La tappa di oggi è stata liscia e tranquilla, dolce e chiara e senza vento come disse il poeta. Anzi, il vento c'è stato, ma incredibilmente a favore nel pomeriggio. Abbiamo fatto 114km e non i 104 previsti, ma del finale a sorpresa parliam dopo.
Stamattina abbiamo fatto la nostra bella colazione, io con il riselatte russki che viene chiamato porridge ma hey, bella cameriera, io ho fatto la Transiberiana in bicicletta, e questa è pappa russa, mica british. E la marmellata di cachi diospiri (dio, spiri?) fatta in casa e il melone dolcissimo grande come un neonato grande. Poi ho salutato i due anziani arzilli torinesi giunti ieri in Tashkent e con i quali mi sono intrattenuta in discorsi larghi, dalla chianina piemontese al turcomanno, dal bollito all'inflazione del Ryal iraniano. E infine siamo partiti, sulla strada ancora.
Uscire da Tashkent è stato complicato il giusto, perchè la città è un bel dedalo di stradoni e sottopassaggi e sopraelevate che rendono il concetto di "tutto dritto" molto relativo. Però non c'eran strade chiuse per lavori in corso nè traffico folle. Tanto, ma abbastanza ordinato. Così abbiamo salutato la capitale e le sue orde di operai operanti.
In centro e in periferia ci sono intere armate di uomini e donne in gilerino arancione catarifrangete. Fanno cose. Vangano, scavano, irrigano, tiran su muri e aprono canali. Come già ieri avevo notato, uno lavora e cinque guardano, e nessuno è disoccupato.
La scena più assurda è stata vedere un gruppo di donne in ginocchio a terra intente a pulire le fughe tra le mattonelle di un viale largo 4 metri e lungo tre kilometri. Che quando hai finito è ora di ricominciare, ma da mesi. Altro che fabbrica del Duomo!
Lasciata pure la periferia ultima siamo stati accolti da un paesaggio noto, quello dei campi immensi di cotone, dei carretti con l'asino e l'uzbeko e l'uzbeko e l'asino, e delle bancarelle che vendono bibite e ciarpame edibile o edile, a seconda della delicatezza di stomaco propria di ognuno. Da notare è che, essendo estate, i bambini sono in vacanza e lavorano. Eccome se lavorano! E stanno nel filo d'ombra tutto il giorno a vender bottiglie d'acqua o cocacola ai sudati camionisti che con malgarbo pagano e ruttano. E i bambini stanno e stanno, in attesa della scodella con il pranzo e della ruota di pane che vien loro portata, spesso da un altro bambino, su una carrozzella riadattata.
Passiamo molti canali ed alcuni laghi artificiali, costruiti per irrigare queste immense terre colte, nonchè un'insensata, ma comprensibile, statua alla mucca, o al toretto.
Immancabili le melonere e i poponai, che qui però sono un clan meno potente che sulla M39.
In breve la pianura muta in collina, ed è normale. Ci stiamo avvicinando ai monti. A sud si intravede azzurrina la sagoma delle vette che segnano il confine il Tajikistan, dove corre la nota Pamir Highway. Ad est ci sono invece le ultime code del Tien Shan occidentale; la prima la eviteremo, girandoci più o meno intorno, la seconda dovremo scalarla domani (e si va da 200msl a 2200msl in pochi kilometri, ahimè) poichè la strada corre nell'unico punto più o meno accessibile nella strettoia tra Kirghizistan a nord, e Tajikistan a sud. Quindi, per non espatriare, si incocciano in pieno le montagne.
Le prime colline sono tutte coltivate a mele. Ci sono frutteti a perdita d'occhio, e filari e filari in cui s'intravedono rami carichi. In alcuni è già in corso la raccolta, e le cassette colme di mele verdi e rosse stanno accatastate a bordo strada, con i contadini soddisfatti e sudati seduti all'ombra in attesa dei furgoni. Il profumo è buonissimo. Noi ne approfittiamo per una sosta datteri e cioccolatini liquidi pr il caldo, da bere impastandosi in maniera invereconda.
Poco prima di una salita più lunga delle altre, che ci permetterà alla fine di entrare nella valle del fiume Angren (sì, come la città dove siamo diretti, poca fantasia da queste parti),incappiamo in una sorta di bazaar a cielo aperto di venditori di zuppa, compot (una sorta di succo di frutta fatto bollendo i frutti di bosco, assai comune in Russia) e latte di giumenta fermentato lievemente alcolico, come in Mongolia. Insomma, c'è tutto il peggio del peggio. No dai, son cose buone per chi le apprezza. Le signorine che servono queste delicatezze son tutte coperte come dei ninja, volto compreso, non per questioni igieniche o riguardo del cibo, ma per non respirare smog e polvere.
Il paesaggio muta e ci troviamo nel bel mezzo di colline aride. Le vette, che qui raggiungono anche i 3500 metri, non si vedono, completamente avvolte da una foschia di umidità e smog.
Ben presto però ricominciano i frutteti ed imbocchiamo così la verdissima valle dell'Angren.
La prima città che incrociamo è Okhangaron, un polveroso centro abitato che si sviluppa tutto attorno alla strada che porta alla valle di Fergana. Come poi gran parte dei paesi successivi, esiste solo di nome; di fatto è un ammasso di macerie e cantieri. Per una casa abitata ce ne sono 3 in (ri)costruzione, e si fatica a capire dove possa vivere la gente. Sono le direttive del governo: via le vecchie izbe, via le case storiche di legno e lamiera. E mentre si ricostruisce tutto nuovo, bello e moderno (ma dove?) il popolo mangi brioches.
Noi decidiamo di fermarci nel più sgrauso ristorantino sulla strada, così da ordinare un tè e poi estrarre con grazia dalle borse i nostri pane e formaggio. Ben presto però entriamo in simpatia alle signore che gestiscono il locale e l'adiacente minimarket, al punto che decidono di regalarci l'unica pietanza che viene servita qui, i chebureki. Sono delle frittellone enormi ripiene di carne e cipolle e spezie. Molto buone. Vanificano ogni mio proposito di mangiar leggero a pranzo per non pagarla poi in sella. Poi alle domande delle signore si aggiungono quelle di alcuni ragazzi che stanno pranzando. E passiamo del bel tempo a sorridere, far foto e capirci poco, ma in fondo nemmeno così poco.
questo panettone di argilla è un forno per fare il pane e il kabob, versione uzbeka del kebab |
Quando ripartiamo ci mostra in tutta la sua evanescente bellezza la vallata. Sotto scorre il fiume Angren. A sinistra abbiamo il Tien Shan, che ci separa dal Kirgizistan. A destra c'è il Tajikistan, con in mezzo il Pamir. Ovunque, verde di linfa e oro di spighe che fremono al vento.
Si susseguono paesini in ricostruzione, che pare ci sia stata una guerra recente. Mi ricorda la striscia di case divelte e obliterate che ho visto in Croazia sul confine bosniaco, dove c'eran le mine e i morti nei prati e i buchi dei proiettili nei muri. Lì si ricostruiva con la speranza di tornare a vivere. Qui pare sia imposto dal governo, e i lavori procedono lenti, lentissimi. Praticamente non procedono.
Attira la nostra attenzione una gran ciminiera da cui esce fumo bianco. Basta poco a capire che si tratta di una gigantesca centrale nucleare, che dono energia e scorie a tutta la valle. Questa zona, ed Angren in particolare, sono a tassazione ridotta per le industrie, soprattutto estere. Vuoi rilanciar l'economia uzbeka o no? E vuoi dar corrente a queste fabbriche, o no? E allora via di fumi e scarti radioattivi, con campi di mais e mucche al pascolo proprio intorno alla centrale. Poi spegni la luce e brilli al buio come una lucciola.
"Eppure soffia ancora", a favore, e la valle si mostra placida nella sua vasta bellezza. La strada non corre in piano, e sale e sale sempre un poco. Ma va bene: son metri d'altitudine che risparmieremo domani.
Ai 100km giungiamo ad Angren, la nostra meta. E' stata fondata dai russi nel 1946 come centro di sfruttamento del carbone e di altri minerali che abbondano nella pancia di queste montagne. Il primo sfruttamento era iniziato negli anni '30, per intensificarsi dal '41 e per tutta la durata della guerra. Poi l'insediamento di minatori e operai è diventato città, e pure prosperosa. Dopo la dissoluzione dell'Urss, però, tutte le industrie, che eran fonderie, cokerie (non quelle che producono cani), raffinerie e simili, sono andate a ramengo. Mala gestione e nessun aiuto dallo stato hanportato i più grandi impianti al fallimento. La città è stata via via abbandonata ed in effetti oggi appare come una ghost-town in piena regola, con i palazzoni vuoti e le vie deserte.
Alcune aziende, tra cui due che producon ceramica e una che fa gomma, sono rimaste. Ed è qui, nella zona industriale, che noi dobbiam recarci per cercare il misterioso hotel Fayez, di cui si trovano tracce in internet ma non indirizzi nè mappe. Giungiamo in città e iniziamo a chiedere: chi dice di andare a destra, chi a sinistra, chi di star su quella strada. In russo e uzbeko. Girovaghiamo mesti e mi pare d'esser tornata in Russia, dove non trovavo mai la maledetta gostinitsa che ero sicura ci fosse, da qualche parte over the rainbow. Maledetta. Dopo gran girovagare (10km in più del giusto) troviamo un'anima pia con gli occhi a mandorla. Un ragazzo in bici si offre di accompagnarci direttamente all'hotel, nonostante disti 4km e sian di salite. Noi, obbedienti, seguiamo.
Dopo lunga tratta arriviamo davvero, alla fine, al Fayez, che è un albergo nuovo nuovento e tutto lustro, a parte gli scarafacci nella hall e i cani marci randagi in cortile. Prendiamo posto, e siam proprio accanto ad un'immensa fabbrica di ceramica.
In hotel albergano soltanto lavoratori qualificati (mica i colletti blu, che stiano nelle macerie loro). Ci sono russi, cinesi e pure due italiani, ingegneri entrambi dislocati qui per due mesi ad installare tecnologia made in EU in un altro impanto di lavorazione della ceramica, che sta alla periferia opposta di Angren. I due ing mi dicono che prima di noi già 4 cicloturisti son passati qui in poche settimane: due italiani e due francesi. Noi siamo un'italiana e un francese, quindi non modifichiamo la media. D'altronde, in un hotel così, i turisti non vengono. O lavori per qualche azienda, o sei in bici e vuoi fare 100km da Tashkent e prima di iniziare la scalata dei monti. Delle due l'una.
Domani, appunto, ci tocca d'arrampicare. Qui già siamo arrivati a 900m e passa. Scaleremo fino ai 2200. Dovremo anche, domattina, procurarci tutto il necessario per la giornata e la notte: tra questa città e la prossima, l'antica Kokand, all'inizio della valle di Fergana, ci sono 135km di pura roccia e nient'altro. Sarà bello e faticoso, come tutto questo viaggio, e anche gli altri e quello che tutti li contiene.
SOGNI E CREME CARAMEL
RispondiEliminaUna volpe ed un francese son partiti da Teheran,
pedalando più di un mese in rivàa in Uzbekistan.
Chissà cosa mangeranno quelle genti di laggiù
forse piatti di spaghetti sormontati dal ragù?
Ci saranno i gamberoni? Le zucchine di mammà?
Ci saranno i cappuccini come trovi solo qua?
E vabbè, non ci allarghiamo, mica siamo al grand hotel,
quel che conta è che nei sogni piova del creme caramel...
Sono stato 3 mesi all'hotel Fayz per lavoro... mi dispiace per il tuo aver soggiornato li.. terribile
RispondiElimina