"In fondo alla Moldava vanno le pietre, sepolti a Praga riposano tre re.
A questo mondo niente rimane uguale,
la notte più lunga eterna non è."
scriveva Brecht, nella Canzone della Moldava (qui tradotta da Strehler).
Sono a Praga. Ci sono arrivata con le mie zampette, trascinando la Signora su per salite che la memoria, benevola, ha già rimosso, e facendomi portare lungo strade come fiumi.
Sono a Praga, capitale d'Impero, città magica di alchimisti, defenstrazioni e arte, in ogni sua forma. Terra nera di sangue e filosofi, mistici di religioni diverse, rivolte, oppressioni. Nella mente ronzano i nomi dei tanti che qui sono nati o han vissuto, senz'ordine, da Kafka a Mozart, da Dvorak a Kundera, Jan Hus e la sua Verità, Giordano Bruno, Tycho Brahe, Keplero, Einstein, Cosma praghese della Chronica Boemorum, Rilke, gli astronomi e poeti ebrei, i musicisti. Un enorme calderone di anime grandi, di parole scritte e cantate, di numeri, visioni, idee alte fino al cielo. Ma anche basse e pesanti come il fango e il piombo. Mi scorrono davanti agli occhi le immagini in bianco e nero della Germania nazista che allunga le sue mani nere da rapace, l'occupazione, i pogrom, i campi di concentramento e la resistenza, le rappresaglie, la guerra che spazza via tutto con furia c(i)eca. Poi la liberazione, voci di russi ubriachi tra le macerie, l'Armata Rossa prende tutto quel che è rimasto. E inizia un nuovo periodo gelido e buio, che culmina con la Primavera di Praga, nuove repressioni, Jan Palach, 21 anni, si dà fuoco in piazza. Ben due decenni dopo, arriva la Rivoluzione di velluto, e mentre l'URSS cade a pezzi come un gigante di sabbia, i praghesi fanno tintinnare le loro chiavi: uomini del regime, andate via. Elezioni, libertà. Poi la Cecoslovacchia si divide, e siamo ad oggi.
È questo il film disordinato e pieno di occhi e pietre, porte e stivali, in cui pedalo, avvicinandomi alla città. Un film grigio e azzurro-oro.
Stamattina sono partita con calma, dopo una degna colazione e un saluto ai cavalli puzzoni del ranch in cui ho dormito ieri.
Mi sono goduta l'aria tiepida e chiarissima delle ultime colline, i recinti, le strade deserte di questa pigra domenica mattina d'agosto. Qualche piccolo saliscendi ed ero pronta ad imboccare la via che mi avrebbe condotta alla Moldava, da seguire fino al cuore della città.
Essendo una tappa leggera, una errore di percorso l'ho dovuto fare per forza, per stare in esercizio, mannaggia a me. Ho fatto proprio una cazzata, anzi una orticazzata. A un certo punto, per tagliare qualche km, ho deciso di imboccare un sentiero. Dalla mappa pareva grande, qualcosa di simile a una strada bianca. E i primi metri lo erano davvero; ingannevoli, una trappola per volpi.
Dopo poco il sentiero si è fatto stretto, fangoso, ripido e accidentato, a picco su un torrente (affluente della Moldava) che gorgogliava accanto. Bici a mano e giù. Peccato che, lungo la già impervia discesa, io abbia trovato 5 e dico 5 alberi caduti, che bloccavano il passaggio. Ho aggirato e scavalcato, con un presentimento di morte per caduta nei sassi del torrente ad ogni passo. Metti e togli i bagagli ogni 50 metri, porta in braccio la Signora impaurita, scivola, smadonna... Ecco.
E ho fatto il bagno nelle ortiche e in questi aggeggi qui, di cui ero coperta.
Ora mentre scrivo mi sto accorgendo di aver preso anche parecchie zecche, e mi sto spulciando, da vera volpe.
Alla fine, comunque, ci sono arrivata alla Moldava. Con quella differenza che corre tra un "go with the flow" e un "venir giù con la piena".
Da lì è stato semplice: ho seguito il fiume, prima sulla riva sinistra poi su quella destra.
La periferia di Praga è un pugno negli occhi: dalle belle colline verdi di boschi si passa a ruderi, catapecchie e strutture di cemento ancora molto sovietiche. Però le strade sono ampie e tutte fornite di ciclabile. Traffico quasi nullo.
Gustandomi l'ingresso lento, mi sono avvicinata al centro città. Ed ecco i ponti, il Karluv Most, il castello che svetta e tantissimi cigni, sotto, e turisti, sopra.
A Praga sono già stata e ricordavo come raggiungere la piazza più nota, con Cattedrale di San Vito e reliquie, orologio astronomico e statua di Jan Hus. Foto di rito.
Odore di fritto, trdelnik, birra e porco cotto. Voci di gente, risate, bolle di sapone, colori vivi, cupole alte. Quanto è bella questa città?
Ogni casa è un'opera d'arte. Ogni vicolo, ogni finestra, ogni torre. Sono muri dai cento occhi, tutti spalancati sul viavai del mondo.
"In fondo alla Moldava vanno le pietre,
sepolti a Praga riposano tre re.
A questo mondo niente rimane uguale,
la notte più lunga eterna non è."
Mai avrei pensato di attraversare queste stradine in bici. Mai. Ed è bellissimo farlo, ora, come se abitassi qui e stessi tornando a casa.
Nessun luogo di cultura e bellezza mi è estraneo. Non mi sento "lontana" da questi androni, da questi vicoli, dalle maniglie delle porte e dagli strappi di cielo tra i tetti. È un luogo familiare, mi appartiene come io appartengo ad esso.
Ci veniamo incontro lentamente.
È questo il bello dei viaggi in bici.
Non si viene catapultati in un posto nuovo, ma si conquista passo a passo, assorbendone i profumi e le luci, i suoni, la consistenza dell'aria e del terreno. Il cuore e la testa hanno il tempo, umano, di schiudersi e comprendere, tenere tutto.
Domani resterò qui. Sono in un mini appartamento dove fingo di essere una praghese. Ho fatto la spesa, ho lavato e steso, questa è casa.
Fino a dopodomani, quando l'anima mia nomade e insaziabile chiederà di rimettersi in sella, on the road again.
Il fiume, tra ostacoli e salti, senza sosta corre al mare.
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e così fanno la volpe e la Signora, verso Mosca! :-)
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