domenica 7 agosto 2016

Ottava tappa: da Ckyne a Mnisek pod Brdy. Le colline di Praga



I cavalli saranno anche belli, eh, (a me piacciono tutti gli animali, anzi, li considero in qualche misura sacri in quanto viventi), però puzzano.
Davvero, puzzano molto. La camera in cui sono ora sa proprio di cavallo, di stalla, di fieno digerito.
In effetti mi trovo in una sorta di ranch, un enorme cavallificio abitato da circa 50 equini di razza.
Ci sono il galoppatoio, la pista a ostacoli, un milione di foto di bimbi con caschetto e stivaloni, selle appese, e questa maledetta puzza di cavallo.
Come io ci sia finita, qui, è presto detto.
Questa mattina mi trovavo ancora a Ckyne, nel ristorante-penzion cinese dove ho dormito (anche lì l’odore di zuppa e pollo non era una meraviglia, tanto più che ha impregnato completamente tutti i vestiti). La prima cosa che ho guardato, alzandomi, è stata il cielo. Azzurissimo, poche nubi scenografiche sparse ad arte, ed un tepore inatteso. La felicità nel vedere che non sarebbe stata un’altra giornata da arca di Noè è stata tale che ho preso bene persino la notizia che non era possibile, lì, fare colazione.
Mi sono arrangiata con le ultime barrette tedesche alla fragola chimica, un po’ di miele e la sempre adatta eau de rubinèt.
Riporto giù bici e bagagli per le due rampe di scale e parto, destinazione Mnisek pod Brdy (ma sti cechi, girar la ruota e comprare una vocale mai?).
Pensavo fosse tendenzialmente discesa, giù dalla Selva Boema scalata ieri.
Invece è stato, soprattutto il primo tratto di 50km, un tremendo susseguirsi di colline. Ebbene sì, ancora colline.
La situazione, per almeno 5 ore, è stata questa: su su su piano piano con il rampeghino, giùùùùùùùù a manetta tta ta ta su su su piano piano con il rampeghino giùùùùùùùù con il vento tto to su su su.
Ad ogni cima me ne si paravano davanti altre, troppe, infinite, smisurate, a perdita d’occhio.
Che terra infame, tutta grinza a pizziconi. Una profilo di Viennetta.
Certo, i paesaggi erano bellissimi. Un alternarsi di campi d’oro, prati di oceanico verde e boschi vestiti d’ombra.











Un po’ meno bello il vento, contrario e a volte laterale, che a raffiche percuoteva le gole strette tra una collina e l’altra, in un lamento di rami e foglie.
Io odio il vento.
E’ uno dei pochi eventi avversi che possono minare alla mia determinazione. E’ un cilicio gratuito, una tragedia nella più ampia tragedia che è la vita. Un far fatica per nulla, senza motivo, senza senso e così, per fortuito capriccio di temperature e correnti d’aria. Proprio quel giorno, proprio quell’ora, quando devo transitare io. Grazie vento.
La mattinata è trascorsa così, con fatica e lentezza tra paesaggi ad acquerello e cieli enormi (che sulle rampe in salita sembrano vicinissimi. Forse è una forma di santificazione del ciclista scalatore).



Ho accusato, e non poco, la fatica odissiaca del giorno prima. Le gambe non giravano, erano come svuotate di muscoli e tendini, ridotte a contenitori molli di stanchezza gelatinosa. E dai di sali minerali, di gel, di miele, di barrette, di madonne, di cristoni sempre più grossi paracadutati giù dal paradiso in formazione. Quando si dice “andar su a bestemmie”… Insomma, alla fine, dopo qualche ora, le gambe sono tornate in funzione.
Psicologicamente non è stato facile, perché procedevo, o meglio, arrancavo pianissmo e con dolòr. In questi casi, per affrontare la fatica, attuo una strategia banale ma utile: dividere la tappa in segmenti più piccoli. Mi spiego: se già parti stanco perché non hai metabolizzato lo sforzo del giorno prima e, fin da subito, ti trovi in salita e con il vento contro, immaginare 100km e più tutti insieme ti disarma. Ti porta allo sconforto, al “non ce la farò mai”. Perché sai che dovrai stare così, a muscoli tesi, per 6, 7, anche 8 ore. E la testa dice di no, cerca di impedirti la follia.
Bisogna ingannare la ragione e immaginare distanze minori.
I 100km van divisi prima in due parti, una del “mattino” (che spesso si protrae fino alle 16) e una del pomeriggio, con pausa merenda in mezzo. Al pomeriggio lascio 30km, anche meno, perché sarò già stanca. I 100km sono già ora 70+30. Questi 70 possono essere 30+20+20, con cittadine o svincoli, laghi o altre cose colorate sulla mappa come punti di riferimento. Più si è stanchi più si divide: i 20km da A a B preventivati prima diventano 10+5+5, e così via, fino a tratti da 1 o 2 km. Bisogna prefissarsi mete intermedie vicine, raggiungibili, che promettano qualcosa di piacevole: qui mi prendo qualcosa di fresco da bere, qui mi fermo a fare foto al fiume che dev’esser bellissimo, qui mi merito una barretta, qui c’è un castello da vedere. Quando ci si arriva il pensiero è: “Toh, credevo di metterci di più”. In questo modo inganno la mente e, tratto a tratto, porto a casa l’intera tappa.
Oggi è stata così, una divisione continua, uno spezzettare linee in segmenti sempre più piccoli. Su e giù, sperando, ad ogni cima, di non vedere più colline davanti a me. Non è stato così. La strada ha proseguito a gobbe e tornantini, tra paesi di un altro secolo, contadini curvi e una costellazione di laghetti e boschi.
















Anche a questo giro trovare un posto per dormire è stato a dir poco adrenalinico.
Faccio le ultime due salite secche e già pregusto la penzion restauraja magna-dormi che mi aspetta lungo la discesa. Intanto inizia a piovere. Arrivo, è in corso una cena di matrimonio. Full full mi dice il cameriere da dietro una selva di bicchieri di birra.
Nema problema, stronzetto, nella città ci sono molte altre strutture.
Già. O chiuse, o piene. Full booked, no room, no place, no space, all full. Queste le risposte frettolose che mi vengono date. Cerco su internet. Nel paese successivo (altre colline in mezzo) c’è un posto. Arrivo. Chiuso da anni, abbandonato. Comincio a pensare che mi tocchi arrivare a Praga già oggi, pedalando in notturna. Carico la nuova mappa, quella della tappa di domani, e inizio a seguirla, ricacciando al fondo delle coscienza la stanchezza, e al fondo della vescica la pipì (sempre così, nei momenti critici scappa). Riparto. Vedo un cartello che indica, a 6km, una penzion. Bella! Via dritti. Ma mi si parano davanti ancora colline. Cambio morbido e denti stretti. Sarà lunga. Dopo un paio di saliscendi, nella luce fioca del sole ormai basso, vedo un manifesto che, nella mia testa, secondo una traduzione a buffo e dettata dalla mania folle, dice: “Cavalli, camere, fermati, qui è ok”. C’è anche il disegno, ma solo dei cavalli. Magra consolazione. Prendo il sentiero che porta verso quella che è evidentemente una stalla enorme. Non c’è nessuno. Mi avvicino, la porta è aperta. Un cane inizia ad abbaiare e sento che mi corre incontro… Sto per fare un rapidissimo dietro front quando mi accorgo che è solo un bassotto ciccione e coccolone. Entro. “Hello! Hellooooo!” dico esitante nel corridoio buio, in cui rimbalza l’eco. Nel giro di qualche minuto compare l’angelo custode di oggi. Una signora non parlante inglese né tedesco con cui mi intendo a gesti. Mi chiede, a diteggi e manate: “Sei italiana e non sai il ceco?”. Eh, signora mia, sa com’è, il mondo è strano. Poi mi fa capire che c’è la stanza, c’è posto per la bici, ci sono le docce. Ma, prima, mi porta a vedere i suoi cavalli.
Grondante di pioggia, unta, stanca e affamata, ho dovuto ammirare le sue bestie puzzone, tutte girate di culo, una per una. Ho anche commentato con dei poco convinti “Oh wonderful! Lovely! Beautiful! Mollami per giove te prego, basta equini dammi la stanza pietà! Very very nice!”. La stanza me l’ha data, alla fine. E mi ha anche offerto la cena, chè mi ha presa per un’amante dei cavalli. La proprietaria ha una strana idea di cucina: antipasto con torta fatta da lei, buonissima, al non so cosa verde e rosso. Portata principale: pizza con ananas, prosciutto, formaggio, basilico e altri troiai indefiniti di salsine che solo in Cechia uno potrebbe mettere su una pizza, che comunque, alla fine, era pure buona. Da berci insieme te caldo o caffè, a scelta. Mah. 




Ora sono qui nella camera, tutta in legno e molto carina, non fosse per la puzza di cavallo e gli sbroffi che questi animali dal ventre teso emettono, da uno o l’altro orifizio.
Domani sarà una tappa leggera: Praga dista meno di 40km. E mi fermerò lì un giorno, per riposare e vedere di nuovo questa città meravigliosa.  








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