7/7/20
giorno 4
Kriessner - Bad Waldsee
100km
Gran giorno oggi, gran giorno!
Ci lasceremo la Sguissera alle spalle ed entreremo non in un uno ma in ben due nuovi stati. Nuovi per Gigi, per me nuovi di nuovo.
In Austria e Germania sono già stata infatti, più volte, in bici e non. Mai però da queste parti. E poi lo cantava anche Guccini:
"Vorrei tornare nei posti dove son stato
Spiegarti di quanto tutto sia poi diverso
E per farmi da te spiegare cos'è cambiato
E quale sapore nuovo abbia l'universo...".
Dunque sbaracchiamo tenda e bagagli e, dopo una colazione a base di dolci con ripieno di nocciole e castagne, partiamo nell'aria quasi fredda del mattino. Il sole è alto e il vento tace, la strada chiama con voce dolce ma ferma. Si parte.
Tutti i kilometri che ci separano dal confine austriaco sono su ciclabile, una striscia di asfalto che corre tra il Reno e l'autostrada, accanto ad una ferrovia ormai dismessa. Di là dal fiume, l'Austria. Intorno prati e campi, così noti ai nostri occhi, così simili ai paesaggi che ci crescono intorno a casa. Sembra quasi di essere sulla ciclabile che corre lungo il Tav fino a Boffalora. Solo che è tutto più silenzioso e pulito, più ordinato.
Il verdissimo gemma dell'erba ancora umida è quasi accecante e riflette schegge d'argento. Alle spalle le ultime propaggini delle Alpi chiudono lo sguardo in un abbraccio serissimo. Corvi lucidi e falchi si contendono i rami più alti.
Mentre pedaliamo spediti verso nord, ci accorgiamo della presenza di numerosi bunker, distanziati circa 500 metri uno dall'altro e ancora perfettamente puliti e probabilmente utilizzabili. Sono ciò che resta delle fortificazioni militari costruite tra 1937 e 1940 sul confine nord della Svizzera, mentre Hitler conquistava l'Europa e l'ora più buia calava sul nostro continente. C'era un piano di invasione nazista anche per la Svizzera, e, dopo l'invasione della Francia, era anche diventato chiaro che qualche buca scavata sottoterra non sarebbe bastata. Ma per fortuna la storia ha fatto il suo corso, e questi bunker rimangono lì, muti, a ricordarcelo.
Pedalando vediamo diverse dogane sui ponti sul Reno, ma per i ciclisti niente polizia e niente controlli. In Austria si entra così, portando le ruote oltre questo disegnetto a terra. Bene, i ciclisti non sono considerati pericoli, buon segno di cultura. Ah, nel caso voleste spacciare droga, sappiate che nelle borse da bici Ortlieb ce ne stanno svariate decine di kili.
Dopo le foto da album Panini (il grammatico indiano) degli stati, proseguiamo in Austria e subito si mostrano l'ordine e il rigore che tengono dritta la schiena, fin troppo, a questa nazione. Panchine, cestino, mappa, fontanella e attrezzi per la bici. Come a dire: ecco tutto, siamo bravissimi, ineccepibili. Adesso arrangiatevi, sorridete e non dite che tanti qui han simpatie di estrema destra.
Sempre su ciclabile, che ora si è fatta più affollata di famigliole e anziani a passeggio, tutti con abbigliamento e mezzi da professionisti, attraversiamo il Reno. Una gara di azzurro tra acqua e cielo.
La prima destinazione simbolica della giornata è il Lago di Costanza, che raggiungiamo in un soffio di vento. Luogo simbolico di incontro e scontro, via di comunicazione e teatro di battaglie navali circa coincidenti con la Guerra dei Trent'anni, quando la religione è stata di nuovo l'ottima scusa per scannarsi, è anche noto ai cicloturisti per la sua famosa ciclabile che lo stringe tutt'intorno.
Lo scopriamo da Bregenz e dal suo lungo molo, dove bambini di ogni colore giocano a nascondino, donne velate riposano al sole e pescatore panciuti e baffuti attendono che qualcosa abbocchi.
Il vento è freddo e l'aria appena tiepida. Invidio chi riesce a nuotare, chi ha tanta fede nella data del calendario da dire che sì è estate e sì, d'estate di fa il bagno.
Comunque la vista è mozzafiato e nessuna foto può renderle giustizia.
Sul molo, proprio sotto al faro, un graffito attira la mia attenzione. Rimarrà, spero, negli anni, a ricordare questo anno folle e terribile, che ci ha trovati, come scriveva Petrarca all'indomani della pesta del 1348, "soli et inopes".
Dopo esserci riempiti gli occhi di gocce di luce e blu, torniamo in sella e costeggiamo il lago lungo un tratto della sua famosa ciclabile, fino al fiume Leiblach, che segna il confine con la Germania. Annoto il disappunto per la mancanza di cartelli di confine, che mi impediscono di fare la foto-testina. Confini aperti sempre, free borders, ma il cartello, dai!
E così entriamo in Baviera e salutiamo il lago, diretti a Wangen im Allgau, dove imboccheremo la prima grande ciclabile tedesca di questo viaggio, quella che collega il Lago di Costanza al Danubio, ad Ulm.
Spingendoci verso l'interno, il paesaggio cambia e si fa ondulato di colline, ora dolci e morbide, ora decisamente ripide e boscose. Tutt'intorno prati e campi, pinete profumatissime e cascine. Non un filo d'erba è fuori posto.
L'aria è densa di odor di fieno che asciuga, di fiori ed erbe che non so. C'è un profumo agreste di vita rurale, un senso della terra che pervade tutto. Mi sento a casa, nonostante gli strappi in salita costringano spesso ad alzarsi sui pedali e ad usare il rapporto rampeghino.
L'assolata e sonnolenta campagna viene interrotta qua e là da paesini microscopici che paiono intagliati nel legno di un presepe antico. Intorno silenzio, cicale e stormire di foglie.
Si pedala nel sole, tra spighe d'oro e boschetti. La fatica inizia a pesare sulle gambe già provate dai giorni scorsi ma i giri larghi dei falchi, qui grandissimi e numerosissimi, distraggono il cuore.
A proposito di falchi: sono veramente enormi e se ne vedono a decine. Li ho soprannominati falchi fischioni, o falchi fischiatori, perchè il loro grido si sente distinto anche qua giù dove noi pedaliamo. Volano in tondo e poi giù, in picchiata verso la preda. Ne ho visto uno inseguire in zig zag forsennati un corvo, bestia piuttosto combattiva già in tempi di pace, figuriamoci quando è inseguito. Una scena pazzesca di volo acrobatico. Di lotta per la vita. Di natura che accade al di là dei confini del bene e del male.
Così arriviamo a Wagen in Allgau, e ci fermiamo un poco a riposare. La città, fondata nell'815, crebbe in popolazione e ricchezza nel Medioevo, grazie ai commerci transalpini e all'esportazione di prodotti manifatturieri, soprattutto tessili, in canapa.
Il centro è piacevole e vivace e merita una breve visita.
Rinfrancati e riposati, nutriti e idratati ed edotti sulla strada, ci imbarchiamo pieni di fiducia nell'operazione Bodensee-Donau Radweg, che fa molto spedizione militare come ogni cosa pronunciata in tedesco al mio orecchio.
E come molte delle imprese militari tedesche, credevamo fosse una guerra lampo, invece è stata na traggedia.
In breve: siccome OVUNQUE sull'internet è scritto che tale ciclabile è bellissima, segnalatissima e facilissima da seguire, non mi sono preparata tracce gpx o altre mappe. Perchè mi sono fidata, mannaggia a me, della proverbiale precisione todesca.
Il punto è questo: il percorso è effettivamente segnalato. Sì. Da microscopici cartellini bianchi con bici verde, muniti di freccia, messi qua e là un po' a caso, non a tutti gli incroci, e spesso nascosti dall'ombra degli alberi o dal fogliame.
Ma non è tutto. Le poche volte che ci sono indicati anche i nomi dei paesi verso cui porta la pista, si tratta di paesi vicini e talmente minuscoli da non comparire nemmeno sulla mappa.
E non sarebbe grave, non fosse che la nostra ciclabile si intreccia con altre decine di ciclabili, tutte segnalate con lo stesso colore e gli stessi cartelli. Quindi, ad ogni incrocio, sempre che ci sia il cartello e sempre che si veda, ci sono nomi di cascine e borghi che non comunicano alcunchè, a meno che non si conosca perfettamente la geografia del luogo.
All'inizio non siamo ancora perfettamente consci della tragicità della situazione, della menata indecente e scartavetrante che sarà recuperare ogni volta la direzione giusta.
Pedaliamo in boschi e campagne aperte, sempre in collina, sempre in un saliscendi che si fa estenuante con l'andar delle ore.
Per fortuna ogni tanto qualcosa distrae: qui, ad esempio, si è schiantato uno Zeppelin.
Per il resto son campi verdi o campi verdini, campi verdognoli e campi verdoni. Al massimo campi giallini. Non un'auto, parole non odo che dici umane. Giusto qualche attempato ciclista che sfreccia in salita con bici elettriche, e dei cristi in ferro o legno coperti dall'edera, agli incroci.
Ora capisco il perchè dei cartellini minuscoli e ambigui, l'anfibolia oracolare delle indicazioni e il casino totale nell'orientarsi. E' un gioco. Una specie di caccia al tesoro, a chi scova la biciclettina verde disegnata con la freccia. Per distrarre dalla monotonia dei paesaggi.
Sembra di stare tra Arluno e Robecco, con l'aggravante delle salite.
Ogni tanto si incrocia qualche paesino che, in confronto al resto, pare Las Vegas. Ma qui le indicazioni si perdono e ancor più difficile è restare sulla ciclabile. E chiedere ai locals non è sempre una buona idea; nel giro di poco riceviamo informazioni sbagliate da una sciura in bici con il bambino nel carrello a rimorchio (cosa qui diffusissima) e assistiamo un'altra sciura che, inebriata dalla velocità della sua nuova bici elettrica, si schianta di botto contro un cordolo di marciapiede, con rumore di ruina che risveglia quelle lande addormentate nel sole meridiano. Poi si torna in campagna e ricomincia l'avventura dei cartellini da scovare. Perdiamo un sacco di tempo, e le salitelle non ci lasciano mai respirare.
Arrivati a poco meno di 100km, la cifra minima da fare ogni giorno per stare nei tempi, facciamo il punto della situazione. Siamo stanchi di gambe e di testa, abbiamo gli occhi ridotti a fessure a furia di aguzzar la vista in cerca di indicazioni e, in definitiva, abbiamo voglia di mettere il punto fermo alla pedalata di oggi.
Con discreto disappunto scopro che, in zona, di campeggi non ce ne sono.
E meno male che questa doveva essere una ciclabile rinomata e sopraffina, con tutti i servizi a portata di mano. Niente bagni, niente bar o negozi o supermercati, niente campeggi.Le quattro stelle chi le ha conferite? Con quanta birra in corpo?
Ci rassegniamo a dormire ancora una notte in hotel, a Bad Waldsee, unico avamposto civile delle zona. Cerchiamo il più economico, una Gasthaus vicina alla torre d'ingresso alla città. Qui la proprietaria, una donnina anziana che cammina scalza, cerimoniosa ma serissima e quasi triste, ci appare subito in mascherina. Parla solo tedesco, niente inglese. Anche noi dobbiamo mascherarci e compilare tremila fogli per il "Corona", come lo chiamano qui. La signora è attentissima e devota a tutte le pratiche igieniche, come fossero i riti di una nuova religione. Gigi dice che la donnina, così maniacale e infelice, se nel suo albergo dovesse esserci un caso di Covid, potrebbe impiccarsi alla torre della Rathaus, in piazza centrale, per il disonore. E' assolutamente vero.
Dopo esserci sistemati e lavati, usciamo per cenare. Di supermercati o negozi di alimentari non ce ne sono, e i pochi bugigattoli son chiusi. Alle 19.30 è già notte fonda, qui.
Quindi optiamo per un'ottima scorpacciata turca, falafel, kebab e tutto il resto. Perchè qui i turchi non mancano certo, e, anzi, a volte nelle città si vedono moschee con la bandiera rossa con la mezzaluna. E il profumo di kebab è il primo a segnalare i centri abitati. Insomma se la volpe non va alla Turchia, la Turchia va alla volpe.
I prezzi, qui in Germania, sono oltretutto ragionevolissimi, in confronti alle follie svizzere.
Bad Waldsee, nel suo centro storico, è piacevole come tutte le città qui. Pulita, netta, con i muri affrescati e quel senso di finto antico e vera storia. Non so perchè, ma a me le città tedesche richiamano tutte immagini cupe di pestilenza. Ho un ricco repertorio di fotogrammi, dipinti e opere in cui si è incagliato il mio cervello quando penso a questi paesi. Vedo il cielo cupo, la pioggia e il fango, i carretti con sopra i morti appestati e fioche luci nelle case dai vetri appannati. Taverne rumorose, ladri, assassini e letame fumante. Statue ossute di santi, cristi anoressici con il dolore negli occhi. Il male di vivere. I tempi marci dell'umanità infetta.
Però è bella Bad Waldsee! E luminosa. Ma io li vedo i mendicanti negli angoli delle strade, i prodi cavalieri con i tarzanelli e i mercanti che per non farsi tagliare la gola han venduto le terga ai briganti. Eh, se li vedo.
Dopo cena facciamo una breve passeggiata fino al lago, mangiamo un gelato e chiudiamo così questa giornata di caccia al tesoro. Perchè domani ne comincia un'altra, mannaggina!
Due note a margine: in primis, mi si è ormai fatto chiaro che qui il cicloturismo è roba da sciuri, da gente con il portafoglio a fisarmonica. Infatti i più sono anzianotti che fanno tappe brevi, lunghe visite alle birrerie e soste negli hotel con le terme. Il cicloturismo non è inteso come avventura e vita spartana, anzi! Errore mio pensare che qui fosse come l'anno scorso negli Usa. Là le grandi ciclabili sono percorse da giovani spiriti liberi squattrinati, evoluzione naturale dell'idea di Easy rider. E ci sono servizi base gratuiti e campeggi molto alla buona, ma funzionali.
Secondo: ho trovato il Signor Wilson, quello di Cast away. Ha fatto amicizia con la Signorina Felicita, sono anche parenti alla lontana!
8/7/2020
giorno 5
Bad Waldsee-Heidenheim an der Brenz
122km
La mattina inizia alla grande.
Nel cassetto della scrivania in camera ho trovato un libricino con tutte le ciclabili della zona e le mappe precise. In più, ieri sera, Gigi ha studiato il percorso e si è preparato l'elenco di tutti i paesini da attraversare, così oggi i cartelli malefici non ci fregano, siamo studiati.
Dopo una colazione abbondante a base di salumi e formaggi che tengono compagnia tutto il giorno in forma di ruttini spiritelli, partiamo. Anche oggi la giornata è fresca ma soleggiata e tutto promette bene.
Abbiamo le mappe, l'elenco dei paesi. Oggi non ci perdiamo, andiamo dritti filati. Ecco le prime indicazioni, ecco i primi cartellini. Gira di qui, vai di là. Bene, tutto torna. Anzi no, aspetta. Ma qui dove andiamo? Dove siamo adesso?
E niente, nonostante le buone intenzioni e la preparazione puntuale, dopo dieci minuti siamo già persi nelle campagne bavaresi. Bellissime, ma mute.
Dopo molti rosari e qualche kilometro extra, ritroviamo la strada e i cartellini, e ci rimettiamo in pista. Certo, prima dobbiamo percorrere qualche tratto di strada normale, ovvero non ciclabile. Non vietata alle bici, ma stretta e pericolosa, perchè gli automobilisti non si aspettano di trovarci sopra delle bici. Nonostante tutto, comunque, auto e camion si comportano egregiamente nei nostri confronti, e noi sopravviviamo alla chiusura mentale todesca che vuole le bici in ciclabile le auto in strada.
Riprendono i cartellini e ricomincia la caccia al tesoro. Stavolta, però, in piano.
Senza ulteriori grandi fatiche arriviamo a Biberach an der Riss, dove scopro che gli operai parlano sì inglese, ma non gli albergatori. E capisco anche perchè i germani reali si chiamano così. Sono tedeschi. Sono le papere locali. Ogni corso d'acqua ne è pieno e ci sono intere flottiglie di anatroccoli.
La cittadina è incredibilmente animata e approfittiamo del mercato agricolo per comprare un po' di frutta.
La città, che fu imperiale e ricca di agricoltura e commerci, riuscì a tenere in equilibrio le forze cattoliche e protestanti, evitando lo scontro.
Nella sua piazza si trova la statua di un asino composto da corpi umani, monumento alla stupidità umana che ispira al primo romanzo satirico scritto in lingua tedesca, la Storia degli Abderiti (1871).
Numerosi, gentili passanti ci aiutano ad uscire dalla città e a riprendere la ciclabile. Una signora, dopo averci dato indicazioni e aver tentato un dialogo sproloquiando in tedesco, arriva persino a inseguirci e a riportarci sulla diritta via, perchè aveva intuito che non avessi capito una cippa. E sì che ho anche studiato questa lingua per un anno, alle superiori. Che imbarazzo.
Così proseguiamo e ci perdiamo e ci ritroviamo innumerevoli volte. Tanto che alla fine sono così stordita e sbalestrata che questo elefante mi pare un tacchino (la proboscide è il collo, l'orecchio l'ala).
Ci immergiamo di nuovo nelle assolate campagne dormienti, e qui, oltre ai falchi fischioni e agli aironi, compaiono le prime cicogne. Buon segno! Portano fortuna in tutte le culture del mondo, dalla Turchia alla Russia al Marocco alla Poloni. Viva le sigonie!
Mentre pedaliamo in questa infinita distesa di campi, vediamo formazioni a V perfette di altre cicogne intente a migrare al nord, per l'estate.
Intorno oro di spighe, verde d'erba che freme al vento, silos, castelli e cristi di crocevia.
I rari e semideserti paesini ci accolgono con fiori e campanili a cipollotto
e le cicogne nidificano sui trespoli a loro dedicati. E ridipingono i tetti.
Arriviamo, dopo altri giri e arzigogoli, finalmente, al Danubio. Fiume già incontrato più volte, nel cuore d'Europa e ai suoi bordi orientali. Ciao fiume, ci si rivede ancora. Come stai? Quali acque nuove hai accolto, quali voci antiche? Cosa porti, cosa raccogli?
Lo attraversiamo più volte e poi lo costeggiamo su una bella alzaia fino al centro di Ulm. Qui la sosta è dovuta. Il centro è spettacolare e racconta una storia di luci ed ombre che rivive nei muri e nell'acqua delle fontane.
Citata per la prima volta già nell'800, la città nel Medioevo vive un periodo di splendore e ricchezza grazie al compromesso raggiunto tra patrizi e artigiani e al ricco commercio di stoffe.
Si comincia la costruzione del Duomo nel 1377, ma viene interrotta nel 1453 per l'avvento della fede protestante e della furia iconoclasta portata dal predicatore Konrad Sam.
Poi la Guerra dei Trent'anni, quella di secessione spagnola e l'apertura delle nuove vie commerciali in Asia e America portano il declino nelle belle piazze e la popolazione diminuisce e si impoverisce.
Nel 1805 infuria qui una delle più sanguinose battaglie delle guerre napoleoniche e la città sembra ormai destinata all'oblio. Ma la ferrovia e le industrie portano nuova linfa che fa rifiorire Ulm.
Nel 1933 il regime nazista istituisce nel forte uno dei primi campi di concentramento per politici e preti che si oppongono. Verranno poi trasferiti tutti a Dachau nel '35. Negli ultimi due anni di guerra gli Alleati bombardano ripetutamente la città, che viene rasa al suolo per l'80%.
La cattedrale è la seconda chiesa più grande di Germania (dopo il Duomo di Colonia) e ha il campanile più alto del mondo (161,6 m e 768 gradini). Maestoso capolavoro dell'Architettura gotica, non fu danneggiata durante la seconda guerra mondiale. A differenza del Duomo di Colonia, che è di rito cattolico, la cattedrale di Ulm è ora parrocchiale evangelica (cito Wikipedia).
Aggiungo che fotografare lacattedrale per intero è impresa quasi impossibile. Gigi ci è riuscito e questo è un suo scatto.
L'interno è piuttosto austero e noto che una persona su cinque porta la mascherina, gli altri quattro la guardano come si guarda un appestato con i bubboni neri e gonfi sotto alle ascelle.
Un'ultima tappa è d'obbligo, in questa bella città: il luogo in cui nacque Albert Einstein, nel 1879.
La sua casa fu distrutta durante i bombardamenti ed ora rimane solo una targa commemorativa ed una curiosa statua.
Necessaria la foto con la mia maglia, sulla quale è disegnato il faccione sorridente dello scienziato.
Vista da qui, sembro proprio un centauro: mezza volpe mezza bici.
Non ho chiappe ma borse Ortlieb.
Dopo un poco di riposo, viene il momento di ripartire: è ancora presto, abbiamo percorso 80km e vogliamo approfittarne. Puntiamo a nord: domani raggiungeremo la Strada romantica, arcinota ciclabile storica a tema, e dobbiamo avvicinarci il più possibile al punto in cui la incroceremo.
Imposto il navigatore e il percorso è quasi interamente su piste ciclabili nè più nè meno larghe o segnalate di quella più lunga del Danubio-Lago di Costanza percorsa in questi giorni.
Il cielo di imbroncia e subito cala a picco la temperatura. Ricominciano le campagne e le salite, torna persino a farci visita Eolo, che porta in dono qualche goccia di pioggia.
Ci affrettiamo a raggiungere il primo paese e troviamo ospitalità in un appartamento tutto per noi, con tanto di vista sul paesello. Domani pedaleremo 60km di raccordo e poi via nella Romantische Strasse, che ci condurrà ancora più a nord, fino a Wurzburg, tra rocche e pietre antiche.
Tutti i kilometri che ci separano dal confine austriaco sono su ciclabile, una striscia di asfalto che corre tra il Reno e l'autostrada, accanto ad una ferrovia ormai dismessa. Di là dal fiume, l'Austria. Intorno prati e campi, così noti ai nostri occhi, così simili ai paesaggi che ci crescono intorno a casa. Sembra quasi di essere sulla ciclabile che corre lungo il Tav fino a Boffalora. Solo che è tutto più silenzioso e pulito, più ordinato.
Il verdissimo gemma dell'erba ancora umida è quasi accecante e riflette schegge d'argento. Alle spalle le ultime propaggini delle Alpi chiudono lo sguardo in un abbraccio serissimo. Corvi lucidi e falchi si contendono i rami più alti.
Mentre pedaliamo spediti verso nord, ci accorgiamo della presenza di numerosi bunker, distanziati circa 500 metri uno dall'altro e ancora perfettamente puliti e probabilmente utilizzabili. Sono ciò che resta delle fortificazioni militari costruite tra 1937 e 1940 sul confine nord della Svizzera, mentre Hitler conquistava l'Europa e l'ora più buia calava sul nostro continente. C'era un piano di invasione nazista anche per la Svizzera, e, dopo l'invasione della Francia, era anche diventato chiaro che qualche buca scavata sottoterra non sarebbe bastata. Ma per fortuna la storia ha fatto il suo corso, e questi bunker rimangono lì, muti, a ricordarcelo.
Pedalando vediamo diverse dogane sui ponti sul Reno, ma per i ciclisti niente polizia e niente controlli. In Austria si entra così, portando le ruote oltre questo disegnetto a terra. Bene, i ciclisti non sono considerati pericoli, buon segno di cultura. Ah, nel caso voleste spacciare droga, sappiate che nelle borse da bici Ortlieb ce ne stanno svariate decine di kili.
Dopo le foto da album Panini (il grammatico indiano) degli stati, proseguiamo in Austria e subito si mostrano l'ordine e il rigore che tengono dritta la schiena, fin troppo, a questa nazione. Panchine, cestino, mappa, fontanella e attrezzi per la bici. Come a dire: ecco tutto, siamo bravissimi, ineccepibili. Adesso arrangiatevi, sorridete e non dite che tanti qui han simpatie di estrema destra.
Sempre su ciclabile, che ora si è fatta più affollata di famigliole e anziani a passeggio, tutti con abbigliamento e mezzi da professionisti, attraversiamo il Reno. Una gara di azzurro tra acqua e cielo.
La prima destinazione simbolica della giornata è il Lago di Costanza, che raggiungiamo in un soffio di vento. Luogo simbolico di incontro e scontro, via di comunicazione e teatro di battaglie navali circa coincidenti con la Guerra dei Trent'anni, quando la religione è stata di nuovo l'ottima scusa per scannarsi, è anche noto ai cicloturisti per la sua famosa ciclabile che lo stringe tutt'intorno.
Lo scopriamo da Bregenz e dal suo lungo molo, dove bambini di ogni colore giocano a nascondino, donne velate riposano al sole e pescatore panciuti e baffuti attendono che qualcosa abbocchi.
Il vento è freddo e l'aria appena tiepida. Invidio chi riesce a nuotare, chi ha tanta fede nella data del calendario da dire che sì è estate e sì, d'estate di fa il bagno.
Comunque la vista è mozzafiato e nessuna foto può renderle giustizia.
una foto storta della Signorina Felicita che si bea nel sole |
due mezzi di trasporto (quello sullo sfondo è uno yacht abnorme) |
Sul molo, proprio sotto al faro, un graffito attira la mia attenzione. Rimarrà, spero, negli anni, a ricordare questo anno folle e terribile, che ci ha trovati, come scriveva Petrarca all'indomani della pesta del 1348, "soli et inopes".
Dopo esserci riempiti gli occhi di gocce di luce e blu, torniamo in sella e costeggiamo il lago lungo un tratto della sua famosa ciclabile, fino al fiume Leiblach, che segna il confine con la Germania. Annoto il disappunto per la mancanza di cartelli di confine, che mi impediscono di fare la foto-testina. Confini aperti sempre, free borders, ma il cartello, dai!
E così entriamo in Baviera e salutiamo il lago, diretti a Wangen im Allgau, dove imboccheremo la prima grande ciclabile tedesca di questo viaggio, quella che collega il Lago di Costanza al Danubio, ad Ulm.
Spingendoci verso l'interno, il paesaggio cambia e si fa ondulato di colline, ora dolci e morbide, ora decisamente ripide e boscose. Tutt'intorno prati e campi, pinete profumatissime e cascine. Non un filo d'erba è fuori posto.
L'aria è densa di odor di fieno che asciuga, di fiori ed erbe che non so. C'è un profumo agreste di vita rurale, un senso della terra che pervade tutto. Mi sento a casa, nonostante gli strappi in salita costringano spesso ad alzarsi sui pedali e ad usare il rapporto rampeghino.
L'assolata e sonnolenta campagna viene interrotta qua e là da paesini microscopici che paiono intagliati nel legno di un presepe antico. Intorno silenzio, cicale e stormire di foglie.
Si pedala nel sole, tra spighe d'oro e boschetti. La fatica inizia a pesare sulle gambe già provate dai giorni scorsi ma i giri larghi dei falchi, qui grandissimi e numerosissimi, distraggono il cuore.
A proposito di falchi: sono veramente enormi e se ne vedono a decine. Li ho soprannominati falchi fischioni, o falchi fischiatori, perchè il loro grido si sente distinto anche qua giù dove noi pedaliamo. Volano in tondo e poi giù, in picchiata verso la preda. Ne ho visto uno inseguire in zig zag forsennati un corvo, bestia piuttosto combattiva già in tempi di pace, figuriamoci quando è inseguito. Una scena pazzesca di volo acrobatico. Di lotta per la vita. Di natura che accade al di là dei confini del bene e del male.
Il centro è piacevole e vivace e merita una breve visita.
una delle numerose fontanelle che si trovane in città e paesi da queste parti |
E come molte delle imprese militari tedesche, credevamo fosse una guerra lampo, invece è stata na traggedia.
In breve: siccome OVUNQUE sull'internet è scritto che tale ciclabile è bellissima, segnalatissima e facilissima da seguire, non mi sono preparata tracce gpx o altre mappe. Perchè mi sono fidata, mannaggia a me, della proverbiale precisione todesca.
Il punto è questo: il percorso è effettivamente segnalato. Sì. Da microscopici cartellini bianchi con bici verde, muniti di freccia, messi qua e là un po' a caso, non a tutti gli incroci, e spesso nascosti dall'ombra degli alberi o dal fogliame.
Ma non è tutto. Le poche volte che ci sono indicati anche i nomi dei paesi verso cui porta la pista, si tratta di paesi vicini e talmente minuscoli da non comparire nemmeno sulla mappa.
E non sarebbe grave, non fosse che la nostra ciclabile si intreccia con altre decine di ciclabili, tutte segnalate con lo stesso colore e gli stessi cartelli. Quindi, ad ogni incrocio, sempre che ci sia il cartello e sempre che si veda, ci sono nomi di cascine e borghi che non comunicano alcunchè, a meno che non si conosca perfettamente la geografia del luogo.
Pedaliamo in boschi e campagne aperte, sempre in collina, sempre in un saliscendi che si fa estenuante con l'andar delle ore.
Per fortuna ogni tanto qualcosa distrae: qui, ad esempio, si è schiantato uno Zeppelin.
Per il resto son campi verdi o campi verdini, campi verdognoli e campi verdoni. Al massimo campi giallini. Non un'auto, parole non odo che dici umane. Giusto qualche attempato ciclista che sfreccia in salita con bici elettriche, e dei cristi in ferro o legno coperti dall'edera, agli incroci.
Ora capisco il perchè dei cartellini minuscoli e ambigui, l'anfibolia oracolare delle indicazioni e il casino totale nell'orientarsi. E' un gioco. Una specie di caccia al tesoro, a chi scova la biciclettina verde disegnata con la freccia. Per distrarre dalla monotonia dei paesaggi.
Sembra di stare tra Arluno e Robecco, con l'aggravante delle salite.
Ogni tanto si incrocia qualche paesino che, in confronto al resto, pare Las Vegas. Ma qui le indicazioni si perdono e ancor più difficile è restare sulla ciclabile. E chiedere ai locals non è sempre una buona idea; nel giro di poco riceviamo informazioni sbagliate da una sciura in bici con il bambino nel carrello a rimorchio (cosa qui diffusissima) e assistiamo un'altra sciura che, inebriata dalla velocità della sua nuova bici elettrica, si schianta di botto contro un cordolo di marciapiede, con rumore di ruina che risveglia quelle lande addormentate nel sole meridiano. Poi si torna in campagna e ricomincia l'avventura dei cartellini da scovare. Perdiamo un sacco di tempo, e le salitelle non ci lasciano mai respirare.
Arrivati a poco meno di 100km, la cifra minima da fare ogni giorno per stare nei tempi, facciamo il punto della situazione. Siamo stanchi di gambe e di testa, abbiamo gli occhi ridotti a fessure a furia di aguzzar la vista in cerca di indicazioni e, in definitiva, abbiamo voglia di mettere il punto fermo alla pedalata di oggi.
Con discreto disappunto scopro che, in zona, di campeggi non ce ne sono.
E meno male che questa doveva essere una ciclabile rinomata e sopraffina, con tutti i servizi a portata di mano. Niente bagni, niente bar o negozi o supermercati, niente campeggi.Le quattro stelle chi le ha conferite? Con quanta birra in corpo?
Ci rassegniamo a dormire ancora una notte in hotel, a Bad Waldsee, unico avamposto civile delle zona. Cerchiamo il più economico, una Gasthaus vicina alla torre d'ingresso alla città. Qui la proprietaria, una donnina anziana che cammina scalza, cerimoniosa ma serissima e quasi triste, ci appare subito in mascherina. Parla solo tedesco, niente inglese. Anche noi dobbiamo mascherarci e compilare tremila fogli per il "Corona", come lo chiamano qui. La signora è attentissima e devota a tutte le pratiche igieniche, come fossero i riti di una nuova religione. Gigi dice che la donnina, così maniacale e infelice, se nel suo albergo dovesse esserci un caso di Covid, potrebbe impiccarsi alla torre della Rathaus, in piazza centrale, per il disonore. E' assolutamente vero.
Dopo esserci sistemati e lavati, usciamo per cenare. Di supermercati o negozi di alimentari non ce ne sono, e i pochi bugigattoli son chiusi. Alle 19.30 è già notte fonda, qui.
Quindi optiamo per un'ottima scorpacciata turca, falafel, kebab e tutto il resto. Perchè qui i turchi non mancano certo, e, anzi, a volte nelle città si vedono moschee con la bandiera rossa con la mezzaluna. E il profumo di kebab è il primo a segnalare i centri abitati. Insomma se la volpe non va alla Turchia, la Turchia va alla volpe.
I prezzi, qui in Germania, sono oltretutto ragionevolissimi, in confronti alle follie svizzere.
Bad Waldsee, nel suo centro storico, è piacevole come tutte le città qui. Pulita, netta, con i muri affrescati e quel senso di finto antico e vera storia. Non so perchè, ma a me le città tedesche richiamano tutte immagini cupe di pestilenza. Ho un ricco repertorio di fotogrammi, dipinti e opere in cui si è incagliato il mio cervello quando penso a questi paesi. Vedo il cielo cupo, la pioggia e il fango, i carretti con sopra i morti appestati e fioche luci nelle case dai vetri appannati. Taverne rumorose, ladri, assassini e letame fumante. Statue ossute di santi, cristi anoressici con il dolore negli occhi. Il male di vivere. I tempi marci dell'umanità infetta.
Però è bella Bad Waldsee! E luminosa. Ma io li vedo i mendicanti negli angoli delle strade, i prodi cavalieri con i tarzanelli e i mercanti che per non farsi tagliare la gola han venduto le terga ai briganti. Eh, se li vedo.
Dopo cena facciamo una breve passeggiata fino al lago, mangiamo un gelato e chiudiamo così questa giornata di caccia al tesoro. Perchè domani ne comincia un'altra, mannaggina!
Due note a margine: in primis, mi si è ormai fatto chiaro che qui il cicloturismo è roba da sciuri, da gente con il portafoglio a fisarmonica. Infatti i più sono anzianotti che fanno tappe brevi, lunghe visite alle birrerie e soste negli hotel con le terme. Il cicloturismo non è inteso come avventura e vita spartana, anzi! Errore mio pensare che qui fosse come l'anno scorso negli Usa. Là le grandi ciclabili sono percorse da giovani spiriti liberi squattrinati, evoluzione naturale dell'idea di Easy rider. E ci sono servizi base gratuiti e campeggi molto alla buona, ma funzionali.
Secondo: ho trovato il Signor Wilson, quello di Cast away. Ha fatto amicizia con la Signorina Felicita, sono anche parenti alla lontana!
in videochiamata con la mamma, che ride del Signor Wilson |
8/7/2020
giorno 5
Bad Waldsee-Heidenheim an der Brenz
122km
La mattina inizia alla grande.
Nel cassetto della scrivania in camera ho trovato un libricino con tutte le ciclabili della zona e le mappe precise. In più, ieri sera, Gigi ha studiato il percorso e si è preparato l'elenco di tutti i paesini da attraversare, così oggi i cartelli malefici non ci fregano, siamo studiati.
seguiamo la ciclabile blu |
Dopo una colazione abbondante a base di salumi e formaggi che tengono compagnia tutto il giorno in forma di ruttini spiritelli, partiamo. Anche oggi la giornata è fresca ma soleggiata e tutto promette bene.
Gigi con i suoi sacchetti legati alla bella sul portapacchi, con la bici in versione rutamat (rottamaio) |
Abbiamo le mappe, l'elenco dei paesi. Oggi non ci perdiamo, andiamo dritti filati. Ecco le prime indicazioni, ecco i primi cartellini. Gira di qui, vai di là. Bene, tutto torna. Anzi no, aspetta. Ma qui dove andiamo? Dove siamo adesso?
E niente, nonostante le buone intenzioni e la preparazione puntuale, dopo dieci minuti siamo già persi nelle campagne bavaresi. Bellissime, ma mute.
Dopo molti rosari e qualche kilometro extra, ritroviamo la strada e i cartellini, e ci rimettiamo in pista. Certo, prima dobbiamo percorrere qualche tratto di strada normale, ovvero non ciclabile. Non vietata alle bici, ma stretta e pericolosa, perchè gli automobilisti non si aspettano di trovarci sopra delle bici. Nonostante tutto, comunque, auto e camion si comportano egregiamente nei nostri confronti, e noi sopravviviamo alla chiusura mentale todesca che vuole le bici in ciclabile le auto in strada.
Riprendono i cartellini e ricomincia la caccia al tesoro. Stavolta, però, in piano.
Senza ulteriori grandi fatiche arriviamo a Biberach an der Riss, dove scopro che gli operai parlano sì inglese, ma non gli albergatori. E capisco anche perchè i germani reali si chiamano così. Sono tedeschi. Sono le papere locali. Ogni corso d'acqua ne è pieno e ci sono intere flottiglie di anatroccoli.
La cittadina è incredibilmente animata e approfittiamo del mercato agricolo per comprare un po' di frutta.
La città, che fu imperiale e ricca di agricoltura e commerci, riuscì a tenere in equilibrio le forze cattoliche e protestanti, evitando lo scontro.
Nella sua piazza si trova la statua di un asino composto da corpi umani, monumento alla stupidità umana che ispira al primo romanzo satirico scritto in lingua tedesca, la Storia degli Abderiti (1871).
Numerosi, gentili passanti ci aiutano ad uscire dalla città e a riprendere la ciclabile. Una signora, dopo averci dato indicazioni e aver tentato un dialogo sproloquiando in tedesco, arriva persino a inseguirci e a riportarci sulla diritta via, perchè aveva intuito che non avessi capito una cippa. E sì che ho anche studiato questa lingua per un anno, alle superiori. Che imbarazzo.
Così proseguiamo e ci perdiamo e ci ritroviamo innumerevoli volte. Tanto che alla fine sono così stordita e sbalestrata che questo elefante mi pare un tacchino (la proboscide è il collo, l'orecchio l'ala).
Ci immergiamo di nuovo nelle assolate campagne dormienti, e qui, oltre ai falchi fischioni e agli aironi, compaiono le prime cicogne. Buon segno! Portano fortuna in tutte le culture del mondo, dalla Turchia alla Russia al Marocco alla Poloni. Viva le sigonie!
Mentre pedaliamo in questa infinita distesa di campi, vediamo formazioni a V perfette di altre cicogne intente a migrare al nord, per l'estate.
Intorno oro di spighe, verde d'erba che freme al vento, silos, castelli e cristi di crocevia.
I rari e semideserti paesini ci accolgono con fiori e campanili a cipollotto
e le cicogne nidificano sui trespoli a loro dedicati. E ridipingono i tetti.
Arriviamo, dopo altri giri e arzigogoli, finalmente, al Danubio. Fiume già incontrato più volte, nel cuore d'Europa e ai suoi bordi orientali. Ciao fiume, ci si rivede ancora. Come stai? Quali acque nuove hai accolto, quali voci antiche? Cosa porti, cosa raccogli?
Lo attraversiamo più volte e poi lo costeggiamo su una bella alzaia fino al centro di Ulm. Qui la sosta è dovuta. Il centro è spettacolare e racconta una storia di luci ed ombre che rivive nei muri e nell'acqua delle fontane.
Citata per la prima volta già nell'800, la città nel Medioevo vive un periodo di splendore e ricchezza grazie al compromesso raggiunto tra patrizi e artigiani e al ricco commercio di stoffe.
Si comincia la costruzione del Duomo nel 1377, ma viene interrotta nel 1453 per l'avvento della fede protestante e della furia iconoclasta portata dal predicatore Konrad Sam.
Poi la Guerra dei Trent'anni, quella di secessione spagnola e l'apertura delle nuove vie commerciali in Asia e America portano il declino nelle belle piazze e la popolazione diminuisce e si impoverisce.
il municipio del 1370, con il suo orologio astronomico |
Nel 1805 infuria qui una delle più sanguinose battaglie delle guerre napoleoniche e la città sembra ormai destinata all'oblio. Ma la ferrovia e le industrie portano nuova linfa che fa rifiorire Ulm.
Nel 1933 il regime nazista istituisce nel forte uno dei primi campi di concentramento per politici e preti che si oppongono. Verranno poi trasferiti tutti a Dachau nel '35. Negli ultimi due anni di guerra gli Alleati bombardano ripetutamente la città, che viene rasa al suolo per l'80%.
La cattedrale è la seconda chiesa più grande di Germania (dopo il Duomo di Colonia) e ha il campanile più alto del mondo (161,6 m e 768 gradini). Maestoso capolavoro dell'Architettura gotica, non fu danneggiata durante la seconda guerra mondiale. A differenza del Duomo di Colonia, che è di rito cattolico, la cattedrale di Ulm è ora parrocchiale evangelica (cito Wikipedia).
Aggiungo che fotografare lacattedrale per intero è impresa quasi impossibile. Gigi ci è riuscito e questo è un suo scatto.
Da vicino si possono ammirare le numerose statue e si legge la storia scolpita nella pietra, che la distanza rende sfumata.
L'interno è piuttosto austero e noto che una persona su cinque porta la mascherina, gli altri quattro la guardano come si guarda un appestato con i bubboni neri e gonfi sotto alle ascelle.
Un'ultima tappa è d'obbligo, in questa bella città: il luogo in cui nacque Albert Einstein, nel 1879.
La sua casa fu distrutta durante i bombardamenti ed ora rimane solo una targa commemorativa ed una curiosa statua.
Necessaria la foto con la mia maglia, sulla quale è disegnato il faccione sorridente dello scienziato.
Non ho chiappe ma borse Ortlieb.
Dopo un poco di riposo, viene il momento di ripartire: è ancora presto, abbiamo percorso 80km e vogliamo approfittarne. Puntiamo a nord: domani raggiungeremo la Strada romantica, arcinota ciclabile storica a tema, e dobbiamo avvicinarci il più possibile al punto in cui la incroceremo.
Imposto il navigatore e il percorso è quasi interamente su piste ciclabili nè più nè meno larghe o segnalate di quella più lunga del Danubio-Lago di Costanza percorsa in questi giorni.
Il cielo di imbroncia e subito cala a picco la temperatura. Ricominciano le campagne e le salite, torna persino a farci visita Eolo, che porta in dono qualche goccia di pioggia.
Ci affrettiamo a raggiungere il primo paese e troviamo ospitalità in un appartamento tutto per noi, con tanto di vista sul paesello. Domani pedaleremo 60km di raccordo e poi via nella Romantische Strasse, che ci condurrà ancora più a nord, fino a Wurzburg, tra rocche e pietre antiche.
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