sabato, 9/7
Lima
Qui è inverno, e la luce è grigia e cupa e tira un vento fresco che porta salsedine e odore denso di nuovi mondi. E' un inverno diverso dal nostro, equatoriale: non fa freddo, ma nemmeno caldo. C'è grande umidità e la gente popola i parchi e le spiagge come fosse una perenne primavera. Fa buio presto. L'equatore è vicino e il sole sorge alle 6 e tramonta alle 18, puntuale, sempre, ogni giorno dell'anno.
Il lungomare di Lima, all'altezza del quartiere agiato (anzi, ricco, sfacciatamente ricco se paragonato ad altri poco distanti) di Miraflores è un luogo di pace, dove persino le volpi inquiete trovano pace. E' un susseguirsi di giardini, campi e campetti per fare sport, belvedere e spiazzi con panchine, giochi e tutto quel che serve per trascorrere un pomeriggio all'aperto a respirare a pieni polmoni.
Mi ha colpita subito, fin da questa mattina, quando siamo arrivati qui dall'aeroporto, il fatto che la linea di costa, le spiagge, l'oceano, si trovino in basso, diverse decine di metri sotto a dove, invece, si sviluppa l'abitato. A separare i due livelli è un muro a picco di terra scura, coperto di fiori e piante a tratti, a tratti brullo e dalle forme arrotondate. Mi ricorda certe immagini che ho di Rio, e in Brasile tenete conto che non sono mai stata.
Tornare all'oceano, per me, è sempre un momento sacro. Mi lascio osservare da questa distanza sconfinata, mi lascio permeare dall'immensità meravigliosa e terribile che unisce e divide. Non vedo il Pacifico dal 2019, ma ero in un altro continente, ero in California. Poi per due anni mi sono concessa solo all'Atlantico, ed eravamo in gelide terre iperboree, Capo Nord, l'Islanda... Ma questo oceano è un'altra cosa. E' quello delle grandi navigazioni, quello che ha unito i mondi.
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volpi ovunque, anche nei versi dei poeti |
Immagino i navigatori di mezzo millennio fa intravedere queste terre nella foschia e chiedersi, con un tuffo al cuore di disperato dubbio, cosa avrebbero trovato qui: fortuna, ricchezze, una nuova vita oppure la morte.
Anch'io lascio correre i pensieri sulla vastità salata di questo oceano dal nome apotropaico e mi chiedo a quale strada ci sta portando e cosa noi stiamo portando a questa strada. Quali universi si incontreranno qui, quanti occhi. Quinti misteri, quante sfingi mi sorrideranno nell'enigma che mai si svela del tutto, per quanto si conosca e si esplori il mondo. Anzi, forse, paradossalmente, socraticamente, più si conosce più ci si rende conto di non sapere che una goccia di mare. Ma, come dice il buon amico, oltrechè collega Daniele: la goccia, una volta nel mare, perde i suoi confini angusti e diventa mare essa stessa. Quanti cuori servono per accogliere tutto? O forse, forse davvero bisogna far proprio l'insegnamento del bosco e "far vuoto".
I pensieri si affastellano e poi calmano, armonizzandosi al respiro delle onde. Gonfiano, si infrangono, tornano un nulla nella risacca. Passiamo dal parco dell'amore, inaugurato nel 1993. Ci sono gli immancabili lucchetti corrosi dall'aria e dalla salsedine, ma anche un florilegio di frasi di poeti.
e una statua gigantescamente grossa che, con ogni probabilità, non sarà la cosa più bella che vedremo in Perù. Come in ogni rappresentazione d'amplesso, c'è un po' d'amore, un po' di violenza, ci sono protezione e aggressione a un tempo e questo è il bello dell'ineffabile, oltrechè indomabile, dolceamara belva che è eros (per citare Saffo).
Prima di raggiungere la costa siamo passati dal Parco del Bicentenario, che commemora il travagliato sentiero che ha portato il Perù all'indipendenza. Correva l'anno 1821 e i continenti vecchio e nuovo erano percorsi da una febbre di libertà e patriottismo che faceva ribollire il sangue dei popoli.
Questo parco, nel cuore di Miraflores, è un piacevolissimo punto di ritrovo per i cittadini e offre l'immancabile cibo dei baracchini ma pure l'arte di pittori e scultori che qui espongono, tra mille bancarelle che rendono rilassante ma viva una passeggiata da queste parti.
Siamo anche incappati in un matrimonio, presso la chiesa della Santa Vergine miracolosa, che sorge proprio accanto al municipio del quartiere.
Questa passeggiata per annusare la città e cominciare ad immergerci nel flusso del nuovo orizzonte in cui vivremo per i prossimi due mesi ci ha permesso di gestire la stanchezza grande del viaggio, che ci ha visti transitare da Milano ad Atlanta a Lima con un fuso orario complessivo di 7 ore; oltretutto, siamo anche riusciti ad attivare una scheda SIM locale, in modo da non aver problemi di connessione e da non dover dipendere dalle Wifi. Il quartiere di Miraflores, come dicevo, è ricco, e la differenza con strade e piazze intraviste venendo qui dall'aeroporto è palese. Probabilmente questo divario, come sempre accade, è più marcato nelle grandi città, dove convivono gli opposti estremi. E così si spiegano le inferriate e i cancelli enormi, quasi medievali nel concetto, che proteggono le case dei "padroni".
In realtà la primissima cosa che mi interessava vedere da queste parti è Huaca Pucllana, un sito archeologico non solo precolombiano, ma anche preincaico, costruito interamente in adobe e usata dai Lima, prima, e dai Wari, poi. A proposito di contrasti, anche quello tra antichità e modernità lascia a bocca aperta: questo sito, che risale nelle parti più antiche al II secolo della nostra era, è incastonato, circondato, incalzato da palazzoni e strutture in vetro e futuro.
Fino agli anni '80 del secolo scorso questa immensa piramide, che era usata per ingraziarsi la benevolenza divina attraverso offerte (compresi sacrifici umani), era ridotta a un mucchio di terra su cui si veniva a far motocross o poco di più. Una parte, ovvero gli ultimi 12m, sono andati perduti, ma già quel che resta ed è stato recuperato dà la misura dell'immensità e della sacralità del luogo.
Tra il II e il VII secolo, nel cosiddetto periodo dei regni regionali, si sviluppò qui la cultura Lima, che venerava l'oceano, rappresentato da uno squalo, e la luna. Erano abili artigiani, lavoravano la ceramica e i tessuti, ed erano maestri nell'erigere strutture di dimensioni impressionanti usando la terra essiccata e poco più. Questi mattoni, detti adobitos, sono riusciti a resistere ai devastanti terremoti che hanno raso al suolo la città, immuni ai secoli, complice il clima secco della regione.
In questo luogo sacro i Lima portavano offerte per chiedere agli dei qualcosa in cambio. Sono anche state trovate le mummie di sette ragazze, di età compresa tra i 16 e i 25 anni, sacrificate per chiedere pioggia: loro, simbolo della fertilità, avrebbero dovuto convincere il cielo a far fertile la terra. Ha senso.
Dopo il tramonto dei Lima vennero gli Wari, popolo guerriero degli altipiani che costruì per primo un dominio territoriale vasto dai monti alla costa. Usarono questo luogo sacro come cimitero, seppellendo qui i morti con i loro averi. La vità di là sarebbe stata simile a quella di qua. Ci sono anche qui esempi di sacrificio umano: morti i due genitori, il loro figlio neonato li ha seguiti, ucciso, affinchè li guidasse nel buio delle ombre, lui che, puro, poteva vedere anche nell'oscurità.
Infine arrivarono altri popoli, altri domini, e il sito fu abbandonato e divenne montagna di fango e polvere.
La guida (che chiede una miseria e si presta anche a far foto ed altre amenità), ci mostra anche un settore del sito dedicato alle piante e agli animali che costituivano la base della sussistenza di questi popoli. Al primo posto la coca. Seguono, solo poi, pomodori, patate, mais, fagioli, cotone, lama, alpaca e porcellino d'India. Tutto si mangia o viene usato per produrre tessuti, o entrambe le cose. Mi stupisce che di molti cactus, diffusi anche da noi, le popolazioni locali abbiano scoperto gli effetti anestetici o psicotropi. Ho come l'impressione che, scoperta la coca, la gente di qui abbia iniziato a provare a masticare o fumare laqualsiasi... E spesso funzionava!
Penso anche che, al di là dei propri concetti di civiltà, cultura e società, i popoli che hanno vissuto qui hanno goduto di una natura ricca e benevola e, spesso, la loro società si basava si una forma di uguaglianza poi spazzata via, insieme a molto sangue, dall'arrivo dei conquistadores.
Dico a Gigi: "Certo che avevano molto, se non tutto, qui"
E risponde: "Sì ma poi dovevano rompersi i coglioni comunque a far mattoncini, migliaia, milioni..."
"Rompersi i coglioni da soli, anche quando non ci sarebbe motivo, è parte proprio della natura umana" ribatto "non per un dio ma nemmeno per gioco".
E dopo tanta saggezza concludiamo la visita presso il piccolo museo.
Una nota sonora/acustica a margine. Da quando siamo arrivati sentiamo cantare uccelli che non so riconoscere. E ne ho individuato uno in particolare che mi affascina sopra a tutti. Ha la cadenza delle nostre tortore, ma meno lento e meno monotono, per quanto altrettanto lamentoso. E l'intonazione è quella di un flauto di pan, assolutamente identica. Infatti, in prima battuta, ero convinta che fosse qualcuno che stava imparando a suonare il flauto tipico della musica andina (siamo nel posto giusto direi). Ora possiamo star qui a raccontarci che i primi strumenti musicali sono nati per riprodurre i suoni della natura, e quindi il flauto richiama questo canto, ma nulla mi toglie dalla testa che si tratti di merli a fiato: soffi da una parte, tappi un buco ed esce musica dall'altra. Decidete voi quali orifizi coinvolgere nel processo creativo.
Una nota a margine che non ho citato prima: alla fine della passeggiata lungomare (dove abbiamo constatato anche la presenza di numerose ciclabili)
ci siamo recati al Lugar de la memoria, museo che ricorda i tumultuosi anni tra il 1980 e il 2000 e le numerose vittime di quel ventennio. Dopo le dittature, il terrorismo e la guerra interna tra governi instabili e gruppi armati (Sendero Luminoso e il movimento rivoluzionario Tupac Amaru) hanno lasciato una ferita aperta che la memoria vuole sanare. Qui la storia, come ovunque, s'è scritta con il sangue ancor prima che con l'inchiostro.
Dunque la prima impressione è assolutamente positiva. Il casino latino che temevo di incontrare sembra assolutamente ridotto e gestibile. C'è traffico sulle grandi arterie e la guida è abbastanza disinvolta, ma ho visto situazioni peggiori. L'impressione di sicurezza c'è, ma c'è anche una quantità immensa di polizia ad ogni angolo. Però sembra tutto molto umano e molto a misura, e forse questo accade in un luogo dove la natura sa essere invece estrema e del tutto inadatta, per non dire ostile, alla presenza della scimmia glabra. Insomma, una figata!
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in aereo nelle millemila ore di volo |
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quando dopo lungo travaglio ci hanno restituito i bagagli |
domenica, 10/7
Magari vi siete chiesti perchè abbia inserito un'imprecazione nel titolo. Magari no, malandrini. In ogni caso sappiate che trattasi di citazione colta da Jorge Donayre, che ha scritto questo inno, questa lode al suo paese che si intitola proprio così: Viva il Perù, dannazione!
Vivan las espumosas olas,
sobre las que llegó la historia de Dios
en totoras y velas desafiantes.
El océano largo y submarino
de infinitos profundos habitante.
[...]
Viva este monumento de piedras
levantado sobre cimas de la eternidad
donde el tiempo no se atreve a morir.
[...]
Viva el hombre de chullo que solo come camote y charqui
bebe jarros de chicha, repletos de tristeza.
Viva su poncho rojo, sus cansadas ojotas,
su lánguido charango, las ubres de sus cabras;
el seno prieto y duro de sus cholas,
su leche tibia, llena de amor y vida.
¡Viva el Perú Carajo!
Torniamo ora alle vicende piccole della volpe e del furpe. La mattinata si è aperta con il rituale del montaggio bici. Con quanta cura si smontano e imballano, con tanta si liberano dalla gabbia dello scatolone e si preparano alla grande avventura. E' operazione delicata, semplice ma carica di una grande attesa che sta per esplodere in realtà concreta. E' la nostra vestizione dell'eroe. Tra l'altro Gigi ha scoperto che anche quest'anno la polizia mmerricana gli ha aperto lo scatolone della bici per controllare e poi richiudere tutto con il nastro bianco e blu.
Finita la preparazione, ci concediamo una colazione fighetta prima di rituffarci nel gomitolo delle strade limene, questa volta in direzione centro storico.
Il centro storico è il cuore pulsante della Ciudad de los Reyes, il nucleo urbano fondato di Pizarro nel 1535 e cresciuto nel XVI secolo tra edifici coloniali e chiese barocche. Per quanto Pizarro volesse creare un nuovo centro di potere, che segnasse la cesura rispetto a ciò che era stato, non prevalse il nome spagnolo ma quello in lingua aymara (lima-limaq, "fiore giallo") o quechua (rimaq, "parlatore") per il suo fiume, il Rímac.
Una leggenda racconta che il luogo di fondazione sia stato deciso il 6 gennaio, il giorno della festa dei Re Magi. Certo è che in questo quartiere si respira un'aria di decadente splendore, di dolcissima malinconia.
Il nostro tour inizia da Plaza San Martìn, dedicata all'eroe liberatore del Perù. Alla base della statua che lo raffigura c'è la scultura bronzea della Madre Patria, una figura femminile che, secondo il progetto, avrebbe dovuto portare in capo una corona cinta di fiamme. Lo scultore spagnolo che la realizzò, tuttavia, non si chiese se llamas fossero fiamme o lama, e pensando al Perù, consegnò l'opera con un grazioso piccolo camelide sulla testa.
Lasciati alle spalle gli edifici beaux arts, stanchi de pesante eleganza, imbocchiamo la pedonale jiron de la Union, un gran pentolone di varia umanità che trascorre, vende, compra, mangia, canta, passeggia o s'arrangia nelle pieghe sudate del ventre molle della società.
Arriviamo così all'Iglesia de la Merced, che pare saltarti addosso con la sua facciata prepotente in granito, in stile churrigueresco (una forma di tardo barocco spagnolo al quadrato).
Qui è stata celebrata la prima messa in latino, nel 1534; nel 1541 iniziarono i lavori di costruzione, benchè grossa parte di ciò che si vede oggi risale al XVIII secolo.
Appena entrati si trova l'enorme croce d'argento di Pedro Urraca (1583-1657), venerato per aver avuto una visione della Vergine. La chiesa è meta di pellegrinaggio: i fedeli toccano la croce per chiedere l'intercessione per un miracolo.
Ai lati delle navate si susseguono oltre venti altari barrocchissimi e rinascimentali, scolpiti nel mogano. Tanta roba, letteralmente.
Torniamo sulla pedonale, dove altre forme di sacro attecchiscono, come los autenticos churros espanoles de la Virgen del Carmen.
Altra cosa che mi stupisce sono i "centri vaccinali" ubicati alla sperindio, o pure alla magnaporco, per non dire alla cazzodicane, agli angoli delle strade. Due sedie, un'infermiera, un tavolino con le siringhe e via di vacunas.
Arriviamo così alla Plaza de armas, o Plaza mayor, che è una boccata d'aria, un respiro largo.fulcro dell'impero spagnolo nel nuovo continente. Degli edifici coloniali non rimane nulla, fuor che la statua bronzea centrale del 1650. Qui si affacciano il palazzo arcivescovile, il palazzo del governo, sede del presidente, e la cattedrale.
Cominciamo dalla Catedral, eretta sul terreno che nel 1535 Piazarro destinò alla costruzione della prima chiesa cittadina. La facciata barocca non mostra i numerosi rifacimenti dell'edificio.
Appena entrati si trova la cappella rivestita di mosaici che ospita le spoglie di Pizarro in persona, assassinato brutalmente come un uomo della sua risma non poteva che aspettarsi. Fino agli anni '70 era esposto qui un corpo di un semplice funzionario. Nel 1977 fu poi trovata in una cripta della chiesa una cassa di piombo sigillata contenente un cranio e la scritta: "Questa è la testa del marchese Don Francisco Pizarro, che scoprì e conquistò il regno del Perù". Gli studi dimostrarono che in effetti quello era il conquistador, e ricongiunsero il cranio al resto del corpo.
Seguono varie cappelle in diversi stili, e catacombe anguste nella quali Gigi rischiava di rimanere incastrato.
Interessante anche il museo con quadri, paramenti e una sacrestia che dà l'idea dell'immensa povertà in cui versa(va) la Chiesa
E la collezione di presepi? Vogliamo parlarne? Vogliamo notare la bellezza assoluta delle statuine degli animali esotici, dal tigrillo ai pappagalli, messi in bell'ordine davanti a Gesù Bambino?
Torniamo sulla piazza per ammirare il barocco al cubo del palazzo del governo e il palazzo arcivescovile su cui si sono appollaiati dei rapaci dalla testa calva che parrebbero condor in miniatura.
Ci spingiamo fino all'importantissima Iglesia de Santo Domingo con relativo monastero, che purtroppo è chiusa per lavori di restauro. Fu costruita sul terreno assegnato al frate dominicano Vicente de Valverde, che accompagnò Pizarro in tutta la campagna di conquista e svolse un ruolo decisivo nel convincerlo a giustiziare Atahualpa (san merdone, igitur). Qui sono sepolti tre importanti santi peruviani: san Juan Macias, santa Rosa de Lima e San Martin de Porres (il primo santo nero del continente).
Riattraversiamo la plaza mayor e, dopo qualche rosario sgranato perchè la mia SIM peruana dà problemi (e quindi vai al centro Bitel, torna al centro Bitel, rivai e ritorna e riBitel),
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polizia e cane peruano glabro con cappotto |
ci dirigiamo al Parque de la Muralla.
Qui, tra venditori di piccole cose, si possono vedere i resti della cinta muraria eretta nel XVII secolo e abbattuta nel XIX con l'espandersi della città (che oggi passa i 10 milioni id abitanti).
Dopo una corsa in taxi da infarto (per lo stato della vettura, lo stato del conducente e quello delle strade e del traffico)
giungiamo all'ultima tappa di oggi: il museo Larco, ospitato in un palazzo settecentesco un tempo dimora dei vicerè. Già solo lo spesso tappetto di fiori multicolori che copre l'edificio merita una visita.
All'interno si trovano oltre 50.000 manufatti appartenenti alle culture cupisnique, chimù, chancay, nazca e inca, raccolti negli anni '20 dal collezionista Rafael Larco Hoyle. Lascio una carrellata di immagini e qualche didascalia, perchè le parole, di fronte a tanta meraviglia, sono comunque di troppo.
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volpi! |
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raffigurazione di un sacrificio umano: guerrieri vengono scaraventati giù dalle montagne (la "mano") mentre una divinità osserva |
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raffigurazione di sacrifici umani dopo i combattimenti rituali |
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molte culture precolombiane praticavano la perforazione del cranio come pratica medica |
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paramenti in oro |
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becchi in oro da naso |
Una sala separata accoglie la collezione di arte erotica precolombiana, dalle vulve che suonano il tamburo (sic)
a rappresentazioni iperboliche (gli uomini sono uguali da secoli nel menar vanti...)
e falli antropomorfi.
Tutto è estremamente esplicito, didascalico
e non manca una nutrita serie di spiriti dell'oltretomba intenti a menarsi il belino per fecondare il mondo dei più.
E' interessante come la sessualità fosse vissuta senza sensi di colpa, senza vergogna, ma come atto sacro di creazione. Numerose sono le rappresentazioni della Pachamama, la madre terra, che giace con l'eroe guerriero simbolo di virilità, con denti da felino e serpenti alla cintura.
Salutiamo anche il Larco dopo esseri riempiti il cuore di bellezza e torniamo alla base. Domani inizia il viaggio vero, quello in sella, e dobbiamo preparare le borse e studiar bene l'itinerario. Salverò le tracce su Komoot, giorno per giorno, nel caso voleste seguirci.
Non ci facciamo mancare, prima di cena, anche un assaggio di Inca Kola, la bevanda che qui ha surclassato, nelle vendite, Coca-Cola e Pepsi. Una cosa del genere si è data solo anche in Scozia con la Irn-Bru, da me ribattezzata dishwash (ricordo i traumi gastronomici della vacanza studio a Edinburgo). L'Inca Kola si beve a temperatura ambiente e sa di chewing-gum fruttato amarognolo gassato. Buona ma non ci vivrei, diciamo. Quanto alla stecca di caramella verde sour non mi esprimo, me la sono cercata!
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un uomo devastato dal cercare di farci star tutto nelle borse |
Ora è notte ed è tempo di riposare. Domani assaggeremo i primi kilometri in sella, rotolando verso sud lungo la Panamericana, l'oceano sempre a destra a guidarci con il suo ruggito sordo.
.... Vola veloce in sudamerica
RispondiEliminaFotografare devi e puoi
Chiedi a una farfalla che ti faccia una magia....
Per forza dovevano procreare molto dopo i sacrifici di donne che facevano
RispondiEliminaI mattoncini lego li hanno inventati loro e pure i pupazzetti da collezione, tipo i puffi oi pokemon. Erano avanti.
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