lunedì 1 agosto 2016

Terza tappa: Zernez-Haiming. L'Austria e la ciclabile dell'Inn

Sto aspettando la schnietzel. Che in Austria vuoi non mangiarla? Il vecchio proprietario del campeggio è qui davanti a me e beve birra a nastro, sarà la quarta da che mi son seduta. In sottofondo musica bavarese con trombe, cori e campanelli.
Anche oggi è stato un bel pedalare, eh.
Chissà perché le salite sono sempre salite-salite, mentre le discese più discese-e-tante-salitine. La risposta la so, ma completatela voi: perché il creatore, qualunque divinità sia, è...
Sì, mi sa che abbiamo pensato la stessa cosa.
Però non ho preso tanta acqua, nonostante i vari tentativi di Zeus adunatore di nubi. Toh, ciapa su, nefelegheretai di questo par di cocchi.
Stamattina ho smontato la tenda sotto ad una pioggerellina finissima come zucchero a velo e gelida come la morte. La morte a velo. Colazione al caldo e via, verso la discesa che dai 1400 e fischia mi avrebbe portato a 600 metri di altezza, ad Haiming. In mezzo un confine, quello con l'Austria. E tante madonnine infilzate, ma questo l'avrei scoperto solo in fieri.




Andiamo con ordine: i primi 40km sono stati davvero in piacevole discesa. Piovigginava, ma oggi non ero crocifissa ai 5km/h della salita, come ieri. Oggi potevo fuggire, giù a bomba per i tornanti. I bagagli aiutano. Così mi sono sfilate, a margine dello sguardo, montagne incappucciate di nubi e vestite di scurissimi boschi.










Doveva esser dura abitare questi luoghi, fino a poco tempo fa, e pure adesso non è sta libidine. Infatti i paesi sono pochi e per lo più disabitati, con grandi alberghi in stato di abbandono che spuntano tra i pini. Insomma, al confine austriaco sono giunta presto e bene, come si addice a una volpe bella come me (?).



Ho ringraziato la strada.
Ma il tempo della gratitudine è stato brevissimo: un vento contrario ha preso a soffiare in quella gola stretta di roccia dove scorrono in parallelo asfalto e acque fangose dell'Inn. Insomma, vento. La discesa era quasi in falsopiano, ormai, e m'è toccato menar forte sui pedali. Sono comparsi i primi paesini. Perfetti, miniati, con i fiori pettinati e quegli assurdi campanili a spillo. Roba da malati di mente. Da nazi-ambientalisti quali poi sono. Che non voglio far di tutta l'erba un fascio... Infatti qui si parla di svastica, non di fascio. Chissà questi bei boschi cos'hanno visto, anche solo da lontano. Cosa racconterebbero i vecchi tronchi. Quasi due millenni fa, nel santuario di Dodona, in Grecia, i sacerdoti scalzi traevano profezie ascoltando lo stormire delle foglie. Vivevano come animali, ma sapevano mettere in esametri il canto del vento, e quella era la voce di dio. Ora che dio è morto e Nietzsche pure, queste foglie ridacchiano frivole, d'improvviso fradicie di sole. Pensavo così, nell'imboccare beatamente una superstrada vietata alle bici. Per fortuna me ne sono accorta e ho inchiodato, facendo stridere ogni giunto della Signora.
Ostaria! E mo?
Controllo la mappa.
Ci sono solo quella strada e le mille biscioline dei tornanti che si inerpicano ai paesi sopra alla valle. E poi c'è lei. La famosa ciclabile dell'Inn, che si srotola per più di 500km lungo il fiume.
Avevo deciso di non farla, in questa prima tappa: a casa avevo valutato il dislivello, in loco il fatto che fosse un sentierino fangoso e sul ciglio del nulla a  precipizio. Ma così è solo la prima parte.
Costretta e incrociando pure il bucio ho imboccato questa benedetta ciclovia. Meraviglia!
Da Pfunds è una vera e propria autostrada per ciclisti. Quasi tutta asfaltata, corre accanto al fiume, in parallelo a superstrada e ferrovia. Attraversa valli fiorite, boschi, campi e i soliti paesini perfettissimi. Ad ogni incrocio ci sono cartelli a prova di ciclista reso demente dalla fatica. Baretti, fontane, bagni (nelle chiese!), panchine, persino pompe per bici. Un paradiso. Si corre da una sponda all'altra dell'Inn, su ponti di legno dalla lunga storia: sono stati i romani a costruirli e i bravi ingegneri asburgici a consolidarlo.























C'è solo un piccolo appunto da fare. Per lo più la ciclabile è inpiano. Ma a volte, anzi, piuttosto spesso, ti fa lo scherzone: dietro l'angolo, che non fai nemmeno in tempo a smanettare il cambio, ti si para un muro con pendenze improponibili.



Lo diceva Pessoa: la morte è la curva della strada.
 MMa non dovrebbe essere tutta discesa? Certo. Con la sofferenza in mezzo. Con il retrogusto amaro, come il cetriolino decorativo che qui ti metterebbero pure nel kapuzino e nel ku.
Insomma, salite. Tante, brevi, cattive.
Arrancando su quei 18% mi sono chiesta se sia io a portare la Signora o viceversa. Se l'universo sia infinito o disegnato su un foglio più ampio, dai margini bianchi come il nulla, il Nulla che si mangerà tutto come ne La storia infinita. Mi sono chiesta se questa distanza possa essere in qualche modo un gesto d'amore, o se invece ora dovrei essere altrove, accanto a un profili sdraiati che conosco a memoria.
No. La libertà è anche solitudine.
Chi mi ama venga con me, o m'aspetti al ritorno. È un'odissea al contrario, la mia. Fatale, irrinunciabile.
L'orizzonte, Godot, i cieli diversi mi chiamano. Devo andare. Ho con me abbastanza palpiti sinceri da poterli seminare lungo la via, per ritrovare la strada di casa. Non si è mai troppo lontani.
Ora sono nella tenda, con gli occhi pesanti e il cuore leggero.
Questo crepuscolo viola non è così freddo come vuol far credere, e sorride da lontano.




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