Voi come immaginate l’infinito? Che forma date a questo
non-concetto?
A me sovvengono immagini diverse e contrastanti.
La prima è nera.
Spazio profondo, materia rarefatta fino quasi al nulla. Il
buio più assoluto, lontano dalle più lontane stelle, ai remoti lembi
dell’universo, nel suo silenzio di immensa tomba.
La seconda è bianca, accecante dopo tanta oscurità.
E’ un foglio di carta, credo. Ma senza margini. Contiene
l’immagine di prima. La materia che compone l’universo si espande e contrae,
convulsamente, come un disegno vivo, una macchia d’inchiostro. Il foglio è lo
spaziotempo, il “ciò entro cui” tutto accade. Finchè qualcosa vi si muove, è
misura. Altrimenti è pura possibilità senza atto.
La terza immagine è verde. Un poco ingiallito e secco, a
dirla tutta. E’ il monte Tabor, l’ermo colle di Leopardi, con i suoi
interminati spazi e sovrumani silenzi.
La quarta è questa.
Una strada diritta. Implacabile. Piatta. Circondata da
pianure sempre uguali, alberi identici per kilometri e kilometri. Mai una
curva, mai un elemento che interrompa quella monotonia surreale. Tutto è
talmente immobile che sembra di pedalare sui rulli, circondati da un immenso
cartonato che riproduce la campagna polacca in scala 1:1.
Non c’è vento. Non passano auto, non volano uccelli. Le
nuvole sono soltanto un velo di grigio steso sul cielo. Nemmeno la luce cambia,
con il trascorrere delle ore. Presenza umana nemmeno a parlarne. I paesi
sembrano disabitati
Si dev’essere rotto il meccanismo. Qualche ingranaggio del
cosmo deve esseri inceppato.
Ho pedalato in questa assurda fissità per tutto il giorno,
con la sensazione di ammalarmi pian piano della medesima immobile malattia. La
Signora sembrava procedere da sola, come fosse a motore. Ho perso coscienza del
movimento delle gambe, delle braccia, della schiena. Sono diventata io stessa
una statua, fuori dal gioco di ciò che avviene e muta. Spazio e tempo dilatati
all’estremo, sfilacciati, privi di senso e direzione.
E’ stata un’esperienza quasi mistica, di ascesi al di là del
divenire.
Credo che per qualche tempo -istanti, ore- persino il cuore
abbia smesso di battere.
Soltanto gli ultimi 20 km mi hanno riportata, e con poca
gentilezza, dentro alla griglia dello spazio curvo, in un mondo tornato a
muoversi con le sue belle coordinate sugli assi cartesiani x e y, i suoi
vettori delle forze, che ci trafiggono come dei sansebastiani, il suo rotolare
verso il nulla eterno. Una statale abbastanza trafficata. Sull’uscio di ogni
casa, un’anziana che vende patate, cipolle e cavoli. Cipolle, cavoli e patate.
Cavoli, patate, cipolle.
E campi, sconfinati.
Indovinate?
Patate. Cipolle. Cavoli.
Insomma, oggi è stato un pedalare al di fuori delle leggi
che regolano l’essere. Prima lungo campi e prati infiniti. Poi tra boschi
smisurati oltre il concepibile.
Uniche cose “diverse sono stati questi prodotti del polacco
ingegno, frutto di mano ignota che chiameremo, con tutto il rispetto,
l'“anonimo delle balle”.
E i laghetti.
E le strade tra i laghetti.
Ora sono a Sieradz, il cui centro vedrò domani. Dormo in un
ostello “self service”, come ce ne sono molti in tutta Europa men che da noi.
La mattina del pernottamento ti arriva un sms con i codici da immettere per
entrare nella struttura e nella stanza. Nessuna reception, nessuna formalità.
Come rientrare a casa.
Voglio spendere una parola sui polacchi. Bevono, bevono
forte. Anche nel più sperduto angolo di nulla, dove mancano persino panetteria
e farmacia, il negozietto degli alcolici, aperto tutta notte, c’è. I
supermercati hanno almeno due corsie dedicate alla vodka e altrettante al vino.
Ogni città ha i suoi barboni pieni come pidrie, e già al mattino vedi operai e
contadini andare in bicicletta tutti storti, a zigzag, nelle loro camicione a
quadri, ancora fradici dalla sera prima. Ora ho capito perché gli automobilisti
e i camionisti passano così larghi. Ciucchi ab ovo. Ci addentriamo sempre più
nelle terre degli alconauti, come dicono i russi (che ne sanno qualcosa). In
effetti poeti come Miłosz e la Szymborska “facevano due poesie con un litro”.
Altro dramma è l’inglese. I polacchi non lo sanno, nemmeno i
giovani, i ragazzi, gli studenti. Chi meglio di me conosce questa terra
sostiene che nelle grandi città sia diverso. Sarà che sto attraversando la
campagna profonda, sarà che becco i più beceri caproni, quelli che votano
estrema destra, quelli con l’occhio giallastro, bovino e antisemita. Sarà
perché russi e nazisti han fatto sparire tanta parte dell’intelligencija
locale. Sarà.
Prima i due ragazzi nella camera accanto si stavano
divertendo rumorosamente, al punto che, per parlare su Skype con mio padre, ho
dovuto urlare per coprire gli strilli loro e l’imbarazzo mio. Poi ho incontrato
in cucina il giovane e bollente spirito, che deve avermi chiesto scusa,
ammiccando; lo ha fatto in polacco. Gli ho detto, sorridendo, che parlavo solo
inglese. Ci ha pensato un po’ su e poi, con aria soddisfatta, ha esclamato:
“Good morning”. Ore 19. Che guizzo di genio! Ecco l’inglese medio dei polacchi
di qui.
Però sono persone affabili. Spesso mi fanno il tifo sulla
strada, o mi guardano con curiosità buona.
Domani mi aspetta un’altra tappa di trasferimento nella
campagna infinita.
Il dramma della pianura... Quasi quasi, senza quasi meglio sempre la lotta con l'alpe.
RispondiEliminaMa le volpi di pianura non disprezzano così tanto... È solo straniante! Però vuoi mettere partire alle 10 e arrivare alle 15, e poter anche fare delle cose, oltre a pedalare? :-)
EliminaCommovente la tua definizione di infinito...in assoluto questo è il report che mi ha insegnato di più. Sei fenomenale. Un abbraccio.
RispondiEliminaContenta che ti sia piaciuto! :-)
EliminaContenta che ti sia piaciuto! :-)
EliminaCommovente la tua definizione di infinito...in assoluto questo è il report che mi ha insegnato di più. Sei fenomenale. Un abbraccio.
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