sabato 13 luglio 2024

13-15. Al confine con il Laos, lungo il Mekong, tra mistici e puttane, monaci erranti e Naga













11/7
Khon Kaen-Udon Thani
121km

Oggi tappissima. Lunghissima velocissima tiratissima. E' finora la più consistente, in termini di kilometri, ma pure quella con la media più alta (circa 21 km/h, che fa ridere per il ciclista medio anche della domenica, ma non se pensate al peso delle bici, al fondo e al clima). Ma il monsone ci ha risparmiati, e, anzi, si è fatto perdonare con una bava di vento a favore che non fa mai male.

Torniamo a stamattina: dopo una soda dormita, ci alziamo di buon'ora per ricostituire da nuovo la disposizione della roba, alla Verga, nelle borse. Ieri, infatti, le abbiamo completamente svuotate, e abbiamo lasciato tutto a prender aria, compreso il materiale da campeggio. Quindi le operazioni preliminari ci impegnano più a lungo del solito. E dobbiamo anche lubrificare un poco la catena, dopo averla pulita, perchè è rossa e asciutta con tanto di orrenda ruggine. Mancano muschi e licheni, poi c'è un intero ecosistema. Sbrighiamo tutte queste pratiche tra gli sguardi incuriositi delle signore delle pulizie e del tuttofare che sta sistemando le tettoie del parcheggio esterno. Poi, finalmente, viene il momento di partire.
Uscire dalla città richiede un po' di attenzione a causa del traffico mattutino, ma qui la gente alla guida è piuttosto paziente e cortese, anche se le regole del codice della strada restano abbastanza un'opinione, soprattutto per motorini, tricicli a motore e baracchini semoventi di varia natura. Mi colpiscono i lampioni che, a Khon Kaen come pure altrove, sono estremamente elaborati. Ce ne sono alcuni a forma di elefante, altri di demone... Questi sono dedicati al dio paguro. Giuro che non è una bestemmia. Guardate come emerge gagliardo dalla conchiglia!




A questo punto dobbiamo scegliere, ma la risposta è già stata concordata prima di partire: seguire interamente lo stradone, la Highway 2, l'autostrada dell'amicizia tra Thailandia e Laos, oppure, nei rari tratti ove possibile, uscirne e buttarsi nelle viuzze di campagna?
Stavolta non abbiamo dubbi: stradone sia, tutto, diritto, veloce. Abbiamo tanti kilometri da macinare e nessuna voglia di finire nel mezzo di una bufera monsonica, belli ripuliti come siamo. Almeno per ora. Oltretutto, comunque, le deviazioni possibili sarebbero poche e senza alcun punto preciso di interesse. Di aree rurali ne abbiamo viste e ne vedremo. Oggi vogliamo tentare questa diversa esperienza. Che si rivela una grande scelta. Infatti, paradossalmente, il traffico è meno pericoloso e più scorrevole qui che non su strade secondarie ma comunque vicine a paesotti e centri abitati. Perchè qui la corsia di emergenza è ampia e solo i mezzi più piccoli, come i motorini e i tuk tuk ci marciano anche contromano. Mentre negli altri casi pure auto e furgoni si muovono in entrambi i sensi di marcia senza porsi problema alcuno. Tant'è che su questo stradone la corsia più a sinistra è proprio segnalata come riservata a motorini e biciclette, che sono considerati mezzi del tutto paragonabili. E così ci lanciamo sullo stradone... Ed è subito Paolo Conte:
"Mi piace restar qui sullo stradone
Impolverato, se tu vuoi andare, vai
E vai che io sto qui e aspetto Bartali
Scalpitando sui miei sandali
Da quella curva spunterà
Quel naso triste da italiano allegro..."


un carrettino a motore che trasporta enormi foto del re incorniciate in oro, che a momenti mi investe perchè si immette in carreggiata senza poter vedere nulla intorno, causa gigantografie ingombranti

Infiliamo diversi paesini, un po' polverosi ma vivaci di bancarelle e mercati, ma pure tra un nucleo urbano e l'altro brulica un mondo di persone che fanno cose, e soprattutto vendono cose. Si va da chi propone vasellame e sculture più o meno improbabili (da cavallini di ceramica a elefanti a grandezza naturale, da tigri a brontosauri che sono dromedari solo dipinti di verde). Frutta, soprattutto angurie (piccole rispetto alle nostre) e meloni. Prodotti caseari, chè qui tutto ciò che deriva dalla lavorazione del latte è considerato bene di lusso. Bancarelle di polli arrosto infilzati come Cristi in croce, di bubble tea, di altari e monumenti funebri a forma di stupa o di classica lapide. Ma pure luci al neon e tamarrate per customizzare le auto, gingilli e cianfrusaglie made in China e via discorrendo.  









Capita pure di incrociare qualche solitario monaco errante, che cammina nel kesa arancione carico delle sue poche cose, tra cui la ciotola classica per ricevere il riso e spesso una teiera. Ne incontriamo uno che sta per sentirsi male a causa del caldo e trova refrigerio buttandosi a terra in un 7 eleven, sotto all'aria condizionata sparata a manetta, sotto agli sguardi preoccupati delle cassiere. Ho letto che in Thailandia tutti i ragazzi devono fare esperienza della vita monastica. Un tempo durava qualche anno, ora qualche mese o addirittura settimane. Però è interessante pensare che ci sia anche questo obbligo morale (che segna il passaggio all'età adulta), oltre a quello civile della leva militare che dura due anni, e si fa dai 21, ma solo se si viene sorteggiati. Chi si sottrae a questa "lotteria del reclutamento" rischia 3 anni di carcere (è emerso il caso di alcune donne trans pescate per loro sfortuna e costrette a rispettare questa legge che non fa eccezioni).


Si pedala svelti, nonostante la strada sia funestata da numerosi cantieri, che paiono le fucine di Isengard dove vengono plasmati gli Uruk hai. Fa un caldo che si scoppia, e ci si scioglie. Asfalto rovente e motori accesi peggiorano la situazione. Non si procede mai in piano, ma sempre in leggerissima salita o leggerissima discesa. Il sole ci arroventa il casco e brucia la pelle. In più, a tratti, il fondo stradale è esploso e graffiato da solchi profondi e buche. Bisogna stare attenti, anche se il traffico raramente è tale da risultare pericoloso. Per fortuna a tratti si aprono scorci di campi o fiumi, che son sorsi di pace nella nostro festinare lente. Facciamo solo due soste: una al km 42, quando incontriamo il monaco collassante, e una al km 102, ormai quasi giunti a destinazione. Una terza, rapidissima, per raccogliere dalla strada un elfo di Babbo Natale che si è evidentemente perso. E va bene così: tutto intorno a noi si stanno addensando nubi nere, e sappiamo di cosa si tratta. Più ci portiamo avanti, più si riduce il rischio di finire in pasto al monsone. Eolo, dopo qualche bizza, si mette in poppa e ci aiuta a proseguire, mentre la mia schiena inizia a reclamare pietà.



bikepacking estremo

la quantità di porcherie analcoliche buonissime da bere è meravigliosamente ineffabile

Ormai in periferia di Udon Thani incrociamo un cicloviaggiatore carichissimo, dai tratti asiatici e con la pelle olivastra, che va in direzione opposta alla nostra. Siamo a 6 corsie trafficate di distanza, separate al mezzo da un muro e doppio guard rail. A gesti e grida ci scambiamo qualche saluto, ci chiede se abbiamo bisogno di mangiare qualcosa, gli poniamo la stessa domanda e, stabilito che siamo tutti a posto, ci auguriamo buon viaggio. Mi sarebbe piaciuto scambiare quattro chiacchiere, ma ora, qui, si fa troppo complicata.
Durante la seconda sosta, a meno di 20km dall'arrivo, prenoto una camera d'albergo nel grande quartiere cinese di Udon Thani. Stavolta mi supero: 6.7 euro la doppia in un 3 stelle. Poi ci si chiede perchè tanti pensionati e nomadi digitali vengano a svernare o vivere qui. Mica solo per i blow-job bar! Anche. E pure a buon mercato.



Due templi, una scuola, un cimitero, ed eccoci in città. Qui il traffico è decisamente più intenso, ma abbastanza ordinato, soprattutto in concomitanza dell'aeroporto. Davanti a noi si sta gonfiando un monsone con ma M maiuscola e anche tutte le altre lettere. Presto, presto, siamo quasi arrivati!


ingresso all'aeroporto



Dopo aver lasciato lo stradone e aver percorso qualche via di quartiere, raggiungiamo l'hotel (Udon Mansion) che si presenta pure benone. E' gestito da cinesi, come tutto in questa zona, e ogni cosa lo ricorda, dalle lanterne rosse ai Buddha grassi, dalle scritte alle bacchette che sostituiscono forchetta e cucchiaio (le due posate che usano i thai). La struttura, all'interno, pare un vecchio studentato di regime, progettata da Mao in persona, ma la camera poi è dignitosissima. E' presto e non solo abbiamo tempo per la doccia, ma pure per studiare bene il da farsi, domani. Nel frattempo, fuori, inizia a piovere a dirotto. Monsone: suca! Stavolta siamo arrivati prima noi!





L'idea è quella di visitare le poche attrazioni degne di nota di questa cittadona, domattina, direttamente in bici. Udon Thani si è sviluppata soprattutto grazie all'installazione di una base militare statunitense durante la Guerra del Vietnam. Bar, bordelli, hotel e ristoranti sono state le prime attività a fiorire qui, per poi attirare nutrite comunità di stranieri. Su tutte quella cinese. Infatti qui pare di essere in un lembo della Repubblica popolare. E pure ciò che domani andremo a visitare riguarda per lo più la comunità sino-thailandese (un tempio dedicato ai nonni, numi tutelari, un centro culturale, un vivaio dove è stato creato il primo profumo all'orchidea e le piante che "danzano" se esposte a musica o suoni). A sottolineare come siano cinesi i local, notiamo che anche la sera, sul tardi, tutti i negozi sono aperti, e i commercianti restano a disposizione mentre allattano i figli, fanno fare i compiti ai bambini, mangiano o addirittura dormicchiano. Casa e bottega.
Per cena ci lasciamo tentare dai profumini deliziosi che esalano da uno dei numerosi street food market coperti. Siamo gli unici occidentali e, anche qui, attiriamo l'attenzione dei più, anche se tutti sono gentili e sorridenti e mai invadenti o irrispettosi. Grazie a Google lens ce la caviamo con le ordinazioni, che si fanno a mano, su un block notes bisunto, da un menu esclusivamente in thai. Si mangia su tavoloni condivisi, nel via vai di motorini dei rider. Gli avventori sono tutti molto giovani, e pagano con lo smartphone tramite QR code, alla cinese. Le porzioni sono abbondantissime ed è tutto delizioso: gli spaghetti di riso saltati con arachidi e peperoncino, il riso con uovo e le verdure... Tutto spettacolare! E questi tre piattoni, con due bottiglie di Coca cola, costano meno di 4 euro. Roba da fare il bis, non stessimo già scoppiando.








Dopo cena, siccome sta smettendo di piovere, facciamo una passeggiata nel quartiere, che è tutto un fervere di bancarelle, di griglie, di fritture, di profumi e vapori. Ma pure i negozi veri e proprio sono aperti, dai barbieri a quelli che riparano smartphone, dai centri estetici a quelli massaggi. E ovviamente anche i locali un po' sordidi tipo strip club




Mentre scrivo, ora, e cerco notizie su Udon Thani, leggo che è stata sede di un cosiddetto "black site" della CIA, dove sono stati interrogati, e non con le buone, alcuni fedelissimi di Bin Laden. Nel 2014 è uscito un report di 6000 pagine sulle tecniche usate dagli agenti statunitensi... Vi lascio immaginare. Alcuni alti gradi dell'esercito thailandese erano a conoscenza di tutto. Pare che comunque questo black site sia stato chiuso nel 2002.
Gli italiani, qui, invece, estraggono potassa. Che comunque è qualcosa.

Una piccola anteprima di domani: dopo aver esplorato il quartiere cinese, passeremo dal parco centrale della città, dove si trova il simbolo di Udon Thani: una paperella gigante che galleggia indisturbata nel lago. Anzi papereggia. Poi ci sposteremo a Nong Khai, sul Mekong, di fronte alla capitale laotiana, Vientiane. Tappa breve, di soli 60km, per poter esplorare questa cittadina che segna per noi la fine della prima parte del tour thailandese. Da lì, infatti, costeggeremo il Mekong per poi salire ancora più a nord, ma dal lato occidentale questa volta, verso Chiang Rai e poi Chiang Mai. Dopodichè scenderemo a sud, tornando verso la capitale, ma dal lato occidentale, verso il confine birmano. E poi giù lungo la penisola di Malacca. Ma per tutto questo c'è tempo.
Non visiteremo, domani, nè il centro culturale dedicato ad Ho Chi Minh che, a breve distanza da qui, tra 1928 e 29, addestrava soldati vietnamiti per resistere all'occupazione francese, e nemmeno il sito archeologico di Ban Chiang. Pur essendo patrimonio Unesco, conserva reperti e necropoli (ricostruita) di un periodo tanto arcaico da risultarmi non così interessante: vasellame, ceramiche e oggetti di uso quotidiano sono pregevoli, sicuramente, ma non abbastanza, per la mia sensibilità, da dedicar loro una giornata extra di viaggio. C'è talmente tanto da vedere ancora!
Lo stesso discorso vale per il Red lotus sea lake, che abbiamo balzato a pie' pari oggi. E' un grande lago ricoperto di fiori di loto rossi. Una figata. Ma. Non è la stagione giusta, e bisogna andarci al mattino presto, perchè poi i loti si chiudono e ti salutano così, a chiappe strette. Insomma, asincronie. E poi, lo dico spesso, viaggiare significa scegliere. Rinunciare a qualcosa per dedicarsi a qualcos'altro. Che è ciò in cui pure consiste la vita: essendo il nostro tempo limitato, come le nostre energie, tutto sta nel scegliere accuratamente dove investire l'uno e le altre. Perchè delle infinite esistenze possibili, ce ne è concessa da vivere una soltanto, fatta di ciò cui ogni giorno, ogni ora, decidiamo di dedicarci.


12/7
Udon Thani-Nong Khai
70km

Attenzione! Fermi tutti! Oggi è stata una giornata magnifica, e lo devo dire forte e chiaro e ad alta voce qui, dalla guesthouse sul Mekong dove alloggiamo stasera. Una giornata veramente pazzesca! Faticosa il giusto, piena di meraviglia da raccogliere per via, di frammenti di tempo che diventano ricordi indimenticabili, marchiati a fuoco sopra e sotto pelle. Oggi, oggi sì, la strada ha cantato, l'orizzonte si è aperto in sorriso e il cielo pure è stato buono con noi.
Torno a questa mattina.
Dopo una spaventosa bufera che ha funestato la città per tutta la notte, quando ci prepariamo ad uscire la luce è grigia e smorta, pallido il sole lontanissimo dietro una spessa coltre di nubi lattiginose. Tutto è ancora fradicio e zuppo della pioggia che ancora cade, rada. E' la prima volta che iniziamo una tappa così, già bagnati nel bagnato di questo mondo acquoso oppresso comunque da un'afa che toglie il fiato. Partiamo presto, perchè oggi abbiamo in programma pochi kilometri, ma tante soste per visitare alcuni luoghi che ci interessano. L'anthos logeia, la raccolta di fiori, l'antologia di topoi imperdibili si va arricchendo, e questo mi gasa a prescindere, anche se l'entusiasmo ha sempre, come lato ombroso, l'ansietta di riuscire a fare tutto. Ma ci sto lavorando.

Dopo aver attivato due milioni di volte il gattino-fotocellula che esclama "Welcome!" (ma ha le batterie scariche e suona un po' satanico) che sta all'ingresso dell'hotel, muoviamo alla prima meta turistica in Udon Thani: Sanjao Pu-Ya. Si tratta di un grande tempio cinese che sorge sulla sponda meridionale del lago Nong Bua. Attesta, ci fosse bisogno di ulteriori prove, il benessere della comunità sino-thailandese della città. L'edificio centrale è un tempio ornato da statuette delle divinità cinesi Pu (nonno) e Ya (nonna). L'idea che queste due figure siano considerate a livello di numi tutelari mi piace moltissimo, e si avvicina tanto anche all'idea che abbiamo noi italiani dei nonni, anche se qui parliamo proprio di culto degli antenati.






Il complesso è ancora quasi deserto, fatta eccezione per un bimbo carinissimo, che ci fa segno di lasciare le bici appoggiate alla panchina dove sta seduto lui e ci saluta con inchino e mani giunte, e poi con un "Hello! Hello!" sempre molto composto. E' lì con quello che credo sia suo nonno, e ha senso. Nel cortile pieno di offerte già arde l'incenso, e nuvole di fumo bianco si sollevano a mescolarsi con le nubi basse. Mentre io entro a visitare il tempio, Gigi abbozza una conversazione con l'uomo che, incuriosito, gli pone domande più o meno in inglese. E Gigi, più o meno in inglese, risponde. Ma gli umarells hanno un loro linguaggio universale, un esperanto che supera ogni barriera linguistica e culturale, e passano del buon tempo così, a (non) capirsi, dire cose e sorridersi e ringraziarsi.




le statuine di Nonno e Nonna nell'altare centrale

ma questo cigno in stupor?



braciere d'incenso profumatissimo



umarells

Finita la visita nel quartiere cinese, ci spostiamo verso il secondo highlight di Udon Thani, il Parco Nong Prajak, il punto di ritrovo cittadino per eccellenza. Per arrivarci, però, dobbiamo attraversare il centro, che è già tutto un fervore di bancarelle e mercati e tuk tuk e casino piccante e fritto. Tocca far slalom tra mezzi a motore e non, venditori ambulanti e merce esposta a terra, canetti in cerca di cibo e nonne incartapecorite che attraversano senza guardare, mentre contano le monetine per controllare che il resto che il fruttarolo ha dato loro sia giusto. Ormai, però, stiamo prendendo la mano con questo traffico che non è rapido e letale, solo molto molto caotico.







un Ganesh a buffo

Il parco, al mattino, è fin troppo tranquillo: si anima nel tardo pomeriggio con ristorantini, bancarelle dove ci si può cimentare anche nella pittura della ceramica, e massaggiatori ambulanti. Una bella ciclabile circonda il lago, e si possono pure noleggiare le bici. Intravedo in lontananza le papere giganti. Le lasciamo là dove sono, che stan bene. 






Viene ora il momento di lasciarci Udon Thani alle spalle, e muovere a nord, sempre lungo la Fiendship Highway che qui si srotola per i suoi ultimi kilometri; ne mancano poco meno di 60 al confine con il Laos, e al "Ponte dell'amicizia" che congiunge Vientiane alla Thailandia. Pedalare è un volo. Il sole resta velato, quindi non ci azzanna le carni. Smette di piovere. Il vento è leggero e a favore. Praticamente tutto in piano. Andiamo così spediti da riuscire a superare persino le bancarelle a motore della frutta con copertura a forma di cappello! Un record! Ci fermiamo solo per fare colazione, ed io, che ormai sto prendendo confidenza, mi faccio preparare un Latte on the rocks con doppio espresso, e pure stavolta niente cagotto. Yay!
Presto si annuncia la provincia di Nong Khai, meta di oggi, e apprezziamo pure che, in questa terra di confine, lo stradone sia dotato di presunta ciclabile.





Nel giro di nemmeno tre ore siamo a Nong Khai. La guida afferma che questa cittadina affacciata al Mekong, proprio in faccia Vientiane, sia meta amata dai viaggiatori stranieri. Sarà la bassa stagione, ma noi ne vediamo ben pochi: una coppia di francesi, e una manciata di attempati aussies (credo, dall'accento) nei bar delle signorine. Ma di questo vi parlo dopo.
Pare che a rendere famosa la città siano, nell'ordine: la vicinanza al confine, le frittelle di banana, i tramonti rosa e i ritmi rilassati. In effetti, per quanto possiamo constatare, è tutto vero.
Ma Nong Khai ha una storia tutt'altro che tranquilla. Per gran parte della sua esistenza moderna, si è trovata entro i confini del regno di Vientiane (Wiang Chan), che a sua volta oscillava tra indipendenza e sudditanza ora Lang Xan, ora al Siam. Nel 1827 il re thai Rama III concesse a un nobile locale di fondare Meuang Nong Khai nella sua sede attuale, scelta per la presenza di paludi (nong) che ne facilitavano la difesa. Nel 1893 i francesi separarono il Laos occidentale dalla Thailandia, e chiesero a quest'ultima di non schierare truppe entro 25km dal confine. Così militari e amministratori si spostarono a sud, fondarono Udon Thani e lasciarono che Nong Khai cadesse in rovina. Un secolo e un anno dopo, nel 1994, l'inaugurazione del Ponte dell'amicizia thailandese-laotiana (uno scherzo da 30 milioni di dollari, con i suoi 1174m) segnò la rinascita della cittadina, come centro di commerci e trasporti di frontiera.

La nostra prima tappa è un luogo in periferia, che ci permette di entrare poi in città senza più doverci allontanare dal centro. Si tratta del Sala Kaew Ku. Prima di entrare ci beviamo una limonata ghiacciata ad una delle bancarelle esterne, perchè ora sì, il caldo comincia a farsi sentire. La particolarità del luogo già si intuisce da fuori.




Si tratta di un'attrattiva decisamente enigmatica e capace di colpire anche chi ne ha già viste molte, se non tutte. Costruito nell'arco di 20 anni da Luang Pu Boun Leua Sourirat, un mistico morto nel 1996, questo parco sfoggia un bizzarro e spettacolare insieme di figure di cemento che raffigurano Buddha, Shiva, Vishnu e altre divinità più o meno riconoscibili. Il santuario principale è pieno di centinaia di statuette di vario genere e provenienza, e di foto dell'artista santone in diversi momenti della sua vita. La sua salma riposa sotto a una cupola di vetro attorniata da luci lampeggianti. Luang Pu raccontava di essere caduto in una buca, da bambino, e di aver lì incontrato un asceta Kaewkoo che lo aveva introdotto ai complessi misteri ultraterreni e avviato alla carriera di bramino-yogi-prete-sciamano. Elaborando una propria filosofia che univa induismo e buddhismo, Luang Pu ebbe un gran numero di seguaci nella regione, su entrambe le sponde del Mekong. In realtà avrebbe voluto realizzare il suo progetto sulla sponda laotiana del fiume, dove aveva vissuto fino alla rivoluzione comunista del 1975. Alcune sculture sono decisamente curiose. Basti pensare all'elefante che passeggia tra i cani antropomorfi (e insegna agli uomini a non curarsi dei pettegolezzi). La scultura più alta, con i suoi 25 metri, è il Buddha seduto tra le spire di Naga, divinità a forma di serpente, con uno spettacolare "cappuccio" a sette teste. Imperdibile anche la Ruota della vita, nella quale si entra attraverso una gigantesca bocca dentata. 
Noi lasciamo le bici al gabbiotto del bigliettaio, sotto ad un albero zeppo di scoiattoli biondi e bianchi e dalla coda gonfissima, e ci lasciamo catturare da questo labirinto degno di un incubo da indigestione o febbre alta. Però che visioni, e quanto materiche! In cemento armato! E tutte GROSSE! Vi lascio una carrellata di immagini (e son poche e selezionate, le opere sono centinaia). Decidete voi se è devozione, malattia mentale, misticismo, arte, o tutte le cose insieme (concomitanza tutt'altro che rara, va detto). A me ricorda un po' l'opera di un artista bordigotto, tale Marcello Cammi. Ma qui siamo proprio su un altro livello, e con tanto di proselitismo e seguaci. I luoghi di confine son sempre terreno fertile per il furor creativo. E anche per lo smercio di sostanze psicotrope.






















Ebbri di follia e inquietanti effigi di cemento mezze mangiate dalla giungla, decidiamo che per oggi abbiamo visto abbastanza in tema di re-interpretazioni carnascialesche di religioni già ben "immaginifiche e colorate" (uso questi aggettivi per non risultare irrispettosa, ma diciamocela tutta... Noi abbiamo concezioni immacolate e resurrezioni, loro divinità dalla testa di elefante che cavalcano ratti enormi, e serponi a nove teste che incappucciano un principe che aveva capito alcune cose. Tra tutti...!).
Ci spostiamo quindi verso il centro di Nong Khai, al Wat Pho Chai, il tempio più venerato della città. Qui si trova una statua del Buddha di epoca Lang Xang con testa in oro massiccio, corpo in bronzo e l'ornamento del capo a forma di fiamma tempestato di rubini. A questa statua si attribuiscono numerosi miracoli, e si vede: è pieno di fedeli che pregano, porgono offerte, scuotono salvadanai, accendono incensi e appendono banconote ad un albero dorato. Quando si dice che i soldi non crescono sulle piante... Nel cortile stanno allestendo tavoli e banchetti. Intanto un monaco salmodia al microfono una litania ripetitiva e dal suono ipnotico, mentre una schiera di fedeli ascolta, seduta a terra. Altri monaci vendono campanelle e candele, da lasciare sugli altari, e incamerano denaro e donativi. Lo spettacolo umano è sempre il più interessante. Alle pareti sono dipinte scene della storia locale. 










l'albero dei baht




Viene quindi il momento di portarsi al cospetto del grande fiume che da giorni cito con rispetto, il Mekong. Ci si spalanca davanti agli occhi in tutta la sua placida immensità. E' il corso d'acqua più rilevante dell'Indocina, con i suoi quasi 5000km di lunghezza, e lambisce tutti gli stati dell'area. Il Laos davanti a noi è una forte tentazione, tanto più che la capitale è una manciata di minuti da qui. Ma il nostro visto thai, sudato e prezioso, concede un solo ingresso. Se usciamo, rientrando avremo solo 30 giorno da spendere nel paese. Ma le cose da vedere sono ancora tantissime! Il Laos sarà meta sicuramente di un altro viaggio. Ma non questo. Quindi ci limitiamo a pedalare sul lungo fiume, fino al cospetto delle due grandi sculture di Naga. Il dio serpone. Cito stralci di Wikipedia (e così si capisce pure perchè il serpente di Voldemort, in Harry Potter, si chiama Nagini!): "I nāga sono esseri semidivini che possono assumere una forma sia totalmente umana che totalmente serpentina; potenzialmente pericolosi, rappresentano perlopiù una presenza benefica per l'uomo. Vivono in un regno sotterraneo detto Naga-Loka, pieno di sontuosi palazzi riccamente decorati con gemme preziose. Il dio Brahmā, creatore di questi semidei, decise di relegarli sottoterra quando divennero troppo numerosi, ordinando loro di mordere solo i malvagi e i moribondi. I nāga vengono associati ad elementi acquatici e fanno da guardiani ai tesori. Le donne-serpente, dette nagini (o nagi), sono principesse dotate di straordinaria bellezza. […] I nāga sono anche considerati spiriti della natura, e in virtù del loro legame con l'acqua portano la pioggia, e quindi fertilità, ma anche disastri come inondazioni e alluvioni; si dice che gli ingressi alle loro città sotterranee siano nascosti sul fondo di pozzi, laghi e fiumi profondi. Secondo alcune leggende, diventano pericolosi quando gli esseri umani danneggiano l'ambiente o mancano loro di rispetto. Custodiscono anche l'elisir di lunga vita: una leggenda narra che, quando gli dei stavano distribuendo la vita tra le creature, i nāga riuscirono a rubarne una coppa; gli dei la recuperarono, ma versarono parte del suo contenuto in terra; i nāga lo leccarono dal terreno e così si tagliarono la lingua, che da allora è biforcuta.






A questo punto viene finalmente il momento di raggiungere la guesthouse. Siamo ben cotti e stancherelli, ma estremamente soddisfatti: abbiamo visto tutto quel che ci interessava, e nulla ha deluso le aspettative. Anzi! Raggiungiamo il Pikul Apartment Guesthouse, individuato ieri su Booking. In un ombreggiato cortile dove stanno stravaccati enormi gattoni tigrati, ci accoglie la proprietaria, che parla un ottimo inglese. Stavolta abbiamo speso una fortuna... 15 euro per l'appartamento intero con vista sul fiume (e colazione inclusa). Ma che posto! Sembra di essere a casa. Tutto è talmente fresco e tranquillo e sa di pulito che, dopo un accurato bucato e la doccia, ci appisoliamo un attimo. Poi studio le tappe dei prossimi giorni... Non so come dire a Gigi che saranno toste, per kilometraggio, e, alcune, per per dislivello. In 4 giorno conto di percorrere circa 460km, prima costeggiando il Mekong, poi scendendo a Loei, attraversando le colline e buttandoci a nord-ovest. La tocco piano, centellinando le informazioni. 



Riposati, decidiamo di uscire a esplorare un po' il centro. Io voglio anche tagliare i capelli, che ormai sono ingestibili. Cerco su Google il parrucchiere più vicino. Scopriamo andandoci che si trova in una via di localacci, strip club e bordelli. Signorine in abiti succinti stanno sui tavoli in veranda a mostrare la merce, e chiamano i passanti promettendo servizi speciali. Vediamo, come anticipavo prima, alcuni anziani occidentali seduti ai tavoli e attorniati da fanciulle procaci e truccate da battaglia. Alcuni sono palesemente giù ubriachi. Arrivati al negozio della parrucchiera, entro e mi sento dire, da una tipa seminuda che si sta rivestendo in tutta fretta, che per i tagli maschili (?!) devo tornare alle 20.30. Nei 30 secondi in cui ho lasciato Gigi da solo, lui ha fatto in tempo a rischiare d'essere adescato. Un uomo dai modi melliflui, una sorta di pappone gay non binario, gli ha proposto, in inglese, poi in francese e in italiano, un "ottimo trattamento" tra le risatine delle fanciulle in minigonna sedute alle spalle. Lo raggiungo e ci allontaniamo. Lui ci è rimasto male, ma gli spiego che, purtroppo, non deve prendersela con loro, che offrono un prodotto la cui domanda, evidentemente, è tanto alta da giustificare un'intera via dedicata al meretricio. Dovrebbe prendersela piuttosto con i farang puttanieri che vengono qui per farse fare i servizietti a pagamento, ma spendendo poco. La scena migliore è quando una donnona che ha proprio l'aria della maitresse o tenutaria di casa di tolleranza si affaccia a un balconcino e ci urla, in inglese: "Ragazzi, venite qui, vi facciamo divertire!". Le rispondo io: "No, grazie, siamo a posto così". E lei, che da lontano mi ha scambiata per un ragazzo, si rivolge alle sue ragazze con aria stupita e dice in thai qualcosa che mi suona come un "Acciderbolina, non sono due turisti etero cis maschi bianchi occhi blu da spennare!".





Dopo questa esperienza che non mi è valsa il taglio dei capelli, ma una bella storiella da raccontare, ci portiamo verso il centro, dove le bancarelle dello street food stanno cominciando a friggere, arrostire, tagliare e buttar sulla piastra ogni genere di pianta e animale. Ci torneremo dopo. Attraversati alcuni vialoni centrali, torniamo sul lungo fiume per goderci il tramonto. Che, in effetti, si dimostra spettacolare nella sua semplice tranquillità.







Il silenzio è interrotto solo dalle quiete chiacchiere di un gruppo di monaci adolescenti, tutti muniti di smartphone, che bighellonano e giocherellano tra loro. E' una scena davvero iconica. Si comportano come i ragazzini di tutto il mondo, ma sono nel loro periodo di noviziato. Poi si ritirano presso un tempio in ristrutturazione, dove mi colpiscono, nell'ordine: il Buddha grasso, il monaco di cera e la fila di yaksha con offerte, soprattutto bottiglie di Fanta alla fragola aperte e con cannuccia infilata. Forse con quelle zanne da facocero che si ritrovano hanno difficoltà a bere a canna.






E' il momento di procacciarsi la cena! Ci tuffiamo in uno dei numerosi mercatini dello street food ed optiamo per un ristorante che ha anche un "dentro", seppur aperto sulla strada, così da non avere le pietanze condite si smog. Hanno anche un menu in cinese e inglese, quindi capiamo davvero cosa stiamo ordinando. Oltre al pesce di fiume, ci sono anche interiora, sanguinacci, zampe di animali vari e persino le oloturie cucinate... Con tanto di foto! Ecco, questo ancora è troppo. Ricadiamo su due piattini deliziosi che ci soddisfano pienamente: gamberetti e anacardi in salsa piccante, per me, e omelette ripiena di verdure, per Gigi. Talmente buoni che faremmo anche il bis! Ma lo sguardo altero di antenati, militari e monaci dei ritratti alla parete sopra cassa e cucina frenano i nostri appetiti, che invece il cameriere super queer tenta di fomentare proponendoci dolci di ogni genere.









Concludiamo invece con la solita spesina: stavolta, oltre al pomelo, assaggio la guava. Ma che buona! Me la vendono già tagliata a fette e con un contenitore di polvere rossa, dolce e un po' aspra, come zucchero o polvere di maguey (il verme dell'agave del mezcal che ho assaggiato in Messico). Il frutto panato in quella polverina è pazzescamente buono.


13/7
Nong Khai-Pak Chom
137km

Io lo sapevo già che oggi sarebbe stata tappona tapponissima. Non pensavo, però, che saremmo davvero riusciti ad arrivare fino a qui. Temevo soprattutto per Gigi... E invece quella che ha sofferto di più sono stata io, complici il caldo umido devastante e la mia connaturata pressione bassa. Ma pianino pianino, con 19km/h di media e quasi 8 ore in sella, abbiamo portato le nostre chiappette fino a qui tra colline coltivate ad ananas e banane ("libertà l'ho vista dormire nei campi coltivati/ a cielo e denaro, a cielo ed amore/ protetta da una filo spinato...") e sempre il manto argenteo del Mekong in vista, come un lunghissimo enorme serpente d'acqua sinuoso tra i rami.

Balzo indietro. Stamattina ci siamo alzati presto, puntando la sveglia, per poter sfruttare al meglio le ore di luce. Caffettino solubile offerto dalla proprietaria "english speaking" e via, salutando il gattone tigrato ciccione molto ciarliero e il bel cortile della guesthouse. Ieri non ha piovuto, e nemmeno oggi sembra intenzionato a farlo. Il monsone è un non-sone qui. Ho letto che questa regione è la più calda, in estate, ma l'unica che va sottozero in inverno. E' difficile da immaginare, pur pensando a certe vette, ma ci crediamo. Comunque per tutta la mattina il cielo resta velato e ci risparmia la morsa del sole. Ma non quella dell'afa, che toglie il fiato. Me ne accorgo anche solo portando le borse fuori dalla camera. Questo minimo sforzo fa boccheggiare. L'aria è satura di umidità, arriva poco ossigeno ai polmoni. Si suda tantissimo, pure io che non soffro di iperidrosi sgocciolo, letteralmente, mi sciolgo. Siamo unti e lezzi ancor prima di partire.


Oggi la strada si va andando, con navigazione di cabotaggio, a vista. Di base, seguiamo il corso del Mekong. Ma alcune delle anse più strette si possono tagliare con corde di circonferenza che passano per le campagne. Usciamo velocemente da Nong Khai, che è una cittadina di nemmeno 50.000 abitanti; si sta svegliando: c'è poco traffico e le bancarelle stanno aprendo ora. I profumini di pollo arrosto e aglio-olio-peperoncino risultano invitanti anche a quest'ora. 


Dopo qualche kilometro lungo la strada principale che costeggia il fiume (la riprenderemo più avanti) ci tuffiamo di testa in viuzze di campagna. I villaggi sono sparsi e rari, e tutti segnalati, come sempre, da tempio e scuola, entrambi sovradimensionati. Per il resto tutto è pace. Qualche contadino, con cappello di palma e zappa, già sta chino in mezzo alle risaie. Qualcun altro accompagna gli zebu ossuti al pascolo, e il nostro passaggio di segnala per il fuggi fuggi di aironi-cicogna che volano via spaventati.















Il fondo è per lo più asfaltato o lastricato in buone condizioni, tranne qualche punto dove pare abbiano bombardato e tutto è esploso. C'è anche poco fango: si vede che qui la pioggia è stata più clemente. In compenso, la pianura ha ceduto il passo a un continuo saliscendi di brevissime rampette. Nulla di che, di per sè. Ma farne decine, una dopo l'altra, con Signorina Felicita carica e culona, è più croce che delizia. Qui le risaie sono sostituite da immensi appezzamenti di ananas. Che vengono raccolti piccoli piccoli e ancora verdi, delle pigne acerbe, come constatiamo dai furgoni carichi che passano. Comunque vedere gli ananassini minuscoli ancora sulla pianta mi fa sempre un effetto di buffa tenerezza. Sono testoline con il ciuffo, non sanno ancora che finiranno in scatola annegati nello sciroppo.

nananas

Dopo qualche sterratino rosso rosso che ci permette di intravedere diversi ordini di colline laotiane all'orizzonte, torniamo sulla strada che costeggia il Mekong, più ampia e asfaltata, su cui si affacciano cittadine dall'aria quieta e ordinata. Mi stupisce come pure in questa zona, che non è turistica e non è ricca come altre, ci sia una qualità della vita più che buona. Si vede che le case sono umili, se non proprio povere, ma ben tenute, con alcuni dettagli curati pur nella semplicità. Non ci sono spazzatura in giro, non sporcizia, nè degrado. Pare che sia diffusa una radicata cura a mantenere in ordine, pulito, piacevole. Giorni fa parlavo di senso estetico, piacere nel fare le cose belle, oltre che funzionanti, che sto trovando in Thailandia. Lo ribadisco, aggiungendo che questa volontà non riguarda solo gli spazi privati, ma pure quelli pubblici. E per riuscire, è necessario avere una società educata al rispetto e alla dignità. Ed è ciò che accade qui, mi pare. Saranno le radici buddhiste. Sarà la monarchia che davvero funziona, come direbbe il mio professore di letteratura greca dell'università, Giuseppe Lozza, uomo di incrollabile fede monarchica.
Si sale e si scende sulle gobbe delle collinette anche in riva al fiume, e intorno la vegetazione è a dir poco lussureggiante. Per lo più è giungla selvatica, ma ci sono anche ampi bananeti e qualche coltivazione di palma da cocco. Il Mekong ci osserva risalire il suo corso, per nulla stupito di due ciclofarang da strapazzo. Ne ha viste e ne vede tante, per questo non smette mai di correre al mare a raccontare.








Tra un paesino e una distesa di verde, dove la linfa e le liane chiacchierano con i merli indiani e con le libellule, e le radici vibrano al solletico dei baffi dei pescioni melmosi del fondo, ci portiamo a oltre 62km dalla partenza. Qui non ci sono supermercatini o locali in senso proprio, bensì bancarelle o negozietti tuttivendoli di villaggio. Ne scegliamo uno, e lo svaligiamo per questa prima sosta che non è nemmeno a metà percorso. Oltre a tutte le bevande colorate zuccherate gassate fredde e chewy pe i pezzettini di cocco o le bubbles del bubble tea, che sono onnipresenti, assaggio per la prima volta un gelato mochi, o mochi gelato, al latte. Paradisiaco. Approfittiamo del tavolaccio stile taktana centrasiatica per stirare un attimo le membra rattrappite. La mia schiena e il collo soffrono la posizione in sella, e sento le vertebre assumere la posa del Naga delle scalinate. Ah, qui, nei negozietti, si accede senza scarpe. Sia mai.




Torniamo in sella dopo una buona mezz'ora, e ripartire, per me che ho la pressione sotto alle scarpe, è un'impresa. Impiego 30km, circa un'ora e mezza, per tornare in bolla. Prima è tutto un arrancare molle, uno strascinarsi cencioso. Per fortuna qui la strada è liscia e piuttosto piana, e non costringe a ulteriori fatiche. Passiamo diverse cittadine, e Gigi fa sosta per recuperare diverse confezioni di "collagene" che, talora viene definito, ormai, anche "succhiarello". E non aggiungo altro. 






Comincia quindi un tratto decisamente più selvatico e meno urbanizzato. Tra un villaggio e l'altro ci sono zone incolte di vegetazione fitta che aumenta l'umidità nell'aria. Intanto è anche uscito il sole, e il caldo è indicibile. La pelle è color lampone maturo. Unta, sempre fradicia, e coperta di polvere. Mi si annebbia la vista e mi duole il cervello, nemmeno la testa. Intorno però si vede il paesaggio iconico che proprio mi richiama l'Indocina. Sembra di pedalare in una di quelle foto che ci sono sui libri di geografia che uso per fare lezione. Cerco di tenermi attenta e sveglia, e di cogliere i particolari del momento. La mente, ora che sto facendo fatica, tende a distrarsi, a non restare qui, a divagare, a sfuggire. Ma non voglio. C'è troppa bellezza qui per potersi permettere di non coglierla. Immortalare ciò che vedo mi aiuta, in questo.





Si sale e si scende, e quando si torna al fiume lui è lì, ad aspettarci. Noto che nessuno fa il bagno nelle sue acque limacciose. Tanti, invece, grigliano e fanno festa su terrazzine panoramiche coperte, o dove piccoli affluenti creano cascatelle e pozze prima di confondere le proprie acque al Mekong. Si vede che correnti e animali rendono impraticabile la balneazione. Prendo nota. A me ispirava fare un tuffo!






Al km 107, ormai mutata la luce, decidiamo che si rende necessaria una seconda sosta. Ci fermiamo presso il negozietto di merce mista e curiosamente assortita di una signora, intenta a pelar verdure sull'uscio. Ci fa segno di entrare. Tutto è buttato completamente alla rinfusa un po' a terra, un po' sugli scaffali. Stivali di gomma, merendine, bottiglie d'acqua e vecchie bottiglie di vetro con imbuto che contengono benzina stanno tutti mescolati insieme a cibarie, articoli per la casa e offerte per gli altari. Peschiamo dal mucchio qualcosa da bere, e io assaggio una sorta di croccante con caramello e sesamo home-made, venduto sfuso. Ottimo anche questo! Restiamo un poso a riposare all'ombra, sfatti. Un rapido conto, però, adesso è lecito: le prime strutture utili cui stamattina puntavo si trovano a 23km da qui. Ma sono isolate e in un minuscolo villaggetto poco invitante. 6km ancora oltre c'è invece una cittadina vera e propria, con alberghi e servizi vari, citata persino sulla guida per i gradevoli scorci sul Mekong. Abbiamo ancora più di due ore di luce. Puntiamo lì, quindi, a Pak Chom. Pure il nome ispira fiducia.





Questi ultimi kilometri sono faticosi veramente, tra stanchezza accumulata, saliscendi continui, venticello contrario e tratti sterrati e fangosi a causa di un cantiere aperto. Ma ormai ci siamo quasi, e la soddisfazione di aver messo via una tappona così impegnativa si mescola alla bellezza delle colline sul fiume caramellate da questa luce che pian piano si fa più dolce e meno feroce. 



A 6km dall'arrivo, nel primo paesino con strutture, mi assicuro che davvero a Pak Chom ci sia un posticino per noi. Ne individuo uno sulla strada che mi sembra proprio carino. Per sbrigare questa faccenda ci sediamo sui gradini di un altro negozietto, dove compriamo altri litri di acqua e bibite. Credo che si bevano a testa, al giorno, almeno 7-8 litri. E si fa pochissima pipì, tra l'altro. Non c'è mai bisogno di fermarsi, e questo è l'unico aspetto positivo della questione. Siamo sfatti, unti, infangati, brasati. Ma quasi arrivati. Quindi felicioni. Mi accorgo che oggi la connessione internet della sim thai funziona poco. Il motivo è presto detto: continua a tentare di connettersi alle reti laotiane! Mi arrivano continuamente messaggi di "Benvenuto in Laos", "Benvenuto in Thailandia", "Ribenvenuto in Laos", "Bentornato in Thailandia"... E lo credo, siamo a pochi metri dal confine!




Ripartiamo per gli ultimi kilometri, che son pochi e passano presto nella luce ormai obliqua che fa lunghe le ombre e paiono dita pronte a ghermirci. Ma per questa volta no. Ci lasciano passare le divinità del fiume e dei monti, del bosco e del cielo.







Entriamo in Pak Chom e in un volo siamo al Baanta hotel, che è talmente di lusso che ci pare un resort, con i suoi 15 euro che costa, poi.. Mentre Gigi approfitta di una canna dell'acqua per lavare le bici, io faccio check in e prendo possesso della camera che è grande come casa mia, pulita e accogliente. Anche gli ambienti comuni sono meritevoli. Ma io voglio solo farmi una doccia. Ne sento il bisogno. Vorrei uno strigile per grattarmi via di dosso tutto l'unto e la polvere e il fango e gli insetti impastati al sudore e alla crema solare. Che meraviglia, però, poi, uscirsene belli rinfrescati e profumati! Se esiste un nirvana pace dei sensi, assomiglia a questa sensazione.






Dopo esserci riposati un attimo, e dopo la consueta chiamata alla mamma, che se no mi dà per dispersa e allerta la Farnesina, andiamo a piedi in centro per cenare. Ahimè il paesino è talmente piccolo e poco turistico che tutti i locali e le bancarelle hanno già chiuso, nonostante siano da poco passate le 20. Quindi dobbiamo spingerci fino al 7-Eleven, unica cosa ancora aperta, e arrangiarci lì. La cosa positiva è che vendono numerosi piatti pronti solo da riscaldare, oltre ai classici noodles istantanei. Quindi optiamo per questi, e ce li facciamo anche passare in microonde dalle gentili cassiere, che ci danno  molte più posate del necessario. Vista la quantità di cibo acquistata, avranno pensato che fossimo un gruppo numeroso. Invece siamo in due soltanto, ma abbiamo fame. Nella lunga passeggiata in paese (l'hotel è in periferia) ammiriamo una scultura enorme di Naga, che qui fa proprio fortissimo, e lampi in lontananza. Inizia a diluviare appena rientriamo in camera.


un farang nella notte

Visto che è un tema che suscita curiosità, ecco la nostra cena in dettaglio. Gigi se la cava con: piatto pronto di riso bianco e condimento di verdure e curry dolce, tramezzino al salmone, yogurt intero alla fragola, barretta di cioccolato bianco, fetta di pan brioches già munita di strato di latte condensato, confezione di gelatina alla frutta (il succhiarello), tubo stile dentifricio di marmellata ai frutti di bosco, succo zuccherato di frutta tropicale mista, boccetta di Yacult, acqua. Io invece vado con: insalatina tiepida di mais, orzo e fagioli, insalatona con pesce e salsa di soia, alghe essiccate e piccanti, cetriolini con salsa tipo Caesar, Coca zero, tè senza zucchero. Il Nescafè 3 in 1 è per domattina, per me, che altrimenti non riesco a partire, e i due tipi di caramelle Sugus (un nome stupendo e trasparente) al lampone e al mirtillo per la tappa, chè con il reflusso preferisco mangiare cose piccine e zuccherose spesso, e non pochi pasti impegnativi. Vi par tanto? Lo è! Ma abbiamo consumato deppiù.


Domani arriveremo a Loei, cittadona capoluogo dell'omonima provincia, particolarmente selvaggia e fuori dalle classiche rotte turistiche. Siamo infatti in una zona che fa da cerniera tra l'Isan e il Nord ovest, a sua volta gettonato per le attrattive di Chiang Rai, nel fu Triangolo d'oro, e Chiang Mai, con le sue montagne. Ed è proprio in quella direzione che stiamo andando noi. Se vi intriga scoprire il percorso in dettaglio, su Komoot ho creato una raccolta a nome Thailandia che aggiorno via via che si pedala. La trovate qui: https://www.komoot.com/it-it/collection/2889819/-thailandia

3 commenti:

  1. Alto tu sei (oh Gigi)
    Vecchietto un po' (oh Gigi)
    Ma se tu vuoi sei un cerbiatto lo so (ah! ahh!)
    Ma come fai (oh Gigi)
    Dimmelo tu (oh Gigi)
    Con la tua bici a venire quassù
    Tutta la tua classe punta su di te
    Nella squadra tu sei grande, Re, Campione
    La tua città ti chiama già
    GIGI la TROTTOLA
    Brutto non sei (oh Gigi)
    Ma bello no (oh Gigi)
    Eppur con le donne t'arrangi lo so (ah! ahh!)
    Ma come fai (oh Gigi)
    Dimmelo tu (oh Gigi)
    Piccolo e buffo a viaggiare di più
    Tutte le ragazze sognano di te
    Dicono che tu sei grande, Re, Campione
    Gridano già Hip Hip Hurrà
    Per GIGI la TROTTOLA
    L'allenatrice si sa che ti piace
    Ma lei con te no, non ci sta (oh! nooo!!)
    Mettiti in luce su fatti più audace
    E vedrai che poi ti noterà
    Gigi però, fermati un po'
    Alle ragazze di un po' no
    Tutta la tua classe punta su di te
    Nella squadra tu sei grande, Re, Campione
    La tua città ti chiama già
    GIGI la TROTTOLA
    L'allenatrice si sa che ti piace
    Ma lei con te no, non ci sta (oh! nooo!!)
    Mettiti in luce su fatti più audace
    Vedrai che poi ti noterà
    Gigi però, fermati un po'
    Alle ragazze di un po' no
    La tua città ti chiama già
    GIGI la TROTTOLA
    Fonte: Musixmatch
    A GIGI IL MARPIONATO,DOVE VA VA LO VORREBBERO NEI PANNI DI ROCCO SIFFREDI.

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  2. E poi e' veramente GIGI la trottola, continua a far girare le ruote della bicicletta qua e là,su questo pianeta,che gira come una trottola,esso stesso e' passato dal Nord Europa, all' america del nord,al Messico,al Perù,alla Thailandia....

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