giorno 37
Tuuri-Komanne
110km
Poi son ricominciati i boschi, e oggi non solo ci stavano intorno, ma ci siam proprio tuffati noi, e a capofitto, nel loro cuore verde di linfa e nodoso di corteccia antica. Ci siamo detti: perchè non tentare queste belle stradine secondarie, panoramiche, amene? Perchè sono sterrate per lo più, e piene di sassi e di sabbia, mannaggia a noi.
Quale lembo d'asfalto si è comunque trovato, per quanto sempre immerso in ammollo nell'aria gonfia di resina e muschio, profumo di funghi e stormire di foglie. Il canto delle betulle, la preghiera dei pini che esala al sole come incenso.
Su un sito di promozione del turismo in Finlandia avevo letto che in questo paese i panorami sono grandiosi, e sconfinati e bellissimi, ma piuttosto monotoni, e che pedalarci in mezzo per giorni è un'esperienza meditativa, di introspezione, e quasi metafisica e di trascendenza. Confermo. Il silenzio è assoluto, tutto è immobile, e vibra impercettibilmente di pulsare di linfa. Si sente il respiro degli alberi, il fremito dell'erba. Si sente il germoglio crescere e srotolarsi al sole, il fiore sbocciare, la foglia staccarsi e morire. Si sente tutto. E' un coro a bocca chiusa come quello della Madama Butterfly. Sono le voci che non sappiamo più ascoltare. In ognuna di loro l'intero universo vive e rivive all'infinito. Esplodono stelle, nascono galassie, nella goccia di rugiada che cade dall'ago di pino. Nel pinolo c'è il cosmo, altro che Hegel. Tutto è, ed è uno. Parmenide aveva ragione. Stupido chi divide, separa, dà nomi diversi, traccia confini, si pone nel nome dell'io e lascia fuori il resto.
In questa consapevolezza del tutto, del micromega, della radice e dello stelo, procediamo. Il fondo d'asfalto lascia spesso spazio ai sassi e alla terra battuta, o alla sabbia. Di paesi non ne incrociamo più per tutto il giorno, quasi 100km di bosco e costellazioni di casette. Sempre curatissime, seppur in mezzo al nulla. Qualcosa fatto davvero per sè, e non per gli altri, non per un dio e nemmeno per gioco. Non per farsi notare. Per un appagamento estetico privato, una cosa intima. Le cose fatte bene, belle e curate. Perchè su questa terra passiamo una volta sola, e non c'è tempo per il brutto. In queste casine perfette, con i loro giardini perfetti, vedo un senso di morte che non sto a spiegarvi. Sono bellissime, e piene di vita e di colore e di attenzione. Proprio ciò che fa chi sa di esserci solo per poco, ancora, e senza nemmeno saper quanto duri questo poco. Qualcuno prega, qualcuno fa il bene, qualcun altro fa il bello.
E non c'è come questa natura grande, che ora è maestosa, d'inverno è temibile e impietosa, a ricordarci come si sia poca cosa, e destinati a finire, noi bipedi curiosi.
Per fortuna usciamo dal lunghissimo sterrato impervio che tanto tempo ci ha fatto perdere e tanti rosari sgranare, ogni volta che si inciampa nei sassi e ci si impantana nel fango o nella sabbia, rischiando il tombolo e l'osso rotto e addio Nordkapp.
Arriviamo a Perho (che è il famoso paese crasi tra Pero e Rho), entrando nella regione dell'Ostrobotnia centrale (da quella meridionale - ora che lo sapete vi sentite meglio, vero?. E vi dico anche: una delle città più importanti e antiche (fine '400) si chiama Kokkola. Kokkola, ma è il toponimo più bello mai sentito!)
Dopo una sosta mela alla panchina del cimitero, dotato di bagni pubblici e lavatrice, e dopo aver fatto spesa e rifornimento acqua, ci imbarchiamo nell'ultima piccola impresa di oggi: lo sterratone polveroso e inatteso (questa non è una strada secondaria) per giungere in riva al lago, ove si può campeggiare liberi e belli e a gratis.
La spiaggia è attrezzatissima, oltre che paradisiaca. C'è la sauna
c'è l'approdo sabbioso tra le betulle
ci sono la casetta per il barbecue e le cabine, tutto in legno e con ciocchi di betulla pronti all'uso
c'è il box per tenere la legna asciutta, con dietro i servizi igienici
e c'è tutta questa bellezza che dà senso alla giornata. Perchè si può anche essere stanchissimi e appiccicosi di sudore e polvere. Ma questo azzurro e questo silenzio ripagano di ogni sforzo.
Dopo aver esplorato questo breve tratto di costa, che è in realtà un modo per bersi la luce e i colori a piccoli sorsi
uno spazio per il falò e un ripostiglio per la legna
Poi montiamo la tenda ed io accendo il fuoco con i ciocchi di betulla. Il fumo bianco è profumatissimo, potrei inalarlo come una droga. Prepariamo la cena e ci scaldiamo su questo turibolo di terra bassa, perchè il sole cala e inizia a far fresco.
10/8/20
giorno 38
Komanne-Karsamaki (nei boschi intorno)
135km
Quella odierna è stata una tappa faticosa e lunga, da arrivar sui gomiti e arrancando, strisciando quasi, tutti piegati su noi stessi, chini in segno di rispetto al vento, con la forma dei gamberetti e la stessa consistenza morale.
Gli ingredienti di questo cocktail? Sentieri sterrati impedalabili, di sassi stile rotaie, e sabbia, Eolo contrario al nostro andare, Eolo che corre da nord e fugge dal freddo, porta aria gelida e scappa sulle coste meridionali prima che giunga l’inverno. Il freddo, improvviso. Le salitelle continue, a smentire vieppiù quel grande inganno della Finlandia piatta come un tavolo da biliardo.
E questa mattina non pareva affatto che la giornata dovesse rivelarsi così tosta. Ci siamo svegliati al primo sole, con lo starnazzare e i tuffi (durati per tutta la notte in verità) delle anatre. O chi per loro insomma. Magari spirti dei boschi, magari un Papageno pescatore.
Sole alto, aria tiepida, e poi calda. Un panorama capace di placare ogni incendio dell’anima. Silenzio, pace assoluta. L’ombelico del mondo, quando il mondo è bello.Abbiamo chiuso le borse e smontato la tenda, mi son resa conto di aver perso uno scaldacollo che avevo in testa durante la notte (ne avrò persi decine, nei viaggi, due solo in questo… Lo avran preso gli gnomi burloni che vivono sotto ai funghi).
E via che si va.
Appena fatto il primo giro di pedale, si è alzato il vento, che aspettava noi. E ci è stato fedele, indefesso compagno non gradito per tutto il giorno, rallentandoci e rincoglionendoci, perché era forte da rimbombare nelle orecchie e freddo da gelare i vestiti addosso.
Da notare il traffico delle 8 del lunedì mattina, ora di punta, rush hour finlandese.
Tutti i primi 60km sono stati sterrati. A tratti con un fondo decente o perfino buono, di terra liscia e dura, compatta come asfalto. Ma decine di kilometri, invece, son state funestate da sassi e ghiaia, sabbia e altre delizie che ci han costretto ora a camminare, ora a fare il “monopattino” con un piede su e uno a terra, ora a pedalare ma pianissimo, e con l’ansia, per me anzi proprio il terrore di cadere e fracassarmi il cranio su un sasso, come un cocomero maturo che cade e si squaccia. Non vi dico il sudore acido e pieno di adrenalina e cortisolo, non vi dico i santi paracadutisti cascati dall’alto dei cieli.
Intorno, però, solo cose belle. Boschi grandiosi e profumatissimi, con tracce di fuochi recenti e nessun’altra presenza umana. Laghi, d’azzurro profondo, a non finire, uccelli di ogni genre, compreso uno stormo non identificato di uccelli neri e bianchi, simili a fagiani nella forma ma non nel colore. Abbiamo incociato fattorie e case sparse, tutte colorate per spiccare nella neve, quando qui diventa un inferno di gelo e anestesa dei colori.
Tutte perfette ordinate e rifinite, per quella cura, quel godimento estetico privato che sa di consapevolezza della finitudine, e non di desiderio di mostrarsi ai vicini, come in Usa, dove anche la casa è uno status symbol da sbattere in faccia a chi sta intorno.
Per 100km, però, nessun paese. Fortuna avevamo acqua a sufficienza e un po’ di cibo.
Lo sterrato, con l’aggravante del vento, ci ha affaticati e storditi al punto da condurci a uno stato di estasi, nel senso etimologico, ek-stasis, coscienza che esce dal perimetro dell’io e dilaga, si espande come un gas, una marea che sale, il dio di Plotino. Si perde la cognizione dello spazio tempo, le vibrazioni e i colpi fanno l’effetto delle giravolte dei dervisci. La mancanza di luce, per le nuvole sottili, completa l’opera. Gigi si è perso in un varco tra i mondi, rimbalzava tra le vigne di Oleggio e l'America, io ero convinta di trovarmi a Bordighera, sulla spiaggia dove tante estati ho trascorso da bambina. E pensavo intanto al Pascoli e al suo atomo opaco del Male, visto che oggi è il 10 agosto. Pensavo alle rondini, ai traumi infantili, alle lettere antiche, alla faccia da pirata di Ungaretti, ad Alceo, Plutarco vecchissimo con la tunica bianca e i tarzanelli a'i'culo, al Settimo sigillo e il medioevo pieno di fango, formaggio e vermi e croci, con un mal di polsi e braccia e schiena che non vi dico, ma non si molla mai, mai, e non sono io che devo aver paura dei sassi, ma loro di me, che passo con una bici che è un carrarmato e pesa come un T-34. Temi tu la morte? Temi l’abisso?
Insomma, è stato faticoso. Appena si è data l’occasione, siamo tornati sulla strada asfaltata, nonostante il navigatore proponesse altre deviazioni panoramiche silvestri nei bricchi. No-grazie-no.
Ci siamo fermati al primo locale disponibile, un benzinaio con supermercato e ristorante self service per mangiare e bere qualcosa di caldo. Non sembra ma il freddo fa consumare molte più energie e si rimane a secco, in crisi di fame, in un attimo. Quindi cioccolata calda e dolcione di sfoglia con marmellata e crema, per affrontare gli ultimi 40km, di cui più di metà con le bici stracariche di acqua e spesa per la cena e la colazione.
A proposito di spesa, onde evitare kilometri extra inutili, ci siamo arrangiati in una sorta di supermercatino di paese, sulla strada, l’unico nel raggio di 30km. Il locale era diviso in due: da un lato gli scaffali con qualche prodotto, per lo più scatolame, comprese tolle di carne di renna e di alce. Dall’altro articoli sportivi: sci, ciaspole, maglioni, canne da pesca, coltelli e stivali. La cassiera, una donnona rubizza e sorridente, parlava perfettamente inglese, come tutti qui. Ci ha chiesto se avessimo trovato tutto e sì, pure il dolcetto per il dopocena in tenda. Nel parcheggio fuori un ometto ci ha chiesto da dove venissimo ed ha voluto sapere del nostro viaggio, chiosando con un “respect!” come si usa qui. Ed è arrossito quando gli ho detto che la Finlandia è bellissima, il paradiso del cicloturismo, e i finlandesi sono gentili e carini. Che poi è vero davvero, sono un popolo pieno di grazia, in una terra piena di grazia.
Come ogni sera avevo già selezionato sulla Tulikartta un campeggio libero e agratis, e questa volta ci è andata davvero bene: in un bosco silenziosissimo e sofficissimo di muschio, c’erano un capanno, un’area falò-barbecue perfetta, con le panche attorno, il coperchio di metallo e la griglietta sospesa, e pure il capanno della legna pieno di ciocchi asciutti e pronti all’uso.
Appena montata la tenda ho subito acceso il fuoco (ormai padroneggio la sacra arte) e così abbiamo ottenuto tre risultati che, a quell’ora e in quelle condizioni, sono pienamente significativi: si scalda la cena, si scaldano le mani e le terga (perché FA FREDDO appena ci si ferma e si va subito sotto i dieci gradi) e si scacciano le zanzare con il fumo bianco e profumato del legno di pino e betulla, la cui corteccia è incenso puro.
Con gli ultimi crepitii della fiamma, ormai rubini nel buio, nello stormire delle foglie, ci siamo ritirati e il sonno è giunto presto, ed è stato profondo. E ho ritrovato lo scaldacollo! Gli gnomi burloni lo avevano messo nel sacco a pelo, in fondo, ai piedi.
11/8/20
giorno 39
il paese di Piippola! |
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