giovedì 4 agosto 2016

Sesta tappa: da Salisburgo a Passau. Pedalando in Germania



Eh? Bello o no?
È la vista dal ristorante accanto all'ostello. E sapete chi è quel signor fiume là sotto?
No, sbagliato, non è l'Inn.
È il Danubio. Oh yes.
Cara vecchia e placida conoscenza del viaggio che mi ha portata a Istanbul. Lo avevo incontrato molto più a sud, in Croazia, a Vukovar, la città al confine con la Serbia, devastata dalla guerra. Lì passa la ciclabile lunghissima. Come qui del resto. Anzi, qui a Passau si incontrano le ciclabili dell'Inn e del Danubio. Un vero e proprio crocevia, tanto più che siamo sul confine di tre nazioni: Austria, alle spalle. Germania, ora. Repubblica ceca, che mi attende domani. Sento che una prima parte del viaggio si conclude. Domani è già il settimo giorno da che son partita. Sembra ieri, nonostante la fatica. Inizia un nuovo capitolo, quello dell'Europa che sentiamo più distante. Non dirò orientale, perché nei Balcani ho imparato che l'Oriente inizia sempre un po' più ad est rispetto ai punti cardinali della nostra percezione. Ma sapete una cosa? È la bussola nostra della convenzione ad essere falsata. La terra è tonda. Si può girare e girare fino a richiudere l'Est sull'Ovest e viceversa. Lo stesso vale per i confini. Che ossimoro definirne alcuni (monti, fiumi) "naturali". Nulla è più artificiale del confine. Linea tracciata per  accaparrarsi il dominio di quel territorio, accampare diritti, dire "Questo è mio, terra, acqua e cielo". Linea spesso disegnata con il sangue e invano, da uomini truffati con il mito della patria. L'idea di confine naturale non ha retto nemmeno prima dell'invenzione della ruota e della barca. Siamo tutti figli di grandi migrazioni, queste sì naturali, spostamenti di popoli che fottono la convenzione del confine. Da sempre, tutt'oggi. Siamo meticci, nessuno escluso. Inutile che parliate d'invasioni: è l'unico modo che la razza umana ha di sopravvivere (anche a se stessa).
Che pippotto!
Insomma, domani sarò in Repubblica ceca. E da lì, per la lingua diversa, la storia recente e lontana, la moneta, e tanti altri fattori impercettibili, spostiamo la lancetta una tacca più a oriente.
Convenzione percepita. Ne sono " vittima" anch'io, ma senza paura. Solo curiosità buona. Godot me ne ha parlato bene proprio oggi, sussurrando nel vento a favore. È un segno fausto.
Che si va ad Oriente lo annuncia la presenza del Danubio, qui sotto. Le montagne, fosche all'orizzonte, della Selva Boema, oracolo di fatica.
Da qui in poi ci inoltriamo nel cuore del viaggio. Mi aspettano ora tre grandi nazioni, ognuna un mondo, e poi la Russia.

Be' ma oggi non racconto la tappa?
Certo che sì. Allacciate il caschetto!
Stamattina ho visitato, in modo veloce e puntuale, Salisburgo. Bella davvero, merita un ritorno. Intanto ho fatto un mezzo calendario alla Signora.







Uscire dalla città è stato piuttosto semplice: ci sono le belle ciclabiline ben segnalate, non ci si perde.
Subito si incontra una striscia di colline, simili a quella di ieri. Solo che ai lati non ci sono più le montagnissime, ma altre colline dai profili uguali e sornioni. Campi campi, boschi boschi, strada strada.





E poi lago lago. Ma davvero, due laghi, uno a destra e uno a sinistra, azzurrissimi e circondati di canneti. Mattsee e Obertrumer See, due occhi spalancati che si bevono il cielo.






Superata questa prima serie di colline, non poi così cattive, mi sono spinta sempre più a nord, dritta come una freccia scoccata.
Tutta la zona che si apre intorno al confine austro-tedesco è quasi pianeggiante.
Mi sono commossa.
Sembrava, sempre quasi, di essere a Bareggio, a casa, tra i campi di mais e le balle di fieno. Solo che qui, ogni tanto, spunta un campanile a spillo che detta laconico le ore. Sotto, sempre, una targa che ricorda i caduti della Seconda Guerra. I nazisti insomma. Mi ha stupita... I morti di certo non si possono difendere. Magari quel ragazzo si era arruolato perché così voleva il padre. O per guadagnare qualcosa. Magari. Ma queste zolle e questi fiumi e questi paesi non hanno opposto resistenza... È così vero che i morti son tutti uguali?

Ombre della storia, ancora. Ma lasciamole lì, sotto a quelle chiese.
Che libidine la terra piatta! Fatto bene a non seguire la ciclabile dell'Inn, più lunga e incasinata. Qui ho percorso tutte stradine di campagna. Avrò incrociato tre auto in tutta la giornata.









Di nuovo e per l'ultima volta l'Inn. A destra Austria, a sinistra Germania








Purtroppo, tra me e Passau, c'era un'altra serie di colline. Queste decisamente più stronze.




Però scendere in picchiata verso la città è stato una meraviglia di frescura e velocità dopo tanta appiccicosa lentezza.
Sono anche riuscita a infilare il centro storico, la città vecchia. Pavé malefico a parte, meritava la visita.





E a questo punto credevo di essere praticamente arrivata.
Già.
Non avevo considerato l'ultima immane salita per raggiungere l'ostello della gioventù.
Superato il Danubio, mi sono inerpicata (bici a mano: pavé umido e pendenza inumana) su per una collina, fino a raggiungere l'antico castello di Passavia. L'ostello è proprio lì dentro, tra le mura spesse a picco sul fiume.









E le scale per arrivare alla camera.
Meh!



A posteriori dico che ne è valsa la pena... Ma è una cosa da folli.
Forse la bellezza stessa, presa così di petto e bevuta d'un fiato, è da folli.
Il premio di chi non ha paura della fatica.


Dopo tutto sto popò di conclusione poetica, due cose importanti.
La prima è che oggi ho incontrato un sacco di gente interessante. Si sono fatti anche fotografare per il blog.




La seconda è che se mettete lo sciroppo di sambuco (San Buco, come quel buco, che è santo, non la Sambuca brutti ubriaconi alconauti) nell'acqua della borraccia pedalate presto e bene. Però non vi proteggere dalle ustioni gravi.













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