6/7/21
Cremona-Ostiglia
134km
the fox is on the bench |
Quella di oggi non è stata una tappa. E' stato un paradosso. Nello specifico, il più famoso di quelli ideati da Zenone di Elea, ovvero il paradosso di Achille e la tartaruga. Il filosofo trovò questo modo fantasioso (gli antichi sapevano forgiare immagini per spiegare la meraviglia e il terrore di un universo che funziona perfettamente ma secondo leggi ancora ignote) per difendere la tesi del suo maestro Parmenide, secondo il quale il movimento è illusione. Lo racconta Aristotele, ma ancora più chiaramente Borges, che cito qui:
"Achille, simbolo di rapidità, deve raggiungere la tartaruga, simbolo di lentezza. Achille corre dieci volte più svelto della tartaruga e le concede dieci metri di vantaggio. Achille corre quei dieci metri e la tartaruga percorre un metro; Achille percorre quel metro, la tartaruga percorre un decimetro; Achille percorre quel decimetro, la tartaruga percorre un centimetro; Achille percorre quel centimetro, la tartaruga percorre un millimetro; Achille percorre quel millimetro, la tartaruga percorre un decimo di millimetro, e così via all'infinito; di modo che Achille può correre per sempre senza raggiungerla."
Chiaramente questo paradosso è stato confutato, da Diogene di Sinope, dallo stesso Aristotele e dalla matematica dal XIX secolo in poi. Ma tenete a mente questa storiella, tenete a mente l'idea di uno spazio divisibile all'infinito, che ingurgita ogni distanza percorsa in un baratro bianco di numeri sempre più piccoli, sempre più piccoli, come sabbie mobili in cui finisce il piede, poi lo slancio, poi la distanza e infine il tempo.
Tenete a mente, perchè è ciò che è accaduto a noi oggi.
E con la luce si dissolve anche la fatica e torna fresca l'aria. Tra gli alberi, intorno alla tenda, si muovono vaghe le lucciole. E' stata una bella giornata, anche oggi, nonostante i paradossi. Ma bisogna riposare.
La giornata è iniziata sotto i migliori auspici, benchè fosse chiaro che il sole non avrebbe risparmiato nulla in arsura e afa. Abbiamo lasciato il campeggio con l'idea, oggi, di seguire per bene la famosa Ciclovia del Po, fino ad Ostiglia. Mai decisione fu più sventurata.
I primi kilometri, nella luce ancora morbida del mattino, sono scivolati via con una certa facilità. Si corre su terrapieni per lo più asfaltati, nel profumo di terra umida e fieno. Sotto, intorno, ovunque, la valle creata dal fiume, il grande impietoso Eridano, che porta vita e morte a un tempo. Questo è uno dei volti della pianura, di terra bassa, di campi fertili e un susseguirsi di generazioni chine a seminare e raccogliere, da secoli, con gli stessi gesti dalla sacralità di rito. Rondini garrule e aironi sottilissimi, misti a garzette dal lungo ciuffo, completano il quadro.
A tratti un'ansa del Po lambisce la strada, ed emergono spiaggioni deserti e qualche rara imbarcazione. Inaspettato, il silenzio. Non c'è nessuno!
Superata la big bench, la grande panchina rossa (in copertina) prendiamo la prima decisione storta. Ovvero: toppiamo in pieno la strada, chiamati dalla frescura del bosco, imboccando il sentiero per mountain bike. Pedalabile, sì. Ma sterratino anzichenò e parecchio tecnico. Ombreggiato eh, e pure bello in sè. Ma quanti rosari ho snocciolato in certi passaggi, nello sferragliare di gamelle e padellotti, lo sa solo l'Eridano.
Dopo una fatica insensata per così pochi km, torniamo finalmente sulla traccia principale. Ne abbiamo pedalati poco più di 30, ce ne mancano oltre cento, le ore più calde e paniche si avvicinano. Il vento è leggero ma costantemente contrario, e rallenta la marcia. E poi la strada. La strada inizia a serpeggiare in modo insensato, seguendo le ansIe del Po ma da lontano. Senza mai un filo d'ombra. Senza punti per rifornirsi d'acqua. E SOPRATTUTTO. Soprattutto. Senza nulla che possa distrarre la mente dalla fatica. Il paesaggio è di una monotonia devastante. Alle 11.30 del mattino penso: questo è il Kansas de noantri.
E alle 20.30, quando arriviamo, non posso che confermare. Campi, campi, mais, mais, campi, mais, cais, mampi. All'infinito. Con questa striscia di asfalto o strada bianca che serpeggia, fa curve, altre curve, si allunga, si stira, dilata lo spazio e il tempo.
Dopo troppi km ricompare il fiume, e con lui un poco d'ombra. Ma la tappa di mezza giornata, Casalmaggiore, è ancora distante.
Per fortuna, ad un tratto, compaiono alcuni paesini che non sono mutati d'aspetto nei secoli. Tegole, mattoni, il campanile e alcune cascine fortificate rompono la monotonia dell'orizzonte. Una gioia per gli occhi, sembra di pedalare in un dipinto dei macchiaioli. Le campane suonano la mezza, il tempo di ferma, e l'assoluta stasi è infranta solo da un volo di rondini.
In cerca d'acqua usciamo dalla ciclabile e attraversiamo una serie di paesini ini ini, nei quali, a causa della palude di immobilismo e afa o nebbia e umidità in inverno, immagino culla di efferati serial killer e scemi di guerra in tempo di pace. L'unico bar che troviamo, gestito da cinesi (ebbene), è frequentato da personaggi che a mezzogiorno sono già alla seconda sbronza quotidiana.
Proseguiamo fuori dalla ciclabile, attraverso i paesi, fino a Casalmaggiore. Siamo disfatti di caldo e fatica, mentale più che fisica. I primi 50km sono parsi infiniti. Davanti alla chiesa troviamo delle panchine in pietra, ombreggiate da tigli profumatissimi e stracolmi di cicale a grappoli. E con una fontanella freschissima. Beviamo, mangiamo qualcosa e collassiamo, letteralmente, dormendo circa un'ora in quel locus amoenus. Che meraviglia i pisoli di mezza via! Ci sveglia il passaggio dei ragazzini dell'oratorio feriale. Il mio cervello, da che insegno, attiva una serie di meccanismi di allerta appena sente il vociare di preadolescenti in gruppo. E così tocca svegliarsi.
Ci rimettiamo in sella un poco rinfrancati, ma neanche troppo. Le dinamiche della stanchezza sono imperscrutabili ed è difficile dire perchè un giorno si faccia tanta fatica e quello successivo quasi nulla. Non siamo neanche a metà strada e siamo cotti, ma abbiamo deciso di pedalare il più possibile per aver tappa breve domani, e di conseguenza poter visitare Ferrara.
Una bella sorpresa è il passaggio in Sabbioneta, città fortificata voluta dai Gonzaga e costruita secondo i principi umanistici della città ideale, nella seconda metà del Cinquecento. In questa posizione tra il Po e l'Oglio, nel cuore della pianura, si contendevano le terre con lunghe mani, gli spagnoli da Milano, i Gonzaga da Mantova e i Farnese dal Ducato di Parma e Piacenza. Sabbioneta, schiacciata tra questi stati regionali, riuscì a mantenersi capitale autonoma di un piccolo stato, florido per i commerci in transito sui fiumi e nel piano.
Ahinoi, al culmine della mollezza, con le gambe ormai simili ai tentacoli di un polpo scongelato, riprendiamo la ciclabile del Po. Dell'Oglio. Dei canali. Di questa rete fluviale che costringe noi poveri esseri di terraferma a zigzagare tra anse e argini, allungando la strada a ogni passo.
Qui interviene la storiella di Achille e la tartaruga. Dopo una sosta in un bar dagli avventori, diciamo, buffi (età media over 80, tasso alcolemico over 9000, tasso di stortura molto alto), dopo una serie di minuscoli centri abitati sprovvisti di qualsivoglia servizio, eccetto il cimitero (e dove c'è un cimitero c'è acqua), ci troviamo impastati in un susseguirsi di lavori in corso, strade chiuse e deviazioni. Mancavano 57km? Ne pedaliamo 10, dovrebbero mancarne 47. E invece no. Causa detour da cantiere, ne mancano di nuovo 57. E così via, innumerevoli volte.
Achille e la tartaruga.
Ormai imbruttiti e appiccicosi di sudore, insetti e polvere, percorriamo l'ultimo tratto di strada che ci separa dal punto di sosta notturna, un'area di attracco sul Po semiattrezzata. Sistemiamo la bici di Gigi, che non ha preso bene i sobbalzi di oggi, montiamo la tenda e ci cuciniamo una cenetta da minima moralia, ma la migliore che si potesse sperare, con una vista così.
Domani ci attende la città degli Este ed io cerco tre nomi: Ariosto, Tasso e Bassani.
Nessun commento:
Posta un commento