venerdì 26 agosto 2016

Venticinquesima tappa: da Smolensk a Jarcevo. I vichinghi e i dolcetti turchi





“I russi non vanno capiti. Vanno amati”
Vero. Sono una categoria umana a parte.
Europei, ma non del tutto. Asiatici, ma non del tutto.
Sono l’equivalente nordico dei turchi, pensavo tra le immense corsie del supermercato della stazione. E d’improvviso, rivelazione, mi trovo davanti ad una corsia di sola Halva. Un segno divino, evidentemente. (l’halva è una pasta densa e dolce, fatta con semi di sesamo o tahini, zucchero, miele, spesso frutta secca. Viene dall’India, dal Pakistan. La parola è ebraica. E’ diffusa in tutto il Medioriente e il Nord Africa, ma pure nei Balcani. Io la associo alla cucina ottomana, alla Turchia e alla Grecia).
Halva. Come i turchi.


(altre immagini dal super-supermercato grandissimo; domani se riesco vi mostro le bindelle di sprotti, i pesci arrotolati)



 

I russi sorridono molto più dei bielo-vicini. Sono più espansivi, più rumorosi, più sopra alle righe. Più laidi e branciconi. Più liberi, evidentemente.
Mi salutano, mi clacsonano (e io ogni volta ho un principio d’infarto), si sbracciano dai finestrini, fanno il tifo, ridono ma senza cattiveria. Sono molto umani di un’umanità primordiale e genuina, carica di secoli di storia e fiumi d’alcol.
Certo, le città non sono a misura di ciclista. Ma nemmeno di pedone. Ma nemmeno di essere vivente. Ieri entrare a Smolensk è stato un giro di roulette russa (appunto) e uscirne oggi anche.
Sulle arterie extraurbane guidano bene e in modo assennato. Nelle strade cittadine no. Regna l’anarchia. I semafori, le precedenze, gli stop sono pura opinione, camioncini e auto, pedoni e motorini, bus, tram e bici (poche) sfrecciano in un caos indistricabile e rumorosissimo. Per capire come stanno le cose basta osservare l’espressione delle signore che attraversano la strada (su strisce pedonali). Il panico nello sguardo. Controllano a destra, poi a sinistra, poi di nuovo a destra. Aspettano con terrore che non si vedano auto all’orizzonte. Ricontrollano la strada. La paura tocca il suo vertice e allora corrono, le signore sui tacchi, corrono come gazzelle storte per portarsi il prima possibile al riparo sul marciapiede.
I marciapiedi, ah. Sono tutti sterrati, quasi sempre sabbia o sassi. Hanno guardrail altissimi che ti impediscono di attraversare dove devi o imboccare una strada piuttosto che un’altra. E poi finiscono nel nulla, in un campo di rovi a precipizio sul Dnepr.
Insomma, Smolensk non è affatto facile da pedalare. Comincia, fra l’altro, a profilarmisi l’atroce orrore dell’ingresso a Mosca. Sono sopravvissuta a Istanbul, Atene, Belgrado, Minsk. Sperèm.






Stamattina son partita con estrema calma: la tappa di oggi prevedeva solo 65km di trasferimento, sulla M1. Sono andata a far la spesa, e ho visto la parte brutta della città. Ah, questa è l'officina sopra cui ho dormito.



Poi ho approfittato della mattinata per visitare alcuni luoghi di interesse di Smolensk. A entrarci da ovest non si direbbe, chè pare un orrendo inferno di binari e fabbriche puzzolenti, ma è una delle più antiche città della Russia. Ha vissuto tutta la storia della sua nazione e senza sconti.
Le prime tracce risalgono a metà dell’800, come dimostra il limitrofo sito di Gnezdovo; qui si erano stabiliti alcuni gruppi di vichinghi, scesi dalla penisola scandinava con le navi nere lungo i fiumi. La città era già così imporante che, nel 950, l’imperatre bizantino Costantino Porfirogenito, la menziona nel De administrando imperio come principale mercato tra Greci e Variaghi. L afiorente economia porta il Principato di Smolensk, fondato nel 1054, ad essere uno dei più importanti dell’Est Europa; la città, nel XII secolo, si abbellisce di palazzi e chiese, come quella dei Santi Pietro e Paolo, che, con qualche restauro, è qui dal 1146. 






A metà del ‘200 la città deve affrontare gli assalti mongoli e l’Orda d’oro, ma ne esce illesa. Decisamente più violente sono le continue battaglie tra Granducato di Polonia-Lituania e di Mosca per avere il dominio di questo importante snodo commerciale. All’inizio del XV secolo, grazie alle vittorie di Vytauta il Grande, la città è in mano ai lituani, che sfruttano i suoi soldati per la battaglia di Grunwald contro i cavalieri teutonici Nel 1514 Smoelnsk viene conquistata dallo zar e fortificata. Si costruisce, tra 1597 e 1602, un’enorme e spessa cinta muraria (cremlino) di pietra, la più grande di tutta la Russia. 











Ma questa non basta a respingere le mire del Granducato di Lituania-Polonia che, nel 1611, dopo un assedio durato venti mesi, riprende possesso della città. Era da poco morto Ivan IV il Terribile e la Russia stava vivendo un momento critico. Per tutto il ‘600, comunque, Smolensk è teatro della contesa tra le due potenze e gode di ben pochi anni di pace. Ma questo non è nulla, rispetto alla devastazione che porteranno le due guerre patriottiche.
Del periodo resta la grandiosa Cattedrale della Dormizione, enorme nel suo verdazzurro. Fondata nel '300 e ricostruita a fine '600, domina la collina omonima ed è simbolo di Smolensk





Nel 1812, ad agosto, Napoleone conquista la città. 30.000 morti.
Per farsi un’idea, basta leggere Guerra e Pace, dove la battaglia, un crudissimo bagno di sangue, viene descritta.
Qui resta la statua di Kutuzov, generale che ha sbaragliato la Grande Armata in ritirata.
 


Durante la I Guerra mondiale molti uomini di Smolensk vengono spediti a Tannemberg e ai Laghi Masuri. Un carnaio.
Poi viene la Rivoluzione, con le sue luci e le sue ombre. Smolensk diventa centro amministrativo della regione.
Quando tutto sembra essersi assestato, scoppia la Seconda Guerra Mondiale. Nel ’40, fuori dalla città, viene perpetrato il massacro della foresta di Katyn, di cui s’è detto ieri.
Il 16 luglio ’41 Smolensk viene conquistata dai nazisti. Per due mesi qui si scontrano l’Armata rossa e l’esercito del Reich. I russi perdono quasi sempre, ma riescono a ritardare di due mesi l’avanzata tedesca, dando il tempo a Mosca di organizzarsi militarmente. La città viene liberata solo il 25 settembre ’43. Il 93% degli edifici è ridotto in macerie. La popolazione più che dimezzata. La comunità ebraica trasformata in cenere e soffiata via dal vento.
Smolensk è stata insignita del titolo di Città eroina. Magra consolazione. Chi è morto non torna indietro.
Ma non è tutto, signori miei. Proprio qui, il 10 aprile 2010, si è schiantato il jet militare che trasportava il presidente polacco Lech Kaczyński e numerosi politici e alte cariche dell’esercito. 96 morti. Ironia della sorte, questa delegazione si stava recando a Katyn per la commemorazione dei 70 anni della Strage di Katyn. Insomma, qui i polacchi fan sempre una brutta fine.
Una curiosità: qui è nato  Potemkin quello cui è dedicata la corazzata. Cito da Wikipedia: “Dietro suo suggerimento nel 1783 fu conquistata la Crimea, nella quale riuscì a ripopolare le campagne, a fondare nuove città, fra le quali Sebastopoli (1784), ed a creare dei centri culturali. A tal proposito, per far buona impressione sull'imperatrice, una leggenda inventata dai suoi detrattori sostiene che fece costruire molti villaggi, chiamati in seguito villaggi Potëmkin, che ad una prima impressione sembravano veri, ma in realtà erano di cartapesta”.





Chiusa parentesi storico-pippologica.
Della tappa di oggi non c’è molto da dire. Fuori Smolensk mi sono ributtata sull’autostrada. Il tratto di oggi non aveva un gran bordo a lato, e mi è toccato stare praticamente in carreggiata. Ma ci si rimane senza problemi, non è pericoloso come sembra. Il vento e le pendenze non mi han fatto sconti nemmeno oggi, benché la consapevolezza di aver pochi kilometri davanti a me ha alleggerito il cuore e la mente. 





Mi hanno anche fermata due poliziotti. Veri, non come i cartonati che si incrociano ogni pochi kilometri. Temevo mi dicessero che hey, quella è un’autostrada, non si può andare in bici… E invece volevano solo dirmi di stare un po’ più a filo del bordo carreggiata. E farsi i cazzi miei, in russenglish. Ben così.





Oggi non sono nemmeno in un paese, che dista qualche kilometro (Jarcevo), ma proprio sulla M1, in una sorta di motel che imita un’izba tradizionale, con tanto di mulino, trattoria e camere in legno. Accanto ci sono supermercato-negozio di souvenir (paccottiglia da Armata rossa), banca, bar, kebab, ristorante. Uno potrebbe vivere e morire in questa piazzola di sosta, ed esser felice. Come me oggi, che mi son goduta un po’ di riposo.






Domani si riparte sul serio, direzione Vyazma. Un altro cimitero a cielo aperto, coperto da un azzurro steso che finge di non ricordare.
Sto cominciando ad ambientarmi, qui.
Sembra tutto meno grande ed ostile. Meno spropositato. Più umano.
Buonanotte Russia bella.









2 commenti:

  1. Sei passata o devi passare da Mogilev? Ciao buona continuazione. Matteo. Milano

    RispondiElimina
  2. Un giorno dopo l'altro
    Un giro di ruota segue
    Anche la notte al giorno
    Non lascerà il piede
    Buona notte, volpicella 🙋🏼

    RispondiElimina