domenica 12 agosto 2018

45-46. OSH. Siamo in KIRGHIZISTAN! Lenin, i pastori e Salomone





11/8/18

Ebbene sì, siamo entrati nel penultimo paese di questo viaggio lungo la via della seta. L'ultimo che attraverseremo per intero, chè poi in Kazakistan faremo solo 230km per fermarci ad Almaty. Io tornerò a casa. Raymond inizierà la trafila per ottenere un visto cinese e proseguire fino a Xian. Vita da pensionato!

La giornata è iniziata con gran calma ad Andijon, poichè ci aspettavano solo 53km di strada. Certo, con una frontiera in mezzo, che è sempre una bella incognita... Però poco da pedalare. Svegliandomi mi son resa conto di quanto ormai sia abbronzata a strisce: sono un rarissimo esemplare di volpe zebrata.


Per colazione ho voluto provare, prima di lasciare l'Uzbekistan, uno dei piatti nazionali più cheap e diffusi, il cibo di strada per eccellenza, nonchè l'unica cosa vagamente simile a cibo che si possa mangiare al mattino (il piatto di carne e grechki no, dai). Si tratta di sosma, cioè una specie di pasta di pane, con ripieno di carne di et, manzo, cipolle e spezie; viene servito ustionante. E' assai buono, ma ti tiene compagnia poi per molte ore, con ruttini al gusto di.


Raymond, che pure ha aggiunto due ovetti, pane e miele, ha voluto assaggiare anche il kvas, con una sosta improvvisa dopo pochi kilometri dalla partenza. E' una bevanda russa leggermente alcolica che si ottiene facendo fermentare qualsiasi cosa, pure tua nonna. Ortaggi, bacche, frutta, cereali, erbe... Qualunque cosa va bene. Poi si aggiunge la linfa di betulla e, se si vuole, qualche aroma... Et voilà. Io l'avevo provata, mi pare, a Ufa, e tanto era bastato. Raymond invece era curioso e, alle 9.30, in salita e sotto al sole, ha deciso che era il momento di colmare la lacuna gastronomica. In tutta la Russia e nelle repubbliche ex sovietiche viene venduto per strada in taniconi a rotelle dotati di rubinetto. Un bicchiere costa qualcosa come 10 centesimi di euro e passa la paura.




Uscire da Andijon è stato un discreto casino, per il traffico atroce e le strade orribili, tutte distrutte, sabbiose, piene di buche e di marshrutki che fan manovre spericolate per evitarle. Ci salutano il solito monumento con i cammellini ed una moschea storta.







La strada poi è tutta un saliscendi, montagne russe in senso lato, e le colline sono coperte di campi e frutteti; non mancano i cavalli al pascolo, qui più frequenti delle mucche ormai inflazionate e dei cammelli lontani, e dei pozzi di estrazione del petrolio e del gas. Poca roba, ma butta via...





In lontananza, e poi sempre più vicine, iniziano ad intravedersi monti più alti. E' il Pamir, con le sue vette immense che marcano il confine tajiko. E' il Pamir che cela segreti antichi e tragedie di ieri e l'altrieri. E' il Pamir invalicabile che ci osserva azzurro all'orizzonte. Noi passiamo in silenzio. Il vento leggero fa fremere le spighe e i fili d'erba.



Incrociamo alcuni paesini assai rustici, con le casette in fila indiana a bordo strada, i sassi, la polvere e le capre in giardino a tener inordine il prato.





Alcuni ragazzini ci seguono in bici per tratti di strada più o meno lunghi, senza fiatare e mostrandoci quanto vadano forte e quanti numeri alla Brumotti sappiano fare. Con le sciavatte spingono sui pedali che cigolano e mi vengono in mente alcuni miei studenti che tanto ci tengono a mostrarmi la loro bicicletta e e le loro ciclo-prodezze.












Dopo tanti campi orlati di monti giugniamo all'ultimo paesino uzbeko prima del confine. Facciamo una breve tappa pipì (in moschea) che poi diventa una sosta yogurt (due) per Raymond. Ci scoliamo anche un litro di Fanta e via, una mano sulle chiappe e una a fare il segno della croce, sperando che le guardie di frontiera non ci creino problemi. Ho letto cose poco simpatiche riguardo ai militari uzbeki e la carta da compilare di sicuro è tanta.


Invece va tutto benissimo. Ma proprio meravigliosamente. E' forse la frontiera più facile da passare che abbia mai attraversato. Dalla parte uzbeka fanno un breve controllo del visto al primo cancello. Ci fanno entrare in ufficio pieno di gente che si accalca e spinge per raggiungere gli sportelli degli uffici; cerchiamo di capire quale sia la fila ma, dopo una breve attesa, due guardie entrano ed iniziano a dire "turist turist! Visa!" e spostano a manate la gente per farci passare avanti. In un attimo abbiamo il timbro d'uscita e non ci viene richiesta la dichiarazione di valuta estera che ci portiamo dietro con cura dall'ingresso nel paese. Meglio così. Pure i bagagli, le bici e le borse vengono del tutto ignorati, e non si fa alcun controllo di sorta. Ancora meglio così.

Dalla parte kirghiza incontriamo, come prima cosa, il sorriso largo di un uomo dai tratti asiatici, con gli occhi a mandorla. La divisa è diversa da quella uzbeka. Siamo in Kirghizistan. Dà un'occhiata ai passaporti per esclamare: "Italia! Toto Cutugno! Welcome in my country!".
Di là dal cancello c'è una folla di foulard e valigie, donne, bimbi, famiglie, mercanzie. Ci saran 200 persone schiacciate tra le transenne, sotto al sole, ferme in attesa. Temiamo il peggio, invece alcune donne ci fanno segno di proseguire e passare avanti, nella corsia delle auto. Eseguiamo. I militari ci dicono di lasciare le bici lì ed entrare nel baracchino di lamiera per il controllo documenti. Tra parentesi, per il Kirghizistan non serve visto se si resta per meno di due mesi. Passiamo davanti a tutti, in maniera imbarazzante e che mi lascia perplessa assai. Pensa se per gli stranieri fosse così anche in Italia. Già ci son razzisti ad ogni pisciata di cane. Figurati se chi vien da fuori avesse DAVVERO privilegi simili. La gente si incazzerebbe e a ragione. Qui probabilmente c'è l'ordine di agevolare il turismo e far bella figura con gli stranieri. La procedura si limita ad una foto e ad un timbro. Nessun controllo dei bagagli pure qui.

Ancora tre passi e siamo in Kirghizistan. Per Raymond il 95° paese visitato. Per me... Chissà, non li ho mai contati!

A differenza dei confini finora attraversati, Iran-Turkmenistan-Uzbekistan, qui, appena fuori dai cancelli, c'è un gran fiorire di umanità, negozi, baracchini, luridi e nero. Veniamo assaliti da gente che vende cose, sperando di farci spendere gli ultimi sum uzbeki. Pane, somsa, dolcetti, calzini, frutta, sim card (che in Kirghizistan sono gratuite e van solo caricate ad un prezzo ridicolo: io ho preso 35 giga per un mese a 8 euro circa). In un ufficio fatto in lamiera su misura intorno all'omino che ci lavora cambiamo i sum uzbeki nei som kirghizi. Ieri abbiamo fatto bene i nostri conti e siamo "studiati".





Compaiono i primi volti uguali sotto a cappelli divversi (il berretto kirghizo è differente da quello uzbeko) e le prime strade ronce e la prima moschea. Anche in questo paese la maggioranza è musulmana, pur con un 20% di cristiani ortodossi (russi).




Subito prima di Osh, che è la seconda città più grande della nazione dopo la capitale (ma fa solo 250.000 anime, dei 5 milioni sparsi tra monti e valli) passiamo per il villaggio confinale, Kyzyk-Kyshtak. Village soviet dice il cartello. In effetti i kirghizi hanno cancellato ben poco delle tracce lasciate qui dai russi.



Dopo un discreto pedalare nel traffico (qui la patente si può acquistare) raggiungiamo finalmente l'ostello prenotato ieri su Booking per 10 euro a capoccia; la proprietaria parla un inglese ottimo e ci dà tutte le informazioni necessarie: cosa vedere, come spostarci, quale comapgnia telefonica preferire. Raymond le chiede se sappia dove comprare del gas per il suo fornello, visto che qui in Kirghizistan avremo quasi solo notti in campeggio e ben poche città. Lei entra in una camera e ricompare con ben 3 bombole. E' dall'Iran che cerchiamo il gas, e lei ne ha a pacchi, lasciato probabilmente dai molti turisti (tutti camminatori, pedalatori o motociclisti) che devono prendere l'aereo e non possono imbarcare il pericoloso prodotto. 


Passando il confine abbiamo perso un'ora per il fuso, adesso siamo a +4 dall'Italia. Spendiamo il resto del pomeriggio a riposare e leggere. La gattina dell'ostello mi aiuta a scrivere il blog e placa un po' le mie crisi d'astinenza da fusicembali. Per altri animali dal muso dolce dovrò aspettare il 4 settembre. Ho infatti comprato il biglietto di ritorno per quel giorno, alle 5 del mattino. Farò scalo a Minsk, fra l'altro.



12/8/18

Quella di oggi è stata una giornata di sosta, in Osh, per visitare la città più antica del Kirgizistan (3000 anni), che ha una storia millenaria ma fatta di piccole cose, non di grandi imperi, palazzi e monumenti. E per ambientarci, cambiare ancora qualche soldino e far ciò che è necessario prima di affrontare quasi due settimane tra i monti e i laghi, a 3000 metri d'altezza, su strade sterrate.

Osh si trova ancora nella valle di Fergana, è stata spesso definita la "capitale del sud" e ci vive un mischione di kirghizi, uzbeki, russi e tajiki. Da sempre costituisce un nodo fondamentale nelle vie commerciali, in particolare quella della seta e vanta tuttora alcuni tra i bazaar più grandi e affollati dell'Asia centrale.

La nostra visita parte proprio da un mercato, quello degli animali. Il primario, solo per agricoltura e allevamento, occupa il 52% della popolazione e la pastorizia nomade è ancora largamente praticata. I kirghisi, come i mongoli, sono poi noti per la loro abilità nel cavalcare, e per di più il paese fu il primo fornitore di carne dell'Unione Sovietica. Sicchè il bazaar è una tappa imperdibile: si tiene solo alla domenica mattina








L'affolatissimo mercato è diviso in tre zone: pecore, mucche e cavalli. Gli animali vengono venduti e comprati, i cavalli anche provati, per vedere se sono obbedienti e portano bene la sella.

Le pecore, qui, come si vede in foto, hanno le chiappone grasse. Non è pelo nè la coda. Sono proprio pecore fat ass. 









Diciamo che le attività qui si svolgono nello stesso modo da secoli. L'unica differenza è che ora ogni pastore fa i propri conti con lo smartphone.










Di turisti non c'è traccia, se non un piccolo gruppo di francesi; siamo guardati con curiosità dai presenti, mentre ci districhiamo tra una loffa ed una mucca che fa pipì a fiumi, tra un cavallo che scalcia e una pecora che mi viene addosso mentre il proprietario la tiene al guinzaglio, distratto.







Al bazar arriviamo in taxi, che ci aspetta, perchè resta una decina di kilometri fuori dalla città. Merita comunque una visita: non ho mai visto nulla di simile.


Per chi se lo stesse chiedendo sì, la giornata è stata molto nuvolosa e ha anche piovuto con abbondanza. Ci sono meno di 30 gradi ma pare che i prossimi giorni torni a 40, con pieno sole. spero solo di non incocciare in qualche temporale su a 3000 metri, quando abbiamo solo sterrato e campeggio alla sera.



ma questo cavallo ha un cuore sulla fronte!




All'ingresso del mercato ci sono i venditori di fieno, cosa sensata.





La seconda tappa è un altro bazaar, chiamato"great silk road", questa volta in pieno centro città. Storicamente, e tutt'ora, è il più grande mercato all'aperto dell'Asia centrale. Non lo visitiamo tutto perchè occorrerebbero due giorni. Inoltre di bazaar ne abbiamo già visto "qualcuno", tra l'Iran e qui, e ne approfittiamo giusto per cambiare qualche euro e portarci all'attrazione principale di Osh. 







Passiamo accanto alla sala da concerti, che per struttur e piglio può ospitare soltanto esibizioni del coro dell'Armata rossa



Raggiungiamo poi la statua di Kurmanjan Dakta, la "regina del sud". La nobildonna, vissuta quasi cent'anni tra inizio '800 e inizio '900, si ribellò alle tradizioni musulmane rifiutando il matrimonio concertato dalla famiglia e viaggiando tra Cina, Russia e Uzbekistan. Inoltre convinse il suo popolo ad accettare la sottomissione ai russi perchè aveva capito che ogni resistenza sarebbe stata vana e avrebbe portato solo altri spargimenti di sangue.






Dopo pochi passi giungiamo finalmente.al cuore della città: il Trono di Suleyman, che altri non è che il biblico Salomone. E' sede di un santuario musulmano ed è considerato un luogo sacro. In effetti ispira gran rispetto: il monte si eleva in mezzo alla città, isolato, unica altura nella pianura di Fergana. Alla base ci sono incisioni rupestri e una moschea che, per 1550 euro, organizza pellegrinaggi a La Mecca.



Si comincia poi a salire lungo le ripide scale che portano ad una terrazza panoramica sulla città. La vista merita la fatica. Oggi poi è domenica, giorno festivo, e ci sono molti locals in visita. Soprattutto donne: pare porti bene salir qui per avere figli sani.










Sul primo terrazzino si staglia la sagoma della rossa bandiera kirghiza.
Si pensa che questo monte sia la torre di roccia citata da Claudio Tolomeo nella sua Geografia; segnava la metà esatta del percorso della via della seta ed era un fondamentale punto di riferimento per le carovane e i mercanti.






Si pensa che qui sia sepolto Salomone, profeta citato nel Corano.


Qui si trova anche una minuscola moschea, luogo di pellegrinaggio, costruita nel XV secolo da Babur, il fondatore della dinastia Moghul. Rovinata per il passare dei secoli e i terremoti, è stata ricostruita quasi completamente nel '900.






A poca distanza c'è una roccia liscia che pare uno scivolo, e la gente davvero ci scivola sopra perchè si crede che così ogni forma di mal di schiena possa essere guarita. Pure Raymond ed io ci dedichiamo alla pratica, e che scherziamo?











Questo luogo è l'unico patrimonio Unesco perchè considerato il miglior esempio di montagna sacra dell'Asia centrale. In effetti i pellegrini sono tantissimi. C'è chi lascia foulard contenenti offerte sulla roccia, chi fa lo scivolo magico per la schiena e chi si infogna nelle grotte per aver figli sani.










Su un fianco della collina si apre anche il sovieticissimo museo di storia della città; il gusto estetico è proprio russki. Si tratta di una grotta scavata nella roccia viva e riempita con reperti di vario valore.


Le sale sono dedicate ciascuna ad una religione e quella relativa allo zoroastrismo ha un'avesta su pelle con la pesatura dell'anima


si sconfina poi nel buddismo


e nell'animismo, che è completamente scomparso, a differenza della Mongolia, con l'avvento dell'Islam.



gli sciamani





sepolture kirghise; già allora portavano la berretta!


Il museo prosegue con una scalinata dove sono esposti alcuni tra i più urendi esempi di tassidermia mai visti. Ci sono animali brutti, impagliati male e problematici, tutti in fila uno dopo l'altro. Rido pensando al leone di Federico I di Svezia. Metto qui un link, merita, riderete fino a farvela addosso.
http://bizzarrobazar.com/2011/08/18/f-a-q-peggior-tassidermia/






questa è direttamente di plastica

Conclusa la visita al museo di storia, l'unico che, stando ai consigli, vale la pena visitare (e ho detto tutto), scendiamo di nuovo verso la nuova moschea che sta ai piedi del Trono di Salamone. Questa sta al centro del cimitero con rare lapidi che coprono le più basse pendici.










Finito il cuore antico della città, ci portiamo verso la parte kitsch, ovvero quella russa. Incappiamo prima nell'università, rossa come il sangue e come il comunismo


poi in alcuni vecchi edifici con ancora stemmi e fregi CCCP



e verso edifici dai murales decisamente in stile "avanti o popolo alla riscossa"





I palazzoni soviet, intasati di antenne paraboliche (per vedere la tv russa naturalmente) si alternano a vecchie case stile izba, come se ne vedono in tutta la Russia. Qui le villettine storte in legno non sono state demolite come in Uzbekistan, dove la volontà di modernizzare ad ogni costo ha sfigurato il volto delle città. Qui è tutto più vecchio, più fatiscente ma più vero e con più storie da raccontare (per chi vuole ascoltare, e a culo tutto il resto!)





Giungiamo infine ad una piazza che è squisitamente contradditoria come solo i russi sanno fare. Da un lato c'è una chiesa di rito ortodosso, azzurra fuori e con le icone dorate dentro,



dall'altro c'è una piazza gigante con un edificio del governo ancor più gigante ed una statua di Lenin ancora più più gigante. E' una delle poche rimaste nella nazione.



Qui, come in Russia, il braccio alzato indica chiaramente le nuvole scure e il buon Lenin sta dicendo "Anvedi pure oggi che tempo popo demmerda!"




Dalla piazza parte uno dei viali che attraversa la città da un capo all'altro, e, indovina indovinello, si chiama prospiekt Lenin.



La città fu occupata e annessa all'impero russo nel 1876 grazie sempre all'opera del generale bianco, quando lo zar era tutto preso a strappare all'Inghilterra possibili colonie. Poi con tutto il Kirghizistan divenne parte dell'Urss e, va detto, si sviluppò l'industria, soprattutto estrattiva (perchè qui le risorse minerarie, dal gas all'oro al carbone, non mancano). Come sempre, pure da queste parti dopo l'indipendenza grossa parte delle aziende è andata in malora per cattiva gestione, corruzione e zero finanziamenti statali. Oggi il secondario occupa solo 12% della popolazione, e il paese dipende dalle importazioni di gas dalla Russia e soffre di cronica mancanza di petrolio e carburante.



Torniamo alla fine in hotel attraversando l'impetuoso Ak-Buura, fiume che scende dai monti e porta acqua per tutto l'anno in città. C'è pure una sorta di piscina, seppur non molto frequentata.



Così si conclude il nostro primo giorno intero in Kirghizistan. Le prime impressioni sono di un paese più povero ed arretrato rispetto all'Uzbekistan, anche perchè le pianure sono minimali e, nella divisione dei territori, sono andate tutte agli stati confinanti. Tra roccia e roccia vivono i pastori e le città sono poche, pochi gli abitanti. L'industria è minima e arretrata, le infrastrutture stanno migliorando (vedi nuova strada che collega Osh a Bishkek, la capitale), ma la gran parte delle strade sono ancora tortuosi sentieri sterrati tra i monti, vie d'accesso ai pascoli in quota. C'è molta più gente che chiede l'elemosina o vende quattro carabattole a bordo strada con un neonato sporco in grembo. La qualità della vita sembra più bassa, il turismo è solo quello d'avventura sul Tien Shan: la storia grande è passata di qui come un'onda solo per cancellarele piccole tracce delle singole storie piccole. Ci sono molta meno vergogna e astio nei confronti del passato sovietico e molti più danni lasciati dall'economia disastrosa degli ultimi anni di Unione sovietica. La bandiera è comunque ancora tutta rossa. nel 1990, all'indomani dell'indipendenza, in questa città e nei dintorni si son fatti 1200 morti in scontri etnici tra uzbeki e kirghizi perchè i primi si son presi tutta la florida valle di Fergana, ai secondi son toccate solo le briciole ed il confine tra i due stati taglia una zona storicamente unita. Anche qui nel 2010,a seguito delle rivolte a Bishkek e nelle altre città, ci son stati disordini. L'allora presidente Bakiev, inseguito dal suo popolo incazzato nero per l'economia in tracollo, si rifugiò qui a Osh; i manifestanti, però, riuscirono a entrare nella città e per 5 giorni ci furono sangue e macerie: 2000 case distrutte, 400 morti, migliaia di feriti. Fu il pretesto per riaprire gli antichi odi tra uzbeki e kirghisi. Un po' come nei Balcani: finchè c'è stato un potere centrale forte e repressivo, il coperchio della pentola a pressione ha tenuto. Poi BOOM! Gli uzbeki si sono rifugiti in campi profughi ad Andijon e il presidente è stato deposto con la forza. Si dice, senza averne le prove, che abbia poi tentato di creare uno stato islamico nel sud del paese con l'auto di forze jihadiste legate al traffico di droga. Un bel casino. Certo qui a Osh la religione musulmana si sente più che in altre zone, ma pure ad Andijon, ultima città uzbeka e qui vicinissima, era così. E' proprio la valle ad essere una sacca di possibili rigurgiti fondamentalisti.

Comunque. Domani lasciamo Osh che ci ha regalato una bella prima giornata nel nuovo paese. Muoviamo verso Zalalabad, a 105km, costeggiando il confine uzbeko, sulla nuova, bella e trafficatissima strada per Bishkek; sarà la prima e ultima tappa abbastanza in pianura. I giorni successivi ci butteremo nel cuore dei monti, prima con un passo da 2600m, poi con due passi da 3000 e 3100m. Solo sterrrato, zero città, qualche yurta dei nomadi ed un fiume dove prender l'acqua da bollire o sanificare con le pasticche magiche. Abbiamo 300km così per arrivare all'idilliaco lago in quota Song-kul, dove i pastori portano i cavalli in estate. Sarà faticoso e bello, tra cielo e roccia, bevendo la linfa e la luce di questo puro lembo di terra.

1 commento:

  1. CONFINI
    C’è un uomo che imbraccia un fucile
    negli occhi ha uno sguardo febbrile
    mi parla una lingua straniera
    mi sventola un’altra bandiera.
    Un altro confine ho passato
    di fango e di volti è formato
    ma i dolci confini del cuore
    li detta soltanto l’amore.

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