giorno 29
Riga-Orajoe (contea di Parnu)
132km
Scrivo da un luogo che pare l’Eden, o il Valhallah, o il regno del nord su cui governa Taara, il dio del tuono della religione tradizionale che ancora tanti fedeli annovera, pur nel paese più ateo del mondo.
Scrivo dall’Estonia, da una spiaggia sul Baltico, da una pineta le cui adici affondano in dune di sabbia finissima e pura. Il sole è appena tramontato e nella tenda cala piano piano il buio.
Il rumore dela risacca è vicinissimo e calma lo spirto guerrier ch’entro mi rugge.
Si sentono in lontananza bambini che giocano e ridono e le parole intorno fluiscono in una lingua nuova per me. E’ diversa da quelle slave, dal russo e da quelle baltiche. Non è tedesco certo e nemmeno polacco. E’ estone, lingua ugrofinnica, come il finlandese. E con questa cultura la terza repubblica baltica tanto ha avuto a che spartire e tuttora molto condivide.
Le casette di legno, l’amore per la vita nei boschi, la luce altissima e il vento freddo da nord, la storia antica, fatta di animismo e capanne scaldate dal fuoco vivo che scioglie la neve, ma anche la storia recente, e non sempre nel bene.
L’Estonia è il primo paese che davvero sa di nord Europa che incrociamo. Qui di degrado post sovietico se ne è visto poco, finora, e la crescita economica e la diffusione del benessere, il progetto di digitalizzazione e-Estonia, partito nel ’97, il bassissimo debito pubblico, il grande rispetto per la natura, nel fanno davvero un altro mondo rispetto a Lettonia e Lituania.
Paese di gran nazistoni anche questo, eh, a suo tempo e a suo modo. Però l’aria diversa, più fresca, non più fredda, e, come dicevo, siamo immersi in un paradiso terrestre che non si può dire a parole.
Ed è un campeggio attrezzato e gratuito, come i numerosissimi che si trovano in questo paese così all’avanguardia.
Avevo alte aspettative, e son state tutte soddisfatte, anzi, superate.
La giornata è stata lunga nei kilometri ma tranquilla e poco impegnativa, sia fisicamente sia mentalmente.
Siamo usciti da Riga, scoprendo la bellezza di altri quartieri più periferici e meno noti, tutti agghindati a festa con palazzi che son gioiellini d’arte.
Poco traffico e vie assopite nella prima luce del mattino ci hanno permesso di uscire, per lo più su ciclabile, dalla metropoli che ospita quasi metà della popolazione dell’intera Lettonia.
Mi colpisce la lunghissima fila di senzatetto che procede lenta fuori dall’Humanitas, simile alla nostra Caritas. Stanno tutti in ordine, silenzioni e composti tra stracci e sacchetti, con grandissima dignità.
Fare un ampio tratto di autostrada Baltica è stato inevitabile, anche oggi, e la stessa Eurovelo ci corre sopra. L’unica alternativa sono le piste sterrate nei boschi, ma sono impedalabili, soprattutto dopo la pioggia dei giorni scorsi. Sabbia, fango e melmaie appiccicose ci han fatto preferire l’asfalto dello stradone (Tramonta questo giorno in arancione/ e si gonfia di ricordi che non sai/ mi piace restar qui sullo stradone/ impolverato, e se tu vuoi andare, vai…/ Vai che io sto qui e aspetto Bartali…). Tanto, per quasi tutto il giorno, quando dovremo stare sulla A1 saremo protetti da un’ampia corsia d’emergenza, usata dai mezzi lenti (camioni, motorette, ciclisti in bici da corsa –anche lor altissimi, con bici grandi come cavalli. Parentesi: da queste parti l’altezza media è increibilmente maggiore rispetto alla nostra e i mobili e l’arredamento e tutto è tarato di conseguenza. Gigi si trova da dio, io fatico ad aprire le credenze in cucina e gli aradietti in bagno, spesso sto con le gambe a penzoloni giù dalla sedia o non arrivo agevolmente al ripiano del tavolo. Qui discriminano i puffi e gli gnomi, altro che).
Raggiungiamo il quartiere di Riga Jugla, sull’omonimo fiume, con il museo etnografico e le casette tradizionali (questi musei sono assai diffusi in tutti i paesi ex Urss di nome o di fatto. Pare quasi che i sovietici volessero sottolineare quanto la cultura da loro portata avesse garantito case per tutti, e non capanne e stamberghine storte).
Passiamo per Adazi e Gauja, immerse nel verde di boschi protetti, riserve naturali delle paludi e infiniti laghetti azzurissimi, che si intravedono a tratti tra i rami e i tronchi.
C’è profumo di resina e muschio, e le cicogne volano basse e placide, insieme ai gabbianiA Lilaste lasciamo la Baltica per avvicinarsi alla costa e fare qualche kilometro su strada secondaria, fin dopo Saulkrasti. Questo tratto è stato costruito di recente con i fondi europei, per evitare traffico e inquinamento sulle dune di sabbia e nei parchi. E’ zona di turismo locale e villeggiatura, ci sono spiagge e campeggi e case vacanza, negozi che vendono giochi da mare e coccodrilli gonfiabili, baracchini di vecie con fiori e mirtilli e funghi, meline ed erbe, vendute ai vacanzieri.
I sentieri sulla costa son tutti indicati come sunset trail. Eh sì, perché su questo tratto di spiaggia che va su diritto oltre il golfo di Riga il Baltico si spalanca ad ovest, senza ostacoli, e l’orizzonte beve ogni goccia purpurea dei tramonti immensi. Saulkrasti in lettone significa spiagge del sole e un sole sul mare è lo stemma cittadino, il motto è “la città più vicina al sole”. Insomma, c’è il sole, al tramonto, ed è bello e invoglia al paganesimo e all’adorazione dell’astro luminoso.
Ci sono anche numerosi bugigattoli che vendono pesce secco e fresco, e bambini che son talmente abituati a farsi fotografare in posa che, anche quando non è richiesta la loro presenza, si sentono in dovere di stare davanti all’obiettivo.
La piacevole deviazione fuori autostrada termina e torniamo in A1, in un paesaggio agreste e addomesticato, punteggiato di laghi e fiumi di un blu profondo che pare photoshoppato.
Il vebto è contrario ma Gigi fa da locomtrice e tiriamo diritti fino a oltre 80 km senza soste, anche perché, improvvisamente, la careggiata si è ristretta e il bordo per pedalare è diventato minimo, per quanto sufficiente e ben asfaltato. Non ci si può però fermare, e dunque andiamo avanti tra i boschi sempre più fitti intorno, fino ad una fermata dell’autobus dove possiamo un attimo riposare.
Sosta pipì, sosta barretta e mela e via subito di nuovo, perché, nonostante il sole caldo, appena ci si ferma, complice il vento, ci si raffredda e vien la pelle d’oca.
La pineta, a tratti, si apre come un sipario e lascia che il mare si mostri alla vista. E’ sempre uno spettacolo, sarà che son volpe di pianura, sarà che il mare per me è un luogo della parola in versi ancor prima che geografico, sarà che vederlo in schegge tra gli alberi scuri mi pare più sacro della vetrata di una cattedrale.
Dopo qualche decina di kilometri dsiabitati, raggiungiamo di nuovo alcuni paesini, intervallati da fiumi che qui trovano la loro pace nel Baltico che tutti accoglie.
Salacgriva, Kuivizi e finalmente Ainazi, dove lasciamo definitivamente l’A1 per imboccare una strada parallela a basso traffico, che seguiremo anche domani fino a Parnu. L’Estonia è vicina, e il balzo di civiltà si percepisce subito. Basta rumorosa autostrada puzzona, finalmente strade adatte al cicloturismo.
Questa cittadina portuale, cinqucentesca di fondazione, legata alla pesca e alla lavorazione del merluzzo, è l’ultimo avamposto lettone prima del confine. E noi ne approfittiamo per far la spesa, perché poi non ci saranno paesi e saremo in tenda stanotte.
Facciamo pipì alla stazione dei bus, che è immersa in un bel parco e fronteggia il museo dei vigili del fuoco. Poi passiamo il faro e il museo della marina e, in un attimo, eccoci al confine estone.
mi toglie il dolore dagli occhi
e scivola il sole al di là delle dune
a violentare altre notti..."
Parnu invece è una vivace città turistica, affollata (per gli standard locali, dove tre persone son già folla) e colorata, piena di musica e fiori, giostre e localini chic.La chiamano "perla marina" dell'Estonia, sul Golfo di Riga, sulla foce del fiume che dà nome alla città.
camera con vista |
Ceniamo con lo sguardo perso al mare, che pian piano si tinge di oro e di porpora e raccoglie le ultime scaglie di luce.
Siamo il tempo. Siamo la famosa
parabola di Eraclito l’Oscuro.
Siamo l’acqua, non il diamante duro,
che si perde, non quella che riposa.
Siamo il fiume e siamo anche quel greco
che si guarda nel fiume. Il suo riflesso
muta nell’acqua del cangiante specchio,
nel cristallo che muta come il fuoco.
Noi siamo il vano fiume prefissato,
dritto al suo mare. L’ombra l’ha accerchiato.
Tutto ci disse addio, tutto svanisce.
La memoria non conia più monete.
E tuttavia qualcosa c’è che resta
E tuttavia qualcosa c’è che geme.
Estonia per sempre nel cuore,grazie!
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