4/7/20
giorno 1
San Pietro all'Olmo - Bellinzona
113km
Suona la sveglia, oggi è il giorno. E' tempo che sia tempo, per dirla con Celan.
Non ho dormito molto a causa dell'adrenalina e della tensione buona che precede il salto, il primo colpo di pedale di un viaggio che porta lontano. Capita ogni volta, non importa quanta esperienza si abbia. Ed è giusto così: se diventasse abitudine, non sarebbe più avventura.
Appena poso il piede giù dal letto, mi accorgo che sul tappeto, accanto alla volpe cuscino, c'è un ratto morto stecchito
e i due autori del misfatto fingono che sia la cosa più normale del mondo. In fondo è sempre utile portarsi qualche provvista, barrette, miele e un bel topone fresco di caccia notturna...
Colazione, chiudo le borse, ripasso mentalmente l'itinerario, sfoglio le immagini di ciò che mi sto portando appresso, ciò che sarà la mia casa per i prossimi due mesi. C'è tutto. E se manca qualcosa, s'improviserà.
Mi raggiungono i genitori, per un saluto rapido, ed arriva anche Gigi, che è partito prima, da Vittuone, e ha già percorso i primi 5km. Lo vedo entrare in corte carico come un mulo, ma sorridente. Così saremo noi, pedalando.
Foto di rito davanti alla chiesa vecchia di San Pietro, piazza simbolo di ogni partenza e ogni arrivo delle mie pedalate, e via. Dopo una notte di temporale, il sole ammicca in un cielo di azzurro steso.
Via!
I primi kilometri si snodano su strade note. Ci spingiamo verso Rho e poi Saronno, in un traffico allucinante anche di sabato mattina. Rumore, inquinamento, gente che sclera al volante, strade pericolosissime... Ecco, questa è la periferia di Milano, questo il cuore della Grande Lombardia, per un ciclista.
Ciao, ciaone, ciaonissimo, adios, ci vediamo a settembre!
Poi, per fortuna, il paesaggio muta e si fa più dolce, si pedala rilassati tra campagne verdi e umide, tra campi di mais e rogge dove le rane e i topi, com'è giusto in natura, non si fanno la guerra.
In un attimo siamo al confine con la Svizzera, a sud di Mendrisio. Stormi di ciclisti colorati e rapidi sfrecciano in entrambe le direzioni, con buona pace del Covid, delle barriere e dei confini chiusi. L'attimo di esitazione sfuma così ed evapora nel sole, come una gocciolina di sudore che contiene l'arcobaleno.
Non può mancare la foto che indica il passaggio, seppur simbolico. Ne collezioneremo molti, quest'anno, nel piccolo, stanco, vecchio continente. CH. Sguizzera. Roba da sciuri e montanari. Ciao Bel paese, ci rivediamo presto, come sempre.
Appena messo un piede a nord della nostra Italì spariscono mascherine e cartelli minatori, come se qui la pandemia non fosse che un racconto distante e sfocato. In compenso non mancano vigne e monti verdissimi, che respirano piano nel sole.
Ci fermiamo un momento a godere di questo spettacolo di luce, tanto più che i primi 50km, circa metà tappa, sono già alle nostre spalle. Siccome siamo a Melano, mi pare giusto fare uno spuntino con l'unica Apple che io riconosca. L'ultima così è stata a New York, dopo la lunga coast to coast a pedali, partita da San Fran. E' una personalissima mappa mentale di mele e benene. O male e bene, che dir si voglia.
Pedaliamo nella civilissima, autistica Svizzera italiona, prima a Mendrisio e poi verso Lugano. Patria di Uber del trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo. Ogni strada ha la sua corsia ciclabile a lato, gli automobilisti sono tamarri e sgasanti ma sempre rispettosi. Questo è il segno di una cultura diversa, un sogno ancora da noi. Strade di tutti, rispetto delle regole, utenti deboli della strada protetti da infrastrutture e mentalità giuste. La Nubicuculia di Aristofane era più vicina. Ma noi si lotta, per cambiare lo status quo. Si lotta sempre, pedalando e raccontando.
In un soffia fresco arriviamo alle sponde del Lago di Lugano, specchio di azzurri lontani. I monti incorniciano l'orizzonte e iniziano a parlarci di altezze, di maestosa imponenza. Toccherà a noi, domani, al San Bernardino, dimostrarci tenaci abbastanza da sfidare ridendo questi giganti di roccia.
La Signorina Felicita si comporta benone nonostante il carico e fischia tutta allegra. Forse è la pastiglia del freno, ma mi sembra di riconoscere le note di "Addio Lugano bella..."
... Scacciati senza tregua,
Andrem di terra in terra a predicar la pace
Ed a bandir la guerra: la pace tra gli oppressi,
La guerra agli oppressor, la pace tra gli oppressi,
La guerra agli oppressor.
Non ci fermiamo nel bel parco che si affaccia sul lago, che già tante volte ha accolto e consolato d'ombra e acqua la fatica da ciclista fuorisede. Tiriamo dritti, perchè ora il terreno si fa mosso e comincia qualche salita che serve come prova generale per le gambe e i rapporti.
Sali e sali, ci troviamo in cima al Monte Ceneri, dove una statua di San Carlo Borromeo, decisamente più modesta di quella Arona, guarda giù sulla strada con aria preoccupata.
Ci fermiamo a riposare un poco e a bere, perchè fa veramente caldissimo.
Una benedizione alle bici
e subito si scollina, a poco più di 500 metri. Questo passo divide il Canton Ticino nelle sue regioni principali
e infatti, subito, si miete il raccolto della fatica con una bella discesa a volo sulla valle che si apre di fronte a noi.
A Bellinzona arriviamo in un attimo, tra ciclabili più o meno nascoste nei paesi di pietra e legno. Siamo accaldati e luridi di polvere e strada, ma la prima tappa si può dire perfetta e di ottimo auspicio, più ancora del ratto di stamani.
Tiriamo dritti al campeggio extralusso che sorge sulle rive del Ticino, il nostro fiume azzurro compagno di tante pedalate vicino a casa.
Piantata la tenda e sistemati i bagagli, ci concediamo un tuffo in piscina e poi una gran doccia ristoratrice. Qui, ancor più che sulla strada, si percepisce la netta differenza di come e quanto il Coronavirus abbia colpito. Nessuno porta mascherine, le distanze di sicurezza sono un blando consiglio, gli spazi comuni sono affollati e densi di risate e grida dei bambini. E' un altro mondo.
Alla reception di danno anche un biglietto del pullman gratuito, e, siccome è presto, nel approfittiamo per un giro in centro a Bellinzona. Questa città ha storia antica di avamposto, di porta d'accesso ai principali valichi alpini della zona. Era muro e porta, strada spalancata o invalicabile fortificazione, fin dal neolitico. Caposaldo militare e snodo strategico per spostare merci ed eserciti, questa terra ha visto passare i romani e i barbari, signori e imperatori medievali e luogo di ansiosa attesa, da Deserto dei Tartari di Buzzati, durante le guerre mondiali.
Di tutto questo rimangono mura e torri e i tre castelli, patrimonio dell'Unesco e incredibile scorcio sulla storia locale, quella storia fatta di pietra squadrata e umidi vicoli muschiosi.
A Castel Grande, in pieno centro, si può salire liberamente per ammirare gli altri fratelli minori, Montebello e Sasso Corbaro e le creste dei monti che chiudono la valle intorno. Il restauro ha riportato questa imponente fortificazione, ultimata dagli Sforza nel 1486, agli antichi splendori. Ma oggi non accoglie fanti e arcieri ma famigliole e coppie che approfittano dei prati per un pic nic.
Con questo spettacolo grandioso, che culmina con le due torri, bianca e nera, ci riteniamo soddisfatti e decidiamo di rincasare, non prima di aver fatto la spesa per la cena e la colazione. Nulla di tipico, s'intenda, anche perchè la Svizzera non è esattamente economica.
Torniamo in campeggio, e, durante la cena, ci accorgiamo di quanti cicloturisti siano nel frattempo arrivati per la sera. Anche due ragazzini tedeschi che avranno sì e no 16 anni e viaggiano in bici, da soli, tenda e tanta energia da incanalare. Se penso a certi miei studenti della stessa età loro, dipendenti in tutto dai genitori, rabbrividisco.
In effetti fa anche un certo freschetto, anche se la nostra pelle scotta per tutto il sole di oggi. E' ora di dormire, e il rumore del fiume azzurro ci culla. Domani è un gran giorno, si valicano le Alpi, e gli elefanti bardati siamo noi.
5/7/20
giorno 2
Bellinzona-Sufers
78km (52 di salita!)
Sveglia presto, con le prime luci del giorno e il canto degli uccellini (che ci hanno ridipinto le bici, ma traseat).
La giornata è limpida e freschissima, frizzante come i nostri cuoricini pronti ad affrontare la grande salita, l'unica vera di questo viaggio. Chiudiamo tenda e borse e, dopo una frugale colazione, ci affidiamo di nuovo alla strada.
Salutiamo il Ticino che canta la sua canzone antica e pura
e partiamo alla volta del San Bernardino. Benchè i vari siti riportino altimetria e distanze ridottissime, sappiamo che i kilometri di salita saranno 52. Un numero piccolo, per una tappa normale, ma enorme se si pensa che io, con i bagagli, raddoppio il peso da trascinare su su per le strade ripide.
La valle è prima ampia e accogliente
verde e azzurra di estate addosso e vento in faccia, con i pratoni e le malghe e le mucche, da cartolina.
Poi si fa più stretta e rocciosa, ma ancora le pendenze sono assolutamente clementi. Certo spingere 40 e passa kili di bestia su ininterrottamente, contro la forza di gravità e ogni legge fisica di attriti e resistenza di fibre muscolari, è faticoso. Ma per ora va tutto bene, e si sale pian piano senza soste.
Prima di aver raggiunto la metà della salita, le pendenze iniziano ad aumentare; ma più che questo è la conformazione della strada a tagliarci le gambe e il fiato. Infatti i tornanti sono rarissimi e si susseguono rampe dritte e mute di ottuso cemento, stupide da voler tirare una linea retta sui fianchi sinuosi, femminili, dei monti.
Questa geometria della fatica non dà tregua e costringe tutti i muscoli del corpo ad uno sforzo ininterrotto e al limite della fattibilità. Con la forza di volontà si spinge questo limite sempre un millimetro oltre, ma dopo quattro o cinque ore così, ogni fibra trema e brucia, e pare debba spezzarsi.
Alcuni rari paesi, dominati da castelli e rocche, si sgranano come un rosario lungo la salita. Di rosari ne sgrano molti anch'io, e qui ci son varie confessioni di cristianesimo e ci si può sbizzarrire. Le soste si fanno più frequenti, più rari invece i ciclisti. Di cicloturisti nemmeno l'ombra.
Ogni volta, per ripartire, precipita un santo: la strada è tanto ripida e tanto pesa la bici che ci si deve lanciare in obliquo e sperare di riacchiappare il pedale per tempo.
Rampa dopo rampa, scopriamo che, prima del passo vero e proprio, c'è un altro muro da scalare, in fondo alla valle. Qui per fortuna ci sono i tornanti ma le pendenze restano importanti. Fa un caldo allucinante, nonostante si sia già oltre i 1300m. Per fortuna a tratti la strada attraversa il bosco di pini che profuma di sacro incenso ed è pieno di dei.
Ormai la fatica è quasi insopportabile, si procede al rallentatore, 4, 5km/h, al limite minimo per tenersi in equilibrio. Il tempo è una bolla di vetro, le distanze si allungano, fa male tutto. Il battito e il respiro, rallentati, letargici quasi, sono la clessidra. Nel silenzio della solitudine dello sforzo fisico estremo, cade una goccia di sudore e l'intera valle ne risuona.
Sapere poi che la salita vera e proprio ancora ci attende è psicologicamente devastante.
A bestemmie e pedate, comunque, si arriva alla cima di questo penultimo muro, e la vista che spalanca allo sguardo, benchè offuscato, è meravigliosa.
Ormai è pomeriggio inoltrato e, sfatti, raggiungiamo il paese di San Bernardino. Abbiamo pedalato, finora, solo 44km. E siamo distrutti. Ci concediamo un tè freddo in un bar, mentre osserviamo i camminatori e i gruppi di anziani che affollano i locali della rinomata località turistica.
Se penso che al passo mancano ancora 8 allucinanti kilometri, mi sale un conato di vomito.
Ripartiamo, con le ruote che fanno attrito sull'asfalto, le borse sull'aria e la mente sulla fatica.
La strada è qui stretta e a tratti sterrata, a causa dei lavori in corso. Chiedo più e più volte a dio, chiunque sia, risposte a domande antiche, tipo: perchè? Eh? Perchè? Non è abbastanza così? Anche lo sterrato e i semafori a tempo?
Intorno però i boschi e la roccia sorridono placidi, divertiti dalle mutevoli passioni umane che bruciano così in fretta, e così in fretta si fanno cenere.
Continuiamo a salire, stravolti.
E così mi torna nelle gambe un ultimo fremito di energia, quello della disperazione della volata finale. Si vedono i ghiacciai intorno brillare nel sole. Si vede la roccia nuda e la valle sempre più sfumata nella distanza.
Passiamo accanto ad una struttura curiosa, quasi aliena, che scopriamo poi essere i pozzi di ventilazione della galleria autostradale che bypassa il valico e assorbe, per nostra fortuna, molto traffico.
Ultimi tornanti, ultimi discorsi con i cespugli ed eccoci
al gelido lago che si spalanca come un occhio a fissare il cielo sul passo.
Siamo talmente stanchi da non riuscire nemmeno ad esultare come si deve. 52km di salita, 2066m di altezza, più di 7 ore in sella, e tutta la fatica del mondo si scioglie, per un momento, di fronte alla meta raggiunta.
Ci riposiamo un attimo accanto al vecchio ospizio ed iniziamo a coprirci, perchè qui l'aria è fredda, noi siamo madidi di sudore e ci attende una ripida discesa.
Finalmente giunge il tanto atteso momento della discesa. I primi km sono un susseguirsi di stretti tornanti che mettono a dura prova i freni e il mio equilibrio. Poi, una volta in valle, la picchiata lascia spazio ad un saliscendi tra paesini dalle vie in pavè e stalle isolate. Passiamo accanto al villaggio tipico in pietra e legno dove è stato girato il film Heidi (lo so perchè un grande e cartello rosa e azzurro lo segnalava) ed incontriamo anche alcuni locals belanti.
La sera si avvicina ed è chiaro che, con questo saliscendi e le zampe sfibrate, è impossibile raggiungere Coira, come avevo previsto, prima che faccia buio. Pedaliamo finchè un alberghetto non richiama la nostra attenzione. E' la classica Gasthaus, a Sufers, su quello che pare un lago e invece è solo un'ansa larga del Reno Posteriore.
Prendiamo la stanza e i proprietari, gentilissimi, ci offrono tutta la loro accoglienza: stanza, garage per le bici e cena tipica. Certo, qui, dai Grigioni, si parla ormai solo tedesco e pure l'inglese è un grande sconosciuto (tranne che per la signora indiana che gestisce la pompa di benzina subito sotto, che invece parla solo indiinglish. Ammirevole la pervicacia).
Ci accomodiamo e giunge in fretta il crepuscolo.
Approfittiamo della cena per assaggiare alcuni BUONISSIMI piatti tipici: zuppa d'orzo dei Grigioni, con speck ed erbe aromatiche, accompagnata da pane nero
e capun, involtini di verdure varie rigirati i foglie di simil spinaci, in ammollo in una salsa pannosa cicciona e deliziosa, che nel forno fa la crosticina. Da leccarsi i baffi e i controbaffi!
Scende la sera sul silenzioso paesino, i rintocchi dal campanile segnano le nove ed è ora di collegarsi con gli amici di Life in travel, per un'intervista che si sarebbe dovuta svolgere ad Istanbul, e invece mi trova appesa ai monti appena di là da casa, senza minareti e senza kebab, ma con il giusto equivalente di questa latitudine.
6/7/20
giorno 3
Sufers - Kriessern
123km
Dopo una bella serata e una sontuosa dormita, la ciliegina sulla torta è constatare che le previsioni, che davano pioggia, si son sbagliate di grosso. Il sole splende alto e tutto è azzurro e fresco.
Prima di rimetterci in sella, godiamo della ricca colazione offerta in albergo; ci sono formaggi e salumi a km0, marmellate fatte in casa e pane alle noci. Delizie assolute per darsi la carica per una nuova giornata sui pedali.
Si parte dopo una foto con lo stambecco, di cui le statue son frequenti nei paesi qui. Stambecco, Saltimbecco, Saltimbocca, Saltimbacco, Saltimbanco, Capriforme, Caprifico, Capricificio... Prima che mi venga il nome giusto di questo becco bello, ci vuole un po'. La fatica di ieri si fa ancora sentire.
Oggi sì che si scende. I primi km sono tutti in volata, tra rampe e tornanti, giù per boschi e roccioni scoscesi a picco sul fiume. Fa freddo all'ombra e l'unica fatica è tirare il freno. Una goduria.
Ogni tanto si incrocia un ristorante, poi qualche paesino, dighe e centrali idroelettriche, monumenti al minatore e targhe a memoria di chiese ormai rase al suolo.
La strada corre bella e diritta, si corre nel vento come frecce scoccate con precisione. Man mano l'aria si scalda e i colori brillano nel sole sempre più alto.
Si incontrano spesso canyon e pareti di roccia a picco lungo la via, e non sono rare le gallerie (tutte perfettamente illuminate). E' zona di cave e miniere, questa, di montagne mangiate dall'interno e scavate e sventrate.
Giunti quasi al piano, nel giro di un attimo, si alza un vento contrario sempre più forte, che ci accompagnerà per tutto il giorno facendoci sputare sangue e lacrime. Eolo malefico, che t'abbiamo fatto di male?
La valle si fa sempre più larga e termina, infine, al piano, a pochi kilometri da Coira. Qui si imboccano ciclabili lungo la ferrovia dei trenini rossi e sarebbe tutto bellissimo se il vento non ci sputasse in faccia nemmeno fossimo nel V Canto d'Inferno.
Tra ameni paesini
e campi fioriti e profumatissimi
giungiamo a Coira e tiriamo dritti verso nord, sempre in valle, ma è una valle di saliscendi che fanno penare se sommati al vento sempre più malvagia e terribile.
Spingendo sui pedali con tutta la forza non si superano i 13, 14km/h e le folate laterali spostano la bici, con tanto di borse che fanno da vela. Una roba allucinante. Poi io odio il vento. E' una fatica gratuita e imprevista, che potrebbe non esserci, o potrebbe essere a favore... E invece no. Le salite sono diverse: sai che ci sono, sono lì, iniziano, finiscono, danno soddisfazione. Il vento invece è il compagno di viaggio bastardo che non pensavi ci fosse.
Tocca pure prendere una decisione difficile: passare o non passare dal Liechtenstein? Saranno aperti i confini, con il coronavirus? Decidiamo per il sì: attraversando il microscopico paradiso fiscale tagliamo un po' di km, anche se, per arrivarci, bisogna affrontare alcune ripide colline. Prima di buttarci in discesa verso il principato extracomunitario, un segno divino: passa un camion su cui si legge il nome Giuseppe, con una bandiera italiana. Lo fermiamo e gli chiedo se i confini siano aperti. In perfetto calabrese, Giuseppe mi rassicura. Bene così. Nella discesa vediamo una caserma con soldati svizzeri che si addestrano e le antiche mura difensive. Il Liechtenstein non ha un proprio esercito e dipende dalla Svizzera. La cosa è presa molto sul serio, come molto sul serio son prese le agevolazioni fiscali.
Arriviamo al confine, che confine non è, ma cippo e cartello e bandiera senza controlli. Foto al volo e ci copriamo perchè di nuovo fa freddissimo e il vento non si tace. Ricorderò questo paese come un grigio scaracchio nel verde, una cloaca del denaro che non puzza, ma forse sì.
In poche pedalate usciamo di nuovo dal principato e rientriamo in svizzera, sempre attraversando il Reno che fa da confine. Costeggiamo poi il fiume, finalmente in piano davvero, e un poco più riparati dalla furia di Eolo. La strada inanella una serie di paesini piuttosto anonimi, puliti e netti e senz'anima viva in giro.
A parte loro.
e loro. E' frequente qui che nei giardini sian tenuti asini o mucche o capre. Anche nelle villette. Altro che robottini tagliarerba.
Dopo qualche goccia di pioggia e un insetto-bombolone-zeppelin che mi entra nel casco e mi punge in testa con gran dolore mio, diamo un'ultima spinta e decidiamo di fermarci nel primo posto che ci capita davanti. Ed ecco si materializza un campeggino minuscolo, nella periferie di Kriessern, sulle sponde del lago Baggersee.
E' luogo, più che altro, di anziani bagnanti che sfidano il freddo e si ritemprano nelle acque del lago, nonostante ci siano 12 gradi e un vento gelido. Ma ci sono anche alcune piazzole di erba soffice e un chioschetto. Tenda, doccia e cena a base di schnietzel vegetariana spettacolare. Da non omettere la Goba Cola e la Rivella, bevanda tipicissima, gasatina, simil infuso di erbe.
Mentre ci prepariamo per la notte, arrivano due ragazze a piedi, con zainoni e cagnone e al seguito. Parliamo un po': sono tedesche e da un anno e mezzo viaggiano per l'Europa. Prima in bici, poi in auto, ora a piedi. Sono tipe forti, ridono grosso e vivono nomadi. Portano amore e cercano solo una fetta di sole a questo mondo per scaldarsi. Sono ottime vicine di casa, per stanotte.
Domani lasceremo la Svizzera ed entreremo per un breve tratto in Austria, con capatina al Lago di Costanza. Poi varcheremo il confine todesco, e inizieranno le grandi ciclabili. Sono curiosissima e non vedo l'ora, anche se la stanchezza dei primi giorni inizia ad affiorare.
La sera, con il poco internet, quasi niente social, e le parole che diventano pesanti, leggo. Sono ignorante e non conosco bene la cultura dei luoghi che sto attraversando. Non ho avuto il tempo per prepararmi, e spilluzzico e sbocconcello qua e là, come posso, passo a passo. Ho così trovato una poesia della svizzera Leta Semadeni, una poesia che mi ha colpita e con la quale vorrei salutare questo primo passo verso nord.
Nella mia vita di volpe
Nella mia vita di volpe
ero tutto e tutto
ero addirittura
la luce da mordere
il sole del mio volto
immacolato
Non sapevo
il mio nome
era solo
e costantemente là
dove la zampa tocca la terra
Nella mia vita di volpe
ero la fame e il gelo
ero gioco e ricciolo
nel fiume
e l’ultimo odore
un segnale
sulla mia strada
attraverso il bosco
Io leccavo la pelliccia
delle colline
e caddi
improvvisamente
nelle
felci
Disaccordati accordi – Quattro poeti svizzeri contemporanei (Valigie Rosse, 2015), a cura di P. Lepori e A. Ruchat
Bellissima la poesia e benritrovata a te! Ti seguo ogni anno ormai dalla tua "seconda russia" (la prima l'ho letta a posteriori sul tuo libro), è sempre un piacere viaggiare insieme a te. Vi auguro tante cose belle!
RispondiEliminaun po' in ritardo ma... Grazie! <3
EliminaFinalmente posso tornare a leggerti, quest'anno su strade che conosco bene e quindi il piacere è, se possibile, ancora più grande.
RispondiEliminaBuon viaggio
in ritardo sui tempi di risposta... GRAZIE!
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