domenica 16 luglio 2017

Diciassettesima tappa. Gli Urali, il ferro e la roccia (e le polpette di brontospasmo). Da Novostroy a Yuryuzan'.





Eccoci qua, nel cuore degli Urali, in un appartamento ben più grande di quello in cui vivo in Italia, che costa 15€ al giorno e offre gratuitamente la possibilità di sentirsi del posto, al punto che la gente per strada mi apostrofa in russo per chiedermi una sigaretta, come se vivessi davvero lì. Che la sensazione di non sentirsi stranieri non ha davvero prezzo, anche se si è solo di passaggio. Ma alla fine tutti siamo sempre solo di passaggio, se non nello spazio sicuramente nel tempo.
Per sdrammatizzare aggiungo, in piena sincerità, che un fatto cui un italiano mai si abituerà da queste parti è l’assenza del bidet. E anche l’acqua da ustioni di quarto grado quando si apre quella calda. Che se sommiamo le due cose, forse si capisce che, in definitiva, si sono così evitate molte salsicce al vapore.
Ecco l’appartamento del signor Kostantin, Kostja per gli amici. Che pare una mezza bestemmia e va bene così. Da fuori non gli si darebbe mezzo rublo.




Ma dentro è troppo carino.
Ci sono due camere doppie, una per me e una per la Signora e i panni stesi, infracicati dal temporale quotidiano che mi devo prendere sulla zucca, se no non siamo contenti.












 (semini di girasole gentilmente offerti dalla casa)
 
Vorrei inoltre sottolineare quanto bello sia questo shampoo.



Ma dove siamo di grazia? A Yuryuzan’ naturalmente!



Si tratta di un’amena cittadina venduta come località di villeggiatura per i russi, nel cuore degli Urali, ancora in Europa, nota per le sue piste da sci. Mi immaginavo un paesino alpestre simil svizzero, con gli chalet e le casine in legno coi gerani perfetti pitturati ai balconi e le banderuole verniciate di fresco.
Invece siamo assolutamente in Russia.
Ci sono il fango, le case in legno storte, il Dvorez Kultury (palazzo della cultura) sovieticissimo in puro cemento, i vecchi, il monumento ai caduti della Grande guerra patriottica, un Disneyland resort che è uno spettacolo, un Lenin fatto in carta stagnola, con tanto di auto scassate davanti e una chiesa che era una cattedrale ma ora pare un fienile, e in effetti lo è stato fino a nemmeno trent’anni fa.
























Da notare che appena fuori dalla chiesa, in cui per altro si stava svolgendo la funzione domenicale, ci sono il Leninello pressofuso e, nel giardino stesso dell’edificio, un monumento con stella sovietica.
Perché cambiano i nomi e i simboli ma una religione, agli uomini, pare serva sempre.



Il pezzo forte è stato il concerto del pretino che, alla fine della Messa, è uscito a suonare le campane. Lenin ha sentito tutto ma non ha detto nulla.




Il simbolo della città è questo bel ferro di cavallo che compare pure nello stemma ufficiale e nella bandiera. Il perché è presto detto.



Yuryuzan, che si trova sull’omonimo fiume e sta in una conca tra i rilievi, nasce nel ‘700 come villaggio industriale. Due imprenditori siberiano decidono di aprire qui una ferriera, con altiforni e tutto quanto. Di qui poi è passata tutta la storia russa degli ultimi due secoli e mezzo.
La rivolta di Pugachev, dei contadini e dei baschiri si levò anche qui. La fabbrica fu distrutta e vennero uccisi 300 lavoratori russi. Ma, sedata nel sangue la ribellione, gli altiforni vennero ricostruiti e, durante la guerra patriottica contro Napoleone la fabbrica produsse armi e munizione per l’esercito. Di nuovo, in pieno Ottocento, esplose qui una rivolta, ora degli operai, che fu duramente repressa dalle truppe zariste; gli autori vennero condannati a mille bastonate ciascuno e poi esiliati. Per di più la fabbrica passò nelle mani dell’eroe della guerra patriottica, tal Ivan Onufrievich Suhozanet, marito di una nobildonna e fiero sostenitore della servitù della gleba e di sistema ancora praticamente feudale di gestione di anime e terre. Non sto a descrivervi le sue leggi e le ricadute pratiche sul quotidiano dei più poveri. Nel 1861, per fortuna, il nostro Ivan pensò bene di schiattare e fu pure abolita la servitù della gleba; le terre divennero proprietà dei contadini e la fabbrica passò di mano in mano, andando lentamente distruggendosi a d ogni passaggio.
Nei primi anni del Novecento si sviluppò qui il movimento operaio sempre più consapevole e organizzato, i bolscevichi misero presto radici. Dopo la Rivoluzione, durante la guerra civile, si svolsero proprio qui numerosi scontri violentissimi tra Bianchi e Rossi; con la vittoria di questi ultimi la ferriera fu ricostruita e avviò persino una produzione di ferri di cavallo per l’armata rossa.
Inutile dire che, durante la Seconda guerra mondiale, fu trasferita qui tanta parte della produzione di armi e pallottole, chiodi, ganci, spille e tutto ciò che in metallo servì all’esercito russo nei 5 anni di guerra. Centinaia di uomini, inoltre, furono spediti al fronte e non tornarono.
Finita la guerra la produzione si  convertì a macchine agricole e simili parafernalia, anche se, sul sito della città, in piccolo, si legge che durante la Guerra fredda sono state qui prodotte oltre 5000 bombe “normali” e 1200 atomiche. Cosa?!
Sempre sul sito viene detto con orgoglio che ora le strade sono quasi tutte asfaltate e ogni casa dispone di tv a colori grazie all’antennona di 200 metri che sta sulla collina qui accanto, il monte Shuyde.
Insomma, una città che tra neve, canottaggio sul fiume “pittoresco”, armi, sangue, rivolte e testate nucleari si difende, quanto a storia.

Per arrivare qui ho attraversato, per orizzontale, esattamente metà della catena degli Urali. Domani mi attende il secondo e ultimo strappo (ma sarò ancora in Europa. In Asia metterò piede dopodomani).






Ho messo via, su quasi 100km, 1400 e fischia metri di dislivello. Il che significa che non si raggiungono mai altitudini elevate, anzi, si è sempre sui 400, 500, massimo 600 metri. Colline praticamente. Ma è un continuo, sfiancante saliscendi. All’inizio lo si prende in modo sportivo, stando persino sui pedali e tenendo anche i 20km/h, che in salita, per una Signora dal culo pesante, son tanta roba. Si finisce a fare col cambietto mollissimo anche una salita al 4%, con l’impressione che le borse si siano gonfiate e striscino a terra, e che qualcuno si sia legato al portapacchi con una lunga corda, per fare il brillante, e poi sia morto, e le braccia e la testa si impiglino nei sassi e nei rami. Penso ad Achille che trascina il cadavere di Ettore intorno a Troia, attribuisco l’apposizione troia ad altri individui ed enti, sudo, sbuffo, arrivo in cima, scendo un pochino e di nuovo da capo. Per più di sei ore. Il problema, in realtà, è il traffico che a tratti impesta queste strade belle e ben asfaltate, ma strette. Camion di ogni dimensione, forma e provenienza passano a filo filo e, alla lunga, la cosa diventa piuttosto stressante. L’idea della morte intendo.









Per fortuna sono frequenti i momenti in cui il traffico si annulla magicamente del tutto (ma perché ora sembra di stare in una via trafficata de Il Cairo e ora invece pare di essere in un deserto abbandonato da dio e dagli uomini? Da un punto di vista fisico come è possibile?) e allora resta solo la bellezza dei paesaggi. Sono colline, ma, visto il clima, la vegetazione e l’ambiente assomiglia a quello della montagna nostra, qualcosa sopra i mille. Ci sono foreste di abeti bianchi e rossi, larici, ma anche betulle e faggi. In teoria pare vivano qui alci, cervi, orsi, lupi e, attenzione, ferocissimi visoni mannari. In pratica, esclusi i falchi e qualche riccio spiaccicato, le farfalle e molte varietà di passeri, temo vedrò ben poco.

La città che si vede dall'alto in queste foto è Sim, ma, a dispetto del nome, nemmeno qui il telefono prende granchè. E' una cittadona con una storia simillima a quella di Yuryuzan', fondata nel Settecento come centro di lavorazione del ferro. C'erano dei ragazzi che facevano parapendio e un uomo che grigliava fieramente a torso nudo nel mezzo del nulla. Ma la Russia è anche questo: brace e carnazza sulla nuda pietra.


















Avete visto che bel sole in tutte le foto? Che cielo azzurro e limpido e benevolo?
Ecco, visto che ho fatto l'abbonamento all'acquazzone alla Mosè ho diritto ad una doccia gelida e con vento contrario al giorno. Oggi davvero sono incappata in un temporale tremendo, un muro d'acqua con tuoni da far tremare le montagne e fulmini lunghissimi a squarciare i cieli. Mi sono infradiciata nel giro di trenta secondi e ho percorso circa un'ora in parziale apnea, con la visibilità ridotta al minimo sindacale. Questi son temporali. Mica come le nuvolette che pisciano tre gocce da noi. Poi, tutt'un tratto, è tornato il sole e la gente mi guardava, grondante e imbacuccata, come se avessi deciso di fare il bagno in uno dei molti acquitrini che si trovano lungo la strada. Così, perchè avevo caldo.











 

Il nome Urali pare derivi dal baschiro, dove questa parola significa anche “monti”. Poi c’è una leggenda cantata fin dalle più antiche albe di questa popolazione, che narra di un eroe, Ural, che sacrificò la vita per la libertà della sua gente. Sulla sua tomba ogni baschiro portò, in segno di rispetto, una manciata di pietre (uso anche slavo) e così nacque la catena montuosa di Ural.
Fatto sta che questi giganti dormienti e ricchissimi di ogni tipo di minerale e metallo sono qui da più di 350 milioni di anni. Sono una delle più antiche catene al mondo. Ne han visti di cieli, di stagioni, di luci e di ombre. Ne han visti di viaggi, di vite e di morti. Han visto tutto e sono rimaste chine a portare il peso degli alberi e dei passi sulle loro schiene di roccia. 


Concludo con tre gastro-perle russki.
Le prime due foto sono relative alla colazione del Malina. 
Due caffelatte e fin qui tutto ok. Poi uno pensa che vengano serviti, come accompagnamento alla bevnada calda, dei panzeroni alla marmellata, alla frutta, al miele, che ne so. Vuoti magari.
E uno, inconsapevole, magari li inzuppa pure.
E scopre che il primo contiene cipolle, prezzemolo, uova e formaggio (ottimo), il secondo una specie di polpetta di carne di brontospasmo (sauro con problemi respiratori) e aglio.
Quando si pedala tanto si diventa dei tubi digerenti perfetti, delle betoniere che macinano e digeriscono ogni cosa, pure i sassi. Ma la polpettina malefica mi ha accompagnata fino all'arrivo. Mi ci son voluti 100km di salitelle per digerirla. Memento brontospasmi.




Questa sotto, invece, è la cena. In centro crostini di simil pane, normalissimi.
Sopra, 1kg di insalatona con pesciolini, patate, maionese e verdure varie.
Sotto, 1kg di verdure grigliate unte e ripassate in molti giri d'aglio.
Se muoio stasera, muoio felice (e di certo non a causa di un vampiro). Ora vado a "pitonare" (termine che usava mia nonna per intendere i riposini postprandiali, al modo del pitone che, dopo aver mangiato una mucca intera, resta obnubilato in tutte le funzioni ed ogni fibra si concentra sulla digestione).







1 commento:

  1. Che strane forme hanno le nuvole e che azzurro intenso il colore del cielo! In una foto ho visto la forma di un parapendio davanti al bianco delle nuvole; sarà vero? Tu racconti che gli Urali "ne han visti di viaggi", certo non immaginavano di vedere quello di una bionda Volpe a pedali. Un abbraccio. Sila

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