Si chiama Lejla. Avrà settant’anni, questa donnina piccola e
scura che cammina nelle sue ciabatte azzurre, i capelli coperti da un foulard.
Quando sono arrivata non c’era ed ora, vedendomi seduta sotto alla sua veranda,
mi si fa incontro a passettini rapidissimi. Mi saluta e mi dice qualcosa in
polacco; dopo qualche parola, quando sto per dirle che non capisco, passa al
russo. Parla svelta, fatico a interromperla. Sgrana gli occhi ed eslacama “Ah! Do you speak english? So let’s
speak english!”. Aggiunge, scusandosi, che il russo le è più congeniale perchè
molto più simile al polacco. E si intavola così una discussione di linguistica
comparativa sul ceppo slavo, di migrazioni e lingue balcaniche. Che io avrei
solo bisogno di un bagno, una stanza e una doccia calda. Ma non importa, Lejla
è così gentile che quasi spiace riportarla alle mie basse necessità materiali. Poi
mi chiede se io voglia un letto. Mi spiega che questa è casa sua, ma tra tasse
e oneri, per mantenersi, affitta le stanze e una piccola dependance che sta in
giardino. Mi mostra la mia casa di oggi: una bellissima struttura in legno, con
bagno, corrente e dei materassoni gonfiabili come letti. “E’ tutto nuovo e
pulito per fare bei sogni; lo ha fatto mio figlio che adesso è in Germania”
dice sfiorando il legno e quasi commovendosi.
“Vieni di là che ti do qualcosa
di buono”. La seguo. Entro nella sua casetta e vengo subito avvolta da un
profumo dolcissimo di pane e burro. “Accomodati, ti faccio un te”. E si mette
ad armeggiare in cucina; intravedo che sta sfornando dolcetti tondi, come
panini, che, bollenti, cosparge di miele. Spero egoisticamente che me ne offra
uno. Ne porta tre, su un piattino. Poi arriva con due tazze di te nerissimo che
ha tutti i profumi del bosco. Mescolo lo zucchero e mi accorgo che non è
filtrato: ha il fondo, come il caffè turco.
Intanto mi guardo attorno. La casa è semplice, nella penombra, essenziale come il legno chiaro di cui è fatta. Alle mie spalle due tappeti da preghiera, una scritta ricamata in oro a lettere arabe e l’occhio di Allah; scommetto che La Mecca si trova da quella parte.
Lejla viene a sedersi con me. Mangiamo quei dolcetti meravigliosi e intanto mi racconta che lei è una tartara, è musulmana e la sua famiglia vive qui dal 1600. Lo dice con orgoglio. “Sono polacca, la mia terra è questa. Ma sono tartara. Il mio popolo ha una lunghissima tradizione, erano soldati e nobili, accolti in Lituania, poi qui. Hanno combattuto anche a Vienna, per respingere i Turchi. Abbiamo salvato l’Europa, noi musulmani!”. Mi fa l’occhiolino, ridiamo. Sforna un’altra teglia di dolci e, scottandosi, me ne passa uno: “Senti com’è più buono ancora caldo!”. Come darle torto? Poi inizia a chiedermi cosa io voglia per colazione, domani. Immagino dunque che i dolcetti siano il dopo-cena, di una cena che non ci sarà. Mi dice che non ha molto, perché lei non ha l’auto e il supermercato è a 10km; ovviamente le rispondo che bastano del te e del pane, che non ci sono problemi. Mi promette allora quei dolcini con burro e marmellata home-made e “something you’ll like, tartar breakfast”. Poi mi dà la buonanotte, e capisco che è ora di tornare al mio materassone (dove sono tuttora, dopo essermi cucinata gli spaghettini precotti giapponesi che mi han regalato a Praga. Sapevo sarebbero tornati utili. Li ho preparati con l’acqua bollente del boiler in bagno, nel fondo della bottiglia da litro e mezzo che avevo nelle borse, tagliata e usata a mo’ di scodella. Che anche a casa mia spesso va così, quando non ho voglia di lavare le pile di piatti sporchi –non è un vanto, ma un fatto).
Intanto mi guardo attorno. La casa è semplice, nella penombra, essenziale come il legno chiaro di cui è fatta. Alle mie spalle due tappeti da preghiera, una scritta ricamata in oro a lettere arabe e l’occhio di Allah; scommetto che La Mecca si trova da quella parte.
Lejla viene a sedersi con me. Mangiamo quei dolcetti meravigliosi e intanto mi racconta che lei è una tartara, è musulmana e la sua famiglia vive qui dal 1600. Lo dice con orgoglio. “Sono polacca, la mia terra è questa. Ma sono tartara. Il mio popolo ha una lunghissima tradizione, erano soldati e nobili, accolti in Lituania, poi qui. Hanno combattuto anche a Vienna, per respingere i Turchi. Abbiamo salvato l’Europa, noi musulmani!”. Mi fa l’occhiolino, ridiamo. Sforna un’altra teglia di dolci e, scottandosi, me ne passa uno: “Senti com’è più buono ancora caldo!”. Come darle torto? Poi inizia a chiedermi cosa io voglia per colazione, domani. Immagino dunque che i dolcetti siano il dopo-cena, di una cena che non ci sarà. Mi dice che non ha molto, perché lei non ha l’auto e il supermercato è a 10km; ovviamente le rispondo che bastano del te e del pane, che non ci sono problemi. Mi promette allora quei dolcini con burro e marmellata home-made e “something you’ll like, tartar breakfast”. Poi mi dà la buonanotte, e capisco che è ora di tornare al mio materassone (dove sono tuttora, dopo essermi cucinata gli spaghettini precotti giapponesi che mi han regalato a Praga. Sapevo sarebbero tornati utili. Li ho preparati con l’acqua bollente del boiler in bagno, nel fondo della bottiglia da litro e mezzo che avevo nelle borse, tagliata e usata a mo’ di scodella. Che anche a casa mia spesso va così, quando non ho voglia di lavare le pile di piatti sporchi –non è un vanto, ma un fatto).
In effetti, il paese in cui mi trovo, Krusznyniany, non più
di 50 abitanti, è noto per la comunità tartara che si è stabilita qui a fine
‘600; a testimoniarlo c’è la più grande moschea in legno della Polonia, vecchia
di 300 anni e tuttora usata come luogo di culto, verde con le mezzelune in oro.
Assomiglia a quella che ho visto in Lituania, a Trakai. In
verità la Lituania è proprio qui sopra, per non parlare della Bielorussia, il
cui confine è a meno di 5 km. Infatti lo passerò domani.
Anche la tappa di oggi è stata impegnativa, con più di 130km
e molto vento (ma non sabbia, per fortuna). Stamattina a Ciechanowiec ho avuto
due belle sorprese: la prima è stata la colazione, uguale per tutti e servita
al tavolo: un piatto di affettati e formaggi che io nemmeno in una settimana
riuscirei a finire, 4 pagnotte calde, una vasca di marmellata di mirtilli fatta
in casa e un’omelette di verdure che te dico fermate. Tanta roba.
Il secondo evento positivo è stato chiedere al ragazzo della reception se avesse, per caso fortuito, dell’olio per la catena della bici. E sentirmi dire che sì, lo andava prendere subito. Perché dovete sapere che la Signora, già da qualche giorno, aveva iniziato a soffrire per la pioggia e la sabbia; me lo comunicava con sinistri e lamentosi cigolii ad ogni giro di pedale, ma non ho potuto far nulla a causa del Ferragosto e dei pochi (nessuno!) negozi di ciclisti e sport. Nella campagna profonda, in effetti, ho anch’io delle belle pretese! Dopo averla oliata bene è andata come un mammuth su uno slittino. Eh sì, la Signora in questi giorni è lenta e pesa come un elefante preistorico pelosissimo, e il manubrio sono le zanne ricurve.
Il secondo evento positivo è stato chiedere al ragazzo della reception se avesse, per caso fortuito, dell’olio per la catena della bici. E sentirmi dire che sì, lo andava prendere subito. Perché dovete sapere che la Signora, già da qualche giorno, aveva iniziato a soffrire per la pioggia e la sabbia; me lo comunicava con sinistri e lamentosi cigolii ad ogni giro di pedale, ma non ho potuto far nulla a causa del Ferragosto e dei pochi (nessuno!) negozi di ciclisti e sport. Nella campagna profonda, in effetti, ho anch’io delle belle pretese! Dopo averla oliata bene è andata come un mammuth su uno slittino. Eh sì, la Signora in questi giorni è lenta e pesa come un elefante preistorico pelosissimo, e il manubrio sono le zanne ricurve.
Insomma, la partenza è avvenuta sotto buoni auspici, con
tanto di tabellone-termometro con gigantografia di papa Giovanni Paolo II, in
piazza. 16 gradi e Karol a dir silenziosamente “Popo ‘n tempo demmerda pure
oggi!”. Infatti.
Il percorso si può suddividere in tre sezioni: campagna che
ride nel sole, statale assassina con camion e raffiche di vento, foresta sotto
al diluvio.
La prima parte è stata davvero piacevole; soliti campi,
casette di legno, chiesine, cicogne, mucche e tutto ciò che anima quel
paesaggio di verde e azzurro oceanici. Pedalare così non pesa, la bici scivola
sulla strada (mammuth sull slittino, dicevamo) e il cuore diventa leggerissimo,
si fa accarezzare dalla brezza.
Purtroppo questo locus amoenus è trafitto da una statale trafficata, che ho dovuto imboccare per portarmi a nord; la strada non ha bordo, è spesso rialzata e tutta in saliscendi. I tir passano a filo di culo, come se dovessero tagliare la fettina di prosciutto, e provocano ogni volta uno spostamento d’aria pericolosissimo; a questo si aggiungeva il vento, ora laterale ora contrario, a raffiche. Un girone infernale che ha messo a dura prova il mio braccino semi-bionico (che si sta comportando benissimo, dopo la seconda operazione di gennaio).
Per fortuna anche la statale è finita, e mi sono ritrovata su stradine in mezzo ai boschi. Eccola qui, la foresta originaria europea! Finalmente. Peccato che, proprio in quel momento, abbia iniziato a piovere di una pioggia finissima e fredda. Ho attraversato così il bosco, chiuso nel suo fradicio nero. Ma ci pensate? Un tempo tutto il continente era così, anzi, ancor meno pulito e ben più pericoloso. Cupo di alberi addossati uno all’altro. Umido, gelido, ricettacolo di muschi e funghi velenosi, tana di animali pronti a sbranarti. Immagino i primi ominidi giunti qui dall’Africa: “No rega’, s’è fatta una cazzata, torniamo al mare”. E invece no, l’uomo ha attecchito anche qui come una pianta infestante, tagliando, bruciando, disboscando e portando morte.
Purtroppo questo locus amoenus è trafitto da una statale trafficata, che ho dovuto imboccare per portarmi a nord; la strada non ha bordo, è spesso rialzata e tutta in saliscendi. I tir passano a filo di culo, come se dovessero tagliare la fettina di prosciutto, e provocano ogni volta uno spostamento d’aria pericolosissimo; a questo si aggiungeva il vento, ora laterale ora contrario, a raffiche. Un girone infernale che ha messo a dura prova il mio braccino semi-bionico (che si sta comportando benissimo, dopo la seconda operazione di gennaio).
Per fortuna anche la statale è finita, e mi sono ritrovata su stradine in mezzo ai boschi. Eccola qui, la foresta originaria europea! Finalmente. Peccato che, proprio in quel momento, abbia iniziato a piovere di una pioggia finissima e fredda. Ho attraversato così il bosco, chiuso nel suo fradicio nero. Ma ci pensate? Un tempo tutto il continente era così, anzi, ancor meno pulito e ben più pericoloso. Cupo di alberi addossati uno all’altro. Umido, gelido, ricettacolo di muschi e funghi velenosi, tana di animali pronti a sbranarti. Immagino i primi ominidi giunti qui dall’Africa: “No rega’, s’è fatta una cazzata, torniamo al mare”. E invece no, l’uomo ha attecchito anche qui come una pianta infestante, tagliando, bruciando, disboscando e portando morte.
Nei rari paesini incrociati, ho trovato sia chiese
cattoliche sia ortodosse. E questo è decisamente un segno. Come il fatto che il
sole tramonta presto, e che infatti domani, in Bielorussia, sposterò le
lancette un’ora avanti.
Gli ultimi 10km sono stati di sterrato pedalabile, sempre in
mezzo ai boschi, sempre sotto al diluvio; non c’è altro modo di arrivare al
paese dei tartari polacchi, alla casa di mama Lejla. Ma è giusto così. Il suo
tè nero e i suoi dolcetti non sarebbero altrettanto buoni.
La tappa che mi attende è breve e mi vedrà attraversare il confine della penultima nazione di questo viaggio; mi fermerò, per la notte, a Grodno, città abbastanza turistica che non vedo l’ora di scoprire. Spero che il visto e l’assicurazione fatti in Italia mi permettano di passare la frontiera senza problemi… Odio la burocrazia, le barriere e le scartoffie, non necessariamente nell’ordine. Ma viaggiare è anche questo, e la Russia Bianca mi attende, respirando piano, nel bosco qui accanto, con la cadenza regolare della giostra di luna e stelle.
La tappa che mi attende è breve e mi vedrà attraversare il confine della penultima nazione di questo viaggio; mi fermerò, per la notte, a Grodno, città abbastanza turistica che non vedo l’ora di scoprire. Spero che il visto e l’assicurazione fatti in Italia mi permettano di passare la frontiera senza problemi… Odio la burocrazia, le barriere e le scartoffie, non necessariamente nell’ordine. Ma viaggiare è anche questo, e la Russia Bianca mi attende, respirando piano, nel bosco qui accanto, con la cadenza regolare della giostra di luna e stelle.
Grande Rita! Per la catena, procurati uno spazzolino da denti che premi forte con uno straccio, con le setole dentro le maglie, vicinissimo al deragliatore posteriore, mentre con la mano destra giri indietro la moltiplica. Un bacio.
RispondiEliminaE' bastato lubrificarla un po'... Non era sporca, anzi. Era completamente lavata!
EliminaGrande Rita! Per la catena, procurati uno spazzolino da denti che premi forte con uno straccio, con le setole dentro le maglie, vicinissimo al deragliatore posteriore, mentre con la mano destra giri indietro la moltiplica. Un bacio.
RispondiEliminaE i pedali chi li gira?
RispondiEliminaGesù? Allah? Shiva? Il Logos? Ah, no, forse le mie zampine :-D
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