schiavo d'altre catene?
Comunque, esteticamente, tutto è bene.
Finalmente riprendiamo la 250, stradona impercorribile a Uhrichville ma poi più tranquilla. Certo, il traffico non manca. Ci sono auto, furgoni e soprattutto camion enormi, che non si capisce dove vadano. A spetasciare i procioni e i cervi, ok, ma poi? Che ci fanno qui nel nulla, in mezzo alle colline, dove non ci sono nè grosse città nè aziende? Al cinquantesimo Tir che sbroffa e mugghia, appuzzolentisce l'aria e ferisce le orecchie, ci si rende conto di come l'umanità abbia veramente esagerato con questa cosa del trasporto su gomma. Per fortuna tutti sono rispettosi e guidano in modo da non mettere in pericolo. Però la strada è stretta e un po' ci si dà fastidio a vicenda, inutile negarlo. Quando tutti, in un futuro nemmeno troppo lontano, saranno costretti ad andare a piedi, o in bici, o a strisciare nella terra come i vermi, perchè sarà tutto distrutto, inquinato e invivibile, allora ne riparleremo.
Se non altro, però, non ci sono più salite, ma un morbido susseguirsi di falsopiani. Si è fatta più stesa la valle e respira meglio anche il fiume, il Little stillwater creek.
D'improvviso, acqua. Un sacco di acqua. Un lago enorme. Il Tappan lake. Si capisce che è un lago artificiale, chiuso dalla diga omonima, proprio dal nome: tappan. Cioè tappano l'acqua. Va be', basta battute pessime.
Comunque il Tappan lake è davvero un bacino artificiale, che si trova a circa 300m di altezza e copre 9.5km quadrati di superficie, più altri 20km quadrati di parco circostante, parte del Muskingam Watershed Conservancy district.
la diga. Viva la diga! |
Di base è un gran bel lago, su cui la strada corre, spesso attraversando dei brevi fiordi che portano ad avere acqua sia a destra sia a sinistra, come si fosse su un ponte. Ci sono dei moli, un porto, moltissimi boschi e pinete scure che profumano di resina e muschio, ma pure un campeggio e distese sconfinate di ninfee.
Lo so, ho fatto un montone di foto. Ma, deh, mi è garbato parecchio il Tappan. E' la cosa più bella vista oggi. E poi è grande. Ci ha accompagnato per un buon tratto di tappa.
Di questa città c'è il cartello, ma non la città.
Dopo uno spettacolo pirotecnico di ninfee, ahimè, anche il lago finisce e si torna tra le colline scure, sotto un cielo sempre meno allegro. In alto, come si vede guardando bene nella foto qui sotto, volano i condor neri dalla testa pelata; questi gruppi che girano in larghi cerchi significano una cosa sola: c'è una carogna in giro, in zona. E in effetti si vedono un'infinità di procioni e cervi morti investiti.
Tra una rampa e una discesissima, raggiungiamo Cadiz, prima e unica cittadina (3000 abitanti e fischia) della giornata.
Vi sparo il pistolotto wikipediano:
"Cadiz fu fondata nel 1803 all'incrocio delle strade verso ovest, da Pittsburgh e Washington, e prese il nome da Cadice, in Spagna. La città divenne il capoluogo della contea di Harrison appena questa fu formata, nel 1813. Nel 1840 Cadice contava 1.028 abitanti; nel 1846, la città aveva quattro chiese e 21 negozi. La Steubenville e la Indiana Railroad, un predecessore della Pennsylvania Railroad , arrivarono a Cadice l'11 giugno 1854.
All'inizio e alla metà del diciannovesimo secolo diverse famiglie locali gestivano "stazioni" e servivano come "conduttori" nella ferrovia sotterranea, aiutando gli schiavi a fuggire in Canada.
Nel 1880 la popolazione era quasi raddoppiata e la città aveva tre giornali e tre banche.
L'industria inizialmente era basata sull'agricoltura e sulla trasformazione dei prodotti. Nel 1889 ci fu un breve boom petrolifero con la spedizione di 120 barili di petrolio prodotti nella vicina Green Township. L'estrazione del carbone, sia sotterranea che di superficie, divenne l'industria di spicco per gran parte del ventesimo secolo. Più di recente Cadiz è divenuta un centro per la produzione di gas naturale. Il complesso MarkWest, aperto nel 2012, estrae più di 180 milioni di piedi cubi di gas naturale al giorno, che vengono esportati attraverso il gasdotto a Mont Belvieu, Texas".
A Cadiz è anche nato Clark Gable. E dunque, se due cose importanti han fatto la storia del paese, due musei ci sono: quello del carbone e quello dell'attore.
Qui facciamo una sosta che si protrae a lungo, anche perchè, nel frattempo, passa un nuvolone nero e inizia a piovere. Siamo oltremodo molli e fiacchi, e decidiamo così di fermarci alla prima città pensata come meta odierna, Steubenville, senza proseguire oltre (cosa per altro non necessaria in termini di tempo e kilometri). Prenoto il motel più economico che trovo, che comunque è tutt'altro che a buon prezzo (ma che ci sarà mai in questa minuscola cittadina sul fiume Ohio, al confine con West Virginia e Pennsylvania?). Poi, piano pianissimo, torniamo in sella. Decidiamo di seguire la US 22, una stradona trafficata e grande, piena di monnezza pericolosa per le forature (chiodi, copertoni di camion sfilacciati di metallo, pezzi di auto e lamiere, vetri...). Questa arteria, che pure ha un ampio bordo e non è rischiosa, è la via più breve e con meno dislivello per raggiungere Steubenville.
Ma, dopo pochi kilometri, arriva la ciavada. Sembrava tutto troppo facile! La 22, improvvisamente, diventa vietata alle bici e al traffico lento. Per cui siamo costretti a uscire e imboccare le stradine di campagna che corrono più o meno parallele, in mezzo alle colline.
In mezzo nel senso che infilino OGNI collina, su e giù, e imbroccano OGNI cima, su e giù, in un susseguirsi di rampe ripide che fan cadere le gambe come la coda alle lucertole. E, oltre alle gambe, le palle.
Così ci tocca la panoramica, ma potrebbe andare peggio. Potrebbe piovere!
Certo i paesaggi sono dolci e ripagano un poco della fatica. Qui, fuori dallo stradone, regna il silenzio, e c'è profumo di fieno che asciuga. Forse è stato meglio così. Questo lo penso in discesa. In salita penso invece penso ai santi, alla madonna e a tutti gli angeli in colonna. La bici è pesante. Oltre un certo grado di pendenza è tutto un Sisifo. Mi viene in mente l'amato Camus. Vi riporto qui una delle cose più intelligenti e belle che io abbia mai letto, e non ringrazierò mai abbastanza la persona che mi ha fatto conoscere quest'opera. Se vi interessa l'articolo, leggete assolutamente "Il mito di Sisifo" di Camus.
"Se vi è un destino personale, non esiste un fato superiore o, almeno, ve n'è soltanto uno, che l'uomo giudica fatale e disprezzabile. Per il resto, egli sa di essere il padrone dei propri giorni. In questo sottile momento, in cui l'uomo ritorna verso la propria vita, nuovo Sisifo che torna al suo macigno, nella graduale e lenta discesa, contempla la serie di azioni senza legame, che sono divenute il suo destino, da lui stesso creato, riunito sotto lo sguardo della memoria e presto suggellato dalla morte. Così, persuaso dell'origine esclusivamente umana di tutto ciò che è umano, cieco che desidera vedere e che sa che la notte non ha fine, egli è sempre in cammino. Il macigno rotola ancora. Lascio Sisifo ai piedi della montagna! Si ritrova sempre il proprio fardello. Ma Sisifo insegna la fedeltà superiore, che nega gli dei e solleva i macigni. Anch'egli giudica che tutto sia bene. Questo universo, ormai senza padrone, non gli appare sterile né futile. Ogni granello di quella pietra, ogni bagliore minerale di quella montagna, ammantata di notte, formano, da soli, un mondo. Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice."
Ultimi strappi, una sosta ancora ed eccoci, dopo aver passato una serie di paesini: Hopedale (1849), Bloomingdale (1816), Belvedere e Wintersville (1831, dal nome del fondatore John Winters). Arriviamo a Steubenville che è ancora abbastanza presto, ma siamo così stanchi, nonostante i pochi kilometri, da rimandare a domani, a inizio tappa la visita di downtown, che sta proprio in riva al fiume Ohio, confine naturale tra Ohio e West Virginia.
Il nome della città deriva da Fort Steuben, un forte del 1786 che si trovava entro i limiti attuali della città e fu chiamato così in onore dell'ufficiale tedesco-prussiano, il Barone Friedrich Wilhelm von Steuben. Serviva a dar protezione ai topografi e agli ingegneri che stavano organizzando i territori oltre il fiume. Oggi, una replica del forte è aperta al pubblico e ci si può vestire da soldatini. Che bello, eh? Il forte, comunque, fu abbandonato entro pochi anni ma rimasero le case dei coloni. In franglais, l'insediamento veniva chiamato la belle city.
Poi divenne città portuale sul fiume, e stazione ferroviaria, dove passavano il carbone e la legna, i prodotti agricoli e le pelli.
Steubenville è conosciuta come la "città dei murales", perchè ne ha oltre 25 nel centro cittadino, tutti dedicati alla storia locale. Ospita l'Università francescana di Steubenville, nel cui giardino c'è il nostro motel, e l'Eastern Gateway Community College. pare ci sia anche un imperdibile villaggio di Schiaccianoci, in periodo natalizio, che non vedo l'ora di non vedere.
Più di recente, nel 1992, il rapper RZA, prima di di dar vita al clan Wu-Tang, fu coinvolto in una sparatoria proprio a Steubenville e dovette affrontare la vendetta e le ire dell'avversario, cui aveva sparato a una gamba e che, per contro, voleva fargli la pelle. Ha dovuto affrontare otto anni di prigione, ma è stato assolto. La città ha anche attirato l'attenzione internazionale alla fine del 2012 per gli eventi riguardanti il caso di stupro della Steubenville High School. Il caso è stato seguito per la prima volta dal New York Times, poi dal gruppo di hacker informatici Anonymous e, un anno più tardi, dai giudici del tribunale. Il caso è stato significativo nell'ampio uso dei social media come prova e nell'apertura di una discussione nazionale sul concetto di cultura dello stupro. Di tutto questo leggo mentre mi rilasso nell'acqua tiepida, ammirando la mia meravigliosa abbronzatura zebrata. Che delizia!
In camera c'è anche un quadernone ad anelli che, oltre a elencare i servizi dell'hotel e le balle varie, elenca i luoghi di culto della città (meno di 20.000 abitanti e una pagina intera di chiese e templi), e i punti di interesse, a giudizio dei locals.
Per fare la spesa tocca tornare in sella, perchè il supermercato non è vicinissimo (ma è un Kroger di quelli grandi e ha tanta frutta e verdura fresche, yay!). Accanto al centro commerciale, che è grande come un quartiere intero, ed è abbellito con opere così, a gratis.
Non manca, a breve distanza, l'immenso impianto sportivo della locale middle school.Qui una mandria di ragazzini si sta allenando, chi a calcio, chi a football americano. Tutti sono i divisa, belli in ordine e carichi, seguiti da uno stuolo di insegnanti e allenatori. Alla faccia dei fondi per l'istruzione.
La serata si conclude così, con un cielo finalmente azzurro. Domani si entra a Pittsburgh, vedrò una ciclabile e una nuova città, attraversando due stati: fettina di West Virginia e primo assaggio di Pennsylvania. E il fiume Ohio! Insomma, friggo. La giornata promette grandi cose!
22/8
Steubenville-Pittsburgh
64km
Come immaginavo, quella di oggi è stata una giornata intensa. Nel bene e nel male, piena, e lunga, e senza un istante di noia.
Dunque, stamattina, dopo abbondante colazione in motel (ma che buono è il burro d'arachidi con la marmellata o con lo sciroppo d'acero?) siamo partiti da Steubenville lasciandoci finalmente alle spalle l'università francescana, le chiese e le mille balle di questo bigottame non richiesto.
Steubenville potrebbe essere una bellissima cittadina, ha tutte le carte in regola per esserlo. E' immersa tra colline verdissime di boschi fitti, si affaccia sul canyon di roccia nuda dell'Ohio, ha edifici antichi e una storia da raccontare.
Tuttavia resta di una bellezza solo in potenza, e raramente in atto, per usare termini aristotelici.
Scendendo verso il fiume, passiamo per downtown, che è maròn nei muri e nei tetti
ma sa essere anche bianca come si confà alla giustizia.
Tra un rosario e l'altro, perchè il navigatore continua a farmi cambiare rotta, e molti ponti non sono ciclabili, ne imbocchiamo uno, finalmente, in cui noi povere anime pedaline possiamo transitare. Siccome c'è un marciapiedi, ma si sale con una rampa tanta di scale, passiamo sulla carreggiata, che è una grata da cui si vede, sotto, molto sotto, da cagarsi sotto, l'acqua profonda dell'Ohio. In un attimo siamo dall'altra parte, ed è subito West Virginia.
Torno indietro a piedi a scattare qualche foto di questo imponente e maestoso fiume, che è il principale affluente del Mississippi; ne risaliremo la corrente, oggi, fino a Pittsburgh, dove si forma dalla confluenza di Allegheny e Monongahela.
Come sempre qui, accanto al fiume, grande via di trasporto di uomini e merci, corre la ferrovia, e poi anche la strada. Perchè questo è un paese di gente in viaggio, di nomadi che nemmeno sanno di esserlo. E, bontà loro, se ne vergognerebbero. Perchè mica sono zinghéri, loro!
Il nostro obiettivo primario è quello di raggiungere la Panhandle bike trail, che si trova qui a breve distanza, una decina di kilometri circa. Purtroppo questa ciclabile non è pensata per essere raggiunta comodamente in bici; non ha strade sicure per arrivarci, ma grandi parcheggi ad ogni ingresso, che si affaccia su superstrade, così da permettere di caricare la bici in auto, scaricare la bici dall'auto, pedalare, ricaricare la bici in auto e tornare a casa. Una genialata! Dunque, per entrare sulla Panhandle senza finire stiacciati come procioni, ci tocca fare uno zigozago tra le colline che -già intuisco dalla mappa- sarà mortifero in termini di salite e pendenze. Prima, però, costeggiamo un poco l'Ohio, imbattendoci nell'ecomostro più inquietante visto finora: un'immenso impianto di lavorazione del carbone, con alte fiamme che escono dai camini e un fumo bianco e denso tutt'intorno, e la ferrovia che passa direttamente all'interno per caricare vagonate di carbone. Questa è da sempre una regione di estrazione del predecessore dell'oro nero, altrettanto nero e altrettanto inquinante e altrettanto usato in nome del progresso, del movimento rapido, futurista, zang zang tumb tumb. Il tutto, così inatteso e fuori luogo rispetto alla pace del fiume e dei boschi, mi ricorda le fucine di Isengard. Verrà anche qui un Barbalbero a vendicare ciò che è stato infranto.
Per fortuna da questo inferno di tubi e calderoni ce ne andiamo presto, piegando per una stradina che sale a ghirigori fra le colline, in un susseguirsi di umido bosco e piccoli villaggi semiabbandonati e coperti di muschio.
Il saliscendi diventa impegnativo di rampe ripide a tratti, ma è meno peggio del previsto. Certo, ci fa sudare anche la cresima, con l'umidità che c'è, ma in fondo oggi la tappa è breve e si pedala con calma, senza ansie di lancette o clessidre.
Così piano piano ci arrampichiamo su una, due, tre colline, e arriva poi sempre la discesa, benedetta e odiata, amata e temuta, perchè la strada è abbastanza dissestata da rendere pericolosi i voli in picchiata, e nella penombra, miope come sono, non vedo le buche e prendo delle legnate pazzesche, dolorose soprattutto per i gomiti e il collo.
Comunque, dopo quella che sembra una vita, arriviamo a Colliers, microvilaggio immerso tra i colli, che a noi interessa perchè qui possiamo entrare, finalmente, nella Panhandle. Colliers, uno de più antichi insediamenti della zona, conobbe momenti di gloria tra la seconda metà dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento, grazie alla ferrovia e alle miniere di carbone, ai tempi della terra sventrata e ferita a colpi di piccone o dinamite.
Sotto lo sguardo attento dei due unici residenti vivi (gli altri probabilmente sono zombie... in questi paesi non si vede mai in giro nessuno!), una coppia di anziani pasciuti sulla veranda della loro mobilhome, entriamo nella Panhandle. Oltre al fatto che è sicura, ci attira la sua pendenza, sempre quasi pari a zero, poichè si tratta di una rail to trail. E non è mica male far 50km in piano in un territorio tutto a colline bastarde!
Questa ciclopedonale è stata aperta dal 2000 in poi sulla sede della Panhandle railroad, che serviva la più grande linea tra Pittsburgh e St Louis, chiusa man mano, a pezzi, e non sopravvissuta oltre la metà degli anni '90 del secolo scorso. Ad occuparsene sono gruppi di volontari che tengono pulito il fondo e rasata l'erba, ordinati i bagni e i tavoli da pic nic. E' meno famosa e meno praticata della Katy o della Gap, e non ha tutti i cartelloni informativi e i servizi delle altre, ma è altrettanto bella e comoda: gran parte della pista, infatti, è asfaltata, e porta fino alla periferia di Pittsburgh.
Così iniziamo a pedalare sul questa bella strada tutta per noi. Di gente in giro ce n'è poca e solo in concomitanza dei paesi: qualche ciclista, qualche anziani che passeggia, un paio di runner e poco altro. Nel giro di un attimo siamo di nuovo sul confine tra stati: stiamo già lasciando la West Virginia, dopo una manciata di kilometri, per entrare in Pennsylvania. Di questo stato parliamo meglio domani, quando avremo modo di addentrarci nel suo cuore di pietra scavata dai fiumi e corteccia umida.
La ciclabile è davvero una fetta di eden dopo tante strade trafficate. Si snoda tra boschi antichi dove i ragni ricamano la rugiada e corre silenziosa tra i fianchi erbosi delle colline. Dispiace sia così breve, ma capita così con tutte le cose belle.
Passiamo da Hanlin, Dinismore e Burgettstown (1795), che sono villaggi assopiti e pigri di un torpore grigiolatte. Non c'è nessuno. Non si vede anima viva.
Proseguiamo nei docili falsopiani e ci godiamo il profumo di erba bagnata; ogni tanto pioviggina, ma non è nulla di che.Andiamo piano e con calma, respirando a fondo; stiamo diventando parte del tutto, ci stiamo mescolando alle radici e alla terra fradicia, alle nuvole che corrono in cielo e ai sassi grigi che son piccoli mondi.
Dopo Joffre e Bulger, si passa da Midway, che era la stazione esattamente a metà strada fra Pittsburgh e Steubenville; poi si raggiunge l'incrocio con la Montour trail, altra lunga ciclabile che gira tutt'attorno alla periferia di Pittsburgh.
Qui incontriamo un uomo alto e dai modi gentili, sessant'anni ben portati e cappello da chi ha camminato anche nel deserto, a tesa larga; viaggia su una bici reclinata. Ci fa molte domande, con un tono sempre bonario e interessato, e parla delle strade sapendo ciò che dice. E' uno che ha viaggiato, e si sente. Ci racconta delle sue camminate sul fondo del Grand canyon o nelle terre dei Navajo, in Utah. Poi ci dà informazioni su Pittsburgh e sulla Great Allegheny. Dopo una lunga chiacchierata, ci salutiamo; in realtà avremo modo di parlare con lui altre due volte, prima di lasciarci davvero: quando noi ci fermiamo per una sosta o una foto, lui ci raggiunge e riattacca bottone. Fa lo stesso con l'omino che taglia l'erba ai bordi della pista, un volontario, e così via. E' un umarell che viene a cercar compagnia sulla ciclabile, ci sta!
Passiamo da McDonald, cittadina di minatori di carbone sporchi di nerofumo, dove ci sono, udite udite, un negozio di bici e un locale per i ciclisti che percorrono il trail, e vogliono far conoscenze nuove e condividere la propria passione con altri bitumari ciucciamanubri.
Acceleriamo un poco il passo, dopo aver fatto uno spuntino (melabanana): il cielo inizia ad essere minaccioso e improvvisi nuvoloni neri si vanno addensando proprio sopra di noi. Meglio sbrigarsi; il check in è dalle 15 ed arriveremo con largo anticipo, ma non è un problema aspettare nella hall, all'asciutto.
Superiamo anche Oakdale, fondata nel 1892 e saltata in aria nel 1918 a causa dell'esplosione di TNT in una fabbrica che produceva armi per l'esercito al fronte, durante la Grande guerra. Morirono 200 persone.
Nel 2004, un uragano ha portato così tanta acqua da trascinare via nel fango mezzo paese.
Il fondo della Panhandle è diventato sterrato ma pedalabile; noi, a malincuore, dobbiamo uscire: siamo quasi arrivati a destinazione, al motel di Pittsburgh, che dista solo 12km (di colline, lo sappiamo, si vede dalle linee altimetriche della mappa).
Ci tocca scalare la collina su cui si trovano, da un lato, il giardino botanico di Pittsburgh, dall'altro il verdissimo Settlers' cabin park. Non seguiamo una strada ma una costola della Panhandle trail, un collegamento ciclabile che si arrampica su su fino in cima con pendenze impossibili. Tocca, in molti tratti, scendere a piedi e spingere la bici, cosa che a me risulta ancor più faticosa che pedalare; in più, sul tappetto di foglie umide a terra, con le tacchette delle scarpe, si scarliga che è un piacere e si recitano molte preghierine.
Come ciliegina sulla torta, ci coglie tra capo e collo un temporale cattivissimo, violento e gelido di pioggia che batte e frusta. Tutto accade nel bosco delle foto sopra, sulle salite ripidissime. Il tempo di scollinare, pochi minuti, e siamo già fradici e dilavati, con i pesci rossi nelle scarpe e i rospi nelle mutande. Per fortuna ci sono delle casette abbandonate in cima e possiamo ripararci un momento, e coprirci come si deve, con kway e berretto. E' sceso un improvviso freddo diaccio che ci penetra in fretta nel midollo delle ossa. Piove così forte che il rumore delle gocce d'acqua è assordante; siamo in mezzo alle nuvole più basse, tra i vapori bianco nebbia che ristagnano tra la terra e il cielo.
Per fortuna dura poco: mentre studiamo la strada più breve per arrivare in motel, spiove e quasi esce il sole. A bordo strada, che sale e scende in rampe assassine, si sono formati torrenti impetuosi di fango e pioggia. Oh! Questo sì che mi ricorda la Russia e il suo tempo di me*da!
Con le pastiglie dei freni che fischiano di dolore acuto, scendiamo al Settlers park
e poi risaliamo, e riscendiamo, e risaliamo ancora, sulle ultime collinette che ci separano dal motel. Sulle strade normali c'è un traffico orrendo e stipato, asfissiante; Pittsburgh e dintorni son tutti rilievi e boschi, le vie sono strette e pericolose; persino uno sceriffo ci avverte di stare attenti, che è una brutta strada, quella. Ma noi, pian pianino, col cambietto ridicolo di topolino, saliamo su per le correnti di smog, e tocca persino spogliarci un poco, chè con il sole fa caldissimo e, nel kway, si fa la fine del cotechino da lessare nel sacchetto argentato.
Arriviamo così, zuppi di pioggia e sudore, in motel. Sono passate le 15 da poco quindi ci viene subito data la stanza. E' un posto sgrauso di trafficoni, prostitute, gente di tutti i colori con tatuaggi poco rassicuranti (pistole, croci mafiose, simboli di gang). Ma la camera è grande e pulita, il prezzo da campeggio e la colazione è inclusa. Insomma, er mejo.
Dopo aver organizzato una lavatrice, ci lanciamo subito alla scoperta della città. Siccome abbiamo poco tempo, non usiamo i mezzi, come di solito, perchè costano molto e ci mettono troppo. Chiamo un Uber, e in mezz'ora siamo in centro, dopo aver percorso le tortuose discese fino al fiume.
Pittsburgh sorge nella parte sud-occidentale della Pennsylvania e si è sviluppata attorno a the Point (la punta), il luogo dove i fiumi Allegheny e Monongahela confluiscono a formare il fiume Ohio, e dove fu costruito l'originario insediamento francese di Fort Duquesne. Esso fu conteso fra britannici e francesi durante la Guerra dei Sette anni. Nel 1758 gli inglesi distrussero Fort Duquesne e costruirono un altro forte che battezzarono Fort Pitt, in onore del primo ministro William Pitt il Vecchio.
A partire dai primi anni del XIX secolo la vicinanza di Pittsburgh ad importanti giacimenti di carbone e la sua eccellente collocazione fluviale (l'Ohio è interamente navigabile ed è uno dei principali affluenti del Mississippi) ne fecero una delle più importanti città industriali del mondo, specie nel campo siderurgico, il che le procurò il soprannome di Steel City (città d'acciaio).
La sua economia subì pesanti contraccolpi negli anni settanta, quando l'industria siderurgica entrò in crisi per via della recessione di quegli anni e della concorrenza di produttori non statunitensi; tuttavia Pittsburgh ne risentì meno di altre città americane grazie ad una rapida riconversione in direzione dei servizi e dell'alta tecnologia.
Così dice Wikipedia. The point e i forti saranno materia di visita domani, poichè la Great Allegheny passage, la ciclabile che seguiremo per 250km fino a Cumberland, parte proprio da lì. Noi, per prima cosa, ci dirigiamo al Bicycle heaven, museo gratuito dedicato alle bici, nonchè negozio ed officina.
Si tratta del più grande negozio di bici al mondo, e del più grande museo dedicato ai velocipedi. E' stato fondato nel 2011 da Craig Morrow e comprende la sua collezione personale di bici, oltre a pezzi donati e mille altre puttanate che, nell'insieme, danno al tutto un che di sacro. Morrow ha cominciato riparando bici che trovava nei cassonetti, poi si è ammalato ed è diventato un maniaco accumulatore seriale. 650 metri quadri di showroom, 3500 bici esposte e 27.000 in magazzino sono il prodotto della fatidica frase della moglie: "Se queste bici non le fai fruttare, le porto in discarica!". Bici d'epoca, antiche, vintage, di ogni genere e tipo, modelli unici e serie di cui son rimasti pochi esemplari... Tutto qui è raccolto e accatastato nel modo più confusionario possibile.
Bicycle Heaven mantiene l'ingresso gratuito servendo come negozio di biciclette e consulenza come agenti di scena per produzioni cinematografiche, televisive e teatrali. Dopo le riprese le biciclette vengono restituite e diventano parte della collezione permanente.
Qui ci sono 17 delle 38 Bowden spacelander, rarissime bici in vetroresina progettate nel 1946, che valgono 50.000 dollari ciascuna.
E ci sono pure le bici usate in vari film, tra cui A beautiful mind, Fences, Super 8...
questa è arte pura! |
"qualche" paracatena |
la bici per distribuire la coca cola |
Non mancano, in questa wunderkammer del velocipede, le bici dedicate ai Beatles e a Elvis
e alcune opere d'arte di dubbio gusto.
Finita la caotica e psichedelica visita al museo della bici, che comunque vale la pena, se non altro per il senso di follia colorata che trasmette, ci dirigiamo verso il centro -più centro. Tentiamo di usare i bus, ma qui il servizio lascia assai a desiderare e quindi ci risolviamo a camminare i nostri 4km a piedi, lungo il fiume.
Poco dopo, naturalemònt, inizia a piovere.
Le oche grosse che qui pascolano libere in ogni prato non se ne curano affatto.
Costeggiando l'argine, raggiungiamo un enorme casinò frequentato dal peggio dell'umanità, chi impiccato alla cravatta, chi in calzini e ciabatte, i primi da 2000$ e le seconde da 5000. Roba da vomitarsi sulle scarpe tanta è la vuota spocchia, tale è l'ostentazione idiota.
Poi ecco il mastodontico Heinz field, stadio dove giocano gli steelers a football americano, e, di fronte, il Carnegie science center, sicuramente da visitare per chi ha tempo.
Heinz dello stadio è quello del ketchup, che ha commercializzato (ora in 200 paesi), dal 1869, la famosa salsa. Tutto è iniziato qui a Pittsburgh.
Da lì scendiamo sul lungofiume, o meglio, il parco dei 3 fiumi che qui mescolano le loro acque. La città d'acciaio ha proprio questo colore, nel cielo, nell'acqua, nei poni e nei palazzi enormi. Passano i traghetti carichi di turisti e si lasciano guardare. Smette di piovere. Sento che sta per sbocciare un istante di grazia, un granello di tempo di quelli d'oro, che poi restano nella memoria incastonati a splendere tra i mille color del fumo.
Eccoci qui, di fronte a the point, dove i due fiumi convergono e ne nasce l'Ohio, dove i ponti si raddoppiano per unire terra a terra.
Sul lungofiume, improvvisi, compaiono alla vista i palazzi di downtown e del cultral district. Sono talmente grandi e lustri, raccolti e colorati, da sembrare modellini di un plastico. Ecco Pittsburgh, ecco il frammento eterno, il cuore nudo della città, ecco ciò che cercavo e che porterò via, senza rubare, ma accogliendo il dono.
Mentre si passeggi si incrociano diversi monumenti dedicati ai caduti delle varie guerre
si vede il doppio ponte sull'Allegheny e sul Monongahela
e il grande stadio del baseball dove, proprio stasera, gioca la squadra locale, i Pirates. C'è un gran casino di tifosi, in lontananza. Noi ci sediamo un attimo a contemplare i palazzoni che si specchiano nelle acque del fiume, e magari vorrebbero chinarsi e bere, ma non possono, con le loro spine dorsali d'acciaio. Mentre ci godiamo l'attimo, parte l'inno americano, cantato da una voce femminile dolce e forte, piena, appassionata. E' tutto perfetto.
Mentre aspettiamo l'Uber che ci riporti in motel, passa un biroccio a pedali di gente che beve bira e fa andar le gambe. E ride forte.
Un ultimo sguardo al ponte di Warhol, e la giornata si conclude. Spesa, bucato e domani si torna in sella con una tappa lunga o lunghissima, a seconda di come andran le cose.
Certo è che domani e dopo pedaleremo sulla Great Allegheny passage, una delle più belle rail to trail degli States. Sarà vero davvero? Per saperlo, non c'è che da provare. E noi si prova, si saggia, si testa (e si cuore).
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