sabato 25 luglio 2020

20-21. Da Danzica ai Laghi masuri. Cavalieri e draghi, Copernico, Napoleone e campi seminati a cadaveri e grano.





23/7/20
giorno 20
Danzika-Orneta
131km

Non ce n'è: Danzica è bella e basta.
Niente storie, niente balle. Solo un centro storico da girare a naso in suso, rivolto alle preziose facciate delle case e delle porte, delle torri, della mura e delle chiese.
Qui nacque nel 1788 Schopenhauer, tra l'altro.
Il motto della città è Nec temere, nec timide. E benchè Hitler dicesse che "non di Danzica si tratta, ma dello spazio vitale in Oriente", in questo caso (e pure in quello, inizialmente) si tratta proprio di Gdansk, la capitale dell'ambra, della goccia di sole nata tra bosco e mare. "Danzica è la chiave di tutto" disse Napoleone. Città contesa, orgogliosamente libera anche quando in catene, città metropoli moderna dalla lunga storia anche di minoranze, globale europea polacca casciuba, e non per forza in questo ordine.

Nota a margine.
Ieri sera sono stata braccata da una sciura di mezza età, anche lei nella cucina dell'ostello per farsi un tè serale, polacca, sola, viaggiatrice, con occhiali tondi e una frangetta che non vedevo dal '72.
Mi tiene a parlare in un buon inglese (piuttosto raro da queste parti) per lungo tempo, mi racconta dei suoi viaggi in Urss con una amica, di Capo Nord in autostop e mi chiede invece dell'America e della Mongolia. Si stupisce del tanto pedalare, e pure della solitudine di certi miei giretti verso est, e però mi spiega che un suo amico, anche lui docente, ha iniziato con viaggi di due settimane, poi un mese, poi due, poi ha lasciato il lavoro e ha fatto due volte la Panamericana e ora gira per il mondo scrivendo un blog e libri.
Mi ricorda qualcuno... Chissà!
Mi augura poi buon vento, sole e buoni incontri, che a suo dire sono i tre ingredienti fondamentali di un cicloviaggio. Ha perfettamente ragione.

Questa mattina, prima di tornare on the road, na ulitsa, ci siamo lasciati ammaliare dall'austera bellezza di Danzica, come dicevo. E ne è valsa la pena. E' probabilmente la scoperta più interessante fatta finora, in questo viaggio che ora è giunto al giro di boa dei 2000km.






Danzica fu centro della Lega anseatica e la sua storia è legata a doppio filo alle sorti commerciali e umane delle città marittime del nord Europa, più o meno tutte di lingua e cultura tedesche.
Per questo prevale lo stile gotico, che si vede, ad esempio, nella monumentale chiesa di Santa Maria, la più grande in mattoni del mondo, luterana prima e cattolica dal '45. O anche la chiesa di San Nicola, sempre cattolica e mai riformata, l'unica della città.
Anche il palazzo del XVI secolo in cui aveva sede il municipio, e che oggi ospita il museo della città, è in stile gotico.





La città, per la sua posizione strategica e la sua ricchezza, fu contesa e causa di guerre nel corso dei secoli. Tra Polonia e Brandeburgo, con l'intervento determinante dei Cavalieri teutonici, favore della prima, e fine '200; tra i cavalieri, che non volevano restituire la città, e i re polacchi, che tentarono con guerre e azioni legali di fronte al papa di rimettere le mani sul prezioso centro alla foce della Vistola. Poi venne la guerra tra città legate nella Confederazione prussiana contro l'ordine teutonico, poi nella cultura tedesca in un contesto  polacco-lituano. Vi nacque l'astronomo Hevelius nel 1611, prima che passassero di qui la Guerra dei Trent'anni, la Seconda guerra del nord e un'epidemia di peste bubbonica, nel 1709. Danzica a quest'epoca era ancora la città più grande e ricca della Polonia.






Con la spartizione della Polonia, Danzica tentò di rimanere indipendente ma divenne parte del Regno di Prussia  e iniziò qui, a fine Settecento, il suo declino.
Nel 1807 Napoleone la proclamò repubblica del suo impero.Le forze russe la ripresero nel 1814 e con il Congresso di Vienna fu restituita alla Prussia. Nel 1871 divenne poi parte dell'impero tedesco.









In seguito alla sconfitta tedesca nella prima guerra mondiale le potenze alleate, nel Trattato di Versailles del 1919, decisero di creare la Città Libera di Danzica (governata da un commissario nominato dalla Società delle Nazioni) che comprendeva la città, il porto, e un piccolo territorio circostante. Lo scopo di questa decisione era di permettere ai polacchi di usare Danzica come loro porto principale, e al tempo stesso di non subordinare la popolazione tedesca della città al governo diretto della Polonia.
Ma poi i polacchi costruirono un porto militare e Gdynia e occuparono con guarnigioni Westerplatte, lo sbocco esterno del golfo di Danzica, e molti polacchi si trasferirono qui sulla costa.






La popolazione di Danzica era al 95% di lingua e cultura tedesca e si risentì molto della situazione e nel '33 qui fu eletto un governo nazista. Inutile dire che subito le minoranze di polacchi ed ebrei ne pagarono le conseguenze. Nel '38 Hitler pensò bene di chiedere, con garbo e gentilezza, la città alla Polonia. No. E così, con lo stesso garbo e la stessa gentilezza, nel '39 scoppiò la Seconda guerra mondiale.
Era il 1 settembre '39.
Le truppe della città subirono l'attacco dell'esercito tedesco e attesero invano i rinforzi polacchi, che non arrivarono. La resistenza, disperata e valorosa, durò per una settimana. Poi cadde in mano nazista e iniziarono i crimini: l'uccisione di tutti i postini, che avevano difeso il loro ufficio. 65.000 abitanti, consederati dissidenti, morirono nel vicino lager di Stutthof, a Piasnica invece furono ammazzati 60.000 cittadini dell'intellighentsia casciuba e polacca.
Nel '45 i tedeschi residenti furono evacuati.e a fine marzo Armata rossa e resistenza polacca ripresero la città.
Tra i bombardamenti prima, la guerriglia urbana poi e gli incendi e devastazioni infine, quasi tutti gli edifici erano ridotti in macerie fumanti,









Dopo la fine della guerra, la città venne data alla Polonia e passò dunque sotto il controllo sovietico. I cittadini tedeschi furono sottoposti a dure repressioni e giudicati per verificare il loro comportamento durante il conflitto. Vennero insediati polacchi e casciubi, e la maggioranza non fu più di cultura tedesca. Gli artigiani ricostruirono gli edifici storici distrutti ma eliminarono le scritte in tedesco.





Poi ci furono le proteste contro il governo comunista e Solidarnosc, e il resto è storia recente. Ah, nel 2019 il sindaco è stato assassinato con una coltellata da un uomo appena uscito di prigione, sul palco, durante un evento benefico. Così.









Il centro storico, la città vecchia (ma non vecchia come quella che così si chiama, duecentesca, di cui non è rimasto nulla, è concentrato tra le sue mura e le sue porte e contiene un continuum di edifici meravigliosi di stile miste: gotico, rinascimentale, manierista e barocco, con tracce rimaste di tutte le culture che da qui son passate.















E nulla, Danzica è bella. Bisogna visitarla, rimanere a scaldarsi al sole tra le sue case, ammirare le facciate, le fontane e i campanili.
Il fiume, le strade e le pareti, i muri, i tetti.
Tutto.












Viene però anche il tempo dei saluti, e degli arrivederci. La strada ci richiama all'ordine, è finito il nostro tempo da turisti e ricomincia quello da cicloviaggiatori d'assalto.
In breve ci lasciamo la città scrigno di tesori alle spalle e la campagna aperta ci riabbraccia, dopo qualche giorno di assenza.
I cieli bassi di nuvole in corsa segnano la strada e ci muoviamo rapidi, con il vento a favore, tra strade secondarie e piste ciclabili.






Ci accolgono villaggi sparsi, che profumano di fieno e ortica, di pane caldo e letame, tutto mescolato in questa vita di terra bassa e gioie semplici come i fiori tra le spighe.
Passiamo a breve distanza da Malbork, centro del'Ordine teutonico e prima capitale della Prussia.
Anonimi artisti del copertone hanno agito da queste parti a mano libera.





I paesini sono un misto di storia grandiosa e degrado post sovietico, come piace a noi. Tutto si tiene e il miscuglio sa proprio di Polonia. Intanto il paesaggio si fa sempre meno urbanizzato e più verde, agricolo o persino incolto, tra vecchie cascine e case isolate.
Incrociamo a più riprese l'Eurovelo 9, che ripercorre la via dell'ambra, da Danzica a Pola, dal Baltico all'Adriatico.




La strada torna grande e liscia per un poco. Siamo al confine tra Pomerania e Varmia-Masuria. Passiamo il fiume Nogat e siamo nel nuovo Voivodato, che ci accoglie in un sole incredibilmente caldo.




Ed eccoci un passo ancora più a est, nelle terre a lungo contese, rimaste nelle mani dei cavalieri teutonici, della Prussia, della Polonia e del Urss, poi della Polonia ancora (esclusa lexclave di Kaliningrad). Ci sono ancora molti abitanti tedeschi e numerosi ucraini, in seguito all'operazione Vistola del'47.
Passiamo anche dalla stupenda Elblag, di cui non ho foto decenti perchè tutte scattate controsole. Città antica prussiana, poi anseatica, dunque dei Cavalieri teutonici, poi polacca del regno, prussiana, tedesca e infine polacca ancora. Conserva numerosi edifici storici, in parte ricostruiti dopo la seconda guerra mondiale, ed è una vera perla anche se poco conosciuta. Quando passiamo stanno allestendo dei tendoni, forse per una fiera, proprio di fronte alla chiesa e alla cittadella medievale.




Per il resto, la pianura costiera diventa subito un vago ricordo e le colline, dolci comunque e mai a strappo,si susseguono tra campi, praterie, selve scure e laghi. Tantissimi. Piccoli, tondi, paludosi. Pieni di morti del '14 e del '15, a seguito delle battaglie dei laghi masuri.





I villaggi sono numerosi e tutti uguali: il bosco si interrompe, iniziano i campi coltivati, poi ci sono una manciata di case, per lo più in legno o mattoni, con sopra i nidi delle cicogne. E basta. In giro, per le strade, non si vede anima viva. Il fruscio del vento e le stormire delle foglie sono il rumore più forte, oltre a quello delle nostre ruote.
C'è qualcosa di pacifico e qualcosa di inquietante in questi paesini.




Ogni tanto una chiesa un poco diversa, una mandria o un pulcino di cicogna che fa capolino distraggono dal monotono susseguirsi di questi orizzonti muti. Un temporale si addensa alle nostre spalle, ma riusciamo a seminarlo, con l'aiuto di Eolo. Iniziamo ad essere stanchi e ad aver voglia di arrivare, dove che sia.











Dobbiamo bere ancora molta luce, e molto vento, prima di giungere all'agognata meta: Orneta, paese dal nome buffo che ha, incredibilmente, diverse strutture, nonostante sia in mezzo al nulla, conti solo 9000 abitanti e non abbia alcuna attrazione turistica, storica o naturalistica da offrire. Gli alberghi propongono spa, saune finlandesi e vacanze attive, in bici e a piedi. Ma dove? Tra questi bricchi? Mah.
Infatti l'hotel in cui decidiamo di fermarci, il Pruski, in pieno centro, super economico e super lussuoso, è mezzo vuoto e sa di chiuso, nonostante la pulizia impeccabile.

Orneta si chiamava Wormditt perchè nello stemma ha un dragone nero, e si narrava la leggenda che qui vivesse un mostro simile, mangiatore di bestiame, donne e bambini, e che numerosi cavalieri avessero tentato di liberare la città e solo uno vi fosse riuscito. Lo stemma inizialmente riportava un dragone uroboro, che si morde la coda, come il simbolo alchemico che ho anche tatuato sulla spalla, insieme al famoso verso di Saffo "dolceamara indomabile belva" (Amore).
Orneta, villaggio antico prussiano, esiste come città già dal Trecento. Nel 1538 ci passa Copernico, che accompagna il vescovo. A fine Settecento diventa parte della Polonia e  poi prussiana, parte dell'impero tedesco e nazista con l'occupazione, con tanto di lager.
Nel 2010 è passato di qui il feretro con le spoglie di Copernico, accompagnato da una processione, prima che l'astronome fosse riseppellito a Frombork


Passando in centro vediamo la chiesa gotica di San Giovanni battista e le case antiche.




Dopo rapida spesa nel supermercato di fronte, e lauta cena in camera, ci prepariamo alla tappa di domani. Siamo a tre giorni di pedalata da Kaunas, prossima meta, varcato il confine lituano. Ma dobbiamo aggirare l'exclave russa di Kaliningrad, ahimè inaccessibile causa Covid. Ah, qui in Polonia pare che il virus non esista. Le mascherine sono più un vezzo, a volte, se proprio capita, e il distanziamento sociale non esiste. Però restano i cartelli nei negozi e negli hotel, che invitano a lavarsi bene le mani. E i gel sanificanti son presenti qua e là. alla reception ci regalano anche una boccetta di Amuchina. Ma è pura forma. L'indomani scopriremo che i tg parlano solo di malati e casi e decessi, ma questo dei media è un male comune che noi conosciamo bene.
Intanto la Masuria ci aspetta: domani arriveremo ai laghi principali, e sarà una figata pazzesca di verde e di spighe e luce enorme.


24/7/20
giorno 21
Orneta-Srokowo
133km

La giornata inizia con due buone cose: la prima è il meteo, che qui non è mai scontato.
La seconda è la colazione, compresa nella tariffa dell'hotel e servita al ristorante. E' una cosa luculliana, degna dei molti kilometri di collina che dovremo affrontare oggi.
Consta di un tegame con uova strapazzate al burro e cipollotto, un piatto di formaggi e salumi misti, pomodori, cetrioli e peperoni crudi, tè, pane freschissimo buonissimo, burro e marmellata. Spazzoliamo tutto, anche se le ore successive, complice l'aria fredda e le salite ripide, saranno impiegate a digerire, anzi, "pitonare"


Usciamo nell'aria grigi a e lattiginosa. Non piove ma il sole è coperto da un denso strato di nubi e sulla pelle si sente: fa freddo, bisogna coprirsi. Nemmeno le frequenti e spesso ripide salite ci scaldano mai del tutto, anche perchè subito seguono discese di vento in faccia.

I paesaggi son quelli di ieri, ma più tristi nella non-luce e più distanti, quasi come se tra noi e quei campi e quei prati ci fosse un muro d'acqua, o un vetro di finestrino. Invece siamo immersi in quella bolla come tutto il resto, dall'insetto più piccolo al più alto tra i pini. Come sempre.



Le spighe lasciano a volte posto a mari di bosco che si aprono appena al nostro passaggio, attraversati dalla lunga cicatrice della strada. Che è asfaltata e in ottime condizioni, oggi. E ci fa pedalare spediti, nonostante il continuo saliscendi.




Passiamo paesi non dissimili da quelli di ieri, forse solo un po' meno diserti. Anche se di gente non se ne vede: solo cicogne e soldati di legno a far la guardia alle nuvole. Poi prati di nuovo e mari d'erba che sanno di terra di bagnata, e altri paesini, altre cicogne, altri soldati di legno.
















Il paesaggio agricolo viene interrotto bruscamente dalla bella Lidzbard Warminski, dove, nel 1807, nella battaglia di Helisberg Napoleone affrontò la Quarta coalizione.
Fu capitali e perla della Varmia, con il suo vescovo principe. Anche qui passarono i Cavalieri teutonici, i prussiani, e nel castello visse Copernico e il re di Svezia durante le guerre dei primi del Settecento. Presa dai tedeschi, distrutta dai sovietici, oggi è stata ricostruita e ricorda la sua storia tra palazzi e castelli e statue.




Ci passa anche una sezione di Green velo, rete di ciclabili polacche che oggi percorriamo in parte. In parte no, perchè se a volte son belle e asfaltate e sicure, altre son sentieri di sabbia e sassi, o fango, o pavè diruto pericolosissimo e impedalabile. Qualche mezz'ora, e qualche kilometro, ce lo fa perdere, ma ce ne fa guadagnare in salute altri, fuori dalle strade più trafficate.








Oggi il vento non ci è amico: è contrario a volte, a volte laterale, temibile, subdolo, che fa sbandare verso dove sfrecciano le auto. Perchè qui al volante si corre, e assai. Sempre con un certo rispetto delle distanze di sicurezza nel superare, ma con una fretta del diaulo.

qui c'è una catena di supermercatini che si chiama Leviatano. Ma perchè.





Dopo Lidzbark arranchiamo per decine di kilometri tra colline disabitate, controvento, spesso su strade strette e senza bordo, con camion e auto che ci fan la fettina dei prosciutti. Incrociamo numerosi cicloturisti locali, con poco bagaglio e grosse mappe cartacee sul manubrio. Tutti loro hanno pensato il nostro stesso pensiero riguardo alla Green velo.
Troviamo rifugio, stremati, quasi a 100km, per la pausa di metà giornata. Ci sono parcheggi per bici e panchine coperte, proprio di fronte a una chiesa in mattoni dalla torre alta e accanto alla scuola. Non mancano neppure gli attrezzi da palestra open air dove un tizio in scarpa di vernice a punta si allena.




Decidiamo che faremo sosta, per la sera, nei pressi del lago Rydzowka, il primo che incontreremo dei molti laghi masuri. Qui dovrebbero esserci campeggi e strutture e il cielo sta aprendo abbastanza da promettere una serata serena.





 Ultimi kilometri piegati controvento, tutti in ciclabile sulla Green velo, tra campi d'oro di spighe che stanno ora chinando il capo per il peso dei semi e boschi alteri che vorrebbero rimangiarsi la strada ma, essendo gentili (non come le cicogne che ho scoperto essere ferocemente carnivore) non lo fanno.





Giungiamo così a Srokowo, ultima cittadina abbastanza grossa da avere negozi di alimentari, facciamo la spesa al Leviatano e, ancor più carichi di prima, muoviamo negli ultimi strappi di salite e discese prima dell'arrivo. Prendo anche un coccio di vetro che taglia il copertone ma solo nella parte esterna, benedetti siano gli Schwalbe Marathon Plus, sempre.





Arriviamo al primo campeggio che è ancora abbastanza presto. Ma la signorina alla reception ci dice che alle 19 chiudono tutto e che il suo capo non vuole tende a causa del Covid. Mi indica, però, un altro campeggio, poco oltre, sempre sulla sponda del medesimo lago. Mi assicura che è aperto.
Ed è vero. Con 3 euro si piazza la tenda e si ha accesso a tutti i servizi, ottimi, funzionali e puliti. Gruppi di ragazzi e famiglie fanno il bagno, corrono in moto d'acqua e grigliano salsicce sul un grande fuoco accesso sulla spiaggia. Sembra proprio estate, finalmente!







Mentre ceniamo inizia a piovere e mi piove nel brodo e sulla pasta. Scappiamo in tenda, previdentemente già montata e ora, ancora, piove, forte, con il vento. Dal sacco a pelo, al calduccio, sento il profumo di terra che si bagna e il rumore di acqua nell'acqua, temporale sul lago. Domani dovrebbe far bello. Pedaleremo fino al confine con la Lituania e ci fermeremo lì. Domenica saremo invece a Kaunas, dove ci fermeremo un giorno. Io ci sono stata, ma tornare è sempre bello. E dire "Ricordo!" ma ancor più "Questa meraviglia me l'ero persa!".

Allora forse è vero, "Gott schläft in Masuren" (Dio dorme in Masuria), citando Hans Hellmut Kirst del 1956. Ecco il piccolo mondo antico, accorato e quasi struggente di questa remota provincia prussiana, persa fra laghi azzurri e verdi foreste, e tanto sangue. 

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