sabato 13 agosto 2016

Quattordicesima tappa: da Sieradz a Lowicz. L'amore è un trattore.



Io so, ve lo leggo negli occhi, che il vostro più febbrile dubbio in merito all’esistenza non riguarda dio, no, e nemmeno la morte, o la banalità del male. Voi vi chiedete, nella vergogna delle notti insonni, vi domandate ad occhi sbarrati se si possa cucinare un minestrone in un bollitore da te.
Vi capisco, è un problema che ha assillato pure me, oggi più che mai.
Ma ora, signori, ho la risposta. Ora so.
Sì, è possibile, viene de cristo, ma bisogna fare tutto in fretta e di nascosto, perché se qualcuno vi vede altro che madonne polacche.
Però questa storia del minestrone la rimandiamo, è una conclusione, non un incipit.

Riavvolgiamo la pellicola e torniamo a questa mattina.
Sveglia presto e incursione, sotto finissima pioviggine, al supermercato, per procacciarmi la colazione. In 300 metri, forse anche 250, ho incrociato ben due distinte combriccole di ubriaconi, che, alle 7 di mattina, stavano già trincando con torva pervicacia sulle panchine; un gruppo era di anziani, un altro di ragazzi sui vent’anni. La tradizione passa, evidentemente, da una generazione all’altra, senza soluzione di continuità.
Con immensa calma, visto il tempo urendo, mi sono preparata ai 120km di oggi, che si prefiguravano monotoni almeno quanto la tappa di ieri, forse anche di più.
Invece no.




La pianura è sempre, tautologicamente, piattissima, i campi smisurati e i boschi infiniti, ma ho attraversato alcuni bei paesini ancora intatti nella loro anima rurale e visto un numero spropositato di cicogne. A me le cicogne piacciono tantissimo. Le ho trovate sempre nei Balcani, ma anche in Marocco e in Lituania. Persino a Oleggio, l’anno scorso, ma è stato un caso.







Oggi ho davvero pedalato in un mondo contadino fatto di schiene curve, aratro e forcone. L’agricoltura è solo parzialmente meccanizzata e tanto si fa ancora a mano, e si vende in loco. Ci sono uomini con camicia a quadri, bretelle, berretto e stivali, donne con il foulard sulla testa, nipotini arzilli che lo vivono come un gioco... Tutti immancabilmente indaffarati in qualche attività: raccogliere, scavare, tagliare, ammucchiare. Che si tratti di cipolle, mele o fieno, i gesti che si ripetono cascina dopo cascina sono questi. Da secoli, sotto la sguardo distratto delle mucche. 








E’ stato un tuffo nel passato. Probabilmente anche in questi paesi la gente sta su Facebook e si fa i selfie, guarda serie americane in streaming e tutto il resto. Ma ho avuto l’impressione che qui ci sia ancora una concretezza, un senso della terra che noi stiamo perdendo. Qui si parla di patate, di mais, di concime, e lo si fa con le unghie nere di fango e la faccia scolpita dal vento. Lavorare significa farsi un culo così nei campi e nelle stalle, con il tempo inclemente di questi luoghi, e scoprire quanto sia bassa la terra. Per questo, vedendo una coppia di contadini guidare abbracciati il trattore, ho pensato a una vita fatta di cose, di materia, di problemi concreti. Non rose ma spighe, non oli profumati ma sudore versato insieme. Non è romantico. Non è dolce. Ma è vero e semplice come il pane. Un amore come una zuppa di fagioli che ribolle sul fuoco. Un amore come un trattore.

 Questo amore è un trattore
che sferraglia piano piano
con il rombo del motore
mentre mi tieni la mano.
È così che ce ne andiamo
verso l'orlo della sera,
ed insieme ci accorgiamo
che si fa via via più nera.
Ma tu restami vicino
a dimostrare che è più forte
questo amore contadino
della triste e fredda morte.



Tra pioggerellina finissima e gelida e sprazzi di sole, sono arrivata prima a Leczyca, con i suoi cavalieri di legno a guardia del castello,










poi a Lowicz, meta di oggi, a mezza giornata di pedale da Varsavia.





Nella cattedrale qui, che vanta tanto di statua a Giovanni Paolo II, era in corso un matrimonio. Ora tutta la masnada sta ballando al piano di sotto, dove c’è il ristorante. Musica che fa tremare le pareti, con tanto di hit italiane amate all’est, Albano in primis. Mi sa che stanotte sarà dura. Gira così tanto alcol che ci si ubriaca solo a respirare l’alito della gente.
Ed è qui che intervengono il bollitore e il minestrone.
Passo indietro. Stamattina in ostello ho incrociato due ragazzi che stavano andando via. Mi hanno detto che nel frigor avevano lasciato un bel po’ di cibo, chè ne avevano comprato troppo e non volevano portarselo sul treno per casa. Cibo! Ricognizione: confezione di affettato di tacchino integra, confezione di formaggio a fette integra, salsine varie che anche no, latte aperto che anche no, un pane intero. Nel freezer sacco da 2kg di patatine da friggere e pacco da 1kg di polpette da cuocere (in primis volevo prendere TUTTO. Ma i surgelati nelle borse della bici non ci stavano. E scacciato il pensiero di stipare subito ogni cosa nel posto più sicuro, lo stomaco, ho deciso di prendere solo pane, affettato e formaggio). Insomma, avevo rimediato la cena.
Bene così: il ristorante qui sotto, oggi, è appunto riservato al matrimonio. Ottimo. Vado al più vicino supermercato per cercare frutta e verdura, che non possono mancare. Ma è un Bidronka (coccinella, catena tedesca credo). E ha pochissimo dell’una e dell’altra. Poco male, accanto alle camere c’è un cucinino, mi prendo un minestrone di verdure surgelato e chi m’ammazza.
Peccato che il cucinino non abbia fornelli di sorta. Solo il bollitore per il te.
E ci s’arrangia!



Due note: Napoleone è stato qui, in quello che attualmente è il ristostello; era il 1806, e abbiamo le prove!



Questa è invece l’architettura più diffusa nelle grandi città. Il centro storico, il rynek, i palazzi antichi sono tutti concentrati in poche strade. Il resto è un susseguirsi di vialoni con questi immensi palazzi di puro cemento socialista.








3 commenti:

  1. Bellissima storia quella che sei riuscita a cogliere sul quattro ruote motrici. Avevo da subito intuito che i racconti sarebbero stati l eccezionalità di questo tuo viaggio, andare a spasso in bicicletta, siamo buoni in tanti. Un bacio.

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