Lunedì, 11/7
Lima-Asia
100km
Uscire dalle grandi città, in bici, è sempre un bel casino. Uscire dalle grandi città dove la guida è folle e il traffico allucinante, a maggior ragione. Uscire dalle grandi città con arterie gigantesche e pure quartieri in cui è meglio non passare... E' quel che abbiamo fatto noi oggi. Ma vi prego di soffermarvi un momento su questa immagine.
Siamo appena sopravvissuti a un doppio attraversamento carpiato della Panamericana, intasata di qualsiasi genere di mezzo motorizzato, dai camioni giganormi agli apecar customizzati che sfrecciano e si insinuano nelle intercapedini della strada che, oltretutto, ha un fondo così scassato da esser quasi sterrata. Insomma, siamo sopravvissuti a questo delirio e, seguendo una traccia costruita per stare su ciclabili e strade secondarie, ci avventuriamo nei vicoli che si collocano tra i quartieri Chorillos (ancora ancora), Villa Maria El Triunfo (no no) e Villa El Salvador (proprio no). Pur sapendo tutto, la situazione pare assolutamente tranquilla, per quanto abbia appena detto a Gigi di procedere dritto senza indugi, onde evitare la permanenza in quelle strade dai mille occhi. Anche perchè ci sono tanti, ma troppi, canetti e cagnoni randagi, che già prima ci hanno inseguiti, con relativo infartino e corsa per evitare morsi, rabbia, e altre malattie orrende. Insomma, siamo un po' in punta di chiappe, nel tentativo di passare svelti e uscire dalle periferie di Lima. Ah, a rallentare la marcia intervengono pure gradini e stretti passaggi tra i cancelli che chiudono le strade e trasformano gli isolati in gabbie... Per non entrare o per non uscire?
Dunque, dico a Gigi: "Mi raccomando, testa bassa e pedalare. Non perdiamo tempo qui, non mi piace questa zona". E lui, proprio in quel momento, calpesta la merda più grossa e succulenta mai prodotta in Perù. Ma una roba allucinante, da non riuscire a camminare. Si ferma per rimediare un minimo. Io mi guardo intorno. Troppa calma.
Lo incalzo ad affrettarci perchè ci sono troppi cani e un silenzio da vuoto pneumatico innaturale. Facciamo per infilarci nell'ennesimo cancello (staccando le borse perchèi pertugi sono troppo angusti per i culi larghi delle nostre bici) quando io capitolo. Mi prende un attacco di ridarola irrefrenabile.Ancora adesso, scrivendo, non riesco a trattenermi. Tutto perchè mi accorgo che Gigi, camminando, lascia a terra il marchio dell'infamia, l'impronta della scarpa in inchiostro di cacca. Solo una scarpa. Questo innesca una reazione a catena inevitabile: mentre lui smadonna, incastrato in un cancello, io devo accucciarmi perchè il rischio di farsi la pipì addosso dal ridere è più che dietro l'angolo. Vengo circondata dai cani che, però, capiscono la situazione di totale disagio mentale e fisico e scodinzolano e mi danno piccoli colpi con il muso, incuriositi dalla gringa con la ridarola.
Probabilmente, di lì a poco avremmo attirato attenzioni non volute, se non fosse intervenuta Yasbell.
Ci viene incontro, si presenta, dice che ci ha visti dalla finestra e ha pensato fosse meglio spiegarci che in quei quartieri bisogna evitare di passare, perchè è praticamente inevitabile essere aggrediti e derubati. Chiama la sorella, che parla inglese. Mi racconta che anche lei va in bici, è una biker da MTB tosta e qualche cicloviaggio. E' appena tornata da due settimane a Cusco e dintorni con il fidanzato, e a settembre andrà in Germania a pedalare. Una tosta. Ci spiega la strada, e poi decide di accompagnarci direttamente all'imbocco della Panamericana, che noi stavamo cercando di evitare. "C'è traffico ma le corsie sono tante, larghe e ha un ampio bordo. Non è pericolosa. Questi quartieri invece sono pericolosi". E così la seguiamo e ora siamo in contatto sui social ed ho un'amica anche in Perù.
Questo, oltretutto, non è stato l'unico gesto di gentilezza estrema di cui ci è stato fatto dono, oggi. Stamattina ci siamo alzati presto per chiudere tutte le borse, fare una bella colazione e partire in sella, finalmente, ma non prima di aver trovato qualcuno che ci gonfiasse le gomme. Infatti dovete sapere che, per essere imbarcate in aereo, le camere d'aria non devono essere in pressione. Solo che poi rigonfiarle bene con le pompette d'emergenza che abbiamo è una pigna nel preterito, ergo la cosa migliore da fare è trovare un meccanico o un ciclista che si presti al gonfiaggio. Solo che qui tutti i negozi aprono alle 10, mentre noi dobbiamo guadagnare tempo perchè alle 18 fa buio.
Fatta una ricognizione dei ciclisti in zona, ci dedichiamo per un attimo al dulce de tres leches che vale come come colazione e pranzo (per i tre giorni successivi)... Ma che buono!
Poi inizia la rumba: un meccanico ha troppo lavoro e nemmeno ci ascolta, uno è in ritardo, l'altro alle 10 è al negozio ma ha dimenticato le chiavi a casa quindi non può aprire. Ah, che ritmi, che buen vivir. Fortuna che l'assistente di quello smemorato ha pietà di noi e non potendo a sua volta entrare in negozio a lavorare, decide di accompagnarci a un benzinaio per gonfiare lì le gomme. E ci regala anche l'adattatore per la valvola, che non è francese ma americana (infatti io sulla ruota posteriore ho ancora quella statunitense che non necessita di adattatori). Grazie giovane meccanico dal cuore grande, ci hai risolto un bel problema!
l'adattatore |
Con le bici in gran forma e i bagagli pronti, non resta che caricar tutto e partire. Chiedo anche al proprietario dell'hotel se può tenerci tutte le scatole e gli scatoloni per le bici. Noi torniamo da lui e gli paghiamo un po' di notti, lui ci evita il tour dei negozi di bici ad elemosinare cartoni. "Sì". Affare fatto.
Sotto ai migliori auspici, e con pure un'occhiata di sole (cosa rarissima nel grigiolatte perenne dell'inverno), siam pronti.
Ripartiamo e passiamo il secondo casello della giornata. Non dobbiamo pagare. El condor pasa y los ciclistas también.
Dopo le foto di rito imbocchiamo vie e viuzze, ma pure vialoni e ciclabili, attraverso i quartieri bene, per essere poi vomitati fuori dall'intestino urbano verso le zone un po' meno bene e decisamente più folcloristiche, dove varia umanità corre, scorre, trascorre e soccorre. L'attenzione deve essere sempre altissima, la guida è fluida, non ci si ferma mai, non alle precedenze, non agli stop. Si va, si va continuamente, dentro a questo fiume d'Eraclito che porta un po' di tutto, tra la polvere e i clacson.
Ci sono anche lunghi tratti ciclabili, per fortuna, per quanto amati anche dai perritos randagi che, se si passa a piedi sono tranquillissimi, ma in bici... Oh no, come odiano le bici!
Noto la presenza di numerosi cartelli che pubblicizzano curandere e sciamani. Che meraviglia la natura umana che deve aggrapparsi a qualcosa in cui credere, pur di non fare i conti con la fragilità e l'amechania, l'impotenza che gli antichi greci conoscevano bene.
Dopo l'episodio che vi ho raccontato prima, che ha per protagonista Yasbell, eccoci sulla Panamericana.
Il primo impatto è forte. E' uno schiaffo dritto in faccia che ti ricorda che siamo in un paese di grande complessità. Che il Perù non è Miraflores. Auto e camion di ogni taglia, più o meno scassati e sferraglianti, corrono strombazzando. Intorno, quartieri poveri, praticamente slums, da cui esce gente che sciavatta verso la strada a vendere cianfrusaglie o a raccogliere immondizia. Noi pedaliamo un po' intimoriti nella larga e relativamente sicura corsia d'emergenza, consapevoli di doverci ambientare. Raccogliamo numerosi saluti bitonali da parte dei camionisti, nonchè sguardi incuriositi.
Procediamo, tra un insediamento e l'altro, tra aree completamente desertiche, tutte a dune e alture di sabbia, e squarci lattiginosi di oceano. Su tutto grava l'immancabile foschia che dà un'aria malinconica e un po' cupa a queste lande aride dove non cresce nulla.
Immondizia, spesso bruciata, baraccopoli, perritos e mortitos (lapidi a forma di casetta, a bordo strada, per commemorare i defunti) si susseguono, mentre la polvere, la sabbia e la nebbia si impastano in un'atmosfera quasi misteriosa.
A tratti le dune diventano alte e paiono colline. Su questo nulla campeggiano cartelli che reclamano proprietà privata, e spesso queste distese di deserto sono persino recintate. Altro che campi coltivati a cielo e denaro, a cielo ed amore, protetti da un filo spinato...
Facciamo un'unica sosta presso un benzinaio con vari negozietti intorno. In questo senso, tutto il mondo è paese. Ho fatto soste ai benzinai, durante i viaggi in bici, a quattro angoli del globo. Qui Gigi mi fa riderissimo di nuovo perchè, infreddolito, mentre mangiucchia una barretta, indica le baracche di lamiera abbarbicate sulle pendici delle colline di sabbia e, con aria stupita, esclama: "Ma quelle son favelas!". Eh, abbastanza.
I paesini che si susseguono sono più che altro agglomerati di negozietti e baracchini piantati nella polvere, salvo alcune eccezioni, come San Bartolo, che hanno qualche casa in più e qualche servizio per il turismo balneare. Tre mattoni sulla sabbia, sia chiaro. Tutto è così semplice e ridotto ai minima moralia da essere quasi impercettibile.
el mortito |
Quando le colline si fanno più alte, o quando irrompe l'oceano, si respira meglio. Quando il panorama intorno diventa più selvaggio e meno antropizzato pedalare è meno faticoso. C'è una silenziosa bellezza qui, tra sabbia e risacca.
Passiamo accanto a numerose spiagge e persino alla Ensenada de San Antonio, una baia che pare un lago.
Giungiamo così al centesimo kilometro. Sono le 17.30, quindi è tempo di fermarsi: già inizia a far buio. Troviamo un hotel dignitoso in Asia, e ci fermiamo per la notte (per raggiungerlo dobbiamo attraversare la Panamericana con un ponte pedonale con tanti scalini quanti ne ha la discesa all'inferno). Questo è il paese.
Questo l'hotel.
Siamo gli unici clienti. La struttura è smisuratamente grande per il luogo. L'acqua calda c'è un'ora al giorno. La piscia è così lercia che potrebbe essere usata come vasca di coltura di nuove specie viventi, ma tanto ci sono 15 gradi e di tante cose ho voglia tranne che di un tuffo. I vantaggi sono che è super economico e vicino a un ristorante
dove ci rechiamo per cena. Per la magica cifra di 22 soles (meno di 6 euro) mangiamo una betoniera di riso saltato con pollo verdure e uova, e sono incluse anche il "mezzo litro gigante" di Inca Kola e il litro di Coca di Gigi detto el Gringo.
La serata si conclude con un dessert a base di frutta BUONISSIMA acquistata rientrando presso una bodeguita, dove era anche in corso una veglia funebre con tanto di foto del defunto, candeline e famiglia riunita. Ma mica si chiude bottega, sia mai.
Anche in questo hotel il riscaldamento non esiste, e tocca star bardati anche in camera. Ecco un fulgido esemplare di cicloviaggiatore imbananito a fine giornata.
Martedì, 12/7
Asia-Chincha alta
97km
La notte, fresca e umida, passa tra miagolii di gatti in amore e canti d'uccelli che non so. Ci alziamo presto e, dopo aver sistemato le bici (qualche vite da stringere, qualche regolazione da perfezionare) ci buttiamo di nuovo sulla Panamericana... Certo, per tornare dal lato giusto ci tocca ripercorrere il ponte pedonale dalle infinite scale, tra perri e umanità varia... Ma lo sforzo è immediatamente ripagato dalla colazione.
Poi via, si parte davvero nella neblita lattiginosa che dà un vago senso di dolore antico a questo deserto. Passiamo un posto di blocco dove, in realtà, non ci sono nè blocchi nè controlli e ci troviamo circondati da sabbia. Molta, moltissima sabbia. Letteralmente: montagne di sabbia ("minuscoli frammenti della fatica della natura" cantava Faber)
La sabbia è tanta da creare veri e propri muri intorno alla strada, che paion piramidi e invece sono un taglio netto, una ferita di freccia che ha squarciato le distanze.
La sabbia a volte si fa distesa e lascia intravedere l'oceano, mentre il cielo è trascorso da pentagrammi di cavi elettrici.
Altre volte si fa duna, e costringe a scalare mentre il fiato si fa corto e il cuore trova il suo passo.
Poi torna piana, e porta le tracce di risate in spiaggia, di tuffi, di giochi e ore spensierate al sole. Porta ancora addosso i segni dell'estate, la sabbia, pure ora che qui è inverno.
Torna quindi a salire, sempre uguale a se stessa, sempre diversa.
Ogni tanto la casita di un'anima,
ogni tanto il respiro grave del Pacifico che modella le coste come abile mano d'artigiano.
E poi ancora sabbia, molta, moltissima, infinita sabbia. Da ogni lato, a perdita d'occhio. Per fortuna c'è la strada bella che scorre e soccorre, concede la grazia del movimento, permette di non impazzire. Il deserto ti riempie di vuoto, dopo la prima meraviglia in vastità.
Poi, tutto a un tratto, la sabbia cede il passo ad ampie macchie di verde cupo. Campi, campi di mais, aree verdi, colture. Aironi bianchissimi a punteggiare le rive dei fiumiciattoli. C'è acqua, qui, acqua dolce. Vita. Il fiume Cañete che trasforma il deserto in terra grassa e feconda. Percorriamo una ventina di kilometri su un ramo della Panamericana, curiosamente, insensatamente vietato alle bici. E' identico agli altri 18.000km, ma qui no, non si può pedalare. Ma siamo in un luogo dove, se non vale tutto, quasi. Infatti anche tanti locals transitano in sella ai loro poderosi velocipedi, con buona pace dei cartelli, dei divieti e delle regole.
Questa zona è punteggiata di paesini di baracche, ruderi abitati e capanne. Alcune sono stalle, altre sono case, e la differenza è praticamente impercettibile al mio occhio da simil gringa. Certo è che la terra è bassissima qui, e la vita è dura e storta. Molto. L'impatto con le condizioi di vta miserrime di questa gente è uno schiaffo ben centrato sulla coscienza.
Passiamo la foce del fiume e subito torna la sabbia ad occupare ogni angolo. Torna la sabbia e tornano le salite, e il gran nulla sterile del deserto confina con il gran nulla sterile dell'oceano.
Passiamo pueblos che sono baraccopoli vere e proprie, con tanto di fruterias e botteghine, cani affamati e bambini coperti di sporcizia che giocano tra i rifiuti. Qui la sabbia si fa polvere, residuato dell'umanità. Qui stanno gli ultimi, o quantomeno i penultimi. Questo è il rovescio del nostro sistema, il lato che non vediamo e che non vogliamo vedere. Eccolo qui.
Penso a questi uomini, a queste donne, ai bambini che sono polvere, polvere nascosta sotto al tappeto della parte grassa del mondo, spersi nella sabbia, dignitosi come solo chi non ha nient'altro che la dignità da portare con sè.
Ed è già subito deserto, di nuovo.
Dopo numerosi villaggi che, di fatto, esistono solo sulla carta e si riducono, in realtà a una manciata di case sparse e disabitate, raggiungiamo Nuevo Cañete, dove si trova la pubblicizzatissima Dely Bakery. Da 50km, ogni 500 metri, ci accompagnano cartelloni pubblicitari di questo ristorante. Decidiamo quindi di fermarci in pausa pranzo. Gigi, mosso da un momento di annebbiamento, da locura del desierto, con irriflessa avventatezza ordina un caldo de gallina, piatto tipico peruviano di cui vagheggia fin dal nostro arrivo.
Eccolo qui. Una vasca di brodo con mezzo pollo bollito, un uovo e spaghetti a volontà.
per dare un'idea delle dimensioni pantagrueliche |
Io, invece, mi limito a un tamal, piatto locale di origine precolombiana: è un impasto di mais, verdure, carne... Cotto in foglie (di mais o banano o quel che capita) al vapore o lessati. Questo è BUONO e basta.
Gigi alle prese con la gallina. Non vorrà mangiare pollo per i prossimi due mesi |
Dopo una lunga pausa, ripartiamo. Vediamo qualcosa che, dal nostro arrivo in Perù,è solo vago ricordo: strappi di cielo azzurro tra la foschia e persino un timido sole. Così il paesaggio intorno prende vita e linfa di colore lo attraversa. Che spettacolo questa natura essenziale, ridotta all'osso, scarnificata dai millenni.
Negli ultimi kilometri pedaliamo proprio a livello del mare, lungo la desolata spiaggia che però ospita palme, primi alberi ad alto fusto che vediamo da queste parti.
Proprio sulla spiaggia si trovano decine di capannoni con gabbie: sono allevamenti intensivi di pollame. Se gli uomini sono polvere, figuratevi quanto poco (nulla) possa valere la vita degli animali, quanto la loro soffernza.
Si susseguono, dal lato opposto alla costa, baracchini di ogni genere che vendono vino e pisco, il liquore nazionale peruviano (la cui origine è contesa con i cileni). Siamo vicini all'omonima città, fulcro della produzione di questi alcolici.
Viene il momento di deviare verso Chincha (allegra) alta, la città dove abbiamo deciso di fermarci oggi. In questo modo domani avremo tempo di raggiungere Paracas e visitare la famosa riserva.
Chincha ha dato nome ad una cultura preincaica sviluppatasi intorno all'XI secolo: guerrieri che veneravano come divinità l'ocelot e si consideravano suoi discendenti, che fertilizzavano i campi con guano e uccelli morti, poi sottomessi agli Inca a metà '400. Dopo la conquista spagnola, il 99% della popolazione è morta e qui hanno iniziato a rifugiarsi gli schiavi neri fuggiaschi (cimarrones), perchè l'area era disabitata e selvaggia. Infatti ancora oggi a Chincha gli afroperuviani sono numerosi e tengono vivo il folklore tra danze e musica (simboloè il cajòn).
Nel 2007 la città è stata pesantemente danneggiata dal terremoto.
La cosa che colpisce innanzitutto èla quantità di immondizia, che precede l'abitato vero e proprio.
La seconda cosa è poi il traffico, il casino strombazzante ininterrotto. Tanta parte hanno le decine, le centinaia di mototaxi (apecar chiusi, coloratissimi, customizzati, tamarri, arricchiti di scritte che vanno dal religioso al violento) che sfrecciano in una follia compulsiva futuristica zang tumb tumb. Dalle foto non si coglie, c'è un video su TikTok e Instagram che rende l'idea.
Arriviamo finalmente all'hotel (costano sempre meno, ora siamo a 30 dollari per camera doppia con bagno privato, in pieno centro, colazione inclusa) La struttura è un po' labirintica ma non ci sono minotauri in vista. Ci sistemiamo ed usciamo per cena.
Il centro (plaza de armas e dintorni) è vivacissimo di attività e gente, venditori de laqualunque e casino mistovario colorato. Dopo una certa distanza dal centro, il casino permane, ma diventa un po' più inquietante, un pelino sospetto. Troppi sguardi ci seguono e decidiamo di tornare verso la piazza per cenare.
E così, con un quintale di riso coperto da frittata con verdure, concludiamo questa seconda giornata. Domani avremo solo una sessantina di km da pedalare fino a Paracas, via Pisco. Poi dedicheremo il pomeriggio all'esplorazione della riserva, mentre il giorno successivo faremo un'escursione in barca alle Isole Ballestas.
Il viaggio sta entrando nel vivo. Siamo ancora freschissimi: i muscoli, i tendini, la forza di volontà guizzano di elettricità pura. La Panamericana, poi, dritta e liscia come si srotola, invita alle grandi distanze. Davvero si potrebbe pedalare dall'Alaska alla Patagonia senza neanche rendersene conto, semplicemente andando, scivolando su questa striscia di asfalto che congiunge i mondi.
......chi sei dimmi come fai
RispondiEliminaA girare tutto il mondo.
Ci sei dove volerai
Solamente con la bici tua...